Migrazioni. Punti di vista in contrasto

“The Making of Domain Field: Antony Gormley at Baltic” (2003)

Pubblico da POLISCRITTURE FB questo scambio di opinioni tra me e Roberto Buffagni che su è svolto nell’ultima settimana sullo spunto della mia segnalazione di un articolo di Marco Rovelli, Gli specialisti del disumano” e ha fatto emergere anche i nostri diversi e contrapposti retroterra politici e culturali.  Lo faccio perché il problema è davvero complesso,  rischia di diventare ancora più tragico di come oggi si presenta e richiede  l’attenzione e l’intelligenza di tutti per approfondirlo. E anche uno sforzo  – almeno qui su POLISCRITTURE – per uscire dai veleni delle propagande contrapposte dei “buonisti e dei “cattivisti”. [E. A.]

Ennio Abate

6 agosto alle ore 7:46

SEGNALAZIONE
(dalla bacheca di Marco Revelli)

GLI SPECIALISTI DEL DISUMANO di Marco Revelli
“Noi veniamo dopo” scriveva George Steiner nel 1966, “Adesso sappiamo che un uomo può leggere Goethe o Rilke la sera, può suonare Bach e Schubert, e quindi, il mattino dopo, recarsi al proprio lavoro ad Auschwitz”.
Anche noi “veniamo dopo”. Dopo quel dopo. Sappiamo che un uomo può aver letto Marx e Primo Levi, orecchiato Marcuse e i Francofortesi, militato nel partito che faceva dell’emancipazione dell’Umanità la propria bandiera, esserne diventato un alto dirigente, e tuttavia, in un ufficio climatizzato del proprio ministero firmare la condanna a morte per migliaia e migliaia di poveri del mondo, senza fare una piega.
Quanto sta accadendo in questo inizio torrido di vacanze è una vera apocalisse culturale. Un rovesciamento di tutti i valori nel pieno di una catastrofe di massa. Difficile credere ai propri occhi e alle proprie orecchie. Che “Dagli al Samaritano!” potesse diventare l’incitamento più diffuso nei media e in politica nel pieno dell’Occidente cristiano è davvero uno shock imprevisto.
Governi e Stati che grondano sangue da ogni centimetro dei loro corpi informi mettono sotto processo i pochi – e i soli – che si dedicano al salvataggio delle vite umane nel compiaciuto silenzio di un giornalismo senz’anima. Il vizio che pretende di mettere alla sbarra la virtù, la irride e calunnia, dalle prime pagine dei quotidiani mainstream e dalle Cancellerie dei governi europei.
Il salvataggio delle vite trasformato in vergogna e crimine: “crimine umanitario”, concetto coniato dallo stesso manigoldo che – ha ragione Saviano – aveva contribuito a suo tempo a mettere in circolo l’oscena espressione “guerra umanitaria”.
Diciamolo una volta per tutte: non c’è un gran differenza tra il fascista ungherese Orban e il post-comunista italiano Minniti. Alzare muri di filo spinato alle proprie frontiere o costruire muri diplomatici al confine del deserto, nella sostanza, non cambia la natura della cosa: forse è più letale la seconda tecnica, perché consegna ai tagliagole delle tribù del Sael e del Fezzan uno jus vitae ac necis su uomini, donne, bambini, che scompariranno silenziosamente, lontano dai nostri sguardi delicati, fuori dalla portata d’azione delle famigerate Ong che s’intestardiscono a voler salvare vite.
Denunciamoli, questi nuovi “specialisti del disumano”, al Tribunale dei popoli.

Roberto Buffagni Aspettavo con ansia che qualcuno tirasse fuori Auschwitz, eccolo qua. Bello vedere che certe cose non cambiano mai, rassicura.

Ennio Abate Roberto, ciascuno ha i suoi schemi e i suoi “immaginari di partenza”. Revelli ha nel suo Auschwitz, tu il comunismo, io il fascismo, ecc. Ma quello che era fino a pochi mesi fa un encomiabile ( da parte del PD) salvataggio di vite umane che ora diventa “vergogna e crimine” come lo giudichiamo?
Per me il giudizio dipende *anche* dai nostri immaginari, ma – mi ripeto – dalla scelta dirimente: i migranti sono portatori di bisogni umani, a cui dare risposte ragionevoli oppure invasori da respingere o eliminare (in vari modi)?

Roberto Buffagni Caro Ennio, io mica tiro fuori il comunismo per spiegare cose che, volendo, gli somigliano di più (es. il costruttivismo sociale UE) di quanto somigli ad Auschwitz il problema migrazioni. “L’encomiabile salvataggio che diventa vergogna e crimine” lo spieghiamo agevolmente con la batosta elettorale subita dal PD. Quanto ai “migranti portatori di bisogni umani”, non c’è il minimo dubbio che lo siano. Anzi, ti dirò che per me i migranti sono portatori di bisogni, desideri, speranze, timori, etc., cioè del full kit dell’essere umano, che è capace di bene e di male, di creatività e di stupidità, in una misura infinitamente superiore a quella che riconosce, a tutti, il PD con i suoi intellettuali di riferimento [sic].

Roberto Buffagni E sono ANCHE invasori, invasori non autorganizzati ma invasori, perché arrivano in numeri non compatibili con una loro integrazione nella comunità nazionale italiana. Non solo per le condizioni economiche attuali (disoccupazione di massa, etc.) ma perchè a) integrare interi popoli o pezzi di popoli è possibile solo in un contesto imperiale, non in un contesto di democrazia rappresentativa a suffragio universale b) l’Italia, in particolare, è un paese molto fragile e diviso, proprio sul piano culturale.

Roberto Buffagni Proprio perchè non voglio sterminare nessuno (nè essere sterminato) è diimportanza decisiva evitare che accada quel che è GIA’ accaduto in Francia, dove l’immigrazione soprattutto araba di massa, e il ricongiungimento familare votato negli anni 80 per fare uin favore alla Confindustria francese, hanno GIA’ creato vere e proprie zone extraterritoriali. Ti segnalo che nel suo libro intervista, pubblicato appena dopo la fine del suo mandato, Hollande dice apertamente che prima o poi, più prima che poi, si dovrà arrivare a una partizione del territorio francese tra francesi de souche e francesi allogeni (arabi, islamici). Perchè il progettino degli islamici è di provocare, con una guerra civile a intensità crescente, una situazione in cui diventerà inevitabile riconoscere formalmente una realtà che di fatto è già tale, e dividere la Francia come fu divisa dopo le guerre di religione intercristiane (Editto di Nantes). Se ti sembra una prospettiva piacevole o “umana”, non diamo lo stesso significato alle parole.

Roberto Buffagni http://www.newsnours.com/…/un-pr%C3%A9sident-ne-devrait…

Ennio Abate Certo. Non mi pare però che Revelli *spieghi* l’operazione Minniti ricorrendo al topos canonico di Auschwitz. Stabilisce un’analogia emotiva con il clima di quei tempi, constatando la disperata agonia di certi valori specie nella intellettualità (qui il ‘sic’ è indispensabile!) della *fu sinistra* con la quale ancora interloquisce: “Sappiamo che un uomo può aver letto Marx e Primo Levi, orecchiato Marcuse e i Francofortesi, militato nel partito che faceva dell’emancipazione dell’Umanità la propria bandiera, esserne diventato un alto dirigente”. Ma il nucleo della sua presa di posizione mi pare quello che io credo di aver colto.

Il termine ‘invasori’ per dei migranti mi continua a parere improprio. E’ una forzatura metaforica eccessivamente militarista, secondo me. E comunque già il ritenerli da parte tua “invasori non autorganizzati” mi pare posizione più ragionevole. Vuol dire che sei in grado di riconoscere che tra di loro non ci sono soprattutto “terroristi” o c’è in ogni caso e sempre la determinazione a sopraffare, tipica degi invasori organizzati (eserciti, barbari del mondo antico, truppe mercenarie, ecc.); ma anche disperazione, senso di riconoscenza verso chi li soccorre, voglia di adattarsi a un mondo per loro “nuovo”, né più né meno come i nostri emigranti del primo Novecento negli Usa . (E dunque portano con sé un universo psicologico variabile, del tutto ignorato dai “respingenti” alla Salvini e poco indagato: ne ho colto un minimo squarcio in questo articolo che ho segnalato giorni fa: https://www.internazionale.it/…/migranti-scuola-italiano).
Certamente esiste la questione dei «numeri». Ma anche qui dobbiamo distinguere tra percezione da parte degli italiani (nel nostro caso), distorta da informazioni propagandistiche ora minimizzanti ora massimizzanti del fenomeno reale e dati reali. Cfr. ad es. questo intervento colto al volo qui su FB:

Giangi Milesi

LA SINDROME DELL’INVASIONE

 Chi mi legge sa quanto mi impensierisca la distanza crescente fra la realtà e la sua "percezione". 
 Uno dei campi in cui questa distanza si manifesta è quello dell'immigrazione. L'ultima volta che ne ho scritto ho sollevato un vespaio. Perciò mi limito a trascrivere quanto pubblicato ieri su FLAIR, un'analisi semestrale di IPSOS sul clima politico-sociale dell'Italia che in questa edizione dedica un intero capitolo (5 pagine, 14 tabelle) all'immigrazione e ai sentimenti e alle reazioni dei cittadini.
 FERMARE L'INARRESTABILE MAREA (ANCHE CHIUDENDOCI)
 ..."Un’indagine Ipsos del 2015 ha mostrato come si pensi che gli immigrati rappresentino il 26% della popolazione residente in Italia, quando i dati ufficiali indicavano il 9% nel 2015 (oggi siamo al 10,6% considerando anche gli irregolari, i rifugiati e i richiedenti asilo, dati che abbiamo stimato usando ISMU, Eurostat e Ministero degli Interni, oltre ai dati Istat sulla popolazione straniera residente).
 E, ancora di più, è sovrastimata la presenza di immigrati di religione musulmana: gli italiani pensano che siano il 20% dei residenti, quando le stime ufficiali si aggirano intorno al 3-4%.
 Con queste percezioni, la crescita della preoccupazione per il tema è estremamente rilevante, come emerge dai nostri dati di trend relativi all’agenda delle priorità dei cittadini, una domanda a risposta spontanea che ci aiuta a capire i timori degli italiani."
 La tabella mostra le vriazioni delle priorità nazionali che in due anni vedono "occupazione ed economia" e "corruzione malaffare efficinza istituzioni" diminuire rispettivamente del 5% mentre la "immigrazione" cresce del 19%.
 Scorrendo il pamphlet si scopre che gli italiani sono oggi il popolo che più teme l'apertura economica del Paese (38% contro il 33% dei francesi, 29% degli statunitensi, 28% dei tedeschi e via a scendere.
 "L’Italia è un paese sempre più vecchio, gli immigrati sono necessari, perché nascano bambini, per le tasse che pagano, per il contributo che danno nel pagare le pensioni" Con questa osservazione della nostra situazione demografica si dichiarano d'accordo il 46% degli italiani, in disaccordo il 54%!
 Impressionante infine lo spostamento delle opinioni sullo Ius soli:
 "In generale lei quanto sarebbe d'accordo ad estendere la cittadinanza italiana ai figli di immigrati stranieri nati nel nostro Paese, con almeno un genitore che ha un permesso di soggiorno permanente in Italia?" in soli sei anni si sono ribaltate le posizioni:
 D'accordo 71% nel 2011; 44% nel 2017.
 In disaccordo dal 27% al 54%.

 Sul complesso problema se vi possa essere o no « una loro integrazione nella comunità nazionale italiana» nelle « condizioni economiche attuali (disoccupazione di massa, etc.)» o in un paese come l’Italia che tu giudichi « molto fragile e diviso, proprio sul piano culturale» manterrei (almeno tra noi due) la discussione aperta e valuterei attentamente tutte le ipotesi pro e contro. Una posizione di *ricerca*, che non ceda alla propaganda né dei buonisti né dei cattivisti mi pare l’unica che possano adottare degli intellettuali pensanti.
 Io pure non voglio né sterminare né essere sterminato. E volentieri analizzerei « quel che è GIA' accaduto in Francia», ma senza cortocircuiti automatici e ansie da ultima spiaggia. E valuterei anche l’opinione di Hollande, che però voglio discutere. Mi pare chiaramente “differenzialista”: questi erano inassimilabili allora ( quando stavano nei loro deserti) e lo restano adesso (che li abbiamo “accolti” nelle nostre banlieu: lo sono cioè per sempre, “per natura” e perciò non ci resta che recintarli e ghettizzarli. Sai che questo è un punto di divergenza forte. Quanto al « progettino degli islamici», no,non è « una prospettiva piacevole o "umana"» un ritorno alle guerre di religione, ma
 per me resta il fatto che tra il dire e il fare...

Roberto Buffagni Grazie della replica. E’ molto importante che lo schema amico/nemico che informa il Politico NON tracimi nel dibattito culturale. La cosa che mi fa veramente paura, avendo due figli sui vent’anni, è la polarizzazione in due campi che non riescono e non vogliono più comunicare: la “identity politics” dei liberals americani, fotocopiata qui Europa dai progressisti, sta provocando un tremendo contraccolpo eguale e contrario che può davvero provocare insorgenze razziste, stavolta su base scientistica (tipo QI dei negri e così via).

Roberto Buffagni Per sfiorare il tema “integrazione”, ti propongo un aneddoto storico paradossale e istruttivo. Guerra d’Algeria, casino, chiamano de Gaulle. DG vince sul piano militare, dopo di che molla l’Algeria perchè ritiene impossibile integrare come cittadini francesi a tutti gli effetti 10 MLN di algerini. “Non voglio che Colombey les Deux-Eglises diventi Colombey les Deux Mosquèes”. Insorge l’OAS, i cattivoni paracadutisti fascisti dell’OAS. Progetto politico dell’OAS: integrazione di TUTTI gli algerini nella madrepatria francese, con pieni diritti politici etc. Domanda: chi era il cattivo? Chi aveva la vista più lunga?

Ennio Abate Il tuo aneddoto andrebbe esaminato nel quadro generale dello scontro tra paesi colonizzatori e rivolte anticoloniali “terzomondiste” incoraggiate anche dai Paesi che parteciparono alla Conferenza di Bandung del 1955 e poi dalle varie riprese del neocolonialismo. Nei termini in cui la poni ( Chi era il cattivo? Chi aveva la vista più lunga?) è già evidente che tu dai ragione al “lungimirante” De Gaulle contro i “cattivoni” dell’OAS. La cui proposta era chiaramente strumentale alla lotta politica che in quel momento divideva la Francia. Chi poteva volere allora in Algeria l'”integrazione di tutti gli algerni nella “madrepatria francese” se la spinta reale era alla liberazione nazionale dell’Algeria?

Invece io, nella logica di una ricerca aperta e a piccoli passi (poiché entrambi – credo – abbiamo vari impegni che ci impediscono studi specialistici sulla questione) ti proporrei questo link che offre una definizione elementare, problematica, abbastanza aggiornata ( e non piattamente propagandistica) del termine ‘ integrazione’:http://www.parlarecivile.it/…/immigra…/integrazione.aspx

Roberto Buffagni Letto. Come dicevo altrove, i modelli di integrazione sono due: assimilazione, che vale per piccoli numeri; multiculturale, che è il modello imperiale (integrazione di popoli, che conservano le loro tradizioni, etc.). La Gran Bretagna ha adottato anche in madrepatria il modello multiculturale imperiale, e nonostante lo Stato britannico sia forte, la popolazione autoctona patriottica e coesa, gli è scappato di mano. Motivo: il modello multiculturale imperiale NON è compatibile con il contesto culturale e politico occidentale moderno. Nelle democrazie a suffragio universale, la premessa culturale e metodologica è che i cittadini siano tutti eguali. A questa eguaglianza formale deve però corrispondere quel che i politologi chiamano “idem sentire”, cioè una sostanziale somiglianza culturale. Se nel territorio nazionale sono presenti enclaves di popoli che NON partecipano della cultura autoctona, e NON vogliono/possono integrarvisi assimilandosi, accade che le divisioni politiche si disegnano su base identitaria (etnica, religiosa, tribale, etc.). Lo si vede nella sua forma estrema nelle “democrazie” africane, dove i partiti si basano sui clivages etnici, tribali, religiosi, etc.; chi va al potere si impadronisce della macchina dello Stato, e di tanto in tanto coglie l’occasione per sterminare l’avversario storico (v. i recenti accadimenti in Egitto, Algeria). Il modello multiculturale imperiale funziona quando il contesto culturale e politico prevede (formalmente o di fatto) che i cittadini NON siano tutti uguali. Per questo è indispensabile che l’Impero abbia una etnia e una religione civile dominante, e che conceda alle altre etnie e religioni franchigie più o meno ampie, con un percorso graduale verso una integrazione sempre maggiore. L’esempio moderno che pare funzionare è la Russia, dove i cittadini sono tutti eguali davanti alla legge, ma esiste una etnia dominante (Grande Russa) una religione dominante (cristianesimo ortodosso) alla quale sono tenuti a prestare pubblico omaggio tutti gli uomini politici a livello federale (il Ministro della Difesa che l’anno scorso, in occasione dei festeggiamenti per la vittoria nella IIGM, si è scoperto il capo e fatto il segno della croce sotto la grande icona del Cristo Salvatore che sormonta la porta d’ingresso nella Piazza Rossa è un buddhista). Il problema islamico pare risolto: dopo una guerra terrificante contro i jihadisti ceceni che li ha sradicati, al potere in Cecenia c’è un presidente e un governo sunnita che evidentemente ha trovato un buon accordo con il potere centrale, e ci sono reparti islamici che combattono in Siria contro l’Isis. Sintesi: solo il modello multiculturale imperiale consente di integrare pezzi di popoli, per due ragioni: a) il modello imperiale VEDE le differenze tra i popoli b) il modello imperiale è gerarchico, e dunque CONTROLLA le differenze tra i popoli. Il benchmark è l’Impero romano, meglio di così non ha fatto nessuno. Il modello liberale delle democrazie occidentali invece NON vede le differenze tra i popoli, NON le controlla, e oscilla tra una richiesta di assimilazione volontaria (che può funzionare per individui, non per popoli), fiducia che il puro e semplice costruttivismo sociale e l’esposizione degli immigrati alla vita quotidiana consumistica e capitalistica li renderà identici agli occidentali, e la rimozione del problema.

Ennio Abate Perché «il modello liberale delle democrazie occidentali […] NON vede le differenze tra i popoli, NON le controlla» e, in Gran Bretagna, quello multiculturale è « scappato di mano»?
Secondo me, non per incompatibilità «con il contesto culturale e politico occidentale moderno», ma perché *troppo* occidentale (o *occidentocentrico*) nel suo prevedere di fatto una integrazione o per assimilazione o *soltanto* multiculturale.
Il limite per me sta qui: l’integrazione è pensata *soltanto* come integrazione culturale, tiene conto esclusivamente di quello che gli uomini *credono di essere*. Ora la cultura è qualcosa di importante e ben radicato negli uomini ma non è tutto l’uomo. Qui seguo ancora Marx: «L’organizzazione sociale e lo Stato risultano costantemente dal processo della vita di individui determinati; ma di questi individui, non quali possono apparire nella rappresentazione propria o altrui, bensì quali sono realmente, cioè come operano e producono materialmente, e dunque agiscono fra limiti, presupposti e condizioni materiali determinate e indipendenti dal loro arbitrio. La produzione delle idee, delle rappresentazioni, della coscienza, è in primo luogo direttamente intrecciata all’attività materiale e alle relazioni materiali degli uomini, linguaggio della vita reale» (http://online.scuola.zanichelli.it/…/U3-L06_zanichelli…).
È questa realtà, mai statica e solo in parte presente in modo vivo nella cultura di un singolo, di un gruppo, di un popolo, che « prima o poi scappa di mano» a governanti e intellettuali. Perché innanzitutto è esclusa dai pensieri di quanti lavorano sui problemi dell’integrazione secondo i modelli dell’assimilazione e del multiculturale.

Quando, ad esempio, scrivi: « Nelle democrazie a suffragio universale, la premessa culturale e metodologica è che i cittadini siano tutti eguali», dai per scontato la sua validità. Ma così accantoni la secolare critica, che io ancora riconduco soprattutto a Marx e al marxismo e che s’è sforzata di capire se effettivamente «i cittadini siano tutti uguali», svelando quanto sia formale e apparente.

A me pare, dunque, evidente l’abisso esistente tra i politologi (o i politici, o i capi religiosi, ecc.) che si accontentano di un «idem sentire» o di una «somiglianza culturale», che mai definirei «sostanziale» (alla luce del punto di vista marxista), e chi critica proprio questo «idem sentire» .
Chi si chiede perché sui territori di alcune nazioni (aggiungo io: dall’Ottocento colonizzatrici) si siano formate oggi «enclaves di popoli che NON partecipano della cultura autoctona» non può eludere un’ indagine storica sul colonialismo e quella sociologica sulle condizioni concrete – unilaterali, sfavorevoli, coatte, emarginanti (secondo me) – in cui i reali tentativi di integrazione sono stati stata pensati e praticati finora. Per me hanno mirato esclusivamente a conservare un rapporto di dominio. E nella sostanza non vedo differenza vera tra le democrazie africane, quando, impadronitesi della macchina dello Stato hanno sterminato «l’avversario storico» e le nostre democrazie occidentali, che hanno negli ultimi decenni “sterminato”(penso alla Thatcher) in modi in apparenza più “morbidi” le loro classi lavoratrici.

