Scioperare fa male, anzi è il male!*

The Industrial Workers of the World in the US

DIALOGANDO CON IL TONTO (11)

di Giulio Toffoli

Il Tonto mi guarda e ride: “L’hai sentita l’ultima boutade del ministro Graziano del Rio, uno dei cooptati della ammucchiata di Renzi? In altri tempi lo avremmo definito un democristiano di destra, ma ora la storia, che in Italia ha il vezzo di essere da sempre caratterizzata da un pervicace trasformismo, lo ha fatto un pezzo grosso del PD”.
“Mi scuserai – cerco di difendermi per la mia ignoranza – ma non ho sentito nulla. Che ha detto di significativo. Mi è sempre sembrato una figura scialba, se non altro senza la protervia di un Poletti …”
“Beh oggi si è strappato le vesti affermando, parola più parola meno, che bisogna rendere più difficile proclamare gli scioperi. Una minoranza di lavoratori non può tenere in ostaggio la maggioranza dei cittadini. E’ insomma necessario stabilire dei limiti per i sindacati che non rappresentano almeno la metà dei lavoratori”.
“Ma che bello, – mi viene spontaneo dire – come non ricordare i giorni gloriosi della cosiddetta «maggioranza silenziosa» che chiedeva di sbaraccare i sindacati. Considerato che nessun sindacato rappresenta in nessun settore la maggioranza dei lavoratori, mi sembra che così abbiano trovato la quadratura dl cerchio. Del Rio ha trovato il modo per liberare questo nostro povero paese da una delle reliquie di una oramai quasi dimenticata democrazia. Non ce l’hanno fatta con il referendum, riprendono il lavoro su un altro settore … Ma che bravi”.

“Volevo però ripeterti parola per parola la dichiarazione di un giurista che fra l’altro è stato consulente per il governo quando fu emanata la legge 146 del 1990 destinata a regolamentare lo sciopero nei servizi pubblici essenziali. Si tratta di Piergiovanni Alleva che ha dichiarato: «La legge era basata sul concetto di persuasione morale, le indicazioni non erano di tipo cogente; dopo la commissione è passata da azione morale a diventare un tribunale degli scioperi, sempre più capzioso, sempre più unilaterale, che ha un solo scopo: quello di impedire al sindacalismo autonomo di farsi strada; sarò un po’ duro, ma è così. Lo sciopero di oggi è stato uno sciopero che anche Giuseppe Santoro Passarelli, Presidente della commissione, ha dovuto dire, perché è persona onesta tutto sommato, “beh non ci posso fare niente; è uno sciopero legittimo. O si cambia la legge o è così”. In verità questa è una legge che già limita parecchio il diritto di sciopero proprio per rispetto di altri diritti costituzionali. Loro vorrebbero semplicemente che gli scioperi non si facessero, e sa perché vorrebbero che questi scioperi non si facessero? Sono la smentita di un certo tipo di politica sindacale. Danno fastidio questi scioperi perché sono scioperi di protesta dei cosiddetti sindacati minori, ma che minori non sono più». Fin qui il giurista”.

“Bisogna dire che è stato chiaro. Lo sciopero è quello dei mezzi pubblici di ieri, ora ricordo. Vabbé, sembra essere un specie di destino, fra le limitazioni legate alla regolamentazione dei servizi pubblici essenziali, quelle basate sulle norme di autoregolamentazione accettate dai sindacati e altri mille cavilli, ormai scioperare è azione quasi eroica. D’altronde, grazie ai governi di centrosinistra la contrattazione nazionale fra un poco verrà messa in soffitta. Allora non rimarrà che attendere le regalie del governo.
Personaggi come Del Rio mi fanno tanto pensare a cultori di antichi modelli, quelli che erano in voga nel mai completamente dimenticato Ventennio.
Per fortuna che è rimasto qualcuno a ricordare che almeno per ora c’è ancora la Costituzione repubblicana e almeno teoricamente sopravvive il diritto di sciopero. Ma sarò cattivo profeta, questo è un terreno su cui i nostri giovani arrembanti si faranno presto sentire …”.

*L’intervista a Piergiovanni Alleva è stata trasmessa nell’edizione mattutina del Radio Giornale di Radio Popolare- Milano del 17 giugno 2017

18 pensieri su “Scioperare fa male, anzi è il male!*

  1. Mi dispiace per Toffoli e per il Tonto, ma ci siamo ridotti a fare una battaglia nemmeno difensiva ma di retroguardia nell’attesa che arrivino i nostri (?). Siamo asserragliati dietro gli scalcagnati carri messi in cerchio (magari sventolando la bandiera “Non sparate sulla Croce Rossa”!) per difenderci dagli attacchi degli Indiani. Che, in questo caso, non sono i Pellerossa di westerniana memoria, ma coloro che hanno ‘fatto gli indiani’, lasciando marcire tutto quanto e che intenderebbero proseguire in questo lugubre appiattimento, facendo di ogni erba un fascio.
    Mio padre diceva: “Chi semina vento, raccoglie tempesta”.
    Ora, non voglio rifugiarmi in rimembranze atte soltanto a far finta di avere ancora delle memorie da spendere!
    Molti di coloro che hanno ormai una non più verde età e sono passati attraverso vari tipi di lotte, sindacali e non, credo possano capire, se lo vogliono, lo sdegno per lo scempio compiuto e l’abbassamento culturale al quale siamo esposti!
    Ricordo le discussioni negli anni a cavallo tra il ’60 e il ’70, in quel di S. Candido, Val Pusteria, luogo di ritrovo estivo dell’intellighenzia romana e milanese di sinistra, deserto dal turismo di massa a seguito del clima terroristico in cui viveva in quegli anni (dal 1966 in poi) l’Alto Adige. Discussioni con Bruno Trentin, allora segretario generale della FIOM, non con “bau bau, micio micio”.
    La metto giù così, a spanne. Lui immaginava uno scenario basato sul fatto che, poiché i lavoratori sono TUTTI sfruttati, allo stesso identico modo, bisognava garantire a TUTTI lo stesso trattamento, uguaglianza a gogò (e non certo verso l’alto!), e che anche le confederazioni, sia pure storcendo il naso, dovevano adeguarsi a ciò e smetterla con le loro divisioni che avrebbero favorito”soltanto il padronato”. Progetto poi portato avanti da Luciano Lama, fautore dell’Unità sindacale CISL e UIL, anche se questa strategia non fu sempre coronata da successo (“cacciata di Lama” all’Università di Roma nel 1977).
    Io, a quei tempi giovanetta e inespertissima, volevo dire la mia e cioè che, memore anche di quell’annacquamento che fu la Resistenza che si trasformò in una, sia pur legittima, ma generica, lotta contro l’oppressore, si rischiava di perdere tutta la forza specifica e propulsiva di un pensiero altro che avrebbe dovuto portare avanti una idea di cambiamento. Ma il mio compagno di allora mi imponeva brutalmente il silenzio, come potevo avere l’ardire di confutare il segretario della FIOM? Già aveva dovuto, il mio compagno, ricevere lo smacco del rifiuto da parte della sezione provinciale del PCI a darmi la tessera del partito perché i mallevadori ai quali lui mi aveva presentato avevano scosso la testa, ero guastata da troppe letture classiche e poco incline ad accettare le Regole del Partito. Io pensavo che aiutare i lavoratori a sviluppare un pensiero critico – che non si limitasse ad essere meramente oppositivo (abbasso il padrone schiavista!), o di spicciola tutela del posto di lavoro (e oggi vediamo quale fine ignominiosa ha fatto quella tutela!) -, potesse essere utile non tanto per risolvere una situazione presente e immediata, ma per costruire qualche cosa di altro!

    Solo che sono passati gli anni e, nel frattempo, abbiamo assistito ad una trasformazione tale che facciamo sempre più fatica a raccapezzarci e a capire se, quando stiamo parlando e utilizziamo la solita terminologia (ad esempio, quella riportata da quest’ultimo lavoro di Toffoli), questa corrisponda veramente a ciò che è presente ‘fuori’ e non rappresenti soltanto solo ciò che è dentro la nostra mente.

    R.S.

