L’ultima sei tu

Marino Marini, Pomona 1949

di Arnaldo     Ėderle

A Nella-Tommasina De Ruvo

 

Che l’ultima sia tu!
Un bel bacio odioso mi posasti
sulle labbra alla fine d’uno sterile
abbraccio, mia cara carissima, e sulle
labbra rimase appiccicato con
uno strano sapore quasi amaro e così
rimase per tre anni filati fin quando,
rovinato dall’usura, piano piano
scomparve e al posto suo comparve
un dolcissimo sapore di fragole
còlto nel suo orgoglio di zucchero
come in un saporito dolcetto in
una manciata d’amore filato.

Ora non so più in quale angolo amoroso
sia andato a finire in quale giardino
in quale bosso sia confuso a odorare
il filare dei fiori d’amore. Sento
distinto solo il profumo che colgono
le mie nari e che le fa quasi vibrare
mentre lo aspiro e lo godo come un lungo
bacio e un saporito abbraccio.

L’ultima sei tu!
Tante parole mi affollano il cervello
tante parole, ma faticano a uscire
all’aria per farsi udire, eppure mi cantano
tra solco e solco sotto il mio cranio,
e questo continuo brulicare mi tormenta
mi riempie la bocca di saliva e mi fa
sbattere il cuore come un’enorme pendola.

Ora mi butto fra le tue braccia ora
mi rivolgo indietro a guardarmi il passato
come un gracile bimbo che ha perso la madre
nel giardino e non la vede più né a lato né
alle spalle e il labbro comincia a tremare
e l’ombra d’una lacrima bagna la sua gota
rosa.
Che strana infantile cosa mi accade,
mi perdo mi infrango nell’inutile cerca
e resto immobile senza nessuna idea.

Ma che idea! Che madre! Che guancia
rosa!
E’ il tuo riso che mi accalappia
continuamente e mi fa sgorgare negli occhi
le tue piccolissime zampe di gallina
e le tue labbra colorate che aspettano
di scoccare sulle mie di labbra
veloci promesse di subito di voglie pensate
gravi e incessanti di tutta la tua pelle
liscia e profumata.

Ora mi ricompongo, aspetta, mi rassetto
ritorno alla mia normalità ti guardo
come una donna savia e una grande parlatrice
una sapiente critica dell’umore umano,
una capretta con la sua casta barbetta
ora ti invoco saggia tra le sagge
ti chiedo lumi sulla nostra vita e sulla
vita dei nostri compagni inesistenti
sulle loro inefficienti attività sulla loro
poca esistenza.

Ma le tue gambe intanto continuano
a imbellire nella materia del mio cranio
e sui miei sensuosi polpastrelli,
immaginate o vere e la tua pancia mi prende
come quella di Venere quando esce
dalla sua acqua e mi spruzza addosso
le sue gocce d’oro e mi rinfresca.
Ah, mia dolce dèa ti amo senza offendere
nessuno e tanto che non ne posso più,
e continuo a cercarti nel mio cervello
e nelle mie mani come chi cerca la vita
e non la trova che in te.

Mia cara, se tu sapessi quanto ti cerco
quanto ti invoco quando non sei riversa
su di me o appoggiata alla mia forma
in forma di chiara nudità.
O quando scorgo nei miei occhi chiusi
il disegno dei tuoi caldi pensieri circondarmi
e penetrarmi il petto che di te si gonfia
e ti sussurra vieni.

E ti chiamo, e ti chiamo e tu non vieni.
Oh, ti desidero allora allora ti reclamo
e mi distendo a fianco del mio sogno
e lì di te m’insogno e quasi muoio
di tiepido abbandono.

4 pensieri su “L’ultima sei tu

  1. Una nuova e grande poesia d’amore.
    La passione che si trasforma in ricordo , il ricordo in passione.
    Una forza che riesce ad emozionare anche la persona più dura e più lontana
    dal l’idea che anche oggi si possano scrivere poesie d’amore. Complimenti tanti.

    un

  2. Belle false solitamente le poesie d’amore, che ripetono luoghi già percorsi.
    Ma in cerca del tema si può intanto partire con un’antitesi: bacio odioso e sterile abbraccio, e forse augurarsi “che l’ultima sia tu!” premette un allontanamento. Oppure invoca una figura preziosa? Intanto la distanza addolcisce il ricordo e riporta sensazioni, ora l’abbraccio è saporito. Quindi la resa: l’ultima sei proprio tu, e sei ultima.
    Occorre superare il livello sensoriale del ricordo (“Che strana infantile cosa mi accade,/mi perdo mi infrango nell’inutile cerca/e resto immobile senza nessuna idea”) e passare alla cerca interiore di quella particolare realtà che il ricordo -il passato- ha
    “ti chiedo lumi sulla nostra vita e sulla
    vita dei nostri compagni inesistenti”.
    Non solo il passato-ricordo ma è l’intera vita interiore che il poeta addossa alla presenza di una forma, una idea (saggia come “una capretta con la sua casta barbetta”) che gli si attaglia come la linea di se stesso, e lo contiene.
    Mia cara, se tu sapessi quanto ti cerco
    quanto ti invoco quando non sei riversa
    su di me o appoggiata alla mia forma
    in forma di chiara nudità.
    O quando scorgo nei miei occhi chiusi
    il disegno dei tuoi caldi pensieri circondarmi
    e penetrarmi il petto che di te si gonfia
    e ti sussurra vieni.
    La forma manca, come il sogno dell’interezza. Il corpo di esistenza può invocarlo, anche pretenderlo, ma può solo consegnarsi ad esso, con i suoi artifizi “e mi distendo a fianco del mio sogno/e lì di te m’insogno” e la sua mortale debolezza.
    Come sempre fa, Ederle scrive una poesia sul proprio scrivere una poesia.

  3. …la realtà vissuta è spesso amara, come “un bel bacio odioso”, ma la distanza nel tempo e la lontananza spaziale lentamente la trasfigurano in una forma perfetta, da sogno, in cui il poeta si immerge…E’ questa per per Arnaldo Ederle anche la funzione della poesia?

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