Contro ed oltre la soluzione imperiale (o oggi russa) che «prevede (formalmente o di fatto) che i cittadini NON siano tutti uguali»,concedendo al massimo «alle altre etnie e religioni franchigie più o meno ampie, con un percorso graduale verso una integrazione sempre maggiore», esiste per me ancora l’ardua prospettiva pensata da Marx. Dalla quale è desumibile una politica di integrazione ben diversa dalle attuali.

P.s.
Proprio non capisco come fai a considerare un esempio di buona integrazione quello della Russia di Putin.

Roberto Buffagni Rispondo dalla fine. La Russia di Putin (per quel che ne so, non leggo il russo) è un esempio riuscito di integrazione imperiale di popoli molto diversi perchè i suddetti popoli convivono senza scannarsi e collaborando, con un grado di consenso che non so, alla vita comune della Federazione Russa; per esempio nelle FFAA, nella vita politica, etc. Viste le premesse (implosione URSS, caos, anarchia, forze centrifughe scatenate, criminalità organizzata che prende il potere in diversi posti, guerre cecene con la ciliegina di Beslan) è una riuscita straordinaria, fossi russo nel mio giardino erigerei una statua a Putin.

Roberto Buffagni Il paragone tra Rwanda e Gran Bretagna della Thatcher, Ennio, è folle. Capisco il paradosso, capisco l’iperbole, ma qui esageri. Se Marx ti insegna a equiparare tutto sotto la categoria “rapporto di dominio”, per cui o c’è il comunismo o macelli in Rwanda e Thatcher sono sostanzialmente la stessa cosa, o Marx sbaglia tutto, o sbagli tutto tu, o sbagliate tutto entrambi.

Roberto Buffagni Per uscire dal fantasy escatologico, aggiungo che trovo uno dei punti più deboli della filosofia marxista lo schema “struttura economica che determina la sovrastruttura”, se non altro perchè, lasciando libertà 0 alla volontà e alla ragione, conclude in un determinismo e uno storicismo integrali che, oltre a essere poco simpatici, diciamo, sono anche masochisti assai, visto il fallimento colossale dell’esperimento comunista. Se tu dici: “la struttura economica determina la sovrastruttura, e insito nella dinamica della struttura c’è il rovesciamento dialettico da capitalismo a comunismo”, e poi invece il rovesciamento dialettico da capitalismo a comunismo NON c’è, ti sei fregato con le tue manine, e l’unica via ragionevole che ti resta è adeguarti al capitalismo e prenderlo così com’è e come non può non essere, visto che è, appunto, “la struttura” che determina tutto il resto. Come in effetti ha fatto la maggioranza degli ex comunisti.

Roberto Buffagni L’idea che l’integrazione dei popoli i più diversi avviene anzitutto attraverso le condizioni materiali di vita è poi l’idea che ha suggerito alla Confindustria francese di far votare il ricongiungimento familiare per gli immigrati, o quella che giustifica, in generale, la posizione immigrazionista dei progressisti. Tu dici, “ma se ci fosse la giustizia sociale l’integrazione avverrebbe”. Ma la giustizia sociale non c’è, il comunismo figuriamoci, e le condizioni materiali di vita non cancellano “quel che gli uomini credono di essere”, anche perchè NON c’è una posizione oggettiva, il punto di vista di un Dio della Storia in grado di distinguere tra “quel che gli uomini credono di essere” e quel che gli uomini effettivamente sono. C’è il punto di vista di Dio (Quello vero), che però non è facile determinare univocamente.

Roberto Buffagni I “rapporti di dominio”, cioè le gerarchie sociali, ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Il ventaglio di possibilità e di realizzazioni storiche delle gerarchie sociali è amplissimo, e va da Molto Buono a Intollerabile. Tenere presente questo fatterello aiuta a ragionare.

Ennio Abate *Interrompo per un attimo lo scambio con Roberto Buffagni per aggiungere al testo di Marco Revelli un altro passo pubblicato oggi su "il manifesto". [E.A.]
 
 SEGNALAZIONE
 
 Migranti, chi infligge colpi mortali al codice morale
 di Marco Revelli
 https://ilmanifesto.it/migranti-chi-infligge-colpi.../
 
 Stralcio:
 
 Qui non c’è, come suggeriscono le finte anime belle dei media mainstream (e non solo, penso all’ultimo Travaglio) e dei Gabinetti governativi o d’opposizione, la volontà di ricondurre sotto la sovranità della Legge l’anarchismo incontrollato delle organizzazioni umanitarie.
 
 Non è questo lo spirito del famigerato «Codice Minniti» imposto come condizione di operatività in violazione delle antiche, tradizionali Leggi del mare (il trasbordo) e della più genuina etica umanitaria (si pensi al rifiuto di presenze armate a bordo). O il senso dell’invio nel porto di Tripoli delle nostre navi militari.
 
 Qui c’è la volontà, neppur tanto nascosta, di fermare il flusso, costi quel che costi. Di chiudere quei fragili «corridoi umanitari» che in qualche modo le navi di Medici senza frontiere e delle altre organizzazioni tenevano aperti. Di imporre a tutti la logica di Frontex, che non è quella della ricerca e soccorso, ma del respingimento (e il nome dice tutto).
 
 Di fare, con gli strumenti degli Stati e dell’informazione scorretta, quanto fanno gli estremisti di destra di Defend Europe, non a caso proposti come i migliori alleati dei nuovi inquisitori. Di spostare più a sud, nella sabbia del deserto anziché nelle acque del Mare nostrum, lo spettacolo perturbante della morte di massa e il simbolo corporeo dell’Umanità sacrificata.
 
 Non era ancora accaduto, nel lungo dopoguerra almeno, in Europa e nel mondo cosiddetto «civile», che la solidarietà, il salvataggio di vite umane, l’«umanità» come pratica individuale e collettiva, fossero stigmatizzati, circondati di diffidenza, scoraggiati e puniti.
 
 Non si era mai sentita finora un’espressione come «estremismo umanitario», usata in senso spregiativo, come arma contundente. O la formula «crimine umanitario». E nessuno avrebbe probabilmente osato irridere a chi «ideologicamente persegue il solo scopo di salvare vite», quasi fosse al contrario encomiabile chi «pragmaticamente» sacrifica quello scopo ad altre ragioni, più o meno confessabili (un pugno di voti? un effimero consenso? il mantenimento del potere nelle proprie mani?)

 

Roberto Buffagni Bravo Revelli, ricetta infallibile per alimentare il razzismo (vero, su base scientista). Avanti che c’è posto.

Ennio Abate @ Roberto Buffagni

1. RIPRENDENDO IL DIALOGO

Sulla Russia di Putin. Di sicuro io sono meno informato di te e su certi temi gioco di rimessa, reattivamente. Ma mi pare giusto chiedersi anche che tipo di convivenza e che grado di consenso viene *imposto* dalla Federazione Russa a quei popoli. Ci saranno sicuramente molti russi che, se hanno il giardino, avranno eretto una statua a Putin, ma a volte sopportiamo il peggio convinti che sia il meno peggio e perché il meglio proprio non lo vediamo più o ci pare impossibile da raggiungere.

Il paragone tra Rwanda e Gran Bretagna della Thatcher. Non è folle ( e, tra l’altro ho virgolettatato: « “sterminato”(penso alla Thatcher)»). Ma tu sai che io subisco ,ma non accetto con convinzione, come te, che,siccome «i “rapporti di dominio”, cioè le gerarchie sociali, ci sono sempre stati» ci debbano «sempre» stare e sempre «ci saranno». E penso, comunque, di ragionare lo stesso, anche se muovo da altre premesse e rispondo ad altre spinte, un po’ simili a quelle di un Marx e di tanti altri pensatori. Perciò vedo io pure su un piano empirico le differenze tra le democrazie africane e le nostrane, ma non una «vera» differenza, che indichi un salto di civiltà, uno spostamento dei contrasti sociali a un livello più alto: quello di cui parlava Fortini nella voce ‘Comunismo’, che ho commentato su Poliscritture. Lo so, questa prospettiva per te non ha senso: « la giustizia sociale non c’è, il comunismo figuriamoci». Ma per me resiste e guidaanche i miei giudizi sui rapporti di dominio che vanno «da Molto Buono a Intollerabile». Intollerabile anche per me sono i «macelli in Rwanda» o lo sterminio degli ebrei o i gulag sotto Stalin, ma non riesco a sentire come «molto buono» l’operato della Thatcher o dei vari governanti occidentali.

Filosofia marxista. Mai vorrei imbarcarmi in una discussione scolastica sullo «schema “struttura economica che determina la sovrastruttura”». Non è il mio pane. Mi limito a dire che seguo soprattutto le ricerche di quei marxisti che hanno “descolasticizzato” il Marx “obbligatorio”e “storicista” del vecchio PCI: da Fortini a Panzieri fino ai vari operaisti o antioperaisti o postoperaisti. Non ho esitazione ad ammettere – lo fanno tutti questi pensatori – « il fallimento colossale dell’esperimento comunista», ma non per questo mi sono convinto che l’unica «via ragionevole» sia adeguarsi a al capitalismo o al neoliberismo, come hanno fatto – è vero – tantissimi dell’ex- PCI.

Integrazione dei popoli e condizioni materiali. Agire sulle condizioni materiali in una prospettiva comunista non ha nulla a che vedere con le misure della Confidustria. È in altra logica ( non di dominio). Ho poi solo sottolineato che alla visione culturalista e multiculturalista, che tiene conto esclusivamente di «”quel che gli uomini credono di essere”» sfugge un bel pezzo di realtà, per cui i loro modelli di integrazione sono monchi. Marx si sarebbe illuso di poter parlare da «una posizione oggettiva» ( o, col tuo linguaggio, nel porsi dal « punto di vista di un Dio della Storia in grado di distinguere tra “quel che gli uomini credono di essere” e quel che gli uomini effettivamente sono»)? Penso fino ad un certo punto. Perché solo ponendosi come scienziato (vedi studi di Althusser, La Grassa, ecc.) ha potuto svelare lo sfruttamento presente nei rapporti sociali capitalistici al di là della apparenza di rapporti tra cittadini « tutti uguali» davanti alla legge.

2. SU REVELLI

Ti rimando al post IN POLEMICA che ho dedicato alla presa di posizione di Giuseppe Masala (qui). Accusare genericamente Marco Revelli di “alimentare il razzismo” equivale ad accusare un medico di ammazzare un paziente. Bisogna dimostrarlo.

Roberto Buffagni Scusa se ti replico molto in breve, ma sono di fretta. Brevità + quota ingiustizia = a) comunismo è malattia, non cura b) pensare che i rapporti sociali gerarchici possano sparire, come ad es. Lenin in “Stato e rivoluzione”, è una trasposizione dell’escatologia sul piano storico e conduce a rapporti dispotici o ad anarchia o a entrambi, come la storia anche sovietica dimostra abbondantemente c) Revelli è un medico che non ha studiato l’anatomia e ammazza il paziente, perchè anche lui rivendica valori cristiani (elezione della vittima, ad esempio) separandoli dai principi, in particolare dal principio che il regno di Dio non è di questo mondo. In questo modo contribuisce pro quota a fare disastri immani e poi dà la colpa alla società che non lo ascolta. Con medici così non c’è bisogno di ospedali, bastano i cimiteri. Negare che l’immigrazione di massa pone problemi enormi d’ogni tipo agli autoctoni e trattarli da razzisti perchè aprono bocca e dicono (per ora) qualche parolaccia è inqualificabile e pericolosissimo, perchè provoca un backlash garantito. Non so chi frequentate tu e lui, ma vi faccio presente che molti, davvero molti italiani non ne possono più dell’immigrazione, e da un bel po’ si cominciano a sentire parole che non avevo mai sentito prima, parole che non promettono niente di buono. Non è colpa di Salvini. E’ colpa della realtà, e del risentimento per le autorità che sino a prima della baatosta elettorale del PD hanno negato sfacciatamente quel che è chiaro come il sole. Continuare a negare, infliggere disprezzo sugli italiani che patiscono serie conseguenze dell’immigrazione, fare predicozzi ispirati a un universalismo politico sciagurato e a un umanitarismo profondo 5 cm., è gettare la proverbiale benzina sul fuoco. Liberi di non credermi; invito soltanto a riflettere per un istante che immigrati e autoctoni non sono santi, sono uomini capacissimi di fare tanto, tanto male. E lo siete anche voi, che a mio parere lo fate senza volere, anzi volendo fare tanto bene. L’esperienza mi ha insegnato che sono meno pericolosi i delinquenti, che almeno si sa come trattare, dei benintenzionati ciechi. Si chiama eterogenesi dei fini.

Ennio Abate In breve pure io.

a) Il comunismo è malattia per le élites dominanti. Anzi peggio: il Male assoluto da sradicare anche solo nel pensiero. Ma è e sarà ancora *speranza* e *tentazione* per quanti soffrono e vivono male in questa società e *pensiero dominante* di chi cerca più libertà.

b) Sì, Lenin, nel suo “Stato e rivoluzione”(settembre 1917, alla vigilia della Rivoluzione russa) cadde in pieno nella *tentazione* e s’immerse in quel secolare fiume utopico che da Tommaso Moro a Müntzer ai levellers agli anarchici ha alimentato il pensiero utopico. Ha trasposto «l’escatologia sul piano storico»? Ma non avevamo detto, parlando di Fortini, che il ogni movimento politico ci sono venature religiose più o meno forti e mai eliminabili, essendo impossibile un movimento o un mutamento fatto solo da un’élite di intellettuali o sapienti? Perché scandalizzarsene? Il risultato dispotico o anarchico è uno dei rischi di ogni tentativo di mutamento “vero”. Frenerà ma non impedirà mai la *tentazione* al bene ( Brecht). Che risorge sempre anche dalle sconfitte più cocenti, perché le condizioni d’ingiustizia e di sfruttamento non sono sanate.

c) La tua insistente e irridente caricatura delle posizioni di Marco Revelli mi pare ingiustificata. Non mi pare che egli neghi che «’immigrazione di massa pone problemi enormi d’ogni tipo». È vero invece che per lui non è un problema solo per gli «autoctoni», come tu insisti a dire. Il razzismo *sociale* c’è. É – concordo – in crescita, ma non perché alimentato da Revelli, come tu hai scritto, o dai pochi che lo contrastano; ma da un amplissimo e ormail trasversale arco di attori politici, che vanno dalla Lega di Salvini al M5S e allo stesso PD di Renzi posizionatosi sull’”aiutamoli a casa loro”. Quindi presentare costoro – una maggioranza agguerrita, organizzata e che sta “provocando” – come vittime innocue che «aprono bocca e dicono (per ora) qualche parolaccia» è un ribaltamento della verità delle cose. È il lupo che accusa l’agnello di sporcargli l’acqua! No, non «è colpa della realtà», che non è affatto chiara «come il sole», se « molti italiani non ne possono più dell’immigrazione». È la *realtà massmediale*, interpretata e imposta appunto dai vari Salvini, Grillo, Renzi, Minniti , etc., che occulta e sostituisce la *realtà*, in gran parte sconosciuta e poco indagata del fenomeno migratorio e dei suoi effetti in Italia, in Europa e altrove. E getta «benzina sul fuoco».
Nessuno disprezza «gli italiani» in blocco – questa è un’altra generalizzazione ingiustificata e umorale – quando invita, come fanno Revelli, il «Papa Coso», come tu lo chiami, e tanti ancora, non del tutto immersi nel sonno della ragione, a considerare *umani* e non *subumani* o *mucchio anonimo* i migranti travolti dalla « bufera infernal, che mai non resta». E a pensare ed agire *secondo questo principio*.
Nessuno considera «santo» nessuno. Ma il «tanto male» ritengo che lo stia facendo questo blocco di forze politiche che ha scelto la maniera spiccia e forte e non vuole sentire più ragioni. (Quelle ad es. di Alessando Visalli, che ho segnalato:https://tempofertile.blogspot.it/…/scrivendo-margine…

 Roberto Buffagni Direi che i disaccordi sono chiari, come è bene che sia quando le culture, non solo politiche, sono davvero distanti. Ultima chiosa: su un approccio come quello di Visalli concordo nell’insieme, come puoi vedere anche dai commenti che gli ho dedicato. Da un approccio come quello di Revelli, e come il tuo, dissento in toto, e il motivo principale del dissenso è che lo ritengo catastroficamente privo del minimo di realismo non solo politico necessario, quindi del tutto erroneo e veramente pericoloso. Che poi ci siamo pericoli anche “da destra”, non ci piove, e l’ho già detto e ripetuto. La rivendicazione dell’impossibile, appunto la trasposizione dell’escatologico sul piano temporale, è “inevitabile” come tu dici, e io non me ne “scandalizzo” affatto: la avverso radicalmente, perchè è uno sbaglio, intellettuale e spirituale, di proporzioni epocali, che ha GIA’ prodotto vicende devastanti ed è capace di produrne altre non meno disastrose. Una illustrazione meno frettolosa del mio pensiero la trovi qui: https://www.ilcovile.it/…/COVILE_853_Buffagni_lettere…

Ennio Abate È strano che anch’io concordi (in generale e non necessariamente sulle singole tesi) con il post di Visalli che ho segnalato (e con molti altri). E Revelli non è comunque così in contrapposizione a una visione del problema migrazione come fenomeno complesso. Per cui i nostri disaccordi e le nostre distanze molto chiare – concordo – non dovrebbero portare, come mi pare tu faccia, a dire che posizioni come la mia o quella di Marco Revelli siano prive del « minimo di realismo non solo politico necessario» ma sicuramente erronee e pericolose. Non c’è nessuna «rivendicazione dell’impossibile» nel contrastare, come fa Revelli, gli «specialisti del disumano» alla Minniti & C. ma la semplice difesa di chi tenta di salvare vite umane. Ma, al di là della tua radicale avversione, ne riparleremo, spero.

89 pensieri su “Migrazioni. Punti di vista in contrasto

  1. Inserisco l’ultima replica, di 20 minuti fa: Avverso radicalmente l’uso di argomenti e vocabolario prepolitico come quelli che tu e Revelli usate, per l’atteggiamento che sottintende. “Specialisti del disumano” et similia, l’attribuzione di “umanità” a un campo e “disumanità” all’altro sono potenti segnali indicatori della trasposizione delle categorie escatologiche nel discorso politico, che deve invece restare tutto nell’immanenza, e dove ai campi amico/nemico (o avversario) NON deve corrispondere l’attribuzione di qualificazioni morali antonomastiche. Poi, sul merito io discuto di tutto e con tutti, il problema immigrazione è davvero serio, complesso, di non immediata soluzione, eccetera, ed è altrettanto importante, a mio avviso, sia far cessare la posizione “avanti c’è posto no limits” sia prevenire l’insorgere di posizioni razziste organizzate vere.. Ma appena uno mi dice che il suo è l’esercito della bontà/umanità/progresso/bene/etc., e di converso il campo del suo nemico/avversario è il campo della cattiveria/disumanità/regresso/reazione/male, il discorso razionale si chiude e si apre la guerra civile (religiosa, ideologica, etc.) potenziale, che può diventare attuale. Questo è uno dei sintomi più evidenti del morbo spirituale che temo e avverso radicalmente; e che fu uno dei segnali indicatori anche della natura totalitaria ed enantiodromica del comunismo (o del nazismo). Oggi, lo gnosticismo politico infetta il campo progressista, sia nella forma “dedestra” del “transumanesimo” e del “governo mondiale”sia nella forma “desinistra” del multiculturalismo, del melting pot universale, delle moltitudini negriane e altre rovinose sciocchezze.

    1. Per specificare meglio: l’attribuzione di “umanità” a un campo e “disumanità” all’altro è disastrosa sia quando chi la attribuisce si situa nel campo dei “buoni” (pro immigrati, siamo tutti fratelli) sia quando si situa nel campo dei “cattivi” (contro immigrati, negri di emme).
      Quiz: quale filosofo marxista parla di posizioni “antitetico-polari” per indicare sistemi di pensiero o idelogie che hanno forma identica e contenuto simmetricamente opposto?
      Al primo che risponde bonus per cena a base di goulasch.