  2. Forse ho le allucinazioni, ma mi sembra che oggi ci sia movimento, per i conflitti tra Usa e Ue, per l’attivismo russo in Medioriente, nel crescente astensionismo e/o conflitto politico da noi e in Francia, con Corbyn in Gran Bretagna. La situazione è molto tesa, e, o perciò, la gente non è più opacizzata, “asserragliati dietro gli scalcagnati carri messi in cerchio (magari sventolando la bandiera “Non sparate sulla Croce Rossa”!)”. E poi il neoliberismo ha mostrato la corda.
    Si noti che la reazione allo sciopero dei mezzi pubblici viene dopo il successo dello sciopero. Forse, come disse a sproposito la May, quando è troppo è troppo.

  3. *Forse ho le allucinazioni, ma mi sembra che oggi ci sia movimento* e che *la gente non è più opacizzata* (Cristiana).

    No, Cristiana, non hai le allucinazioni. I tuoi sensori recepiscono correttamente questi elementi dinamici.
    Io volevo esprimere un altro sentire. Che sono stufa di questi ‘movimenti’, dei vari ‘en marche’ (sia pure con le contestazioni che abbiamo visto attraverso l’astensionismo alla ultima chiamata ai seggi per Macron!). Nello stesso tempo dico: “Ben venga tutto questo. Mi fa piacere… piuttosto della palude!”. Ma ciò non corrisponde che a qualche cosa di ‘acefalo, senza un pensiero che gli fa da sostegno: il vanto di Macron riportato da tutta una pletora osannante è che in quattro e quattr’otto ha messo su un movimento vincente senza il supporto di un Partito! E io non credo che un pensiero possa essere ‘partorito’ da un movimento. Vorrei un’analisi che ancora, purtroppo, non c’è. Non mi è sufficiente dire che *il neoliberismo ha mostrato la corda*: chi sostiene l’Europa non applica forse, gratta gratta, politiche neoliberiste?

    So che è un problema tutto mio e come tale me lo gratto! Uscire dall’asserragliamento e essere fatti fuori dal nemico, lo metti in conto, ma essere impallinati dal fuoco amico.. non è piacevole!

    R.S.

    1. Dal fuoco dell’amico mi guardi Iddio, ché nelle fitte nebbie (solo nemiche?) si deve orientarsi in proprio. Ieri Euronomade pubblica uno scritto di Toni Negri preparato per il convegno sui populismi del 16-18 giugno a Roma, e integrato dopo la discussione. http://www.euronomade.info/?p=9434
      Il populismo del moderno “è più un segnale della crisi che un suo consistente superamento. E’ più un problema che la sua soluzione.” Negri ripropone il soggetto moltitudine: “Ogni strategia politica e sociale è dei movimenti e non può essere espropriata. […] Dentro la mancanza di unità dell”insieme di singolarità’ della moltitudine (ché così la si vede dal basso mentre dall’alto era vista come soggetto frammentato) vive piuttosto il desiderio di formare un’ontologia plurale e cooperativa di coalizioni politiche. Molti movimenti parlano ormai in termini di interrelazionalità, di connessioni variabili e potenti di rivendicazioni, di lotte e di istituzioni: così si organizza la nuova potenza della moltitudine.”
      Vana quindi ogni politica e della rappresentanza e della leadership, ma anche ogni riproposizione di lotte sul lavoro perché è “un lavoro che coordina nell’unità popolare ricchi e poveri, padroni e sfruttati, comandanti e comandati. Le regole di questo lavoro sono, né più né meno, le regole del capitalismo, del vivere nel rapporto di capitale.”
      Costanzo Preve intervistato nel 2010 da Fusaro disse che Toni Negri incorpora in un economicismo kautskiano una antropologia deleuziana-guattariana, quella secondo la quale il mondo è già comunista ma non sa di esserlo, cioè congiunge il massimo di determinismo economicistico e il massimo di soggettivismo anarchico, e crede sia questa la base del suo successo. https://www.youtube.com/watch?v=v4j41lmuJ74
      Infatti anche questa conclusione del testo di Negri mi sembra fondata su una necessità interna che è già rovesciamento realizzato del capitalismo, e un appello soggettivistico *all”insieme di singolarità della moltitudine*”: “Nelle teorie della sovranità si pongono qualificazioni della sua natura in riferimento alle tre funzioni del ‘prendere’, del ‘dividere’ e del ‘produrre’. Ora, nel tempo che ci si presenta, noi proponiamo contro il populismo, nel ‘prendere’ l’esercizio orizzontale della potenza della moltitudine contro la verticale sovrana; nel ‘dividere’, l’articolazione del comune contro l’ipostasi ‘popolo’; e nel ‘produrre’, l’imprenditorialità della moltitudine e il ‘rifiuto del lavoro’ organizzato dal capitale.”
      Il populismo fa un largo uso dell’idea di egemonia, e quindi di analisi e di alleanze, il comune e la moltitudine sono anch’esse idee, ma i riferimenti sono fuochi fatui che si dislocano e non hanno durate affidabili. La vecchia politica novecentesca si aggiorna, anche in senso populista, sia a destra che a sinistra, ma non va in pensione.

  4. …intorno allo sciopero penso che, oltre ad essere uno strumento boicottato dall’interno, spesso manchi un sentimento di solidarietà diffuso, che sappia comprendere i problemi di ogni categoria di lavoratori: può succedere che un ferroviere sostenga lo sciopero della sua categoria, con l’astensione dal lavoro, ma poi se l’insegnante di suo figlio sciopera e lui non sa dove “parcheggiarlo” allora inveisce contro “la scarsa coscienza” dei lavoratori della scuola, che non tengono conto dei disagi creati ai genitori…Questa carenza può spiegarsi, credo, con la massificazione delle moltitudini promossa dalla propaganda al servizio del potere finanziario politico e militare, che ci vuole individualisti, cinici e edonisti (felici no davvero)…I movimenti cercano di cucire insieme singolarità ribelli al sistema, non hanno l’organizzazione dei partiti, ma sfuggono anche alla corruzione che spesso travolge quest’ultimi…Quelli di sinistra purtroppo molte volte si perdono per strada, mentre quelli di destra arrivano a darsi una struttura paramilitare molto minacciosa…

  5. @ Cristiana

    Scusami se non ho risposto subito al tuo intervento (23.6 h. 19.12) che, al pari di molti altri, è sempre meritevole di molta attenzione.
    In parte perché non sto bene. Da un po’ – un bel po’ – di tempo è lui (il ‘non stare bene’) che determina i miei giorni e le mie notti…. ma non voglio parlare qui di questo malaugurato appannaggio dell’individuo, che gli arriva in dotazione, volente o nolente e non come Ulisse che sceglie di confrontarsi con l’abisso, però alla fine le sue corde se le recide lui quando ne ha saputo abbastanza!
    Ma anche perché, per altra buona parte, sono stata accompagnata da un ‘mumble mumble’ senza apparente via di uscita rispetto alle due citazioni riportate nel tuo intervento e che sotto riscrivo (e sulle quali tu stessa hai già preso debita posizione).

    a) *Costanzo Preve intervistato nel 2010 da Fusaro disse che Toni Negri incorpora in un economicismo kautskiano una antropologia deleuziana-guattariana, quella secondo la quale il mondo è già comunista ma non sa di esserlo, [sottolineatura mia], cioè congiunge il massimo di determinismo economicistico e il massimo di soggettivismo anarchico, e crede sia questa la base del suo successo…*
    b) (citazione da T. Negri, credo) * Ora, nel tempo che ci si presenta, noi proponiamo contro il populismo, nel ‘prendere’ l’esercizio orizzontale della potenza della moltitudine contro la verticale sovrana; nel ‘dividere’, l’articolazione del comune contro l’ipostasi ‘popolo’; e nel ‘produrre’, l’imprenditorialità della moltitudine e il ‘rifiuto del lavoro’ organizzato dal capitale.”*

    Questi discorsi (soprattutto il secondo), mi fanno paura per la loro vacuità e mi fanno ricordare la battuta di Petrolini in “Nerone”: “Il ‘poppolo’, quando gli parli difficile, ti si affeziona!”. Nello stesso tempo, non posso fermarmi a queste ‘controbattute’ che lasciano il tempo che trovano, abbastanza misero, di fatto. Epperò non posso nemmeno esimermi dal chiedere: “Ma che c…o significa, la ‘verticale sovrana’, l’ipostasi popolo’ ecc. ecc.?.
    Ma andiamo per ordine.
    Questa idea secondo la quale *il mondo è già comunista ma non sa di esserlo*, mi richiama da un lato ad una astorica base generalista (non dissimile da quella che tiene in considerazione l’Uomo), che ci porta dritti dritti ad una deriva dove sappiamo come la generalizzazione non solo sia nemica del particolare (e ciò passi – !?!? – perché dipende dai contesti), e della storia (e ciò non posso accettare che ‘passi’), ma anche contro ogni forma di autenticità (questo è il vero dramma perché dà il campo libero ad ogni mistificazione! E le esperienze di oggi ne costituiscono la prova attraverso quel costante “qui lo dico e qui lo nego”, in cui ci imbattiamo tutti i giorni, soprattutto a livello politico). Si è volutamente confuso il concetto di individuo con quello di individualismo! Per rifuggire dal secondo si è affossato il primo!
    In secondo luogo, mi ha richiamato a una gustosa e interessante leggenda ebraica riportata anche nel Sefer Haggadà (e che avevo anche citata in Poliscritture un po’ di tempo fa). L’uomo prima di nascere passa nove mesi nel ventre materno e lì, l’Arcangelo Gabriele, alla luce di una candela, gli insegna tutta la Torah quella scritta e quella orale. Quando viene alla luce (abbagliante) del mondo, l’Arcangelo spegne la fiammella e il bambino dimentica tutto. Così dovrà dedicare la sua vita a cercare di ricordare quello che era già stato scritto e che aveva imparato.