  2. Tengo a far notare a Roberto Buffagni che il termine ‘specialisti del disumano’ nel testo di Marco Revelli da me riportato su FB, se non nel titolo almeno nell’ultima frase, è virgolettato. Ma, al di là di questo, nell’altro testo che pure ho segnalato nel corso del nostro scambio, l’articolo firmato dallo stesso e arricchito rispetto a quello nella su bacheca FB e pubblicato da “il manifesto” (https://ilmanifesto.it/migranti-chi-infligge-colpi-mortali-al-codice-morale/?fref=gc), l’autore precisa in modo chiaro cosa egli intende nella sostanza; e non attribuisce affatto «“umanità” a un campo e “disumanità” all’altro», come Roberto paventa. Anzi Revelli parla di *inumano* ( non di ‘disumano’).
    Scrive infatti:
    « L’«inumano», è bene chiarirlo, non è la mera dimensione ferina della natura contrapposta all’acculturata condizione umana.
    Non è il «mostruoso» che appare a prima vista estraneo all’uomo. Al contrario è un atteggiamento propriamente umano: l’«inumano» – come ha scritto Carlo Galli – «è piuttosto il presentarsi attuale della possibilità che l’uomo sia nulla per l’altro uomo».
    Che l’Altro sia ridotto a Cosa, indifferente, sacrificabile, o semplicemente ignorabile. Che la vita dell’altro sia destituita di valore primario e ridotta a oggetto di calcolo. Ed è esattamente quanto, sotto gli occhi di tutti, hanno fatto il nostro governo – in primis il suo ministro di polizia Marco Minniti – e la maggior parte dei nostri commentatori politici, in prima pagina e a reti unificate.
    Cos’è se non questo – se non, appunto, trionfo dell’inumano – la campagna di ostilità e diffidenza mossa contro le Ong, unici soggetti all’opera nel tentativo prioritario di salvare vite umane, e per questo messe sotto accusa da un’occhiuta «ragion di stato».».

    Né mi pare che, in altri casi, Revelli o io o altri ostili all’*attuale gestione delle migrazioni* abbiamo mai sostenuto di appartenere all’« esercito della bontà/umanità/progresso/bene/etc., e di converso il campo del suo nemico/avversario è il campo della cattiveria/disumanità/regresso/reazione/male». Tant’è vero che continuo a citare fino alla noia sempre gli stessi versi di Fortini:
    Cercare i nostri eguali osare riconoscerli
    lasciare che ci giudichino guidarli esser guidati
    con loro volere il bene fare con loro il male
    e il bene la realtà servire negare mutare.

    Sta di fatto – e mi pare che Revelli lo dica bene – che a stravolgere il significato delle parole e a presentare come *inumano* ( non ‘disumano’) l’*umano* ( quello che comunemente si intendeva con questo termine) sono gli altri, i fautori della «ragion di stato»:

    «…Non era ancora accaduto, nel lungo dopoguerra almeno, in Europa e nel mondo cosiddetto «civile», che la solidarietà, il salvataggio di vite umane, l’«umanità» come pratica individuale e collettiva, fossero stigmatizzati, circondati di diffidenza, scoraggiati e puniti.
    Non si era mai sentita finora un’espressione come «estremismo umanitario», usata in senso spregiativo, come arma contundente. O la formula «crimine umanitario». E nessuno avrebbe probabilmente osato irridere a chi «ideologicamente persegue il solo scopo di salvare vite», quasi fosse al contrario encomiabile chi «pragmaticamente» sacrifica quello scopo ad altre ragioni, più o meno confessabili (un pugno di voti? un effimero consenso? il mantenimento del potere nelle proprie mani?)».

  3. SEGNALAZIONE
    (dalla bacheca FB di Cristiana Fischer)

    “GUERRA” AGLI SCAFISTI: LO SCHEMA È LA LOTTA AL NARCOTRAFFICO
    di MARCO BASCETTA.
    http://www.euronomade.info/?p=9589

    Stralcio:
    Sotto la superficie della cronaca, con le parole sopraffatte dall’uso ripetitivo che se ne fa, scorre una narrativa mai esplicitata, ma tacitamente e immediatamente percepita. Questa narrazione applica all’immigrazione lo schema del narcotraffico.
    C’è un cartello (o più cartelli) che manovrano gli scafisti (corrieri), ci sono governi e polizie corrotte che li coprono, ci sono centrali di smistamento in Europa. E, naturalmente, c’è la mercanzia: quell’umanità in fuga dalle più diverse catastrofi che rischia i propri averi e la propria vita nella traversata del mare. E che qualche approfittatore nostrano considera, ma non è vero, più redditizia degli stupefacenti. I trafficanti, piuttosto spietati, esistono e anche il confuso contesto politico-militare che ne consente, complice, l’azione. Ma lo schema si completa implicitamente con un elemento decisamente ripugnante: i migranti avrebbero sulle società europee lo stesso effetto della droga in termini di inquinamento della presunta purezza, di trasgressione delle regole di convivenza, di indebolimento dei legami sociali e di assorbimento indebito delle scarse risorse assistenziali degli stati. In una versione solo apparentemente meno efferata il migrante rivestirebbe invece la parte del tossico, colpevole di cercare scorciatoie per il paradiso, e pronto a farsi spacciare dagli scafisti il sogno di un’Europa immaginaria. Meritevole, dunque, di essere disintossicato a forza in qualche lager libico. Questo schema, che certamente entusiasmerà la destra xenofoba, sottende la riduzione del problema dell’immigrazione (che almeno in partenza è sempre e solo clandestina) alla lotta contro i trafficanti di fuggiaschi.
    È la via più diretta per spacciare un fenomeno storico come emergenza criminale, un problema di politica globale come una questione di sicurezza (degli uni a scapito degli altri). Tutti sanno, beninteso, che non sono gli scafisti la causa delle migrazioni e neanche dell’impossibilità di tenerle sotto controllo, che è la domanda a creare l’offerta e la chiusura a produrre soluzioni fuori dalla legalità. E, tuttavia, i media sono concentrati su questa messa in scena della guerra agli scafisti e alle Ong sospettate di intelligenza con il nemico.

  4. Ennio riporta i due pezzi che ho postato sulla mia pagina fb, e altri due ne nomino qui, uno segnalato da Alessandro Dal Lago http://comune-info.net/2017/08/lumanitario-lo-fanno-le-multinazionali/; l’altro è un articolo di Domenico Quirico http://www.lastampa.it/2017/08/12/esteri/tra-i-migranti-respinti-dalleuropa-nelle-celle-libiche-botte-e-disperazione-c2QjWrWjj9mgTgKx3flGjK/pagina.html .
    Visibilmente squadernano l’orrore in cui cacciamo e teniamo fermi esseri umani.
    Poi Haftar chiede all’Italia  che convinca la UE a dargli 20 miliardi in armi proiettili e mezzi per fermre l’onda umana al confine sud della Libia. Chiaro cosa dice: tutta la UE converga su di me e mi rinforzi. Ieri ha visto Putin, che lo sostiene, i migranti entrano anche in questi giochi UE-Usa-Russia.
    Alessandro Visalli nel suo blog Tempofertile spiega con ammirabile chiarezza come una nuova idea di economia potrebbe riarricchire il lavoro nella Ue e accogliere anche nuova forza lavoro immigrata. Senza questa nuova visione di sviluppo “resta solo la meccanica, incorporata nella logica del capitale e non necessariamente voluta o progettata da alcuno, della creazione costante di ‘eserciti di riserva’ pronti a prendere il posto dei renitenti locali (ovvero di chi avanzasse l’assurda pretesa di trarre dal suo lavoro quanto basta ad una vita sicura e dignitosa). Senza questo programma bisogna essere sensibili al dolore, ovunque si manifesta, senza dare patenti di civiltà dal sicuro di case confortevoli”. http://tempofertile.blogspot.it/#!/2017/08/scrivendo-margine-dellimmigrazione.html
    L’umanità mi schiera con queste posizioni: per non imbarbarirci tutti, per non voler né vedere né sapere, per non far cadere nel nulla vite che sono come la mia e quella dei miei figli e amici. L’unica situazione cui posso paragonare la presente è la sorte degli ebrei in Germania e poi in Europa dagli anni 30 in avanti.
    Comprendo i ragionament di Buffagni: le informazioni concrete che mi raggiungono chiariscono che il nostro mondo luccicante richiama illusoriamente un ceto medio africano, che per viaggiare i migranti spendono cifre consistenti, quindi non sono poveracci alla fame.
    E’ vero però che i soldi del viaggio possono essere prestati, e saranno ripagati con prostituzione e altri orrori… Insomma è un’intera economia piratesca quella messa attivamente in piedi da noi occidentali, che ci nascondiamo dietro le prime linee di trafficanti ma li facciamo esistere. Così gli ebrei vendevano per un bianco e un nero quel poco o tanto che avevano pur di poter scappare, le somiglianze si sprecano.
    A Buffagni dico che i suoi argomenti su integrazione e impero sono lucidi e condivisibili, ma non immaginano quello che Visalli espone in termini piani: “bisognerebbe farla finita con l’austerità, ed investire molti punti di Pil, per molti anni, per ritornare vicino alla piena occupazione, perché solo un paese in piena occupazione, come dice opportunamente Stiglitz, e con un mercato del lavoro sano, può accogliere nuovi lavoratori senza che si tramuti in una guerra tra poveri”.
    Certo, “bisognerebbe”. Invece la realtà politica va avanti così, tra sfere geopolitiche di potere, eserciti industriali di riserva, paure di snaturamenti culturali e di meticciati, in assenza di una forza rivoluzionaria come quella cristiana di duemila anni fa che -dopo secoli di impoverimenti e paure- portò fuori dalla rovina del grande impero romano il mondo di allora.
    Se non riusciamo a vincere questa macchinazione economica, almeno lottiamo per non imbarbarirci.

    1. Cara Signora Fischer,
      la ringrazio per l’interlocuzione cortese e argomentata. Preciso che non ho niente, ma proprio niente, contro politiche di piena occupazione (che come lei sa, sono impossibili nella UE). Io poi, che di economia capisco tra il poco e il niente, parlo di quel che conosco meglio anche per esperienza diretta, cioè è problemi di convivenza tra etnie e religioni diverse, tra autoctoni e stranieri, etc., anche nell’aspetto che riguarda direttamente la sicurezza, vale a dire la possibilità di conflitti sanguinosi (chi ha visto una volta una guerra civile su basi etnico-religiose, gli basta per tutta la vita).
      Cerco di chiarire meglio, anche se brevemente, la mia posizione, e di rispondere così anche a Ennio Abate.
      La soluzione non finale ma radicale del problema immigrazione di massa comporta un enorme rivolgimento delle politiche non solo estere non solo dei paesi occidentali; in questo momento di transizione da un ordine mondiale prima bipolare, poi unipolare, che tende al multipolarismo, per immaginare anche solo la direzione di un tale rivolgimento ci vuole un profeta + la palla di cristallo.
      E’ giusto e necessario pensarci, illusorio credere che questo enorme rivolgimento, che nessuno sa come si manifesterà, possa essere attuato in tempi prevedibili: mentre una soluzione non radicale ma efficace è indispensabile subito, ripeto subito, perchè se non si fa qualcosa di efficace temo si metteranno in moto dinamiche inarrestabili, in Europa. Dinamiche inarrestabili che dal pdv ideologico produrranno, come già in parte producono, una contrapposizione “antitetico-polare” tra partiti “desinistra” che andranno a cercare il loro bacino elettorale tra gli immigrati (la ratio della legge per l’allargamento dello ius soli è questa) e partiti “dedestra” votati dagli autoctoni che più subiscono i danni, materiali e morali, dell’immigrazione di massa. E’ già successo negli USA, sta succedendo qui; ed è una cosa che dire pericolosa e funesta è dir poco, perchè trasforma la democrazia rappresentativa a suffragio universale in una macchina da guerra che da un momento all’altro può macinare vite.
      Sempre dal pdv ideologico, si tenga presente che il cristianesimo è culturalmente morto e stramorto, in occidente; il che è una pessima cosa, perchè i “valori cristiani” sopravvivono solo disgiunti dai principi, in una forma rozza, estremistica e incapace di informare una politica realistica (si esprimono perlopiù nelle posizioni stupide di papa Francesco, o nelle tirate moralistiche e/o interessate della sinistra); mentre a destra, morto il cristianesimo, è prevedibile che le posizioni anti-immigrazione possano derivare verso un vero e proprio razzismo su base biologico-scientista (“i negri hanno un QI inferiore ai bianchi”). Anche questo succede già negli USA, con l’ “Alt-Right”. Al pensiero mi vengono molti più capelli bianchi.
      Per questo osteggio e avverso tutte le posizioni estreme, e in modo particolare le posizioni che fanno entrare nello scontro politico categorie radioattive quali religione, morale, “umanità/disumanità/inumanità”, e via dicendo. Usare queste categorie è fumare nella polveriera. La responsabilità principale di questo uso improprio delle categorie suddette è dello schieramento politico-ideologico desinistra, sia per antica abitudine, sia soprattutto perchè lo schieramento politico-ideologico desinistra, in tutte le sue varianti, è dominante nel senso comune (per ora). In sè e per sè, non è moralmente peggiore dell’uso che ne fa lo schiaramento politico-ideologico dedestra; ma è politicamente più grave per le dimensioni delle sue conseguenze, tra le quali metto al primo posto la provocazione al razzismo, etc., insomma, l’effetto backlash.
      Diamoci tutti una calmata. Una bella doccia fredda, e si riparte e discutere razionalmente. Sennò ci si spranga, prima a parole, poi con le spranghe vere, per finire con i fucili d’assalto.

  5. Per chiarezza. Scusa, Roberto. Ma io questa notizia di “un deficiente desinistra [che] ha investito con l’auto manifestanti di estrema destra, ammazzandone uno” nell’articolo linkato non la trovo. Né su altri siti. La notizia che viene data da tutti i giornali è quella che trovo anche sull’ANSA: “Scontri a Charlottesville, auto travolge antirazzisti al raduno dei suprematisti Tre morti e oltre 35 feriti, nel sabato di sangue” (http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2017/08/12/usa-scontri-e-feriti-a-manifestazione-suprematisti-bianchi_c617d8e8-f1c9-452d-b26f-6af80942bf34.html).

    1. Hai ragione. Sulle prime, la notizia sui media USA era stata data così, deficiente di estrema sinistra, poi corretta in deficiente di estrema destra che reagisce ad attacco con mazza da baseball mettendosi in macchina e travolgendo gli avversari. Leggo saltuariamente la stampa, mi scuso per l’errore.

  6. @ Roberto [Buffagni]

    Certo, «la soluzione non finale ma radicale del problema immigrazione di massa comporta un enorme rivolgimento delle politiche non solo estere non solo dei paesi occidentali». Lascio da parte ora il problema se aspettarsela dalla tendenza al multipolarismo o dalla – insisto da isolato – lotta per la *possibilità* del comunismo. Ma chiedo: si può accettare che « una soluzione non radicale ma efficace» sia al momento quella di Minniti? ( Cfr. http://www.milanoinmovimento.com/primo-piano/perche-sono-dimezzati-gli-arrivi-di-migranti-dalla-libia). Io credo proprio di no. Anche se non ho altro da proporre. E, comunque, preferisco stare addosso ai fatti che stanno avvenendo, cercare di capirli, reagire con quel che politicamente e culturalmente dispongo. Con tutto il rispetto per Lukács e gli altri che, dopo di lui, più o meno scolasticamente hanno usato il concetto di «contrapposizione “antitetico-polare”», lo lascerei da parte; e non mi abbandonerei a previsioni di «dinamiche inarrestabili». Tanto più che, dalla Guerra del Golfo del ’90 in poi, si è visto – direi ad occhio nudo – che la democrazia è *già* stata usata dai dominatori come «macchina di guerra» e ha *già * macinato e macina vite umane. E noi proprio non riusciamo a far nulla.
    Quanto al cristianesimo, sono rimasto al “non c’è più religione” di Michele Ranchetti, al quale avevo aggiunto – di mio – un “non c’è più comunismo”. Senza per questo liquidare entrambe le prospettive. E mai parlerei di «posizioni stupide di papa Francesco». Perché – ripeto –, in fatto di immigrazione, la «politica realistica» non è quella di Minniti.
    Allo stesso modo respingo nuovamente la facilità con cui parli di «posizioni estreme» nel caso di Revelli, mio e di altri che la contrastano. (A proposito: tu cosa ne pensi?). Non c’è nulla di “radioattivo” nel parlare di «“umanità/disumanità/inumanità”» nei termini usati da Revelli ( e da me in altri momenti) e con il corredo di precisazioni inequivocabili contro le possibili derive “escatologiche” o “buoniste”. Altro che «fumare nella polveriera». Questo lo fanno Salvini e Minniti, semmai. E nego che la «provocazione al razzismo» provenga dalle posizioni alla Revelli.
    Non ribaltiamo soprattutto la verità dei rapporti di forza.
    Noi che qui parliamo siamo costretti alla posizione dell’agnello di fronte al lupo della favola antica. Ci viene rimproverato che l’acqua che vorremmo ancora di bere («la solidarietà, il salvataggio di vite umane, l’«umanità» come pratica individuale e collettiva») è intorbidata non dall’estremismo guerrafondaio e da quanti conducono una permanente lotta sociale capovolta, esercitata contro i più poveri, ma dal nostro «estremismo umanitario». E che siamo addirittura responsabili di «crimine umanitario». Lo fai tu pure, Roberto, quando, tacendo del lupo, sostieni – guarda un po’! – che «la responsabilità principale di questo uso improprio delle categorie suddette è dello schieramento politico-ideologico desinistra, sia per antica abitudine, sia soprattutto perché lo schieramento politico-ideologico desinistra, in tutte le sue varianti, è dominante nel senso comune (per ora)».
    Ma se il senso comune è compenetrato di paura e avversione verso i migranti e persino un Papa viene deriso per le sue «posizioni stupide» di apertura ai migranti? Ahimè, ha ben ragione Claudio Vercelli a scrivere: «il trasformarli in minaccia permanente è un capolavoro politico, per più aspetti»!

    ( Tra l’altro: a riprova di quanto sia – a volte, non sempre – ambiguo e spesso strumentale il discorso del “superamento” delle categorie di destra e sinistra, ti faccio notare che te la prendi *esclusivamente* con lo schieramento «desinistra». Ma allora, che fine fa la «contrapposizione “antitetico-polare” tra partiti “desinistra” […]e partiti “dedestra” »?).

    1. Caro Ennio,
      la mia posizione di fondo sull’immigrazione di massa è la seguente: va anzitutto arrestata/tamponata, va impedita, dove non c’è ancora, la formazione di enclaves territoriali su base etnico-religiosa in Europa, vanno integrati quanto più possibile gli immigrati già presenti e integrabili (=quelli che vogliono farsi integrare), non va volantinata la cittadinanza, va revocato il ricongiungimento familiare, vanno rispediti al mittente i clandestini. Sintesi: per me l’immigrazione di massa fa veramente male all’Italia e all’Europa, e rappresenta un grave rischio per la sicurezza e la coesione sociale. Se non si accetta questa premessa secondo me possono succedere due cose: a) prima o poi si ricorrerà, da parte di qualche Stato o con il do it yourself, a mezzi che mi gelano le ossa b) si sfalderanno le società europee, e probabilmente si ricascherà nel caso a.
      Quel che sta facendo Minniti è un ventesimo del minimo indispensabile. Dopo la batosta elettorale subita dal PD, evidentemente le fortissime pressioni che vengono dagli apparati di sicurezza sono state, per la prima volta, ascoltate almeno in parte (non riferisco quel che mi dicono da anni, in confidenza, amici che lavorano in quel campo, mi limito a segnalarti che nulla di quel che esce ora sui giornali mi giunge nuovo, e che è una minima parte di quel che accade).
      Poi c’è il problema politica estera, che è il principale. Non mi diffondo perchè fare il ministro degli esteri via web non mi esalta, ma è chiaro che va invertita la rotta della politica estera italiana, da Nord a Sud, come ci detta la nostra posizione nel Mediterraneo. In quel modo il celebre e ipocrita “aiutiamoli a casa loro” prende un minimo di senso, perchè si potrebbe basare sull’interessse reciproco, invece che sulle bubbole cristianoidi e i quattrini della filiera immigrazionista. Ma con tutta la buona volontà del mondo (che non c’è), non sarebbe cosa facile perchè dal nostro ingresso nella UE abbiamo perso un’infinità di posizioni, vedi Libia.
      Sul senso comune, in breve. Il senso comune è quello dettato dalle istanze autorevoli, dal governo ai media al papa. Vi si comincia a ribellare il buonsenso, che è un’altra cosa: il buonsenso secondo il quale non si possono accogliere un numero imprecisato stranieri sul territorio nazionale e sperare che tutto vada bene e nessuno ci rimetta, in particolare che non ci rimettano più di tutti gli italiani meno abbienti.
      La ribellione del buonsenso si è vista nei risultati elettorali. Quel che mi preoccupa è che l’ideologia umanitaria imposta dalle istanze autorevoli europee provochi un’ideologia inumanitaria eguale e contraria.

      1. P.S. Me la prendo conlo schieramento di sinistra perchè qui siete desinistra. Faccio lo stesso con lo schieramento dedestra quando parlo con gente dedestra, così mi rendo simpatico a tutti.