    L’unica libertà che, apparentemente, viene ‘concessa’ è che i modi di avvicinamento a questa verità ultima possono variare, però è lì che si arriva! Il comunismo è già là che ci aspetta!
    E’ tragico pensare che Marx si sia scervellato per fare delle ipotesi su una società in trasformazione, attraverso una analisi ‘materialista’ (e quindi soggetta a evoluzione!) per addivenire poi a questi risultati … Dovrebbe farlo scompisciare dal ridere (anche se a sbocco di sangue amaro!) di fronte alla pochezza dei suoi interpreti! Ma, avendoci messo del suo, e in qualche modo contribuito a creare equivoci, è più comprensibile che si stia tutt’ora rivoltando nella tomba.

    @ Annamaria

    commento del 25.6 h. 22.09: *…intorno allo sciopero penso che, oltre ad essere uno strumento boicottato dall’interno, spesso manchi un sentimento di solidarietà diffuso*

    Non si tratta di ripristinare il *sentimento di solidarietà diffuso* che è venuto a mancare. Richiamarsi a questa perdita significa annacquare un’altra perdita di gran lunga più significativa.
    Quando c’era (c’era? allora pensavamo di sì) una ‘classe operaia’, lo sciopero, e chi lo faceva, non si muoveva (almeno nei primi tempi, parlo della mia esperienza personale e non delle svendite dei tempi successivi) nella ricerca del consenso, dei voti: era la ricerca nel produrre consapevolezza anche da parte di chi era ‘sfavorito’ dai disagi e dalle differenze interne alla contrattazione, più favorevole e vantaggiosa per alcuni e meno per altri.

    L’esempio che tu porti appartiene ad un degrado culturale dovuto alla perdita di una egemonia di pensiero che era mosso da spinte non (o non soltanto) riformiste. Non era certo un pensiero ‘livellatore’ ma “di classe”! Il fatto è che la paura atavica nei confronti della élite non solo ha portato ad un certo pan-qualunquismo ma, paradosso su paradosso, a farsi governare proprio da una élite decisamente di bassa taratura.
    L’odio tra categorie (ad esempio contro i Poligrafici che riuscivano ad ottenere contratti migliori) portò inesorabilmente non ad innalzare anche gli altri lavoratori verso contratti più dignitosi, come ci si prefiggeva all’inizio (era ovvio che i metalmeccanici o altre categorie erano superiori di numero e quindi ciò implicava da parte delle aziende più esborsi), ma si operò per un livellamento verso il basso.

    Solidarietà ai miei tempi di lotta sindacale significava capire e cercare di spiegare il senso delle differenze, e quella era la parte più difficile, perché far crescere nella consapevolezza (che significa saper differenziare) non è mai stata partita semplice.
    E’ molto più facile assecondare, imbrogliando su presunte uguaglianze che non ci sono se non nella mente di Dio.

    R.S.

  6. a Rita: con i migliori auguri di “uscire” dal non stare bene, per un “normale” proseguire invecchiando… (se è possibile).
    Non vorrei equivocare sul tuo commento: non è chiaro che “il mondo è già comunista ma non sa di esserlo” è una qualificazione che Preve fa del pensiero di Negri? Quindi la “astorica base generalista” dovrebbe riguardare lo stesso Negri (secondo Preve). Oppure ti riferisci anche alla genericità dei termini di questa critica?
    E’ peraltro critica diffusa, Carlo Galli: “che cosa è mai la negriana ‘visione’? Un’immanenza virtuale? Una potenza narrata? Un’immaginazione onirica? E’ probabilmente una visione del mondo che perde il mondo, una troppo consequenziale deduzione dalla teoria di un mondo che è troppo simile al mondo del neoliberismo (cioè troppo ‘liscio’) e che al tempo stesso ne è troppo difforme, fino a essere un mondo che non c’è, perchè quello che c’è è molto più complesso, pieno di ombre, di contraddizioni e di fratture (e anche più infelice – ma la potenza nasce appunto nella coscienza infelice, nella
    contraddizione in movimento -). http://ideecontroluce.it/politica-e-visioni-risposta-a-toni-negri/
    E Carlo Formenti: “Gorz, Negri e soci sono convinti che il capitalismo cognitivo generi da sé le condizioni del proprio superamento, o meglio le abbia già generate, nel senso che l’intelligenza imprenditoriale del capitale si ridurrebbe oggi a convertire in profitto (o meglio in rendita) la ricchezza sociale che viene spontaneamente generata dallo spazio sociale innervato dalle tecnologie digitali; il capitale non sarebbe insomma più in grado di esercitare il suo controllo diretto su una forza-lavoro che organizza autonomamente la cooperazione fra intelligenze individuali e collettive.” http://confederazioneliberazionenazionale.blogspot.it/2017/06/la-mitologia-delle-forze-produttive-al.html
    Invece Roberto Esposito in “Da fuori”, PBEinaudi, 2016, assume filosoficamente (e positivamente, mi pare) il pensiero di Negri entro la modalità del pensiero affermativo: “per quanto possa essere asservito dallo Stato, dal capitale o dall’Impero, il soggetto resta comunque produttivo, perchè espressivo di un indomabile principio vitale” (pag. 178). Al libro però è seguita una agra recensione di Negri sul Manifesto del 17/5 e una risposta (meno “positiva”) di Esposito a Negri il 28/5: “La mia impressione è che, contrariamente a quanto si può ritenere, in Negri ci sia un difetto e non un eccesso di politica. Almeno se per politica si intenda una chiara determinazione del fronte su cui ci si divide e delle forza cui ci si contrappone. La stessa categoria di moltitudine – come del resto quella di produzione – rischia di non oltrepassare la soglia della politica. Quanto più capace di inglobare le più varie forme di soggettività, tanto meno è in grado di esibire una precisa connotazione politica. Essa finisce per sottrarre l’orizzonte ontologico al lessico politico.”
    Qui si parla del “tempo”, che non è localizzato sulla lotta presente, ma diventa una prospettiva. La politica diventa un problema di prima grandezza: riformismo e democrazia o prefigurazione ucronica di un capitalismo superato? Chi sa vedere meglio il futuro? L’attore che agisce riferito a se stesso e indifferente ai suoi avversari, o il politico “di lungo corso” che prepara avvenimenti che daranno (forse) frutti previsti?
    La rottura imprevista nell’attuale presente, la Brexit, Sanders (e Trump), la analisi esplicita dell’insostenibilità dell’euro con la cecità egemonica della Germania, hanno “sorpreso”, e schierato su una linea difensiva le attuali potenze del Congresso di Vienna, i partiti di centro, che continuano a perdere voti. Qualcosa sta cambiando e bisogna saper scegliere.

  7. …cara Rita, mi spiace per i tuoi problemi di salute…
    trovo importante quello che dici sulla perdita di consapevolezza e di sforzo collettivo per promuoverla, cosa che succedeva una volta nelle assemblee di fabbrica, ma anche nelle riunioni spontanee di lavoratori, studenti, professionisti, operai che desideravano affrontare i problemi sociali e locali. Il problema poi di “capire e cercare di spiegare il senso delle differenze…” non è semplice soprattutto perchè oggi la forbice delle differenze si è allargata in maniera spropositata: es. i dirigenti, l’élite dell’Alitalia, che, dopo averla fatta fallire, vengono liquidati con cifre milionarie…E quello che succede nelle banche e i “salvataggi” assurdi, che come minimo dovrebbero vedere dimissionari tutti coloro che si sono messi al servizio di criminali giochi finanziari. Insomma, certo un’élite di tecnici, di organizzatori, ma anche di pensatori e filosofi nelle imprese è necessario, ma quando si squalifica, come spesso succede oggi, c’è poca attitudine ad inchinarsi davanti alle differenze élitarie, che dovrebbero essere le prime a voler perseguire la meta dell’ uguaglianza dei diritti (intelligente e non appiattita, come tu dici) nel mondo del lavoro..Il governo poi si presenta come una grande impresa corrotta…Come uscirne?

  8. @ Annamaria e Cristiana

    Vi ringrazio dal profondo per la vostra affettuosa partecipazione e per gli auguri che mi fate.
    Venendo al dunque.
    Per Cristiana che si chiede:
    * Non vorrei equivocare sul tuo commento: non è chiaro che “il mondo è già comunista ma non sa di esserlo” è una qualificazione che Preve fa del pensiero di Negri? Quindi la “astorica base generalista” dovrebbe riguardare lo stesso Negri (secondo Preve). Oppure ti riferisci anche alla genericità dei termini di questa critica?*
    rispondo che da parte mia non c’era nessun intento di bersagliare né Fusaro, né Preve e nemmeno Negri, quanto fare un discorso di più larga portata su alcuni concetti (“moltitudine”, “il mondo è già comunista ma non sa di esserlo”, ecc.) che hanno portato alla sistematica distruzione del pensiero critico (che di solito è appannaggio dell’individuo e non delle masse), all’azzeramento del concetto di differenza (salvo che poi, nella realtà, guarda un po’, le differenze continuano a farsi vedere, epperò ci trovano impreparati: *La rottura imprevista nell’attuale presente, la Brexit, Sanders (e Trump), la analisi esplicita dell’insostenibilità dell’euro con la cecità egemonica della Germania, hanno “sorpreso”, e schierato su una linea difensiva le attuali potenze del Congresso di Vienna, i partiti di centro, che continuano a perdere voti*, come nota Cristiana, o anche, come scrive Annamaria: *Il problema poi di “capire e cercare di spiegare il senso delle differenze…” non è semplice soprattutto perchè oggi la forbice delle differenze si è allargata in maniera spropositata: es. i dirigenti, l’élite dell’Alitalia, che, dopo averla fatta fallire, vengono liquidati con cifre milionarie…E quello che succede nelle banche e i “salvataggi” assurdi*.
    Però, paradosso dei paradossi, la stessa ‘preparata’ Annamaria fa fatica (nessun rimprovero a lei, sia chiaro) a capire la differenza che c’è tra l’élite Alitalia e ciò che succede nelle banche (e perché).
    Il filosofo T. W. Adorno, in una sua celebre frase, sostenne che “ Scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro e ciò avvelena anche la consapevolezza del perché è diventato impossibile scrivere oggi poesie”. Non sono per nulla d’accordo (non lo ero nemmeno allora), perché la poesia è ANCHE contatto con la barbarie, sfidando pericolosamente l’avvelenamento dei pozzi rappresentati dalla consapevolezza e dalla ragione.
    Ma mi sembra che oggi, più che di diffidare dalla poesia sia da diffidare del chiacchiericcio filosofico (o presunto tale), perché quello davvero non ci porta da nessuna parte che possa essere propositiva.
    Mi scuso per inserire fatti personali, ma sere fa, ad una cena a cui, pur stando male dovevo partecipare per ragioni di etichetta, si era accesa una discussione tra sostenitori di Kant e sostenitori del pensiero di Hegel (a cui poi poter appoggiare Marx) in merito ai criteri interpretativi dell’esistente, dialettica e quant’altro.
    Dimenticando che fuori da quel simposio la gente intanto moriva, e sempre più si trattava di persone che conoscevi, padri di famiglia che si suicidavano perché avevano perso il posto di lavoro o i loro risparmi, figli piccoli a cui sarebbe stato difficile spiegare le ragioni di quella violenta separazione visto che, apparentemente, non c’era nessuna guerra….
    Era tanta l’incongruenza che ho dovuto uscire in terrazzo. Ma non a rivedere le stelle, perché anche quelle, temporale dopo temporale, si erano eclissate, ma per sottrarmi ad un disastroso senso di impotenza di fronte ad una ottusità ‘libidinosa’, a cui si può ben applicare la famosa frase dantesca nei confronti della lussuriosa Semiramide che “libito fé licito in sua legge” (Inferno, V, 55-60).

    R.S.

    1. Eppure pensiamo troppo poco! Lo schema Kant/Hegel-Marx, ideali regolativi o paradigma teologico che fa coincidere natura e storia, non rileva la materia oscura che è, pare, un dispositivo gravitazionale piuttosto che assenza di luce che non la rivela!
      Si eclissano le tue stelle sul terrazzo, e la teoria è come occhiali affumicati che non vedono né gli scioperi né i legislatori che si apprestano a nullificare il diritto di sciopero. Ma in Val di Sangro, alla Honda, contro gli scioperanti la direzione ha mobilitato i precari, che infatti nessuno cancella. I suicidi dei padri lasciano in eredità incomprensione ai figli, in mezzo ai neri centroafricani salgono, sui barconi libici, bengalesi e pakistani, come ci arrivano? In aereo dalla Turchia, pare.
      Occorre più che mai analizzare e collegare.

  9. APPUNTI

    Nel dialogo tra Rita, Cristiana e Annamaria mi pare di cogliere alcune delle tensioni irrisolte presenti anche nella discussione in corso fra i redattori di Poliscritture, di cui daremo conto più in avanti; e che spero possa aggiornare e riformulare il progetto iniziale del 2005.

    1.
    Rita mi fa pensare all’angelo di Paul Klee, di cui parlò W. Beniamin. Guarda – uso volutamente sue parole – con « un disastroso senso di impotenza» il disastro della “nostra” storia («lo scempio compiuto e l’abbassamento culturale al quale siamo esposti»). E lo spiega con «la perdita di una egemonia di pensiero che era mosso da spinte non (o non soltanto) riformiste». Denuncia «un pensiero ‘livellatore’», la «paura atavica nei confronti della élite», che avrebbero portato a «un certo pan-qualunquismo» e ad accettare di farsi governare proprio da «una élite decisamente di bassa taratura». Lo sbaglio – ai tempi, ormai lontanissimi, di Trentin che lei, descrivendosi come «guastata da troppe letture classiche e poco incline ad accettare le Regole del Partito», avrebbe voluto contestare, ma le fu impedito – sarebbe stato quello di considerare i lavoratori «TUTTI sfruttati, allo stesso identico modo», puntando su un’« uguaglianza a gogò (e non certo verso l’alto!)».

    2.
    Discutere ora della validità della sua analisi storico-politica sarebbe troppo complicato. Mi limito a cogliere il suo rammarico, la sua delusione. Lei voleva « aiutare i lavoratori a sviluppare un pensiero critico – che non si limitasse ad essere meramente oppositivo (abbasso il padrone schiavista!), o di spicciola tutela del posto di lavoro», ma non ha potuto, non c’è riuscita. Come tanti/e di noi, mi viene da dire. Ma più rilevante (e discutibile per me) è la sua reazione alla sconfitta. Rita è arrivata oggi a un rifiuto sempre più determinato (e con l’amarezza che ancora brucia di essere stata azzittita e messa ai margini) di tutti i « ‘movimenti’, dei vari ‘en marche’», che qualcuno/a (ad es. Cristiana Fischer ed io pure) segue con una qualche simpatia e speranza. Perché? Perché, a suo dire, ogni movimento è «acefalo», se non ha «un pensiero che gli fa da sostegno». E – va aggiunto – lei non crede che « un pensiero possa essere ‘partorito’ da un movimento». Resta perciò col suo desiderio insoddisfatto: « Vorrei un’analisi che ancora, purtroppo, non c’è». Perché , se il movimento non riesce a diventare da solo “pensante”, non è che oggi esistano altri che lo facciano al suo posto. Ed infatti è costretta a constatare l’ «incongruenza» delle attuali discussioni teoriche. L’esempio che fa dei sostenitori di Kant contro i sostenitori di Hegel mentre « fuori da quel simposio la gente intanto moriva, e sempre più si trattava di persone che conoscevi, padri di famiglia che si suicidavano perché avevano perso il posto di lavoro o i loro risparmi» dice tutto. Nessun *che fare*, dunque. E direi però anche nessun *che pensare*. Perché Rita riduce a «chiacchiericcio filosofico» ogni tentativo di pensare compiuto dai personaggi che oggi sono o passano per filosofi (Negri, Fusaro, ecc.) e si dice sicura che «non ci porta da nessuna parte che possa essere propositiva». Sfiducia nei movimenti. Sfiducia nei pensatori d’oggi. A me pare che il rischio di un approdo alla spiaggia del nichilismo sia quasi inevitabile.