  7. A proposito del “Noi veniamo dopo” (come scriveva George Steiner), nulla da eccepire in merito: pare che *quella mano destra che accarezzava il pomello di metallo di Little Boy, spostandolo di un grado qui e uno là nella manovra di quel mostro della morte che a 580 metri di altezza sopra il reticolo di strade, fiumi e case, più di un milione di gradi Celsius al suo centro, e che ridusse ogni segno di vita in cenere, appartenesse ad un uomo buono di cuore, un americano che negli anni a venire avrebbe coltivato magnifiche rose in un giardino della Florida – Hiroshima, lunedì 6 Agosto 1945, 8.45 del mattino, ora del Pacifico*.
    Ma il problema non sta nel rapporto tra due parti che possono essere scisse e funzionare a prescindere l’una dall’altra.
    Io la leggerei in un altro senso, vale a dire che il raggiungimento di quel concetto relazionale (il “noi”) viene molto dopo, a seguito di un processo faticoso e mai finito di rinuncia (parziale) del soggettivo e di costruzione del sociale.
    Troviamo ciò confermato anche nel passaggio tra l’acquisizione del concetto buono-cattivo – fondato sull’esperienza basica sensoriale ‘mi piace’ = ‘buono’ = ‘me lo assimilo’, e ‘non mi piace’ = ‘cattivo’ = ‘lo espello’ – al concetto di Bene e Male, elaborazione superiore che implica l’uscita dalla mera soddisfazione (o insoddisfazione) immediata in virtù di una contemplazione più ampia e articolata del mondo circostante (non sempre ciò che io reputo ‘buono’ è anche ‘Bene’ o viceversa).
    E qui utilizzerei proprio quel concetto di in-umano (per me = non ancora diventato umano, nel senso della appartenenza al consesso sociale) che Revelli cerca di esplicitare differenziandolo dal disumano.
    Revelli scrive che l’ “inumano” *è bene chiarirlo, non è la mera dimensione ferina della natura contrapposta all’acculturata condizione umana.
    Non è il “mostruoso” che appare a prima vista estraneo all’uomo. Al contrario è un atteggiamento propriamente umano: l’ “inumano” – come ha scritto Carlo Galli – “è piuttosto il presentarsi attuale della possibilità che l’uomo sia nulla per l’altro uomo”.
    Che l’Altro sia ridotto a Cosa, indifferente, sacrificabile, o semplicemente ignorabile.*
    Ma il fatto che l’Altro *sia ridotto a Cosa, indifferente, sacrificabile, o semplicemente ignorabile* è sufficiente collocarlo (e liquidarlo) nella categoria dell’inumano o non è importante invece riflettere com’esso rappresenti oggi un fenomeno di regressione, legato ad una ‘mutazione’ culturale di dimensioni che sgomentano, e in cui regole, limiti, differenze – fondative proprio del processo di cultura – hanno preso la strada dell’oblio?
    Nella nostra fase evolutiva primaria (fermo restando il rapporto emotivo di base), poco importa al bebè che la madre stramazzi dalla fatica, che abbia latte oppure no: il problema, a quello stadio, non è ancora suo, di lui. Ed è di importanza vitale che sia così. E’ solo successivamente che impara che esiste una relazione. Che ci sono dei costi. Tutto ciò viene appreso attraverso un processo educativo, inizialmente duale, difficile, piacevole e quindi problematico, ma che è necessario per quel cosiddetto vivere civile che ha contraddistinto, per un certo tempo, nel bene e nel male, la nostra cultura. Non tutto arriva “gratia et amore Dei”.
    Un processo che contempla una assimilazione graduale, ma non lineare (ovvero ci sono sempre degli scarti) e che successivamente può funzionare solo per piccoli gruppi alla volta (vedi modello scolastico) altrimenti diventa propaganda.
    Lo stesso spirito di “riconoscenza” (Ennio: *senso di riconoscenza verso chi li soccorre, voglia di adattarsi a un mondo per loro “nuovo”, né più né meno come i nostri emigranti del primo Novecento negli Usa*) si confonde molto spesso con le nostre proiezioni e i nostri desideri e rischia, quanto a riconoscenza, di confondersi con sentimenti di “sudditanza” (vedi come sono i rapporti mafiosi). La riconoscenza è un sentimento complesso che implica riconoscere che esiste un rapporto non deterministico (“tu non devi essere ciò che io voglio che tu sia”) tra me e l’altro, bensì un rapporto di libertà.
    Una libertà che, strano a dirsi, passa attraverso il riconoscimento delle regole, dei limiti che non attengono soltanto a ciò che ad un individuo fa piacere oppure no ‘in generale’, ma in una situazione di ‘qui e ora’ storicamente determinata.
    Con i bambini piccoli ci si comporta in un determinato modo mentre con gli adulti, a parità di bisogni, l’atteggiamento deve essere conseguente. Perché dobbiamo trattare tutti come bambini dipendenti?
    Altrimenti entriamo in quella logica che imperversò ai tempi della lotta per l’aborto: i figli sono una ricchezza, sono mandati da Dio e non si deve guardare alle difficoltà o ai limiti contingenti perché la Divina Provvidenza provvederà.

    Nessuno è così stupido (a meno che non sia in malafede) da pensare che i migranti non siano portatori di bisogni, desideri, speranze, timori et similia.
    E allora perché ricorrere alla retorica dello *spettacolo perturbante della morte di massa e il simbolo corporeo dell’Umanità sacrificata*? Forse perché è più facile smuovere gli animi che fare analisi sensate?
    O, in aggiunta, quella strappalacrime *su uomini, donne, bambini, che scompariranno silenziosamente, lontano dai nostri sguardi delicati, fuori dalla portata d’azione delle famigerate Ong che s’intestardiscono a voler salvare vite.
    Denunciamoli, questi nuovi “specialisti del disumano”, al Tribunale dei popoli*.

    Qui io porrei due domande.
    La prima (e non è per fare dietrologia ma per dare a Cesare quel che è di Cesare!):
    – chi fomentò le primavere arabe si preoccupò forse delle vite umane e del massacro che ne sarebbe conseguito? O era più suggestivo far sventolare le bandiere arcobaleno illudendo su una rivoluzione che MAI sarebbe avvenuta? Non era poi così imprevedibile, ad una analisi strategica, immaginare quello che sarebbe successo!
    Non possiamo richiamare la “Memoria” (una memoria ad hoc: Auschwitz, il comunismo, il fascismo ecc. ecc) soltanto quando abbiamo bisogno di ‘pezze d’appoggio’ per le ‘nostre dimostrazioni’, anche se sappiamo bene come la memoria funzioni selettivamente! Ci dev’essere un limite!
    Mi si dirà: “ ma intanto là si era smossa una qualche coscienza!”. Ma certo! E allora perché scandalizzarsi per le restrizioni di oggi: non può essere smosso un altro tipo di consapevolezza? E cioè che i migranti si accorgano di essere stati oggetto di ‘falsa benevolenza’?
    Da un lato, giustamente, Ennio scrive: *Non mi pare però che Revelli *spieghi* l’operazione Minniti ricorrendo al topos canonico di Auschwitz. Stabilisce un’analogia emotiva con il clima di quei tempi*.
    Appunto! Io credo che stabilire analogie emotive possa essere fuorviante, in questo caso, perché ‘distrae’ da una realtà i cui connotati ci sfuggono: non credo che Chiesa e Renzi sposino le tesi di Salvini quando sostengono che è meglio che i migranti vengano seguiti a casa loro. Quali accordi ci sono stati e con quali potenze straniere per operare questo cambio di rotta? Se per Renzi può andare parzialmente bene l’ipotesi di un tentativo di recupero elettorale, per il Papa, qual è il movente?
    Ennio sembra ribattere scrivendo che *È la *realtà massmediale*, interpretata e imposta appunto dai vari Salvini, Grillo, Renzi, Minniti , etc., che occulta e sostituisce la *realtà*, in gran parte sconosciuta e poco indagata del fenomeno migratorio e dei suoi effetti in Italia, in Europa e altrove*.
    Ma allora: se la “realtà” è in gran parte sconosciuta, perché prendere posizioni così drastiche e sicure? Non vale forse il principio “Nel dubbio, astienti”

    E, sempre cercando di analizzare la “realtà”, Ennio riprende dei passaggi di Buffagni in merito al modello liberale – “il modello liberale delle democrazie occidentali invece NON vede le differenze tra i popoli, NON le controlla, e oscilla tra una richiesta di assimilazione volontaria (che può funzionare per individui, non per popoli), fiducia che il puro e semplice costruttivismo sociale e l’esposizione degli immigrati alla vita quotidiana consumistica e capitalistica li renderà identici agli occidentali, e la rimozione del problema* …*e in Gran Bretagna, quello multiculturale è “scappato di mano”* – a fronte dei quali risponde:
    *Secondo me, non per incompatibilità “con il contesto culturale e politico occidentale moderno”, ma perché *troppo* occidentale (o *occidentocentrico*) nel suo prevedere di fatto una integrazione o per assimilazione o *soltanto* multiculturale. Il limite per me sta qui: l’integrazione è pensata *soltanto* come integrazione culturale, tiene conto esclusivamente di quello che gli uomini *credono di essere*.
    Quindi esporre queste persone ad un “occidentocentrismo” spinto è deleterio!
    Ma non è occidentocentrico il pensiero che solo da noi e con noi dovrebbero trovare salvezza?
    Perché non imparano a lottare per la loro libertà nei loro paesi? Quando certi ‘regimi’ si vollero abbattere, furono abbattuti. Perché questi, no?

    La seconda domanda riguarda il Tribunale dei popoli chiamato in causa.
    – E se questo fantomatico Tribunale si attivasse invece per trovare VERAMENTE (a livello teorico e pratico) le modalità “non capitalistiche” di sfruttamento di questa particolare ‘forza lavoro’ oggi reclutata, illusa, utilizzata (appunto) dal sistema e sulla quale poi, al primo incidente, si piangeranno amare lacrime di coccodrillo, non sarebbe forse meglio?
    Invece, purtroppo, non è così.
    Leggo Buffagni che si rivolge a Ennio: * Se tu dici: “la struttura economica determina la sovrastruttura, e insito nella dinamica della struttura c’è il rovesciamento dialettico da capitalismo a comunismo”, e poi invece il rovesciamento dialettico da capitalismo a comunismo NON c’è, ti sei fregato con le tue manine, e l’unica via ragionevole che ti resta è adeguarti al capitalismo e prenderlo così com’è e come non può non essere, visto che è, appunto, “la struttura” che determina tutto il resto. ……
    Tu dici, “ma se ci fosse la giustizia sociale l’integrazione avverrebbe”. Ma la giustizia sociale non c’è, il comunismo figuriamoci, e le condizioni materiali di vita non cancellano “quel che gli uomini credono di essere”, anche perchè NON c’è una posizione oggettiva*.
    O leggo Cristiana, che, citando A. Visalli: *“bisognerebbe farla finita con l’austerità, ed investire molti punti di Pil, per molti anni, per ritornare vicino alla piena occupazione, perché solo un paese in piena occupazione, come dice opportunamente Stiglitz, e con un mercato del lavoro sano, può accogliere nuovi lavoratori senza che si tramuti in una guerra tra poveri”, poi conclude con un *Certo, “bisognerebbe”.*

    Nemmeno io accetto questo sistema, questa sua capacità camaleontica di modificarsi e ripulirsi delle scorie da lui prodotte rovesciandole su altri (altro che lo slogan che “il capitalismo è morto”!).
    Ma intanto dobbiamo confrontarci con questa situazione e non cedere alle lusinghe (che hanno caratteristiche diverse dal pensiero utopico) di chi spinge a vedere le cose in modo ideologico e pertanto fasullo!

    Un’ultima osservazione rispetto alla ‘sofferta’ nota di Revelli, quando scrive: “non era ancora accaduto, nel lungo dopoguerra almeno, in Europa e nel mondo cosiddetto *civile*, che la solidarietà, il salvataggio di vite umane, l’*umanità* come pratica individuale e collettiva, fossero stigmatizzati, circondati da diffidenza, scoraggiati e puniti”.
    Ebbene, le cose non stanno proprio così.
    Innanzitutto, la corsa sfrenata verso il benessere per evitare di fare i conti in modo serio con la sofferenza bellica (le cause e le parti in causa e la posta in gioco), ha senza dubbio cercato di tenere lontani quegli aspetti che pur fanno parte della cosiddetta *umanità*, e rappresentati da quel ‘mostro’ aggressivo che ci fa paura e che alberga in ognuno di noi. La ‘mitologia’ dell’essere tutti buoni come essenza umana (= *umanità* come pratica individuale e collettiva*?!) e che è il Sistema Capitalistico – ça va sans dire e senza aggiornamenti storici – a guastare ogni cosa, ha portato a tutte le manovre di aggiramento, di repressione e di negazione verso ciò che poteva apparire ‘disumano’ a prescindere da qualsiasi analisi sociale, politica, economica.
    In secondo luogo, la corsa al benessere non ha certo favorito tutti, ma ha tagliato fuori molti la cui rabbia è stata sapientemente anestetizzata facendoli includere nel novero di coloro che, nonostante tutto, avevano la Verità e la Ragione dalla loro parte (e, il più delle volte, anche il Benessere e il Potere mediatico).
    Portandoli ad appartenere di diritto al ‘politically correct’, una parte critica di loro è stata silenziata. Gli altri, i dissidenti, i guerrafondai, a morte!
    Una scissione tra ‘buono’ e ‘cattivo’ (in questo caso, non certo tra Bene e Male) difficile da contenere a lungo. Fintantochè non si è raggiunta la sua epitome nell’ossimoro “guerra umanitaria”!
    R.S.

  8. Probabilmente non interessa a nessuno che mi senta confusa e lo dichiari, ma siccome ogni situazione ammette una scelta tra due alternative, la confusione significa che sto divisa tra due alternative contraddittorie.
    Ho già scritto che non dobbiamo imbarbarirci, e credo che sia il modo possibile “di stare addosso ai fatti”, come ha scritto Ennio.
    Ma, ragionando: che l’immigrazione negli ultimi anni in Europa sia qualcosa di diverso e di più dei lavoratori turchi, che sono andati a lavorare in Germania per gli ultimi 40 anni, mi pare evidente. Ora arrivano attraverso il mediterraneo anche dal Bangladesh, con una continuità e quantità notevoli, e vengono per cambiar vita, per istallarsi, non per un periodo di lavoro.
    Per oltre un secolo verso il continente americano sono partiti da tutta Europa, ma al nord e al sud non c’erano già società millenarie con fitta popolazione, bensì Stati nuovi che si sono formati con le migrazioni stesse.
    In Italia possiamo fare spazio, possiamo assimilare alcuni a quelli che siamo, è una questione di proporzioni. Fino a che punto possiamo restare gli stessi accogliendo degli altri? Restare gli stessi, l’identità di una cultura, è un concetto ridicolo se pretende di identificare dei contenuti che definiscono e che non cambiano. Ma c’è una questione di stato, di amministrazione, di gestione della vita comune e quindi dei fattori che la mantengono passabilmente coesa. Buffagni nota che una democrazia rappresentativa a suffragio universale non riesce a gestire gruppi contrapposti di analoga potenza. Con l’ingresso di genti con diverse culture tradizionali, lo stato deve cambiare: indebolirsi per certi lati, con il riconoscimento di enclaves geografiche e addirittura di aspetti legislativi autonomi; ma per altri aspetti lo stato deve rinforzarsi, nella gestione economica per esempio, come è sotto gli occhi di tutti.
    Delle due domande che pone Rita, alla situazione mi pare, più che a qualcuno, “non è occidentocentrico il pensiero che solo da noi e con noi [i migranti] dovrebbero trovare salvezza? Perché non imparano a lottare per la loro libertà nei loro paesi? “ e poi: e se il ‘Tribunale dei popoli’ invocato da Revelli “si attivasse per trovare VERAMENTE (a livello teorico e pratico) le modalità ‘non capitalistiche’ di sfruttamento di questa particolare ‘forza lavoro’ oggi reclutata, illusa, utilizzata (appunto) dal sistema?”, queste due domande chissà quanti se le pongono.
    La prima forse di nascosto, perchè somiglia a un lavarsi le mani dell’accoglienza; la secondo con amaro sconforto, perchè il sistema economico di cui ognuno è pur piccola parte *funziona* così.
    Quindi la confusione: umanità, rifiuto di imbarbarirsi da un lato; realismo politico da contemplare, in Minniti, nelle analisi di Buffagni, nella denuncia di interessi legati a imprese buoniste (cooperative, ong) dall’altra.
    Ennio scrive qualcosa che somiglia a una resa, a una caduta di braccia “si può accettare che ‘una soluzione non radicale ma efficace’ sia al momento quella di Minniti? Io credo proprio di no. Anche se non ho altro da proporre.”
    Io ho da proporre a me stessa solo una specie di coscienza salva, come dire “comunque, preferisco stare addosso ai fatti che stanno avvenendo, cercare di capirli, reagire con quel che politicamente e culturalmente dispongo.”
    Il fatto è che ormai un certo peggio è già avvenuto, la divisione dentro di me è anche uno schieramento esterno piuttosto generalizzato. Faccio del coscienzialismo, ma tacitamente approvo la via di Minniti (ora però lo ho detto!), cioè gli incontri e gli accordi passati e futuri con i ministri degli esteri dei paesi africani da cui avvengono le partenze.

  9. *ma per altri aspetti lo stato deve rinforzarsi, nella gestione economica per esempio, come è sotto gli occhi di tutti*
    Questa, almeno per me, importante frase di Cristiana apre scenari inusitati: di analisi innanzitutto su che cosa è lo stato (e la sua funzione) oggi, e di rivisitazione di alcune categorie a cui una certa tradizione è rimasta per lungo tempo aggrappata auspicando l’abbattimento dello stato in previsione della Rivoluzione dietro l’angolo.
    E’ quindi necessario fare un lavoro di spola tra il presente storico e i nostri referenti culturali che non possono rimanere ‘eterni’ e non sottoposti alla verifica dei fatti!
    Ciò che deve rimanere fermo, invece, è il nostro atteggiamento critico, oggi più che mai necessario.
    R.S.

  10. MIGRAZIONI. BENE, MI SIEDO DALLA PARTE DEL TORTO

    @ Buffagni

    « Quel che sta facendo Minniti è un ventesimo del minimo indispensabile». La tua posizione è quella di un ultra-Minniti, dunque! Condita da disprezzo per imigranti ( « vanno rispediti al mittente i clandestini»), previsioni da apocalissi socio-culturali («a) prima o poi si ricorrerà, da parte di qualche Stato o con il do it yourself, a mezzi che mi gelano le ossa b) si sfalderanno le società europee») , informazioni riservate che il “poppolo” non ha («non riferisco quel che mi dicono da anni, in confidenza, amici che lavorano in quel campo»), esaltazione del populismo («la ribellione del buonsenso»), imputazione agli “umanitari” di produrre «un’ideologia inumanitaria eguale e contraria». Non resta che chiudere il discorso. Anche perché i nostri scambi su Noventa, Fortini, Del Noce e compagnia bella rischiano, alla luce di queste posizioni sulle migrazioni, di diventare ricami decorativi o «fiori sulle catene».
    Quindi, pur riconoscendo una certa retorica umanitaria nelle posizioni di Revelli o di altri (leggo stamattina questa cronaca dello sfacelo etico-politico in atto: https://anticapitalista.org/2017/08/13/ritorniamo-umani-e-solidali/) mi metto brechtianamente «dalla parte del torto», dalla parte loro.

    @ Rita Simonitto

    Sai che sono fin troppo attento alle riflessioni a sfondo psicanalitico su l’Altro, sulla complessità della costruzione di una «relazione» , sulla necessità di operare « per piccoli gruppi», sui rischi d’infiltrazione nei discorsi politici di «nostre proiezioni» e «nostri desideri», sulla necessità del « riconoscimento delle regole, dei limiti», sul “sangue versato” nel periodo delle primavere arabe, sulla strumentalizzazione della Memoria), ma… tutte queste raccomandazioni o allertamenti perché si accumulano insistentemente quando affrontiamo la questione dei migranti?
    Quali sarebbero le «analisi sensate» su questo tema? Quelle di Buffagni? Dove la vedi tu, in questa fase ormai “minnitiana” e “respingente” della questione migrazioni, la facilità di «smuovere gli animi» da parte di Revelli, quando – secondo me – gli animi sono stati induriti da decenni di “dalli agli invasori” ? Quanti sarebbero, sempre in questi anni, quelli che si fanno “strappare le lacrime” dai discorsi degli “agnelli-Revelli” e quanti quelli che applaudono «la ribellione del buonsenso» dei “lupi-Minniti/Salvini”? E, in attesa di sapere di sapere « quali accordi ci sono stati e con quali potenze straniere per operare questo cambio di rotta» del PD di Renzi e Minniti o del Papa, non dovrei esprimere il mio ribrezzo per questa riduzione dell’Altro a Cosa? O, visto che la “realtà” mi è sempre « in gran parte sconosciuta», me lo dovrei tenere dentro in attesa di prendere (non si sa quando) posizioni «drastiche e sicure»? Oppure avrei dovuto suggerire ai migranti che rischiavano di crepare attraversando il Mediterraneo per arrivare al “finto Eldorado” di «lottare per la loro libertà nei loro paesi»?
    No, piatto piatto: non ci sto. Le tue considerazioni, che pur nascono dalla non accettazione di «questo sistema», sono troppo preoccupate di scivolare sulla buccia di banana del «pensiero utopico» e si fissano a cercare il pelo nell’uovo nelle argomentazioni di chi si appella alla « cosiddetta *umanità*».