    3.
    Alla nostalgia di Lenin e di Marx e all’irrisione di tono leopardiano verso il nostro tempo «superbo e sciocco» che ha abbandonato (solo a causa di Negri e Fusaro?) il «risorto pensier segnato innanti» di Marx, sembra far da contrappeso la posizione esplorativa ed eclettica di Cristiana [Fischer]. Non trascurabile poi mi pare l’evidente incertezza («…Come uscirne?») espressa da Annamaria Locatelli). Perché, in effetti, la posizione di Rita rischia il “broncio” verso questo mondo deludente e degradato e quella di Cristiana può portarci allo smarrimento in un mare di letture frammentarie e forse inconcludenti.

    4.
    Ecco in questa oscillazione tra nostalgia di un pensiero o teoria che manca e ambivalente attenzione a quanto si muove (nel sociale e tra chi pensa) sta il dramma irrisolto che stiamo vivendo anche in Poliscritture e fin dai suoi inizi. Avevo cercato di nominarlo parlando di un dilemma tra rifondazione e esodo. Formule troppo generiche e magari troppo strabiche, perché accostano campi lontani tra loro e in contrasto. Ma di una cosa sono convinto. Pur procurandomi disagio, in certe circostanze – come quelle d’oggi – l’eclettismo non è di per sé sbagliato. E quindi preferisco la via imboccata da Cristiana. (Che è poi quella che pratico quotidianamente con le mie SEGNALAZIONE su “Poliscritture FB”). Per non lasciarci paralizzare, ritengo sia meglio continuare a cercare partendo dalla lettura di singoli articoli (e prescindendo temporaneamente dalle opinioni favorevoli o sfavorevoli sul suo autore, che comunque ci assediano la mente e che devono essere tenute a bada). Semmai dovremo passare più decisamente dalle tante (troppe?) segnalazioni a una lettura attenta, a una critica a più voci e nel merito di alcune di esse. Per vedere se da queste critiche si matura una visione più chiara e il dilemma di cui ho detto possa essere messo meglio a fuoco.
    Mi pare anche l’unica via per uscire dalla diffidenza paralizzante che induce spesso i “poliscrittori” al silenzio “diplomatico”. Se ognuno” dicesse la sua e contrastasse (argomentando) le posizioni altrui, forse la nebbia in cui siamo si diraderebbe.

  10. AGGIUNTA AGLI APPUNTI

    * In questo scambio su FB letto sulla bacheca dello storico Claudio Vercelli, colgo qualche riferimento ai temi qui sfiorati del *che fare* e del *che pensare*:

    Anna Schettini

    Claudio, l’impotenza collettiva è sicuramente un dato, forse esistono per il momento solo piccoli fiumi carsici, personalità di livello , idee che non trovano un luogo per una sintesi vera che possa strutturare un nuovo senso culturale e politico. C’è una diffusa sensazione urgente di mettere insieme queste conoscenze isolate. Un momento di speranza e di aggregazione, seppure tumultuosa e in parte lacunosa è stato quel movimento in difesa della Costituzione. Aveva fatto sperare…Ma manca davvero una riflessione sincera sul fallimento della sinistra, i suoi vizi “ideologici”, le sue palesi contraddizioni. Rileggere Gramsci è una possibilità e una ricchezza.

    Claudio Vercelli

    Avrei molte cose da dire, al riguardo, ma Fb non lo permette. Non almeno in termini di tempi (e luogo, forse). L’unico punto che posso sottolineare, proprio in omaggio al sardo trapiantatosi a Torino , è che ogni epoca richiede un solido nesso tra pensiero politico – oggi obiettivamente molto “scarso” – e coalizione sociale che si incarichi di tradurlo in fatti. In altre parole, come non si dà la seconda in assenza del primo, così questo non sussiste se non si àncora sia alla “dura oggettività” dei rapporti sociali che ad un’ampia platea che si senta da esso in qualche modo “rappresentata”. Non per una emozione momentanea ma per ragioni durature. Come il pensare politico (più dello stesso “pensiero” in quanto qualcosa di strutturato) non è un prodotto laboratoriale, e men che meno accademico, ma un lavorio continuo, che prende poi nel tempo la forma di qualcosa di organico, ossia di esistente non tanto in sé quanto per sé (poiché vigile e autocosciente), così non si dà una indistinta “società” (pura astrazione) ma un insieme di individui che riconoscono nelle loro relazioni nessi di reciprocità non solo morali ma anche strutturali. Dall’incontro tra queste due determinazioni, si origina forse quella cosa che chiamiamo “politica”, se essa non è riconducibile alla sola “governance” (che ne costituisce invece l’azzeramento prospettico) o ad uno stato di “indignazione permanente” che segnala perlopiù il disagio e non molto d’altro.

  11. Sia la valutazione di possibile ma “quasi inevitabile” approdo al nichilismo a proposito delle critiche di Rita Simonitto, sia la valutazione di un carattere eclettico e forse inconcludente delle segnalazioni che propongo mi sembrano giudizi psicologici.
    Rita non ha bisogno che la difenda, ma la sua critica radicale del nullismo politico di persone e movimenti con cui si confronta ripropone un suo tema di sempre sul soggetto che si mette in rapporto -anche con se stesso- con posizioni ideologiche e politiche. La sua sfiducia è nei confronti del soggetto che si pre-suppone, non è sfiducia generalgenerica.
    Le proposte di letture che avanzo (in questi ultimi anni ho tempo, certo altri ne hanno meno), così come lunghe risposte che quasi sempre metto sotto i post, o sotto le segnalazioni di Ennio su fb, più che essere eclettiche segnalano degli spostamenti entro un terreno fin troppo percorso e arato: marxismo e teoria critica.
    Spero sia chiaro che per me è importante la politica in rapporto alla UE di cui facciamo parte, e alla questione euro entro cui tale rapporto è gestito. Ci sono sociologhi, economisti, teorici politici, che non prescindono dal marxismo e si dichiarano di sinistra, ma soprattutto si sforzano di pensare questo presente; si occupano di Europa i filosofi, la geopolitica segnala nodi e svincoli, la questione migranti si colloca nel quadro.
    Le letture che propongo non raccolgono risposte, deserto e vox clamantis. Efficacemente Ennio richiama una “diffidenza paralizzante che induce spesso i ‘poliscrittori’ al silenzio ‘diplomatico'”. Ma se con *diplomazia* si riferisce a un dissenso che preferisce non esplicitarsi allora siamo messi malissimo.

    Ogni epoca richiede un solido nesso necessario tra pensiero politico e coalizione sociale che si incarichi di tradurlo in fatti. Tra un pensiero strutturato in un continuo lavorìo {Vercelli scrive “non tanto in sé quanto per sé (poiché vigile e autocosciente)”: è una indicazione chiarissima per gruppi, autori, obiettivi, alleanze… o no?} e società come insieme di individui che “riconoscono nelle loro relazioni nessi di reciprocità non solo morali ma anche strutturali”.
    Non sono queste frasi qualcosa come volonterose petizioni di principio, che difficilmente raccolgono qualcosa, né di vecchio né di nuovo, tra tutto quello che si sta muovendo sulla scena politica?

    @ Ennio: propongo di raccogliere i tuoi due precedenti commenti e questa mia risposta e di inviarli alla redazione di Poliscritture, dato che non tutti leggeranno qui.

    1. @ Fischer

      Non capisco perché darei dei giudizi “psicologici”.
      Nel caso di Rita, argomentando, ho concluso: «Sfiducia nei movimenti. Sfiducia nei pensatori d’oggi. A me pare che il rischio di un approdo alla spiaggia del nichilismo sia quasi inevitabile». Se di movimenti non se ne vedono, se quelli che affiorano vengono definiti incapaci di autoprodurre «un pensiero che gli fa da sostegno» ( e vedo qui riecheggiare la critica leniniana al tradunionismo “congenito” e insuperabile del movimento operaio ), se questo indispensabile pensiero «non meramente oppositivo (abbasso il padrone schiavista!), o di spicciola tutela del posto di lavoro» nessuno oggi è in grado di produrlo, dove si può approdare se non al nichilismo ( o se non vogliamo usare paroloni filosofici all’impotenza o all’attesa che qualcosa spinga fuori da questa “linea d’ombra” (Cfr. trama dell’omonimo romanzo di Conrad: https://it.wikipedia.org/wiki/La_linea_d%27ombra)?
      Non è una « sfiducia generalgenerica» ma « nei confronti del soggetto che si pre-suppone»? Non credo, perché se il soggetto indicato da qualcuno (‘ popolo’ e ‘moltitudine’ sembrano essere nel dibattito politico i termini più aggiornati, mentre io cautamente e problematicamente mi limito a un generico *noi* tutto da costruire), Rita non mi pare prenderlo in considerazione, siamo daccapo: c’è un vuoto e non sappiamo come riempirlo.
      Nel caso tuo ( ma ho dichiarato che è anche il mio caso:« Pur procurandomi disagio, in certe circostanze – come quelle d’oggi – l’eclettismo non è di per sé sbagliato. E quindi preferisco la via imboccata da Cristiana»), a me pare tutto da dimostrare che le tue proposte di letture ( faccio un es. a caso: Negri ) o le mie segnalazione su Poliscritture FB « segnalano degli spostamenti entro un terreno fin troppo percorso e arato: marxismo e teoria critica». E lo stesso vale per i tanti « sociologhi, economisti, teorici politici » che a tuo parere « non prescindono dal marxismo e si dichiarano di sinistra». Io onestamente non ne sono proprio sicuro per lo sconvolgimento che è avvenuto in questi campi. E perciò ribadirei che – in queste circostanze- l’eclettismo c’è e lo preferisco a ciò che manca ( una teoria, un pensiero chiaramente ordinatore e unitario), ma sentendone tutti i limiti. Poi si potrebbe anche arrivare a convincersi che eclettismo ( o pluralismo, perché di questo si tratta) da difetto sia diventato una virtù. Ma la cosa non mi convince. Mi sento di essere un eclettico per necessità, non per convinzione e a tempo pieno.

  12. Faccio una premessa di metodo.

    Non sono una mente eccelsa, però, quando parlo e scrivo tento di distinguere e misurare l’uso delle parole alle quali sono stata abituata a dare un significato e, pur sapendo quanto la parola sia biforcuta, cerco di distinguere tra quella che è la realtà e quella che è la ‘finzione letteraria’.
    Questo vale per il punto 1. di Ennio * Rita mi fa pensare all’angelo di Paul Klee, di cui parlò W. Beniamin. Guarda – uso volutamente sue parole – con “un disastroso senso di impotenza» il disastro della “nostra” storia (“lo scempio compiuto e l’abbassamento culturale al quale siamo esposti”). E lo spiega con “la perdita di una egemonia di pensiero che era mosso da spinte non (o non soltanto) riformiste”. Denuncia “un pensiero ‘livellatore’”, la “paura atavica nei confronti della élite”, che avrebbero portato a “un certo pan-qualunquismo” e ad accettare di farsi governare proprio da “una élite decisamente di bassa taratura”.
    Verissimo! Confermo! Nello stesso tempo, se fossi così ‘disperata’ (anche se non nego di esserlo e di stare anche molto male, ma, come ho già detto “me la smazzo da me”) non scriverei in Poliscritture, rivista a cui do un peso importante (benché Ennio cerchi sempre di sottolineare i conflitti piuttosto che la ‘tenuta’ nonostante i conflitti – * Nel dialogo tra Rita, Cristiana e Annamaria mi pare di cogliere alcune delle tensioni irrisolte presenti anche nella discussione in corso fra i redattori di Poliscritture* -), nè mi confronterei in tutti quei luoghi in cui è ancora possibile il confronto.
    Esiste anche il pensiero metaforico che, utilizzando la forma drammatica, ci permette di avvicinarci all’oggetto senza rischiare di caderci dentro così come fece Perseo con lo scudo di Minerva per potersi avvicinare allo sguardo letale di Medusa senza venirne pietrificato.
    Il fatto è che oggi si preferisce evitare di utilizzare i toni ‘tragici’ all’infuori dei recinti stabiliti dall’establishment. Dobbiamo piangere a comando, disperarci a comando, ecc.
    Le mie esperienze personali non le ho riportate né come captatio benevolentiae né per elemosinare la pelosa comprensione nei confronti di chi è stato sconfitto nei suoi ideali. Ennio scrive: *Ma più rilevante (e discutibile per me) è la sua reazione alla sconfitta. Rita è arrivata oggi a un rifiuto sempre più determinato (e con l’amarezza che ancora brucia di essere stata azzittita e messa ai margini) di tutti i « ‘movimenti’, dei vari ‘en marche’*. Mi spiace, Ennio, ma non è proprio così. Il mio rifiuto non è motivato dall’amarezza, dalla delusione ma da una, anche se difficile, ricerca di senso in una realtà che si occulta sempre più strenuamente.
    A volte mi dico: saranno i fatti a parlare (anche se comunque in modo equivoco) con la mia voce, così come è stato con le varie ‘movimentate’ primavere arabe!
    Ho perfino citato in altro post il famoso detto del filosofo José Ortega y Gasset: “Yo soy yo y mi circunstancia, y si no la salvo a ella no me salvo yo”.

    Ragion per cui dissento vivamente da questa ‘ricostruzione umanistica’ che fa Ennio: *Mi limito a cogliere il suo rammarico, la sua delusione. Lei voleva « aiutare i lavoratori a sviluppare un pensiero critico – che non si limitasse ad essere meramente oppositivo (abbasso il padrone schiavista!), o di spicciola tutela del posto di lavoro», ma non ha potuto, non c’è riuscita. Come tanti/e di noi, mi viene da dire. Ma più rilevante (e discutibile per me) è la sua reazione alla sconfitta*.
    Ma per chi mi hai preso, Ennio! Per una dama di carità?
    Non ero ‘io’ a voler aiutare i lavoratori, non c’era questo ‘programma salvifico’ bensì critico, sulla scorta di un preciso pensiero politico ‘rivoluzionario’ che cercò di sperimentarsi nella esperienza della Resistenza, che fu tanto osannata prima e poi triturata, trasformata e svenduta al miglior offerente (gli americani, ça va sans dire) anche da parte dei famosi Padri della Costituzione, come sta venendo fuori adesso. Documentatevi, documentatevi!
    Ancora Ennio, che sul mio intervento si esprime così: *Sfiducia nei movimenti. Sfiducia nei pensatori d’oggi. A me pare che il rischio di un approdo alla spiaggia del nichilismo sia quasi inevitabile.*
    Segnalare che il panorama di oggi è deludente non è il punto di arrivo al nichilismo (basta riempirsi la bocca di questa terminologia, di Nietzsche, e compagnia cantando!), bensì il punto di partenza proprio per poter pensare.
    Quanto ai pensatori, io cerco di ‘non sparare nel mucchio’, di separare il grano dal loglio. Ma non posso accettare minimamente di considerare Toni Negri o Fusaro dei pensatori di rispetto.
    Farei torto a coloro che davvero furono dei grandi pensatori. Alcuni pagarono anche di persona.
    Oltretutto, il signor Negri, invece di sproloquiare sulla ‘moltitudine’ eccetera eccetera, godendo di un battage pubblicitario che fa impressione, dovrebbe raccontarci alcune cosine (vere!) inerenti ai suoi trascorsi: ma accettiamo comunque che quei segreti periscano con lui nel suo silenzio!
    L’eclettismo (suggerito e praticato da Cristiana) non è una parolaccia. Non è il sincretismo che cerca di mettere assieme anche l’inconciliabile. La modalità eclettica è un’arte difficile, perché non mette assieme tutte le scemate possibili, ma cerca comunque di fare delle selezioni. L’obiettivo è, in un momento critico e dispersivo come l’attuale, di raccogliere, a volte anche a fiuto, dei dati che possono tornarci utili per poter formulare delle ipotesi. Ma dove, per dati utili, non intendo quelli ormai inflazionati e sospetti, altrimenti corriamo il rischio di avvelenare i pozzi.
    Alla fine, un’ultima precisazione:
    Ennio: *Se ognuno” dicesse la sua e contrastasse (argomentando) le posizioni altrui, forse la nebbia in cui siamo si diraderebbe*.
    Eppure io cerco di dire la mia e non per contrastare le posizioni altrui (non ho questa pretesa di avere il verbo in tasca). Però quando sostengo che le masse sono ‘acefale’ non è perché ho i ‘frizzichi del cuore, o un credere che è stato deluso’ (*lei non CREDE che “un pensiero possa essere ‘partorito’ da un movimento” – Ennio), ma perché ho degli studi alle spalle (che ovviamente possono essere rettificati in quanto la storia procede: però finora è stato così), ma vedo che, più che diradarsi, la nebbia si infittisce.
    Non penso che i componenti la ‘massa’ siano stupidi, siano loro gli ‘acefali’. Lo diventano quando le forze intrinseche al sentirsi ‘gruppo’ – e quindi le dinamiche di gruppo (che non ho inventato io ma sono oggetto di studi e non di passioni guidate da ciò che ci piace e ciò che non ci va giù) – minano le capacità individuali.
    Prendiamo ad esempio una orchestra. Gli orchestrali, presi singolarmente sono bravi, devono esserlo altrimenti non sarebbero lì. Ma hanno bisogno del direttore d’orchestra perché la sua guida permette loro di esprimere al meglio le loro potenzialità e di produrre una armonia comune.