    @ Cristiana Fischer

    Mi pare che il tuo dichiararti «confusa» e « divisa tra due alternative contraddittorie» (non imbarbarirsi da una parte, «realismo politico da contemplare, in Minniti, nelle analisi di Buffagn») sia solo un accorgimento retorico “sofferto” per arrivare alla resa: « Faccio del coscienzialismo, ma tacitamente approvo la via di Minniti».

    Dunque, posso solo ripetere: io non ci sto.

    1. Beato te che sei tuttodunpezzo. Non ci stai: a Minniti. Ci stai a che cosa? Che tutto continui come sta andando? Perché, dichiari, “non ho altro da proporre”. Oltre a criticare chi si industria a analizzare e distinguere.
      Magari senza sofferenza, ma risulti
      inchiodato sull’esistente.

        1. Battuta facile: è un esistente… “in cammino”. Sono certa che non si può, per ragioni dette e immaginabili, mantenere lo stallo. Vedi su fb nella bacheca del gruppo Network per il socialismo europeo il post di Claudio Bazzocchi: ONG, del 14 agosto, con la discussione che segue di Visalli e D’Antoni. Ragionare, distinguere, progettare, sono comportamenti necessari per agire.

          1. Eh, già ! Minniti è come Napoleone Napoleone a Jena secondo Hegel:“ lo spirito del mondo che lo domina e lo sormonta “. Magari da un elicottero
            invece che da un cavallo. E qua su Poliscitture si fa di tutt’erba un fascio e si agisce senza “ragionare,distinguere, progettare”.

          2. Non esageriamo, Ennio. Non affermo quello che tu mi fai dire: la discussione tra Visalli e D’Antoni è un pacato ragionare su ONG e stato. Anche Nadia Urbinati ragiona di stato e confini. Anche noi qui però stiamo a ragionare, altrimenti che scrivo a fare?
            Riscrivo, sperando di non ritrovarmi ancora tue risposte-paradosso. I tuoi tre “non ci sto” accoppiati al non proporre altro che respingere l’azione di Minniti (ma ho specificato quale: trattare con i ministri degli interni suoi omologhi di alcuni paesi africani) non schiodano la situazione, non quella reale che nessun commento cambierà, ma quella nelle nostre teste.
            Infatti occorre un lavorio per combinare significato delle Ong con i confini statal; la concorrenza dei migranti sui lavoratori interni (a proposito si veda cosa è capitato a questo laureato in agraria: https://www.facebook.com/matteo.mattioli.94?hc_ref=ARTzntwtw9w53KzRCOhMvZMUl_P2ueknsaCGOpZEw4tKG_IqJ9EVrD-5ZOEaGnAqISM&fref=nf); l’ordoliberismo e la crisi in Italia; gli schieramenti politici a sinistra per le prossime elezioni e i migranti… e chi più ne ha. O ulteriori conoscenze in questo campo sono fatto superfluo?
            Va bene discutere, ma senza accuse morali: (parlo solo per me) la mia “resa”? a chi o a che? a Minniti in persona? o forse al… disumano?
            Se le posizioni vengono classificate come rese morali, e con umano e disumano, ogni discussione diventa insensata, non ti pare?

  11. al Moderatore. Ho risposto a Ennio Abate, ma il commento non compare, ci dev’essere qualche inconveniente tecnico. Si può rimediare, per favore?

      1. Riprovato due volte, rifallito, il sistema mi risponde “sembra che tu abbia già pubblicato il commento”, e in effetti ci ho provato due volte invano. Te lo mando per posta elettronica, ciao.

  12. Nota di E. A.
    Questo è il commento che Roberto Buffagni non è riuscito a pubblicare oggi pomeriggio e che mi ha inviato per posta elettronica.

    Caro Ennio,
    il “disprezzo” per gli immigrati che mi attribuisci ce lo metti tutto tu, mai disprezzato categorie umane all’ingrosso: mi limito a disprezzare (molto di rado) singole persone che conosco bene. I clandestini vanno rispediti al mittente perchè nessuna società e nessuno Stato può permettersi di avere sul proprio territorio milioni di stranieri illegali (col trend attuale, parliamo di milioni).

    Trovo un po’ buffo e preoccupante che tu reagisca a quel che scrivo come se mi fossi tolto la barba finta e mi fossi rivelato quel che sono, un superminniti inumano infrequentabile. Ma io l’ho sempre sostenuto, quel che dico qui, e anche argomentato. Quanto alle “informazioni riservate nascoste al poppolo”, banalmente conosco persone che lavorano nelle FFAA e nelle forze dell’ordine, ogni tanto ci parliamo, e mi raccontano da anni, più in dettaglio e decisamente più in peggio, le cose che prima non leggevi sui giornali, oggi invece sì perchè il Ministero degli Interni gli dà il semaforo verde in seguito alla sconfitta elettorale del PD: cosa fanno le ONG, per esempio; più altre cose tipo i rapporti tra mafie e la filiera dell’immigrazione, con coloriti aneddoti. Sono informazioni che, in forma più asettica, si possono trovare in lavori accademici come questo libro di una studiosa USA, qui una recensione: http://www.analisidifesa.it/2017/04/armi-di-migrazione-di-massa/

    Lo trovo un po’ buffo, perchè il pulpito comunista da cui viene la tua predica non è il più adatto alla predica sulla mia “inumanità” verso gli immigrati. Cristo, ragazzi: ma me lo ricordo solo io che il Manifesto e in generale la “sinistra critica”, Fortini compreso, si sperticava in elogi per l’umanità del compagno Mao e della Rivoluzione Culturale? (milioncini di morti, lager) Trovava assai interessante l’esperimento del compagno Pol Pot, fino alle scoperte di affollatissimi cimiteri? Eccetera eccetera? e se la piantassimo di fare gli umani di professione dall’alto del Sogno di una Cosa, così umano finchè lo si sogna, così meno umano quando ci si sveglia?

    Preoccupante, perchè la tua reazione, e il modo della tua reazione, “non resta che chiudere il discorso…fiori sulle catene” eccetera, come se il tuo interlocutore (io) avesse sostenuto posizioni sterministe, razziste, naziste, sataniche e così via, temo metta in luce una reazione riflessa, di rifiuto totale e demonizzante, che non è solo tua. E questa non è una buona cosa, proprio per le ragioni che ti ho illustrato più volte: se tu e chi ragiona e/o reagisce come te replicate così a una persona moderata, affabile, assolutamente non razzista o sterminista come il sottoscritto; tu/voi su questa cosa (e su altre) siete incapaci di ragionare e di discutere, e svirgoli/svirgolate subito nella contrapposizione curva Sud/curva Nord. Bada bene: non solo nella contrapposizione amico/nemico, che non esige la demonizzazione dell’avversario: ma proprio nella contrapposizione amicizia/inimicizia assoluta, quella tipica delle guerre di religione, o delle guerre civili su base etnico-religiosa-ideologica. Bravo/i, avanti così e l’inimicizia assoluta che evocate con questo registro ve la troverete di fronte, e rimpiangerete amaramente il dialogo civile con l’avversario moderato, che la pensa molto diversamente da voi ma è disposto ad ascoltarvi e a cambiare almeno parzialmente idea, se lo persuadete (N.B.: con questo linguaggio non persuaderai/persuaderete nessuno tranne i già persuasi).

    Per concludere, ti rammento che la parte in cui ti metti e che brechtianamente chiami “la parte del torto” è poi la parte di “La Repubblica”, dei democrats americani, di tanta gente nient’affatto umiliata e offesa. Meno saccarina, please.

  13. Roberto, a me la tua frase « vanno rispediti al mittente i clandestini» ha fatto pensare proprio all’uomo ridotto a cosa, che può essere rispedito come fosse un pacco. Ci ho visto il rifiuto di riconoscere all’uomo migrante la minima autonomia. Perché non è visto come un uomo che cerca di liberarsi da una condizione che egli , a torto o a ragione, sente come intollerabile e per cui tenta la fuga (liberatoria o tragica o inutile), ma un pacco appunto: spedito da un mittente e da rispedire al medesimo.
    Come non sentire in queste parole che hai usato una dose di disprezzo per l’immigrato clandestino in questione? Chi chiama gli immigrati col termine di ‘invasori’ usa forse un termine neutrale o scientifico? A me, dunque, pare ci sia una connotazione negativa e sprezzante. E ho voluto evidenziarla.

    Giustificare tale atteggiamento xenofobo (questo mi pare il termine adatto) con l’argomento che « nessuna società e nessuno Stato può permettersi di avere sul proprio territorio milioni di stranieri illegali» è il punto di vista di una parte di questo Paese, che ora si fa forza anche dall’essere divenuta maggioritaria politicamente (Lega, M5S, PD, FI, ecc.). Tu lo formuli in maniera davvero apodittica e in più con quel termine ‘illegali’, che ancora una volta connota solo negativamente questi uomini. E così tagli corto su una serie di legittimi ( per me) dubbi sulla sua reale oggettività. Altri – tiriamo in ballo il solito Visalli – hanno affrontato la questione in modi più problematici. Li preferisco, anche se non li condivido in pieno.

    Certo, tu hai sostenuto e argomentato da tempo questa tua posizione nazionalista ( e patriottica). Ma per me uno che scrive: « Quel che sta facendo Minniti è un ventesimo del minimo indispensabile» giustifica la mia battuta: «La tua posizione è quella di un ultra-Minniti, dunque!».
    Non è che ti considero per questo «infrequentabile» ( siamo del resto impediti dal vivere in città distanti tra loro) o ti attribuisca « posizioni sterministe, razziste, naziste, sataniche e così via», ma – questo era il senso del mio « Non resta che chiudere il discorso» – non vedo come si possa approfondire insieme la discussione sul tema delle attuali migrazioni se la scelta – da parte tua convinta, da parte di Cristiana Fischer obtorto collo – è stata fatta. Tu ti riconosci in Minniti, io in Revelli. Dimmi tu, che possiamo fare insieme? Collaborare no. Rammaricarci della realtà che viviamo e che purtroppo ci ha sempre abbastanza divisi e ora, su tale questione, ci vede su sponde opposte, sì. Resta forse la possibilità di mostrarci ancora reciprocamente i buchi delle nostre contrapposte posizioni, magari con segnalazioni come quella del link che mi hai inviato. Quindi lascia perdere Schmitt e l’«inimicizia assoluta», per piacere.

    Ancora una volta però devo correggerti, pur restando dal mio “pulpito” di comunista (piuttosto isolato e solitario direi). Non ho parlato di una tua “inumanità” verso i migranti. Ho, come spiegato sopra, trovato sprezzante verso questi uomini quella tua espressione. Resta che approvare le operazioni di Minniti, che per me sono inumane come dice Revelli, comporta una responsabilità morale e politica. Un po’ come quando votiamo il partito X o Y o non votiamo. Ma ciascuno si prende le sue, si sceglie i suoi sodali. E risponderà a dio o a qualche eventuale tribunale della storia.

    Che Fortini si sperticasse «in elogi per l’umanità del compagno Mao» o fosse uno di quelli che parlasse « di professione dall’alto del Sogno di una Cosa, così umano finchè lo si sogna, così meno umano quando ci si sveglia» lo nego. Né mi risulta che trovasse «assai interessante l’esperimento del compagno Pol Pot». Se hai prove, portamele e le valuto assieme a te e ad altri. So invece di un suo sconcerto da vecchio di fronte a notizie su aspetti della storia della Cina maoista portategli da Renata Pisu. Ma è roba vecchia e dovrei fare una ricerca in proposito, che ora non mi è possibile. A me va benissimo comunque approfondire i disastri delle costruzioni socialiste in Urss e in Cina, a patto che non si parta dal «Libro nero del comunismo» ( e lì ci si fermi).

    Infine, no, ti sbagli la mia «parte del torto» è incompatibile con “La Repubblica”.

    1. Caro Ennio,
      in breve:

      1) Cina, Cambogia, Manifesto, Fortini. Non ho voglia di fare ricerche in biblioteca per documentare gli abbagli della “sinistra critica” sul compagno Mao e il compagno Pol Pot, ci sono e chi ha la nostra età se li ricorda. Fortini, che era una persona intelligente, di Pol Pot non si innamorò mai, della Cina di Mao sì, come attesta “Asia maggiore”, 1956, un diario di viaggio in Cina in cui Fortini, oltre a scrivere delle belle pagine impressionistiche su paesaggio della Cina e contadini cinesi, fa l’Alice nel Paese delle Meraviglie credendo a tutto quel che gli ammanniscono i suoi tour manager (il Céline non ancora fascista ma già scettico e scafato, in viaggio in URSS vent’anni prima, NON ci è cascato, probabilmente uno dei motivi per cui è diventato fascista è proprio quel viaggio). In quegli anni Cinquanta, uscivano sulla stampa capitalistica anglo accessibilissima a Fortini notizie di un paio di milioncini e mezzo di “nemici di classe” non meglio specificati appena sterminati a freddo dal compagno Mao dopo la guerra. Fortini non è il solo a sorvolare, c’è un interessante scambio di lettere tra Piero Calamandrei e suo figlio, allora giornalista dell’Unità che si occupava dell’Oriente, in cui Piero chiede notizia degli sterminati, se sia vero o no, o aggiunge che se fosse confermata la notizia sarebbe grave PER LE RIPERCUSSIONI PROPAGANDISTICHE favorevoli al campo avverso (Calamandrei non era neanche comunista, ma azionista). Se serve ho anche il riferimento bibliografico. Con questo non voglio dire tutti cretini o fanatici i sinistri, voglio dire che sarebbe ora di lasciar perdere questa storia della superiorità morale della sinistra (specifica tu quale che mi va bene) in quanto essa sinistra cià la supergiustificazione etica di volere il riscatto dell’umanità eccetera. Il campo avverso al tuo di porcate non ne ha fatte meno, non mi metto a fare la conta dei morti. Però veramente basta con questo fine superiore e umano che dà il sigillo di garanzia a tutto, perfavore, ci vuole l’apocalissi nucleare per farvela smettere? Parlare a nome dell’umanità evidentemente dà alla testa, un po’ di modestia mai?

      2) Cosa possiamo fare insieme? Parlare. Se tu mi dai dell’inumano, di cosa vuoi che parliamo? Con gli inumani, per esempio le bestie o i mostri o i minniti & superminniti, non si parla, o perlomeno non ci si attende che rispondano. Perchè, in nome di Dio e di tutti i suoi surrogati, perchè sarei “inumano” se chiamo clandestini i clandestini e illegali gli illegali? Cazzo, sono illegale e clandestino anche io se entro in Marocco senza il visto! Credi che mi scordi che gli illegali e i clandestini sono anche uomini con anime, etc.? ma perchè mai?! Lo so benissimo, e mai l’ho negato, pubblicamente o privatamente. Se li voglio rispedire al mittente è perchè un Posto dove ci sono milioni di persone straniere che hanno varcato illegalmente i confini è un Posto dove: a) il lavoro nero svetta alle stelle b) i salari degli autoctoni si inabissano c) la sicurezza di tutti è gravemente compromessa d) se come è presumibile i suddetti clandestini si organizzano per proteggersi hai delle zone extraterritoriali dove non entra la polizia, non entrano gli autoctoni che anzi ne scappano, ed entrano invece le mafie che ci fanno grossi affari d’ogni genere tranne il genere pulito e) e ci può anche scappare una bella guerra civile.
      Ti piace un posto così? A me, no.

      3) il problema di fondo di questa supergiustificazione etica della sinistra garantita dal fine superiore e umano che essa persegue è questo: a) giustifica ogni porcata e giustifica anche il patetico e postumo “scusa, ci siamo sbagliati, faremo meglio la prossima volta”, il “ritenta, sarai più fortunato” del grattaevinci cosmico b) cosa più grave, porta chi ci crede a implementare linee politiche e culturali che funzionerebbero solo se tutti fossimo buoni. Siccome poi non è vero che siamo tutti buoni, le suddette linee provocano disastri tremendi, e i loro autori, invece di dirsi “non abbiamo capito niente”, danno la colpa alla società che non li sta a sentire e che impedisce all’universale bontà potenziale degli uomini di attualizzarsi.

      4) Mi viene in mente adesso, a difesa di Fortini, che in una sua recensione a Solgenitsin (digressione: meritorio che lo recensisse, mi disse una sera a cena Domenico Porzio, allora alto dirigente di Mondadori, che per il lancio di “Arcipelago Gulag” non trovava nessuno che lo recensisse); in una sua recensione a S., Fortini dice: “il discorso di S. è tutto neocristiano. Se ha ragione lui abbiamo sbagliato tutto”. E in effetti, è proprio così: lui e in generale i comunisti, ortodossi e no, hanno sbagliato tutto. Non nel senso che tutto ciò che hanno fatto è merda, ma nel senso che il celeberrimo fine superiore di riscatto dell’umanità eccetera, E’ SBAGLIATO, ripeto sbagliato. Mi dispiace, ma è andata così. E’ capitato altre volte ad altri, nella storia, farsene una ragione mai? Rivedere almeno le linee strategiche di fondo, no? Conservare i principi e le intenzioni, sì, ricascare negli stessi errori, per favore, no. Si possono anche fare sbagli diversi, santo Dio, un po’ di novità…

  14. @ cristiana fischer 16 agosto 2017 alle 19:06

    Cristiana, se tu scrivi « « Faccio del coscienzialismo, ma tacitamente approvo la via di Minniti» a me pare un modo di arrendersi al «realismo politico» di Minniti. Una cosa è subirlo perché è lui il più forte, altra è approvarlo nella propria mente o coscienza o anima ( vedi tu…). È questa approvazione che non intendo dare. So che i nostri commenti non cambieranno la situazione, ma questo introiettare quel *suo* realismo politico di uomo di governo non riesco a sopportarlo. Mi vuoi dire poi che senso ha accumulare «ulteriori conoscenze» sulle migrazioni se si approva l’operato di Minniti?

    1. La discussione si è inasprita “dopo Minniti”: articoli di Revelli, scambi su fb Abate-Buffagni, infine sul sito, cioè qui.
       Era dunque meglio prima? “Prima di Minniti” i migranti stavano meglio? Nei container descritti da Quirico ci stavano da prima, derubati e picchiati. Gestiti nelle traversate del deserto e del mare da bande militarizzate e criminali, anche prima.
      Che ha fatto Minniti? Accordi tra stati, tra autorità legittime, per contenere a vari livelli *geografici* il flusso. Ha fatto questo, non ha creato le prigioni in Libia (forse le ha riempite un po’ di più), e ha aperto un confronto tra autorità dello stato e Ong.

      Su questo c’è una questione di conoscenza. Ieri ho letto che le Ong funzionano per gli stati oggi  dominanti come i missionari funzionavano per quelli coloniali dal 1500 in poi, una buona osservazione mi pare. Gli Stati uniti hanno usato le Ong per le primavere arabe, e i caschi bianchi con le loro false notizie per la Siria. La Juventa è di una Ong tedesca e altre Ong sono tedesche. Le Ong sono portatrici di una ideologia universalista superiore per valore agli stati. Su questa petizione di principio e sui loro fondi c’è da lavorare con i ragionamenti.
      Sì, sto con Minniti e gli stati e non con quei soggetti che si pretendono sopra la legge come le Ong. Fanno sussidiarietà o incarnano una idealità autoattribuita? Sono finanziati solo dai contributi della gente che crede in valori superiori a quelli del realismo politico?

      Qui si apre, secondo me, un altro piano di ragionamento. Astratto, ma con cui si ha a che fare ogni momento. I princípi: gli umani non sono oggetti, ma soggetti. Soggetto è anche “sottoposto”, è una passività che subisce quello che attraversa nel vivere. Non è solo libertà  affermativa. Non la faccio lunga: i princípi sono regolativi ma non esistono in un mondo parallelo, nell’unico mondo reale siamo soggetti all’insieme di volontà e condizionalità complessive.

      Torno all’inizio: era meglio per i migranti “prima di Minniti”? No. Cosa succede “dopo Minniti”? Che tra i tanti soggetti in azione c’è anche lo stato italiano con più iniziativa e qualche linea direttiva. È peggio per i migranti? Non nei trattamenti che subiscono, *ma si  riducono le possibilità di emigrare*. Anche i missionari salesiani nei paesi africani cercano di convincerli a non partire. Ci sono ragioni sensate per comprendere le loro partenze, ma altre per immaginare che avrebbero una funzione restando.
      Non siamo noi a dover decidere per loro, è vero. Però sappiamo bene quanto c’è di falso nei messaggi che li raggiungono e che avvallano le loro partenze.