    p.s. Una doverosa precisazione rispetto a questa frase di Ennio: *descrivendosi come “guastata da troppe letture classiche e poco incline ad accettare le Regole del Partito”: Non ero certo io a descrivermi così, bensì i ‘mallevadori’ che cassarono con quel verdetto la mia non ammissione al Partito.

    R.S.

  13. @ Rita

    Cara Rita,
    mi spiace, specie per il particolare momento difficile che stai attraversando, se ti ho frainteso, ma le sintesi/interpretazione che ciascuno fa delle posizioni altrui per me sono sempre rivedibili e mai definitive.
    Vediamo i punti su cui dissenti:

    1. Ennio cerca « sempre di sottolineare i conflitti piuttosto che la ‘tenuta’ nonostante i conflitti »? E perché no? Se ci sono ( o mi pare che ci siano), per me il modo migliore per uscirne (se possibile) o condurli su un piano di più alta consapevolezza ( delle loro motivazioni o ragioni) è non cancellarli, riproporli continuamente. Non mi pare però di esagerarli o di non vedere che Poliscritture in quelche modo “tiene”. Ma la “tenuta” attuale o passata, come sai, a me non soddisfa. E non vedo – anche su questo – che male faccio a farlo sentire agli altri, se appunto la carretta la tiro e non la fermo;

    2. Ho sottovalutato l’uso che tu hai fatto del pensiero metaforico, attenendomi eccessivamente alla lettera del tuo commento? Può darsi. Ma il rifiuto dei movimenti c’è. Non è motivato dall’amarezza o dalla delusione? Ne prendo atto. Ma la divergente valutazione a me pare evidente. Saranno i fatti a parlare o hanno già parlato («le varie ‘movimentate’ primavere arabe»)? Ma quello che i fatti dicono a te non coincide con quello che dicono a me. Nel senso che io, se potessi, andrei a scavare in quei fatti e nella sconfitta delle primavere arabe ( o di altri movimenti) per cercare se sotto quelle ceneri covi ancora qualche brace. Tu (forse) lo riterresti vano.

    3. Non capisco perché la mia ricostruzione o interpretazione sia “umanistica”; e perché, se lo fosse, – ma questo è discorso più ampio – me ne dovrei preoccupare. L’espressione «« aiutare i lavoratori a sviluppare un pensiero critico» l’ho ripresa dal tuo testo. Ma a me non ha fatto venire in mente nessuna dama di carità o «programma salvifico». Pratico io pure questo *aiuto* con quanti hanno meno esperienza e competenze di me in alcuni campi in cui in qualche misura io ne ho di più. E non mi sento (né sento altri/e che fanno cose simili alle mie) dama di carità o salvatore.

    4. Sulle esperienze della Resistenza credo di essermi documentato abbastanza, purtroppo in ritardo perché da giovane il discorso era tabù negli ambienti scolastici e cattolici in cui sono vissuto. E io pure propendo più per le tesi degli storici Luigi Cortesi e Claudio Pavone di una Resistenza “tradita” o più complessa della versione ufficiale e istituzionalizzata: lotta di popolo contro lo straniero, Liberazione.

    5. Sul nichilismo. Chiariamoci. Per me una condivisibile constatazione che « il panorama di oggi è deludente» rischia , sì, il nichilismo, se quella che tu chiami « ricerca di senso in una realtà che si occulta sempre più strenuamente», non arriverà ad indicare *non solo* un « punto di partenza proprio per poter pensare» ma – vedi nota di Vercelli che ho riportato – non « origina […[quella cosa che chiamiamo “politica”,[che] non è riconducibile alla sola “governance” (che ne costituisce invece l’azzeramento prospettico) o ad uno stato di “indignazione permanente” che segnala perlopiù il disagio e non molto d’altro». O più semplicemente un *che pensare* connesso a un *che fare*. Fino a quando questo “qualcosa” non compare e ci impegniamo (anche giustamente) a criticare (pars destruens) il rischio di nichilismo c’è.

    6. Pensatori, separare grano dal loglio. Abbiamo stili diversi. Ho perso chissà quanto tempo a leggere sia (alcuni) testi di “grandi pensatori” sia di “piccoli pensatori”. Non me ne sono mai pentito. A me interessa poco stabilire delle classifiche. M’interessa verificare leggendo ( e finché il testo mi prende e sembra rispondere a mie domande più o meno chiare) se un autore mi parla o non mi parla. E se quello che scrive o dice mi aiuta a capire meglio la realtà o a contrastare pregiudizi o posizioni che sento di dover contrastare. Fortini mi ha parlato e mi parla ancora. Negri pure. Così Preve, La Grassa, Finelli, Agamben e tanti altri. E cerco anch’io di separare il grano dal loglio. Ma nei singoli libri o articoli. Fin quando trovo il tempo di farlo, prendo appunti o commento. Non mi sento di parlare di Negri come «il signor Negri». Per me rientra – a suo modo – nella storia del comunismo ( o meglio dei comunismi); e mi sento di criticare le sue posizioni o i suoi concetti entrando nel merito. Non mi sento di dire che non abbia pagato anche lui «di persona» ( il caso 7 aprile, il teorema di Calogero, ecc. non mi sono parsi quisquiglie). Ho moltissime perplessità sul concetto di «moltitudine», ma non dico che è usato per sproloquiare. A me pare che Negri abbia una continuità con la visione “spontaneista” di Rosa Luxemburg e comunque con quel suo concetto di ‘moltitudine’ha tentato di nominare i mutamenti intervenuti nella composizione sociale in seguito alla globalizzazione. Può essere criticato come tutti i concetti, ma non squalificato o sbeffeggiato. Anche l’impressionante «battage pubblicitario» mi induce a capirne le ragioni e a valutarle. Di per sé non mi scandalizza. Lui s’è inserito nel mondo accademico e ha più visibilità di chi non vi ha mai avuto accesso. E’ un problema che conferma gli scarti e le differenze anche tra chi si mmuove in un orizzonte cultural politico che sembra il medesimo. Io l’ho sperimentao in Avanguardia Operaia. Tu e altri nel PCI. Eccetera. Trovo invece inaccettabile quel tuo: « dovrebbe raccontarci alcune cosine (vere!) inerenti ai suoi trascorsi: ma accettiamo comunque che quei segreti periscano con lui nel suo silenzio!». O uno le sa già quelle «cosine» e le tira fuori o , se non può tirarle fuori perché sono voci, insinuazioni , pettegolezzi e non vere prove, perché spingere il discorso critico – per me prioritario e che si può fare benissimo sui testi, sul pubblico e non sul “sommerso” di un autore – nel pozzo della dietrologia, dove tutti attingono per squalificare con colpi bassi un avversario politico?
    Certo la biografia di un autore non è irrilevante, ma non sempre aggiunge qualcosa di sostanzioso alla sua opera o la smantella del tutto. Si veda tutta la diatriba su Heidegger nazista o meno: provato che sia stato nazista non solo nelle scelte biografiche ma nel suo pensiero, restano comunque aperti ii conti da fare con il suo pensiero conservatore, antimaterialista, antilluminista; ed a me pare sufficiente,anche se non esaustiva, la critica di Horheimer e Adorno alla sua filosofia. Lo stesso criterio può valere per Negri: si leggono i suoi testi e si approvano o si criticano. Salto Fusaro perché l’ho seguito davvero pochissimo.