      Riassumo quello che ho scritto: sui migranti i princípi hanno un ruolo, regolativo, ma non creano una realtà effettiva, non esiste un mondo parallelo in cui combattono Umano e Disumano; nella realtà effettiva è meglio che soggetti concreti esercitino posizioni piuttosto che solo subire quelle degli altri.
      Revelli e tu, Ennio, nella mia considerazione, intrecciate princípi fuori dalle circostanze effettive e da quelle possibili.

  15. Segnalo un articolo di Alessandro Dal Lago che:
    1 Inizia con questi dati reali:
    Minniti è responsabile di una serie di decreti “campi di detenzione per stranieri, decreti sull’ordine pubblico dal sapore scelbiano, rastrellamenti di migranti nelle grandi città, il codice imposto alle Ong e gli accordi sottobanco con la Libia”.
    2 Però Dal Lago informa in modo incompleto:
    * l’intenzione del ministro di governare i flussi significa “impedire che i migranti arrivino, delegando alla Libia e agli stati sub-sahariani il loro controllo e la loro espulsione verso i paesi d’origine…” In realtà il ministro ha preso accordi anche con paesi di partenza, il 24 luglio a Tunisi c’erano, tra altri, i ministri di Algeria, Ciad, Egitto, Libia, Mali, Malta, Niger e Tunisia;
    * “ora i libici, a cui l’Italia fornisce denaro, armi e mezzi navali faranno il lavoro sporco per noi e per un’Europa indifferente. Il lavoro sporco – altro che governo dei flussi – consiste nel respingerli verso l’Africa profonda, internarli nei campi, di cui recentemente Domenico Quirico su La stampa ha descritto l’orrore…” Ma Quirico descrive campi che esistevano già prima degli accordi. Minniti ha dichiarato il 15 agosto, nel tradizionale incontro con la stampa, che verranno date delle somme per l’accoglienza nelle città libiche e per le organizzazioni umanitarie delle nazioni unite.
    3 D.L. usa toni faziosi:
    “dopo una campagna forsennata contro le Ong, culminata nel suo famoso codice…” Ci sono stati dei fatti che riguardavano delle Ong, evidenziati da uffici giudiziari, non una *campagna*. Con il *famoso codice* si afferma la sovranità dello stato rispetto ai comportamenti di compagnie private, sia pure ispirate da alte idealità.
    4 Dipinge l’Europa e l’Italia come mostri senza cuore, dando per scontato che vogliano solo allontanare dagli occhi il problema migranti per mano degli orchi libici. Sempre il 15 agosto il ministro ha affermato che l’Italia continua a essere pienamente impegnata nel salvataggio in mare, dove operano anche le 5 navi delle Ong che hanno firmato il codice.

    http://www.dirittiglobali.it/2017/08/caro-ministro-non-sinistra-copiare-la-destra/

  16. @ Ennio

    Ma no, ma no, Ennio! Perché sederti dalla parte del torto! Non facciamo i bambini capricciosi in una situazione di grave marasma come l’attuale in cui emergono notizie (e anche se fossero “fake news”, perché adesso?) allarmanti su come i vari governi gestiscono (e hanno gestito) la situazione ‘migranti’!
    Simili tuoi atteggiamenti *non schiodano la situazione – come scrive Cristiana – non quella reale che nessun commento cambierà, ma quella nelle nostre teste.
    Infatti occorre un lavorio per combinare significato delle Ong con i confini statali; la concorrenza dei migranti sui lavoratori interni, l’ordoliberismo e la crisi in Italia; gli schieramenti politici a sinistra per le prossime elezioni e i migranti… e chi più ne ha*. Non è più tempo di fare ‘i soliti scissionisti’: “o con me o contro di me”!
    Aggiungiamoci anche (sempre su citazione di Cristiana) * Ieri ho letto che le Ong funzionano per gli stati oggi dominanti come i missionari funzionavano per quelli coloniali dal 1500 in poi, una buona osservazione mi pare. Gli Stati uniti hanno usato le Ong per le primavere arabe, e i caschi bianchi con le loro false notizie per la Siria. La Juventa è di una Ong tedesca e altre Ong sono tedesche. Le Ong sono portatrici di una ideologia universalista superiore per valore agli stati.*.
    A me sembra molto rischiosa e pericolosa la posizione di una ideologia *universalista superiore per valore agli stati*. Checchè se ne possa pensare degli Stati!

    La affermazione di Buffagni: * I clandestini vanno rispediti al mittente perchè nessuna società e nessuno Stato può permettersi di avere sul proprio territorio milioni di stranieri illegali*, non significa trattarli come *pacchi*, non facciamone una questione di ‘lana caprina’! E nemmeno attribuire loro, in toto, senza i dovuti distinguo, che invece pare siano più che necessari, l’attribuzione di ‘autonomia’: *Ci ho visto il rifiuto di riconoscere all’uomo migrante la minima autonomia. Perché non è visto come un uomo che cerca di liberarsi da una condizione che egli , a torto o a ragione, sente come intollerabile e per cui tenta la fuga (liberatoria o tragica o inutile), ma un pacco appunto: spedito da un mittente e da rispedire al medesimo.*
    Perché quella supposta ‘autonomia’ ce la vedi tu: è alla fonte che costoro vengono sballottati e trattati come merce di scambio – abusando proprio della loro incapacità di autonomia e di discernimento – e qui, nell’accettare questo scambio, diventiamo complici, lo ratifichiamo. Anche se cerchiamo di ‘edulcorarlo’. Alla ‘occidentale’, come al solito: dopo le guerre, i massacri, gli aiuti umanitari!
    Tu scrivi: *chi chiama gli immigrati col termine di ‘invasori’ usa forse un termine neutrale o scientifico?*. Certo che no. E’ un termine descrittivo che definisce chi occupa, non chiamato, un posto che non dovrebbe occupare perché non è suo di diritto (anche se sul ‘diritto’ ci sarebbe un discorso lungo da fare per chi fa fatica ad accettare che ci siano dei ‘diritti statuiti’). Non c’è nessun discorso morale in tutto ciò bensì educativo, così come si insegna in famiglia (ma oggi, dov’è la famiglia?) che i figli devono rispettare gli spazi dei genitori.
    Altrimenti, se esuliamo dai ‘fatti’, Brecht per Brecht, stralcio questi passaggi dalla sua famosa “Lode al dubbio”:
    “Non credono ai fatti, credono solo a se stessi./ Se occorre, tanto peggio per i fatti”.
    E più avanti: “Sotto l’ascia dell’assassino/ si chiedono se anch’egli non sia un uomo”.

    Io so che tu sai che io so che non sei digiuno delle dinamiche psicologiche, ma io so anche che tu sai che io so che tu non sei digiuno nemmeno di quelle politiche, ma non scriviamo soltanto per leggerci fra noi due.
    E se oggi ti chiedi (e mi chiedi) “perché proprio adesso con i migranti?”, ti rispondo che è perché adesso siamo arrivati al “come volevasi dimostrare” di certe segnalazioni che pur a suo tempo vennero fatte, anche se inascoltate.

    Io credo che sia importante definire da quale punto di vista osserviamo la situazione.
    E mi veniva in mente la risposta data da Freud al Pastore Pfister (suo amico, il quale lo sollecitava a prendersi carico dell’umano): “Io mi occupo di scienza, Pfister, il pastore di anime è lei!”.
    E, nello stesso tempo, contemplare i problemi che derivano dall’assumere l’una o l’altra posizione: se diamo la preminenza al punto di vista politico/strategico (oggi più che necessario) non significa dimenticare quello ‘umano’. Mentre, purtroppo, credo sia difficile praticare il secondo con la stessa flessibilità: e cioè se do la prevalenza all’Umano (con la maiuscola) sarà difficile accedere al linguaggio ‘politico’. Quest’ultimo diventerà di per sé ostico, ostile per definizione ad ogni idea di Umanità.

    R.S.

    1. @ Rita Simonitto

      Sì, forse non ci sono neppure sedie dove sedermi dalla parte del torto, ma la differenza di giudizio sull’operato di Minniti è pesante. E non rinnego le ragioni che mi hanno fatto scrivere a Roberto:

      « Non resta che chiudere il discorso» – non vedo come si possa approfondire insieme la discussione sul tema delle attuali migrazioni se la scelta – da parte tua convinta, da parte di Cristiana Fischer obtorto collo – è stata fatta. Tu ti riconosci in Minniti, io in Revelli. Dimmi tu, che possiamo fare insieme? ».

      Perché, il problema più immediato che vedo è proprio questo. Continuiamo pure a parlare o a competere dialetticamente con argomenti contrapposti, come stiamo facendo, ma ciascuno di noi in cuor suo sa che, se dovessimo fare qualcosa di sostanziale a favore o contro i migranti lo dovrebbe fare da solo. Non si è, in queste discussioni, costruito nessun *noi* che, per me , è lo scopo minimo di Poliscritture, la ragione per cui discutiamo.
      Da qui a considerarci definitivamente cani e gatti o nemici o infrequentabili, come temeva Roberto, ce ne passa. Ma ammetterai che cala la voglia di confrontarsi con chi pensa sistematicamente il contrario di quel che tu pensi. Parlare per parlare? A me pare poco, ma comunque ancora non mi rifiuto.

      E torno al ping-pong.
      1.
      A te pare una buona osservazione che le Ong sono « funzionano per gli stati oggi dominanti come i missionari funzionavano per quelli coloniali dal 1500 in poi», ma io vado a leggermi – credo – lo stesso articolo che circola sul Web (http://appelloalpopolo.it/?p=33558) e lo trovo pessimo. E riporto qui il commento che ho lasciato su POLISCRITTURE FB:

      “Boh, il fatto che ammette che “non tutte le ONG fanno il lavoro per la CIA” senza dare dati precisi (per valutare quanto siano rispetto alle “manovrate”) già m’insospettisce. Che lui, così competente su tante questioni mondiali, dica di non avere “le competenze per commentare le attività delle varie ONG tedesche”, mi aggiunge altri sospetti. Quali? Per me si tratta di guerra psicologica, di propaganda. Dar credito a queste *dicerie* , che rimangono generiche e non documentate a sufficienza, a me pare un po’ masochista. Che ci siano i servizi segreti e che complottino è certo. Ma come si fa ad entrare in tale labirinto senza confondersi? E queste interviste non è che aiutino ad uscirne. Non si può poi cedere al messaggio di fondo di questi discorsi. Che è, secondo me, deleterio ed è riassumibile così: perdete ogni speranza voi che lottate e cercate di costruire movimenti antisistemici o anticapitalistici. Credete di liberarvi dalle catene, ma siete solo e sempre delle pedine manovrate da Grandi Burattinai. Lasciate fare la politica ai professionisti, agli statisti, ai nazionalisti.[E. A.]”

      2.
      A te pare « molto rischiosa e pericolosa la posizione di una ideologia *universalista superiore per valore agli stati», ma io ho scritto: «Fossero davvero le Ong «portatrici di una ideologia universalista superiore per valore agli stati»! Io ne sarei ben contento.»;

      3.
      Tu minimizzi il paragone implicito clandestino=pacco da rispedire («non facciamone una questione di ‘lana caprina’!». Io lo ritengo una prova linguistica di un modo sbagliato e ostile di concepire i rapporti tra umani.

      4.
      Io dico di « riconoscere all’uomo migrante la minima autonomia» e ipotizzo che non sia completamente uno strumento in mano alla Cia, agli scafisti, ecc. e tu mi fai notare che «quella supposta ‘autonomia’ ce la vedi tu». E mi contrapponi la tua interpretazione: «costoro vengono sballottati e trattati come merce di scambio – abusando proprio della loro incapacità di autonomia e di discernimento ».
      Cosa possa aggiungere? Che emigrare in quelle condizioni comporta per forza di cose una autorepressione delle proprie facoltà intellettive e del proprio sentire. Che, entrando in quei rapporti di violenza per venire qui, quei migranti debbono necessariamente *sforzarsi* di diventare soltanto «merce di scambio». Non possono scegliere, come fanno i turisti all’agenzia viaggi, di essere spensierati ( e neppure “umani”).
      Non credo di essere complice degli scafisti o di edulcorare questa realtà (che non afferro bene, è vero) se in quella «merce di scambio» voglio vedere ancora e soprattutto un uomo o una donna o un bambino o un vecchio, ecc. O pensare che , salvandoli dalla morte, essi abbiano la possibilità di tornare a essere “umani”. Mentre se quella «merce di scambio» non deve arrivare assolutamente qui, come vuole ora Minniti, con tutta probabilità verrà mandata al macero. Accettare questa seconda soluzione – probabile, quasi certa per quel che si sa delle prigioni in Libia e della situazione di guerra in quel Paese devastato- , non sarebbe edulcorare la realtà ? Non si diventerebbe complici di Minniti?

      5.
      Il termine ‘invasori’ non è esclusivamente «un termine descrittivo che definisce chi occupa, non chiamato, un posto che non dovrebbe occupare». Porta con sé, specie nel contesto odierno di questa discussione , una connotazione negativa: l’invasore è pericoloso, minaccioso, pratica atti di prepotenza. E, attribuito ai migranti, li riduce a “mucchio”, generalizza a tutti un dato che può essere di singoli.
      E poi cosa occupano il migrante o il clandestino così etichettato? «Un posto che non dovrebbe occupare perché non è suo di diritto». Ma quale diritto? Quello vigente e praticato (o eluso) in una nazione o quello vigente – almeno sulla carta – a livello internazionale? Tu, memore della critica marxista al diritto, aggiungi vagamente « anche se sul ‘diritto’ ci sarebbe un discorso lungo da fare per chi fa fatica ad accettare che ci siano dei ‘diritti statuiti’)». Ma sarebbe meglio approfondire questa questione dei diritti, invece di evocarla e poi abbandonarla.

      6.
      Sui « i figli [che] devono rispettare gli spazi dei genitori» rimando alla nostra discussione. ( Cfr. https://www.poliscritture.it/2016/04/19/guerra-al-terrore-i-fronti-esterni-e-interni-2/#comment-28017; e in particolare i punti 5,6)…

      7. « E se oggi ti chiedi (e mi chiedi) “perché proprio adesso con i migranti?”, ti rispondo che è perché adesso siamo arrivati al “come volevasi dimostrare” di certe segnalazioni che pur a suo tempo vennero fatte, anche se inascoltate». No, siamo arrivati (divisi) al che fare.

      1. Punto importante, per me decisivo.

        Ennio scrive,

        “Continuiamo pure a parlare o a competere dialetticamente con argomenti contrapposti….
        Da qui a considerarci definitivamente cani e gatti o nemici o infrequentabili, come temeva Roberto, ce ne passa. Ma ammetterai che cala la voglia di confrontarsi con chi pensa sistematicamente il contrario di quel che tu pensi. Parlare per parlare? A me pare poco, ma comunque ancora non mi rifiuto.”

        Guarda Ennio che “parlare per parlare” con “chi pensa sistematicamente il contrario di quel che pensi” e poi prendere decisioni individuali in merito all’agire, per esempio votare per questo o quel partito, sta alla base della nostra convivenza ed è la chiave di volta del nostro regime politico. La democrazia rappresentativa, lo Stato di diritto, tutte le cose piene di difetti delle quali si intende il valore essenziale solo quando non le hai più, restano vitali SOLO quando si continua a parlare per parlare con qualcuno che la pensa sistematicamente all’opposto di te.

        Quando invece smetti di parlarci perchè lo etichetti come “inumano” e sinonimi a piacere, si fa il penultimo passo prima della legittimazione della violenza politica, perchè designandolo come “inumano”, come fanno Revelli & C., non lo designi come avversario politico, lo designi come nemico assoluto (e non bastano le virgolette ” ” per disinnescare la bomba lessicale). Quando una categoria di persone viene designata come nemico assoluto da un’altra categoria di persone abbastanza grande e potente da costituire un rischio reale (e la sinistra nel suo insieme lo è eccome) può fare una cosa sola, ricambiare il favore, e controdesignare come nemico assoluto il primo designatore. Segue il test pratico della celebre frase “ballots or bullets”, “urne elettorali o pallottole”.

        A te sembrerà esagerato o impossibile, ma ti garantisco che non è così. E possibile parlare e trovare posizioni di compromesso tra avversari politici che si legittimino reciprocamente, cioè a dire che testimonino quotidianamente, anche nel linguaggio che usano in pubblico, che si riconoscono il rispettivo diritto ad esistere, a pensare come pensano e a dirlo, a governare, e che di conseguenza cercano di vincere ma non di estromettere l’avversario dalla competizione politica. Tra avversari che non si riconoscono legittimità reciproca, per esempio etichettandosi come “inumani”, il dialogo finisce prima di cominciare, e tout va.

  17. …non approvo l’operato del ministro Minniti nei confronti dei migranti per alcune ragioni: viene ad interrompere in malomodo il processo in corso, secondo me inarrestabile e giustificato, di fuga da parte di popoli dai loro paesi d’origine per ragioni legate alle difficoltà di sopravvivenza per le quali noi occidentali non siamo estranei. Ora mi sembra che ricorrere a mezzi apparentemente solo diplomatici per interrompere il flusso dei migranti, in realtà far fare agli altri il “lavoro sporco”, sia alquanto ipocrita e criminale…Che la situazione sia complessa e meriti molta attenzione, prudenza e oculatezza non ci sono dubbi ma la “soluzione finale” prospettata da Minniti non mi piace, causerà molte vittime tra i migranti, certo non colpevoli, e potrebbe anche provocarne qui da noi, scatenando qualcosa che finora ci è stato risparmiato…e sarebbero anche qui vittime innocenti…

  18. *e potrebbe anche provocarne qui da noi, scatenando qualcosa che finora ci è stato risparmiato…e sarebbero anche qui vittime innocenti…*

    … tragicamente illuminante (?!) questa frase di Annamaria, alla luce di quanto successo oggi pomeriggio a Barcellona, ovvero “perché qui da noi non ci sono attentati?”. Ma, qual è il prezzo da pagare? E chi lo decide? E quali sono gli effetti sia in termini ‘politici’ (di ‘sovranità’ politica) che di ‘Umanità’?
    Vale a dire: la scelta del “io do una cosa a te e tu ‘ne’ dai un’altra a me” a che livello ‘democratico’ (=di potere eletto democraticamente) e a che livello ‘umanitario’ si colloca?
    Non è molto esaltante! Anzi!
    R.S.

    1. Da noi come in Grecia non ci sono attentati islamici perchè Italia e Grecia sono le principali porte d’ingresso per l’Europa, non sono mica stupidi gli islamisti. Se chiudiamo la porta vedrete che gli attentati ci saranno anche qui.

  19. Note
    @ Cristiana Fischer 17 agosto 2017 alle 9:09

    1.
    Che la discussione si inasprisca pure. Certe questioni sono dirimenti ed è importante che le posizioni si chiariscano. Poi, sperando di avvicinarsi un po’ di più alla “realta” (sfuggente, manipolata, in continuo mutamento, ecc.), ciascuno * scelga* (se non ha già scelto) l’interpretazione che ritiene più convincente. Una scelta – sbagliata o corretta, lo si vedrà col tempo – orienta meglio, secondo me, la successiva ricerca. Ma riconosco – fatti suoi – anche che uno può non scegliere e vagare indeciso o oscillare tra posizioni che oggi sono nettamente contrapposte.

    2.
    Anche Minniti ha scelto. E per me, la sua scelta è *contro i migranti. Ad essi riconosco il diritto di fuga da paesi economicamente e politicamente devastati dalle guerre occidentali. E questo indipendentemente dal fatto che siano giovani o vecchi, robusti o malandati, poveracci o laureati, profughi o “migranti economici”, con un certo grado di autonomia o dipendenti. Io voglio essere con quella minoranza di italiani che, né buonisti né cattivisti, riconoscono che le attuali migrazioni sono un *enorme e complesso problema*, ma pretendono di «restare umani». (E senza adorazioni feticistiche per l’Umanità); e cercano una soluzione che non riduca i migranti a *cose* ( o a pacchi spediti che possono essere rimandati ad ipotetici mittenti). Proprio come la si cercherebbe, se al posto di migranti stranieri, ci fossero nostri parenti. È difficilissimo (forse persino impossibile) delinearla, ma ribadisco quanto già scritto: «È questa approvazione [alla politica ora “cattivista di Minniti, come a quella precedente “buonista” del Renzi governante] che non intendo dare». Approvarla equivale a non più cercarla nella direzione per me indispensabile.

    3.
    Per me «ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato, ma ha anche il diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio e di ritornarci; è sancito dall’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, attualmente firmata da tutti gli stati aderenti alle Nazioni Unite», anche se «è una dichiarazione di principi e in quanto tale non è formalmente vincolante per gli Stati membri»; e nell’attuale contesto storico « si possono intravedere delle incoerenze tra i principi della dichiarazione universale sottoscritti da tutti gli Stati e le normative che gli Stati stessi emanano in materia di immigrazione, sulla base di una concezione di interesse nazionale che in teoria non dovrebbe essere in contrasto con l’interesse globale rappresentato dalla Dichiarazione Universale. Queste normative esprimono o si traducono, ad esempio, in politiche migratorie selettive ed escludenti e nella burocratizzazione del processo di ottenimento dei documenti, come i visti di ingresso o i permessi di soggiorno. Più che assicurare il diritto a spostarsi, esse rappresentano un ostacolo non sempre facile da superare e restringono o annientano il campo delle opportunità delle persone di poter aspirare ad una vita migliore.» (http://www.worldsocialagenda.org/1a-migrare-un-diritto).