    7. L’eclettismo. Non è «una parolaccia». Anzi ho dichiarato la mia vicinanza critica a questo metodo, specie nelle attuali circostanze.

    8. Masse “acefale” o “stupide”. Certo che alle spalle di tale concezione ci sono «degli studi alle spalle». Io ho richiamato la posizione ( mica trascurabile) di Lenin, che fa da contraltare a quella di Luxemburg ( e, se la continuità che io vedo, non è campata in aria, con quella spinozista di Negri). Ma lo scontro tra “corrente calda” e “corrente fredda” della storia del marxismo/marxismi è tuttora aperto, anche se fossimo ai post-marxismi o alla loro liquidazione.
    C’è perciò chi pone l’accento sugli orchestrali e chi sul direttore d’orchestra. E non è facile dimostrare di sicuro chi ha più ragione, perché abbiamo fatti che dimostrano sia il fallimento degli orchestrali ( le “primavere arabe”!) sia dei direttori d’orchestra (Stalin, ad es.).

    9. D’accordo: : «descrivendosi come “guastata da troppe letture classiche e poco incline ad accettare le Regole del Partito» va corretto con: la descrivevano così gli altri, «‘mallevadori’ che cassarono con quel verdetto la [tua] ammissione al Partito»

  14. @ Ennio

    Grazie a Ennio per la pronta risposta alla quale replicherò brevemente per non entrare nel solito paradigma tennistico del rimpallo.
    Seleziono alcuni punti che a me sembrano importanti.

    a) il rifiuto del movimentismo c’è, anche se non motivato da delusioni personali (*Ma il rifiuto dei movimenti c’è*). E nell’espressione che tu utilizzi * io, se potessi, andrei a scavare in quei fatti e nella sconfitta delle primavere arabe ( o di altri movimenti) per cercare se sotto quelle ceneri covi ancora qualche brace. ) *, ci vedo, perdonami l’arbitrio interpretativo, il tuo bisogno di *credere che ancora covi qualche brace*, ovvero il fatto che la tua analisi dei fatti è inficiata già ab initio dalla tua credenza. Infatti non sono d’accordo sul fatto che ci fosse * il fallimento degli orchestrali ( le “primavere arabe”!)*, come dici tu, bensì che quei direttori d’orchestra non avevano nulla a che vedere con i bisogni della popolazione, ma erano fantocci guidati da potenze che miravano alla destabilizzazione.

    b) L’espressione “aiutare i lavoratori a sviluppare un pensiero critico” l’ho ripresa dal tuo testo. Certo! Ma quella era inserita in un contesto specifico di lotta sindacale in cui alcuni lavoratori mostravano ostilità nei confronti di altri che potevano avere maggiore forza contrattuale.

    c) Sono refrattaria alla posizione dell’indignazione permanente, molto ben riassunta dal ‘vaffa’ dei penta stellati.

    d) Sui pensatori, certo che il discorso si fa più complesso. Premetto che non ho ‘santini’ da difendere, nemmeno si trattasse di ‘grandi pensatori’. Volevo solo sottolineare la mia repulsione per alcuni di loro, che davvero sono stati dei cattivi maestri e che si sono fatti forti di appoggi (per noi) insospettabili per poterne uscire indenni! Caro Ennio, quando tu affermi *Non mi sento di dire che non abbia pagato anche lui “di persona” ( il caso 7 aprile, il teorema di Calogero, ecc. non mi sono parsi quisquiglie)* e poi aggiungi * O uno le sa già quelle “cosine” e le tira fuori o , se non può tirarle fuori perché sono voci, insinuazioni , pettegolezzi e non vere prove, perché spingere il discorso critico – per me prioritario e che si può fare benissimo sui testi, sul pubblico e non sul “sommerso” di un autore – nel pozzo della dietrologia, dove tutti attingono per squalificare con colpi bassi un avversario politico?*, sai benissimo che, pur avendo le pezze d’appoggio ma non avendo l’appoggio dei poteri che sostengono determinati individui (perché allora ci fu un conflitto tra poteri), certe cose non si possono dire. E che le tesi di un autore non incontrano un placet così trasversale solo perché *lui s’è inserito nel mondo accademico e ha più visibilità di chi non vi ha mai avuto accesso*, ma perché i suoi discorsi fanno il gioco di alcuni assetti di potere. C’è chi vede tutto questo e chi invece no. E chi non li vede forse è imbrigliato in uno schema di pensiero (*A me pare che Negri abbia una continuità con la visione “spontaneista” di Rosa Luxemburg e comunque con quel suo concetto di ‘moltitudine’ ha tentato di nominare i mutamenti intervenuti nella composizione sociale in seguito alla globalizzazione*) e che quindi vede una continuità dove questa, forse, non esiste.
    Certo, sono d’accordo con quanto tu dici a proposito del leggere vari autori e cercare di estrarre degli spunti da poter poi utilizzare (il famoso eclettismo). Ma farei delle distinzioni, perché sappiamo bene quanto un autore trasmette di sé nella sua opera! Oggi va molto di moda la citazione aforistica, dimenticando l’autore, il suo tempo e il contesto. Se leggo Heidegger, posso trovare delle cose interessanti, ma le devo sempre collocare nella sua epoca e nelle temperie in cui esse si sono formate.
    Non ho altro da aggiungere.

    R.S.

  15. Ci sono tanti soggetti e soggettivo e soggettività tra i commenti. Li ho introdotti io con Preve e Esposito, e si riferivano a un soggetto plurale storico e politico: classe e movimenti. Ma riferendomi a Rita intendevo il singolo, il soggetto individuale.
    Ennio (3 luglio 12.33) prende in considerazione quello plurale, (“il soggetto “‘popolo’ e ‘moltitudine’ sembrano essere nel dibattito politico i termini più aggiornati, mentre io cautamente e problematicamente mi limito a un generico *noi* tutto da costruire”), quindi preciso che è di quella “sistematica distruzione del pensiero critico (che di solito è appannaggio dell’individuo e non delle masse)”, l’ottuso pensiero livellatore, che scrivevo a proposito di Rita.

    Ennio scrive: “di movimenti non se ne vedono … questo indispensabile pensiero … nessuno oggi è in grado di produrlo” e, insieme, che non vede spostamenti in quelle proposte di letture che lui stesso fa e che anch’io faccio, e sente i limiti di quei sociologhi, economisti, filosofi che per me stanno pensando il presente in una prospettiva radicale e concreta.
    Cito in breve l’esempio di Cesaratto che, con le sue Sei lezioni di economia e il blog Economia e politica, fornisce ai non esperti come me una conoscenza adeguata dei meccanismi economici che reggono l’Europa dell’euro, e ancora prima di Giacché che ha illuminato il senso politico-economico del disegno di Kohl di unificare le due Germanie.
    Su Facebook poche ore fa Alessandro Visalli ha segnalato un libro scritto dall’ex Governatore della Banca d’Inghilterra Mervyn King (“La fine dell’alchimia”, 2016) sugli squilibri tra gli stati europei e l’ipotesi imperiale della Germania. Una analisi fra l’altro che conferma da parte di un liberista quelle da anni avanzate da Bagnai che invece si dichiara di sinistra e da Cesaratto che si dichiara economista classico. Segno che “la realtà” si sta imponendo.
    Se è vero che la Ue sta pensando ad armarsi in maniera autonoma dagli USA, sotto la direzione francotedesca e assimilando l’Italia, sono questioni politiche di prima grandezza che quel sapere economico aiuta a chiarire. E altrettanto importante è rendersi consapevoli del ruolo di sostegno, se non di vero e proprio comando, della politica vs l’economia,
    Al riparo dello scudo (di Perseo) di Rita (“la modalità eclettica è un’arte difficile, perché non mette assieme tutte le scemate possibili, ma cerca comunque di fare delle selezioni. L’obiettivo è, in un momento critico e dispersivo come l’attuale, di raccogliere, a volte anche a fiuto, dei dati che possono tornarci utili per poter formulare delle ipotesi”) segnalo dunque il post di Visalli su fb, e questo articolo da Lettera 43, come avevo segnalato in precedenza e su fb un articolo di Paolo Savona sullo stesso argomento, nella convinzione che una ripresa del valore delle idee politiche sia indispensabile per immaginare e scegliere posizioni e interventi. http://www.lettera43.it/it/articoli/mondo/2017/07/03/litalia-prepara-progetti-militari-con-germania-francia-e-austria/211875/

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