    4.
    La tua replica: « Era dunque meglio prima? “Prima di Minniti” i migranti stavano meglio?» è quantomeno evasiva. Perché i migranti « nei container descritti da Quirico ci stavano da prima, derubati e picchiati» ingiustamente. E questo era/è inaccettabile, visto che migrare non è un delitto. Ci staranno ora in un numero maggiore. E dire che Minniti «non ha creato le prigioni in Libia (forse le ha riempite un po’ di più)» è un modo di giustificarne l’operato. Quegli «accordi tra stati, tra autorità legittime» (ed in Libia sarebbe da capire quanto lo siano quelle che hanno trattato con Minniti) sono fatti per « contenere a vari livelli *geografici* il flusso». Non so se Minniti otterrà questo risultato (a breve o nei tempi lunghi). Ma resta una scelta fatta in nome della ragion di Stato; e io la considero a tutti gli effetti come un patto scellerato tra governanti italiani e alcune bande di signori della guerra libici per reprimere – sì, questa è la mia ipotesi – una *ribellione non organizzata* di disperati (o di illusi, se vuoi) che si è prodotta in Africa a causa di politiche coloniali – vecchie e nuove – che continuano a sconvolgere il tessuto sociale.

    5.
    Per me quanti si dichiarano oppositori del governo italiano e della burocrazia UE e volessero realmente ribellarsi contro i veri responsabili ad un tempo del disastro africano e dei disastri sociali in Italia e in Europa, dovrebbero scommettere nella possibilità di *alleanza* con gli anonimi (per ora) protagonisti di questa *ribellione non organizzata*. E appoggiarla, organizzarla, farla maturare politicamente. Come fecero, ad esempio, agli inizi del movimento operaio, cartisti, mazziniani anarchici, socialisti, comunisti.

    6.
    Se invece si parla di “invasori” e si accetta la politica di Minniti, si passa dalla parte di chi vuole mantenere lo status quo in Italia. O lo vuole cambiare, ma seguendo esclusivamente la classica via dello scontro tra élites contrapposte (di destra, di sinistra, ecc.). In tale logica elitaria e nazionalista, le migrazioni sono soltanto un *disturbo* o « una minaccia utilizzata da realtà politiche per perseguire propri obiettivi, a volte contro le democrazie liberali» (Cfr. link indicato da Buffagni: http://www.analisidifesa.it/2017/04/armi-di-migrazione-di-massa/). E devono cessare. Su questo oggi concordano non solo le forse “di destra” ma anche buona parte della “sinistra” (o “fu sinistra”). Persino quella che si dice marxista e ha rispolverato qualche passo di Marx sulle migrazioni degli irlandesi (Cfr. – ma è solo un esempio fra i migliori di queste posizioni – la mia nota del 16 luglio: https://www.poliscritture.it/2017/07/16/appunti-politici-7-visalli-e-i-migranti/).

    7.
    In questa logica, l’Italia, come sostiene il generale Marco Bertolini nel successivo link (http://www.congedatifolgore.com/it/generale-marco-bertolini-immigrazione-fatti-nostri-considerazioni/#.WZVC2SYYgft.facebook), sempre indicato da Buffagni, non solo dovrebbe «elaborare una campagna mediatica e psicologica per far capire agli aspiranti migranti, ancor prima che decidano di lasciare il proprio paese, quanto sia poco remunerativo il tentativo, per i rischi che comporta e per i disagi che implicherà anche una volta arrivati a destinazione», ma dovrebbe cogliere le «molte opportunità» per tornare ad essere protagonista nel Mediterraneo, visto che qui «si stanno definendo equilibri che influenzeranno il nostro benessere e la nostra sicurezza in futuro».

    8.
    È accettabile che le varie élites continuino indisturbate i loro “conflitti strategici” seguendo le regole classiche del darwinismo sociale, che prevede la vittoria del più forte? Per me no. Se avessimo il coraggio di rileggere Marx o di prendere sul serio l’ipotesi del «comunismo in cammino» di Fortini, senza liquidarlo come «millenarismo religioso» o «idealismo etico astratto» o « versione indebolita e altrettanto fideistica della teologia politica retta dall’amore universale», che « vale come il due di coppe quando briscola è spade» (tutte definizioni tue nei commenti lasciati sotto i tre post della mia riflessione su «Comunismo» di F. Fortini), vedremmo ancora che l’aspetto umano della questione migrazioni poteva o potrebbe non ridursi – come purtroppo è accaduto per il crollo verticale del pensiero marxista e il campo lasciato solo alla Caritas e alla Chiesa – a mero atteggiamento pietoso verso i deboli o i poveri o a solidarietà o a carità più o meno pelosa degli “avanzati” rispetto agli “arretrati”. Il problema potrebbe essere integrato in un progetto politico diverso da quelli attuali. Di riforma “keynesiana”, come mi pare quello delineato da Visalli (https://tempofertile.blogspot.it/2017/08/scrivendo-margine-dellimmigrazione.html ). O di lotta che non preveda quel misero spostamento di risorse da chi ha di più a chi ha di meno, ma proprio la possibilità di un mutamento dei rapporti di forza.
    È ipotesi folle, lo so, per il “realismo politico” alla Minniti etc. Ma io sono per altro tipo di realismo.

    9.
    La politica di Minniti, che per alcuni è legittima repressione di “invasori”, è per me *innanzitutto* repressione di nostri potenziali alleati. Approvarla è riconoscere che questa parte di umanità va respinta o consegnata a signori della guerra o a “democratici” tipo Erdogan. O fingere di “aiutarla a casa loro” per continuare a depredarla e a farci depredare (in modi più morbidi) dall’attuale élite o da quella ventura. Perciò – è non c’è moralismo in quel che dico: è un giudizio politico – mi è parso gravissimo il tuo consentire nella mente alla politica di Minniti. Non puoi giocare sulla mia frase: « Anche se non ho altro da proporre». Non ha neppure senso che io proponga qualcosa qui su Poliscritture, se la piega del discorso sulle migrazioni va in direzione “minnitiana”.

    10.
    Sulle Ong. Anch’io ho pensato alle schiere dei missionari che accompagnavano i conquistadores. Ma ho pensato pure che, fra costoro, c’era e ci sarà forse pure qualche Bartolomé de Las Casas. E non mi aggregherò mai alla canea che fa di ogni Ong una piccola mafia o la foglia di fico dei vari servizi segreti. «Gli Stati uniti hanno usato le Ong per le primavere arabe, e i caschi bianchi con le loro false notizie per la Siria». E con questo? Dov’è oggi una istituzione assolutamente indipendente che possa soddisfare i requisiti previsti dai “critici critici”? Non usano anche FB per sfruttare le nostre conversazioni? Vuol dire che siamo tutti e solo pedine? Che non c’è un germe minimo di autonomia: né nelle Ong, né tra i migranti, né tra noi che qui discutiamo? Tutti pedine di Stati o lobby che si fanno la guerra tra loro usandoli, usandole, usandoci? Dunque, non ci resterebbe che schierarci con il più forte o con l’élite che probabilmente scalzerà l’attuale più forte?
    Fossero davvero le Ong «portatrici di una ideologia universalista superiore per valore agli stati»! Io ne sarei ben contento. «Incarnano una idealità auto attribuita»? E chi ce la deve attribuire l’idealità? Minniti? «Sono finanziati solo dai contributi della gente che crede in valori superiori a quelli del realismo politico»? Fossero finanziati anche in modi strumentali, vale quel che fanno: se salvano o no vite umane; e se intralciano in qualche misura il passo dei dominatori. Lenin non ricevette l’appoggio strumentale dai tedeschi contro lo Zar; e non riuscì a far loro una sorpresina?

    11.
    Sul fatto che i migranti vorrebbero solo la « libertà affermativa» e rifiuterebbero i doveri avevo già discusso con Rita Simonitto in una precedente discussione ( Cfr. https://www.poliscritture.it/2016/04/19/guerra-al-terrore-i-fronti-esterni-e-interni-2/#comment-28017; e in particolare i punti 5,6). Certo, che ci vogliono delle regole, ma le regole devono essere nuove e adeguate alla nuova situazione. Certo, lo stato nazionale si è costruito su regole. Ma non si può rimettere il mondo d’oggi nelle braghe nazionali, nelle quale non c’entriamo neppure noi autoctoni (o, diciamo, una parte di noi). O la globalizzazione porterà a regole globali, difficilissime da pensare e praticare oppure – temo io, ma posso sbagliare – ci saranno conflitti anche più pesanti e distruttivi di quelli a cui assistiamo.

    12.
    «Anche i missionari salesiani nei paesi africani cercano di convincerli [i migranti] a non partire. Ci sono ragioni sensate per comprendere le loro partenze, ma altre per immaginare che avrebbero una funzione restando». L’ipotesi di sostituire la via della speranza delle migrazioni con un’altra via non è in sé cattiva. Ma bisogna indicarla questa via alternativa e costruirla assieme a loro. Bisogna dire come li si vuole aiutare a casa loro. Se – cosa più probabile – i Paesi più forti continueranno a sfruttare i più deboli, a rapinarne le risorse, allora, secondo me, è mille volte meglio tentare di fuggire, di migrare. «Non siamo noi a doverli aiutare o a decidere per loro»? Appunto, dobbiamo allearci e costruire assieme altre risposte ai problemi.

    13.
    Umano e disumano sono costruzioni che facciamo nelle concrete realtà in cui siamo costretti a vivere. La definizione di Carlo Galli, riportata da Revelli: « l’«inumano è piuttosto il presentarsi attuale della possibilità che l’uomo sia nulla per l’altro uomo» mi pare incontrovertibile. Certe scelte, come quelle di Minniti e dei suoi alleati, riducono le possibilità dell’umano. La fuga dalla miseria pone problemi enormi anche a chi misero non è, ma riapre il discorso verso l’umano.

    1. Oggi sono vecchia e ho ragionevole sicurezza di continuare a vivere riparata dal clima, curata per malattie temporanee, e di potermi nutrire con cibo sufficiente. Ma sono stata piccola nell’immediato dopoguerra, senza casa, avevo freddo, cibo grossolano, non disponevo di cure mediche anche necessarie. Il bisogno, le difficoltà insuperabili, l’inarrivabile minima tranquillità psicologica, li conosco. La dipendenza come stato necessario, adeguarsi, accettare tutto quello che arriva, resistere, andare avanti: immigrato, ragazza che ti aggreghi, sola in mezzo a sconosciuti magari col tuo bambino regalato dal viaggio, vi conosco, sono anch’io così, so, ho passato.
      E adesso? Il paese in cui ho vissuto si è arricchito e io con esso e oggi sono sicura, ho poco ma anche tantissimo, tutto quello che mi serve.
      Ecco, per ragionare parto da qui, dal basso della condizione assoluta di bisogno, non dalle idee superiori, di lotta o di rinnovamento. Parto da uno stato di bisogno e pericolo, e non ragiono in termini di chi ha da dare, certezze ideali, proposte di alleanze, visioni globali in cui staremo meglio tutti se… una volta si diceva: se seguiremo quello che dicono i preti, o se avremo fiducia in chi comanda, o se sceglieremo qualche banda che sa come arrangiare la situazione.
      Non mi metto dalla parte di chi sa, di chi ha qualcosa da dare. Di chi sa e ha: i Valori, Ennio, la proposta di Alleanza, l’orizzonte di salvezza da indicare, di chi fa esercizio di scialo di mezzi e di bontà e di political correctness, come le navi delle ong. Non ci riesco a sentirmi dalla parte di chi “sa” e ha anche quattro mezzi per mettere in atto il suo sapere. E rappresenta, agli occhi suoi e agli altri, l’umano, il corretto, il nobile offrirsi per gli altri, cioè per testimoniare della validità delle proprie idee e delle proprie possibilità.
      E dunque. Dunque quelli massacrati a raccogliere pomodori nel foggiano, quelle massacrate sulle strade a prostituirsi, che non hanno più né i soldi né – le ragazze – la libertà per poter tornare indietro: in tv ne ho ascoltati, lo vorrebbero, in molti, ma ormai sono schiavi qui.
      E tu parli di umano, mica umano, tanto, poco, non ci stai… ma sono altri quelli presi in mezzo, quelli disumanizzati, quelli sfruttati fino alla morte se non sono morti prima.
      Adesso sono vecchia e al sicuro, quindi ragiono, insieme ad altri che sanno benissimo tutto quello che accade, quello che sappiamo sia io che te, e hanno il compito di gestire con la ragione, è il loro mestiere, è la posizione che gli è toccata nella vita e che ora li vede in quel posto a dover decidere, provvedere, nelle condizioni date, con i mezzi possibili, nel contesto esistente.
      Se fossi ministra dell’interno cercherei di sistemare, al meglio per loro e con i mezzi che ho, coordinando anche tutte le forze disponibili e che vogliano starci, quelli che ci sono, poi agirei con altre forze internazionali per soccorre quelli in viaggio, e per stabilizzare i paesi di provenienza. Queste le linee direttive, da curarne la esecuzione al meglio. È intanto questione di soldi, quanti e dove metterli. Poi di compatibilità internazionali, e qui contano le organizzazioni, internazionali appunto, che permettono di schivare gli interessi di stati troppo invadenti.
      Ecco, lavorare in operazioni concrete su quelle tre direttive: quelli che già ci sono, quelli in viaggio, i paesi da cui provengono. Farei la ministra dell’interno, non la giornalista o l’ideologa o la visionaria, o la riformatrice del mondo.

       

  20. Brevemente. Qui siamo tutti vecchi e più o meno con una casa e una pensione e abbiamo nella memoria ricordi di miseria materiale e psichica nostra o della famiglia o dei parenti o della gente che abbiamo incontrato. Ma non è che, se si tenta di ragionare politicamente sulla più profonda miseria degli immigrati o degli attuali poveri di questo Paese o sui responsabili della gestione incasinata e a favore dei ricchi e dei potenti dei tremendi problemi che ci assillano, non partiamo «da uno stato di bisogno e pericolo» (nostro e di altri); e automaticamente ci mettiamo a ragionare « in termini di chi ha da dare, certezze ideali, proposte di alleanze, visioni globali in cui staremo meglio tutti se…».
    Ho detto proprio il contrario nel mio intervento di stanotte: « Se avessimo il coraggio di rileggere Marx o di prendere sul serio l’ipotesi del «comunismo in cammino» di Fortini, senza liquidarlo[…], vedremmo ancora che l’aspetto umano della questione migrazioni poteva o potrebbe non ridursi – come purtroppo è accaduto per il crollo verticale del pensiero marxista e il campo lasciato solo alla Caritas e alla Chiesa – a mero atteggiamento pietoso verso i deboli o i poveri o a solidarietà o a carità più o meno pelosa degli “avanzati” rispetto agli “arretrati”».
    E poi non è vero che non ti metti « dalla parte di chi sa, di chi ha qualcosa da dare». Fai, invece, la caricatura soltanto di « di chi “sa” e ha anche quattro mezzi per mettere in atto il suo sapere» per metterti con l’animo più tranquillo dalla parte di quelli che saprebbero « benissimo tutto quello che accade» e avrebbero [!] il compito di gestire con la ragione, è [!] il loro mestiere, è la posizione che gli è toccata [!] nella vita e che ora li vede in quel posto a dover decidere, provvedere, nelle condizioni date, con i mezzi possibili, nel contesto esistente». E cioè, in sostanza, di Minniti, che lui, sì, SA e HA DA DARE: repressione a chi si ribella con la fuga e a chi dovesse qui oggi in Italia ribellarsi.
    Un consiglio: invece di sognare di fare la brava ministra, ragioniamo da non ministri, da gente comune, senza certezze in tasca, che non arrivano alla fine del mese e che però – ripeto – pretende di «restare umana». (E senza adorazioni feticistiche per l’Umanità).

    1. Che devo dire? Meno ancora di te: che ricadi sempre nel moralismo (“per metterti con l’animo più tranquillo”, “invece di sognare di fare la brava ministra”); che rifuggo -per la mia, antica, storia di povertà- dalle tue visioni ideologiche, che conosco bene e che funzionano solo come idee; che l’attuale ministro opera nel concreto, ho ascoltato su Radio Radicale la sua conferenza stampa del 15 e mi sono persuasa che ha scelto giusto facendo quello che fa.

  21. Poiché ho affermato che rifuggo dalle tue posizioni ideologiche ho il dovere di provare che sono ideologiche, e lo dimostro con la tua scelta di definire le migrazioni “*ribellione non organizzata* di disperati (o di illusi)”. La parola ribellione attribuisce ai “disperati o illusi”, anche se non organizzati, un timbro di lotta di classe, anticolonialista nel caso specifico, che qualifica politicamente a un alto livello ideologico il loro agire. Un livello ideologico che però è nostro, creato dalla nostra cultura europea, e poi americana, marxista, e con cui oggi tu colleghi le migrazioni a Fanon, a Sweezy…
    Infatti appiccichi subito la pretesa di una funzione di guida: “quanti si dichiarano oppositori del governo italiano e della burocrazia UE e volessero realmente ribellarsi contro i veri responsabili ad un tempo del disastro africano e dei disastri sociali in Italia e in Europa, dovrebbero scommettere nella possibilità di *alleanza* con gli anonimi (per ora) protagonisti di questa *ribellione non organizzata*. E appoggiarla, organizzarla, farla maturare politicamente. Come fecero, ad esempio, agli inizi del movimento operaio, cartisti, mazziniani anarchici, socialisti, comunisti.”
    Come chiami questa ipotesi futura? Io la intendo visione ideologica, e la chiamo così.
    Chi non la condivide, sic et simpliciter, “vuole mantenere lo status quo in Italia”. Mah! Ma ti rendi conto che è troppo generico, allora aggiungi: “O lo vuole cambiare, ma seguendo esclusivamente la classica via dello scontro tra élites contrapposte (di destra, di sinistra, ecc.)”. Se non è pane è polenta: se non si vuole fare un’alleanza in vista del comunismo allora si fa solo una lotta tra élites contrapposte. A ri-mah!
    E tutti quelli, e sono tanti, che dei migranti si occupano, in mille modi, da quelli che li accolgono ai porti fino a quello in provincia di Treviso o di Padova di cui ha dato conto Unacittà, a Sant’Egidio, a quelli che li fanno lavorare normalmente, a quelli che gli insegnano l’italiano, e via, e via… Non sono élites, sono cittadini comuni, non sono capitalisti, sono persone normali, di solito e per lo più di sinistra.
    Non solo la politica di Minniti è “repressione di nostri potenziali alleati”, in un progetto rivoluzionario s’intende, ma approvarla è consegnarli ai signori della guerra, fingere di aiutarli, per continuare a depredarli….
    C’è solo orrore intorno, tutto è predazione e menzogna. Non esistono vie politiche che non siano imbroglio interesse e falsità.

    Sogni anche tu, ma è un incubo.

    1. @ Cristiana Fischer

      Vedi che, se (un po’) ideologico sono io, quando interpreto (o ipotizzo) le migrazioni come «“*ribellione non organizzata* di disperati (o di illusi)”», almeno altrettanto lo sei tu, quando scrivi che Minniti « opera nel concreto» e « ha scelto giusto facendo quello che fa». Non è che tu saresti a-ideolgica, autentica, non metti *nessun* timbro e non avresti alcuna «pretesa»; e io sì. Nessuno ha ancora smentito Althusser, che parlava dell’ideologia come aria che ci avvolge e che tutti in misura maggiore o minore respiriamo per forza. Per cui inquadriamo i fatti e i problemi sempre da un punto di vista più o meno ideologico, partendo da premesse implicite un po’ oscure o da “immaginari di partenza” diversi.
      La discussione risulterebbe più utile, se tenessimo più sotto controllo gli elementi ideologici, dando modo a quelli di verità (scientifica, provvisoria) di emergere.

      P.s.
      Andando – spero – in tale direzione noto che:

      1. Non ho appiccicato subito la «pretesa di una funzione di guida» agli eventuali oppositori del governo italiano e della burocrazia UE. Ho insistito sulla «possibilità di *alleanza* con gli anonimi (per ora) protagonisti di questa *ribellione non organizzata*». E nel commento che ho linkato ( Cfr. https://www.poliscritture.it/2016/04/19/guerra-al-terrore-i-fronti-esterni-e-interni-2/#comment-28017; e in particolare i punti 5 e 6) ho chiaramente accennato alla *reciprocità* (solo possibile, non garantita!) di uno scambio paritario: « Quale modello di ‘umanità’ offriamo ai ‘migranti’»? E perché non chiederci quale modello di umanità potremmo costruire noi e loro in una sorta di scambio reciproco, sicuramente molto conflittuale, ma che potrebbe anche essere costruttivo e non distruttivo?».

      2. Ho anche accennato a tre tipi di atteggiamenti politici:
      – «*alleanza* con gli anonimi (per ora) protagonisti di questa *ribellione non organizzata*»;
      – «classica via dello scontro tra élites contrapposte (di destra, di sinistra, ecc.»;
      – «riforma “keynesiana”, come mi pare quello delineato da Visalli ».
      Nel terzo può rientrare anche la scelta, da te valorizzata, dei « tanti, che dei migranti si occupano, in mille modi, da quelli che li accolgono ai porti fino a quello in provincia di Treviso o di Padova di cui ha dato conto Una città, a Sant’Egidio, a quelli che li fanno lavorare normalmente, a quelli che gli insegnano l’italiano, e via, e via…».
      Tutte tali posizioni sono in parte “ideologiche”, ma diverse, mutevoli e per molti aspetti contrapposte tra loro. E perciò parlavo di scelta. Al momento è egemone solo la politica svolta da Minniti per evidente supremazia statuale.

      1. 1. Sulla mia ideologia: che Minniti “operi nel concreto” è solo un fatto, dato che le sue decisioni si traducono in opere, è o non è ministro? Dove sarebbe la mia ideologia?
        Poi ho scritto “ho ascoltato su Radio Radicale la conferenza stampa del 15 e *mi sono persuasa* che ha scelto giusto facendo quello che fa”, mi sono persuasa dice la mia persuasione. Non presento l’opera del ministro con una pretesa oggettiva che sarebbe in realtà ideologica.

        2. Nel tuo commento (18 agosto, 1.18) c’è questa frase “E appoggiarla (la ribellione non organizzata), organizzarla, farla maturare politicamente” e le parole “organizzarla, farla maturare politicamente” sono pietre.

        Ma prendiamo seriamente l’ipotesi di una unione nella lotta contro il globalismo del capitale e la partimentazione del lavoro tra immigrati e i ‘penultimi’, per usare la dicitura di Visalli. A volte è accaduto che ci siano state lotte insieme tra immigrati sfruttati, sindacati, gruppi sciolti che non saprei etichettare (ma so cosa fanno perché ho una giovane amica che ha partecipato a “campi” presso i luoghi di lavoro nelle campagne del sud).
        Ce ne sono di lotte insieme tra ultimi e penultimi ma ci sono molte situazioni in cui i penultimi sono sotto ricatto grazie agli ultimi. Ci fu un famoso servizio sui cantieri di Monfalcone che lo testimoniò.
        E che la situazione possa incanalarsi in una lotta per il comunismo (“Se avessimo il coraggio di rileggere Marx o di prendere sul serio l’ipotesi del «comunismo in cammino» di Fortini”) mi sembra per ora un pensiero assurdo, uno schema mentale scollegato dai fatti.
        Mi pare più concreto pensare a battaglie riformiste, di controllo sul lavoro (“riducendo la domanda di lavoro servile ed agile da noi, e riducendo il bisogno di prestarvisi da loro” e anche “che la competizione per il lavoro non sia al massimo ribasso, ma si svolga in un quadro di decenza” Visalli), pensare a battaglie -ideologiche, sì- di radicale democrazia. Qui ci possono essere molti alleati, il ceto medio impoverito, partiti a sinistra del pd, certi cattolici, gli extra- qualcosa. Quel pluralismo orientato da diverse ideologie di cui tu scrivi.

        1. 1.
          Certo che Minniti opera “nel concreto”, che « le sue decisioni si traducono in opere», che «è ministro» e io/noi non contiamo quasi nulla. La tua ideologia non consiste in queste affermazioni, ma nel fatto che, avendo ascoltato una sua conferenza stampa, ti sei «persuasa che ha scelto giusto facendo quello che fa». Come se tu potessi controllarlo quello che fa.
          È in questa fiducia, in questo concedergli carta bianca ( perché ministro, perché autorevole, perché le sue parole hanno soddisfatto le tue attese?) che s’insinua l’ideologia (giustificazionista). Cioè, tu *credi* alle parole di Minniti e ti basta. E saresti anti-ideolgica o a-ideologica soltanto perché non presenti «l’opera del ministro con una pretesa oggettiva»? E poi mi rimproveri di usare, sulla questione della lotta per il comunismo, « uno schema mentale scollegato dai fatti»? Ma dove sono i fatti che ti permettono questa fiducia in Minniti?

          2.
          Perché, di grazia, nella mia frase: «E appoggiarla (la ribellione non organizzata), organizzarla, farla maturare politicamente» e le parole «organizzarla, farla maturare politicamente» sarebbero «pietre»?

          3.
          Le « lotte insieme tra immigrati sfruttati, sindacati, gruppi sciolti che non saprei etichettare» ci sono. Quindi sono una realtà. Non ne sappiamo quasi nulla. Continuiamo a ragionare di immigrati, integrazione, terrorismo, ecc. come se non ci fossero. Ora, dimmi, in base a cosa, se non una tua propensione emotiva o ideologica o al tuo rifiuto di qualsiasi ipotesi comunista (in uno dei tuoi commenti al mio “Il comunismo di F. Fortini” hai scritto: «« Credo di non essermi mai definita comunista perché temevo un mondo o una società che vuole e conosce il bene di tutti. Il bene di tutti gestito da una parte»), tu consideri assurdo che la situazione ( queste o altre lotte prevedibili o già in atto) possa « incanalarsi in una lotta per il comunismo» e ti pare « più concreto pensare a battaglie riformiste, di controllo sul lavoro», ecc.?
          A me pare che siamo entrambi nel mondo dei desideri, degli auspici , delle attese, delle ipotesi. Ma allora perché le battaglie «di radicale democrazia» sarebbero “ideologiche” e quelle riformistiche no?

  22. Scusa, Ennio, trovo importante il punto 5 del tuo ultimo intervento e vorrei che lo spiegassi meglio. Lo riporto:
    “Per me quanti si dichiarano oppositori del governo italiano e della burocrazia UE e volessero realmente ribellarsi contro i veri responsabili ad un tempo del disastro africano e dei disastri sociali in Italia e in Europa, dovrebbero scommettere nella possibilità di *alleanza* con gli anonimi (per ora) protagonisti di questa *ribellione non organizzata*. E appoggiarla, organizzarla, farla maturare politicamente. Come fecero, ad esempio, agli inizi del movimento operaio, cartisti, mazziniani anarchici, socialisti, comunisti.”

    Domanda: in questa proposta di alleanza embrionale tra immigrati (senza altre qualificazioni) e chi si dichiara “oppositore del governo italiano e della burocrazia UE”, tu chi includeresti?
    Ipotesi:
    1) Alleanza embrionale immigrati+proletari/poveri europei a prescindere dalla loro ideologia (di destra e di sinistra) + minoranze guida di sinistra CONTRO capitalisti europei+ricchi/semiricchi europei a prescindere dalla loro posizione politica+governi nazionali e UE
    2) Alleanza embrionale immigrati+proletari/poveri europei di sinistra consapevolmente anticapitalisti e pro immigrazione + minoranze guida di sinistra CONTRO capitalisti europei+ricchi/semiricchi europei + proletari/poveri europei di destra contrari all’immigrazione+governi nazionali e UE+ partiti populisti di opposizione di destra
    3) ?

  23. …la convinzione che in Italia e in Grecia non si siano svolti attentati perchè considerate dagli islamici(?) le principali porte di ingresso degli immigrati penso si rifaccia all’ipotesi del complotto per cui lo spostamento di masse di persone sia manovrato per destabilizzare l’europa…Ma c’è una dimostrazione di tale ipotesi? Inoltre se fosse anche vera, dovremmo prendercela con chi, la maggioranza, fosse strumentalizzata e ignara?…Mentre l’alleanza a cui si riferisce Ennio, se ho capito, al di là del rappresentare una specifica ideologia, potrebbe essere un progetto, forse già in piccole dosi sperimentato in alcune situazioni periferiche o nel cuore stesso del fenomeno degli sbarchi o sulle rotte migratorie, in grado a lungo termine di arginare la guerra tra poveri e lo scontro strumentale per i partiti tra destra e sinistra…Questo se vogliamo che, riguardo alle vite umane, non esistano due pesi e due misure…

    1. Guardi signora Locatelli che qua non c’è bisogno di nessun complotto. I jihadisti hanno un progetto politico, che senza la massa di immigrati mussulmani in Europa sarebbe impensabile (senza l’acqua i pesci non vivono, anche loro hanno letto le opere di Mao). Hanno dunque bisogno che in Europa entrino molti immigrati mussulmani per garantirsi una base di consenso (in grado variabile, per adesione o paura), zone sicure, appoggi, etc. La via balcanica è chiusa, perchè Ungheria e paesi del gruppo di Vysegrad non fanno passare nessun clandestino. La principale via per l’immigrazione in Europa è la mediterranea, Grecia e Italia. Secondo lei vogliono chiudersi fuori dalla porta?

      1. …non dovremmo anche noi garantirci “una base di consenso” tra i migranti, per adesione ad un progetto di crescita comune, o almeno tentare? Visto che occupiamo da anni lo stesso territorio: scuole, mercati, strade,negozi, ospedali…qualcosa di intrecciato può nascere: Giulietta e Romeo sono soltanto un esempio vitale. Quello che scrive Hollande mi convince, sì purtroppo, ma loro i francesi ( non tutti ovviamente) con quale piede sono partiti nei confronti degli immigrati? A me risulta che predomina anche in patria( non solo) uno spirito colonialista, di ostentata superiorità. con conseguente ghettizzazione di chi appartiene ad altre culture…uno snobismo pericoloso. Questo nell’arco degli anni genera enclave che possono davvero diventare minacciose e basi jihadiste…Non ho certezze, ma lì non si è imboccata la giusta strada e ora si vede…

        1. Signora Locatelli, io non credo proprio che i problemi dell’immigrazione francese siano un problema di carattere snob dei francesi. I problemi dell’immigrazione francese cominciano con il ricongiungimento familiare votato negli anni 80 per favorire il lavoro a basso costo, che ha portato in Francia troppi, veramente troppi immigrati arabo-mussulmani, molti dei quali (specie nelle seconde e terze generazioni) non si integrano, e non perchè non basti il lavoro o il welfare, ma perchè non vogliono integrarsi in una società che decisamente, per molte ragioni, non gli piace per niente. Su questo dato di fatto si sono inseriti i wahabiti, largamente finanziati dalla Casa di Saud, ed è cominciato il patatrac.

          1. …grazie sig. Buffagni per le risposte…Non mi ritengo molto preparata, ma certe posizioni non mi vanno per principio. Quando lei dice che si è consentito intorno agli anni 80 l’arrivo in Francia di un gran numero di immigrati arabo-mussulmani per favorire il lavoro a basso costo, ammette la strumentalizzazione di persone viste solo come mezzo di arricchimento economico del sistema (una forma di colonialismo in patria) e non come fine…una mancanza di sensibilità protratta verso la prima come verso la seconda e la terza generazione di migranti, cosa che può benissimo generare il rifiuto all’integrazione…dove poi facilmente si possono insinuare feroci mire esterne.
            Trovo, viceversa, molto saggio quanto dice, a proposito, lo storico Cardini in una intervista riportata su facebook ( punto 5): “…L’edificazione di legami buoni nella quotidianità passa attraverso un lavoro artigianale : e il primo mattone è la comprensione reciproca che è arte difficile…”. Quando per anni ignori di fatto i tuoi “vicini”, poi se alcuni di loro esplodono in qualcosa di veramente brutto e imprevisto ne hai paura…”i vicini” allora da invisibili diventano temibili e ci restano meno possibilità di convivenza perchè la paura è irrazionale e contagiosa..Queste considerazioni comunque valgono per tutti non solo per i francesi, credo…

  24. Sono indietro nel replicare a vari commenti, ma lo farò appena possibile. Vorrei, nel frattempo, segnalare – sicuramente per la sua maggiore concretezza e conoscenza di dati economici che a me sfuggono; e al di là della non piena coincidenza con quanto io vado sostenendo – questa chiara e intelligente presa di posizione di Alessandro Visalli. (Che l’abbia presa in polemica con Emiliano Brancaccio a me pare, in fondo, secondario). [E. A.]

    SEGNALAZIONE

    Circa Emiliano Brancaccio, “La sinistra è malata quando imita la destra”
    di Alessandro Visalli
    (https://tempofertile.blogspot.it/2017/08/circa-emiliano-brancaccio-la-sinistra-e.html)
    Stralcio:

    Io credo che, rifiutando il ricatto morale implicitamente proposto da Brancaccio (non si è necessariamente xenofobi se si riconosce il vero), occorre distinguere e procedere per grado di urgenza:
    . Bisogna salvare chiunque è a rischio di vita, sempre e indiscriminatamente;
    . Rispettare il diritto di asilo e la clausola di non-refoulement;
    . Ma riuscire a farlo senza far crescere la pompa idrovora che sta svuotando, letteralmente, le periferie del mondo per riempire le nostre. Ogni periferia (termine che prendo qui principalmente sotto il profilo della posizione rispetto al processo di produzione e riproduzione sociale), è da considerarsi sul piano morale eguale quanto ai suoi intrinseci diritti e dignità, ma resta il fatto che, come quando si alimenta un’industria dei rapimenti remunerandola, il processo è rafforzato dalla riduzione dei suoi relativi costi di produzione.
    . Dunque bisogna operare sui due corni, riducendo la domanda di lavoro servile ed agile da noi, e riducendo il bisogno di prestarvisi da loro. Ogni altra strategia è semplicemente utile a potenziare il fenomeno (ed in ultima analisi a fare più morti).

    Per me dunque la mia posizione si può riassumere così:
    1. bisogna togliere l’interesse privato dalla tratta dei corpi delle persone che, a torto o a ragione, vogliono venire in occidente, ovunque si annidi;
    2. bisogna ripristinare la legalità che è la prima condizione perché i diritti non siano svuotati e la sovranità annullata; bisogna dunque che tutti siano tratti in salvo, se sono anche solo in potenziale pericolo, direttamente dalle autorità pubbliche o da chi opera per esse. In questo modo il fenomeno sarà ricondotto a più ragionevoli dimensioni, evitando che ci sia qualcuno che guadagna dal suo potenziamento.
    3. bisogna che chi decidiamo democraticamente di poter accogliere (e sono moltissimi), sia integrato nel modo più rapido ed efficiente possibile, in modo che non sia sfruttato a danno degli altri lavoratori deboli in forme odiose di dumping sociale di cui gli immigrati sono esclusivamente vittime;
    4. in generale bisogna che la competizione per il lavoro non sia al massimo ribasso, ma si svolga in un quadro di decenza (ovvero con salari minimi adeguati, “eguale salario ad eguale lavoro”, feroce repressione degli abusi, e finanche lavoro di ultima istanza, per tutti, garantito dallo Stato).

    Fino a che queste condizioni (che, certo, presumono anche nuovi controlli su capitali e scambi di merci), non saranno implementate, bisognerà operare come si può, un passo alla volta. Quel che vorrei solo sottolineare è che non si possono aiutare gli ultimi ad esclusivo danno dei penultimi (e di chi rimane a casa), dalla guerra tra poveri guadagnerebbero solo i soliti noti (di cui, se guardiamo bene, potremmo fare parte).

    Neppure con la scusa che altrimenti si favorisce Salvini, o chi per lui.

    1. La posizione di Visalli è ragionevolissima, e la sottoscrivo. Manca, sia perchè non si può sempre dir tutto, sia perchè ognuno vede meglio quel che meglio conosce, l’aspetto “sicurezza”, che io vedo prima di ogni altro sia perchè lo conosco meglio, sia perchè nel breve e medio periodo lo ritengo assolutamente decisivo: in un contesto di guerra civile strisciante le politiche di cui parla Visalli, e in generale ogni approccio umano (senza ironia) al problema immigrazione è materialmente impossibile a prescindere dalle intenzioni.
      Faccio presente che l’attenzione al problema sicurezza non è solo una fissa mia.
      Invito tutti a leggere il paradossale libro intervista pubblicato dal presidente Hollande dopo la fine del suo mandato, “Un président ne devrait pas dire ça…” https://fr.wikipedia.org/wiki/Un_pr%C3%A9sident_ne_devrait_pas_dire_%C3%A7a
      che si trova anche gratis in rete. Hollande dice esplicitamente che in seguito all’immigrazione arabo mussulmana di massa e alla formazione di zone extraterritoriali dove comandano i jihadisti, avverrà inevitabilmente quanto segue: a) i jihadisti provocano una conflittualità endemica e crescente partendo dalle basi sicure delle zone extraterritoriali b) lo Stato francese non riesce a riconquistare il controllo del territorio (perchè l’operazione richiederebbe l’uso di mezzi incompatibili con l’attuale regime politico e culturale, aggiunta mia) c) si arriverà a una partizione della Francia sul modello di quella siglata nel corso delle guerra di religione del Cinquecento e formalizzata nell’Editto di Nantes.
      Questo in effetti è il progetto politico del “nemico interno” jihadista: la partizione del territorio europeo, e la progressiva riconquista basata sulla diversa dinamica demografica, favorevole a loro. Il progetto del “nemico esterno” jihadista è la costituzione di uno Stato islamico a partire dal quale risidegnare la carta del Levante. Per ora, grazie all’appoggio russo al governo siriano, questo secondo progetto è stato battuto, meglio contenuto (i jihadisti non sono definitivamente sconfitti, hanno motivazioni trascendenti e un progetto politico a lunghissima scadenza).
      Aggiungo per concludere che se l’esperienza storica insegna qualcosa, è che i neri africani immigrati in Europa verranno (già vengono, negli ambienti criminali) dominati e utilizzati dagli immigrati arabi, che per loro nutrono un disprezzo antico e sono molto meglio organizzati.

      1. @ Buffagni.
        Le chiedo dei chiarimenti riguardo i suoi commenti di oggi.
        “I jihadisti hanno un progetto politico” lei afferma, “garantirsi una base di consenso (in grado variabile, per adesione o paura), zone sicure”.
        E poi? Come esposto da Hollande: conflittualità endemica e crescente partendo dalle basi sicure delle zone extraterritoriali; partizione del territorio europeo e progressiva conquista grazie alla diversa dinamica demografica.
        In vista, credo di aver capito, della “costituzione di uno Stato islamico a partire dal quale ridisegnare la carta del Levante”. Quindi il controllo politico dell’europa, e cacciare l’europa dall’africa, sarebbe preliminare alla costituzione del califfato?

        A noi però interessa il non controllo dell’europa. Un punto debole del suo ragionamento, se lo ho ben ricostruito, è quello della conquista del governo in (alcuni) stati europei grazie alla dinamica demografica. Certo, utilizzando la democrazia a suffragio universale e data la crescita demografica, potrebbero arrivare al governo, ma se questa dinamica diventa chiara la popolazione non resta a guardare. Mi sembra anzi insensato attribuire ai jihadisti questo progetto: conquistare i governi facendo più figli e grazie alla democrazia.
        Forse non ho capito qualcosa.

        1. Cara Signora Fischer,
          mi spiego meglio. A quanto mi risulta (non sono uno specialista, leggo specialisti del mondo arabo come Gilles Kepel, più gli studi polemologici) il progetto base dei jihadisti è suddiviso come segue:

          a) Costituzione di una base di potenza nel Levante, lo “Stato islamico” a cui si intitola l’IS, che infatti aveva iniziato a battere moneta, organizzare scuole, struttura burocratica, naturalmente FFAA. A partire da questa base di potenza, e sfruttando il consenso diffuso che il progetto jihadista riscuote in settori non marginali della popolazione nei vari Stati (sunniti) del Levante, premere sui governi di quei Paesi, se possibile rovesciarli e sostituirvi una dirigenza favorevole al progetto, il cui fine strategico ultimo è la ricostituzione del Califfato. Anche l’organizzazione dei “Fratelli Mussulmani” ha un progetto analogo. Quel che la differenzia dall’IS e il metodo di lotta, che si avvale soprattutto dell’assistenzialismo, della propaganda, del voto elettorale (dopo la rivoluzione colorata in Egitto , M. Morsi, che appartiene ai Fratelli Mussulmani, andò al potere con il voto, legalmente). Tradizionalmente, i britannici finanziano i Fratelli Mussulmani, gli USA i jihadisti dell’IS.
          Questa prima parte del progetto ha subito una battuta d’arresto in seguito alla sconfitta, pare ormai certa, dell’IS nella guerra siriana. L’idea dell’IS era di portare la capitale del loro Stato a Damasco, che ha un valore simbolico immenso per tutti gli arabi. Non è finita qui, però, il progetto è a lunghissima scadenza.

          2) Progetto diciamo così “reconquista”, su territorio europeo. Il progetto non è quello che narra Houllebecq in “Soumission”, andare al potere con regolari elezioni mediante un partito arabo-mussulmano che si allea con la sinistra, l’idea è bella per un romanzo ma di non facile realizzazione. L’idea è di provocare una conflittualità endemica insostenibile, usando come base di potenza, di reclutamento e di rifugio, le enclaves extraterritoriali dominate dai jihadisti che GIA’ esistono su suolo europeo (banlieues parigine, Moolenbeck, etc.), e così fare nascere nella classi dirigenti di Stati che non sono ritenuti in grado di contrastare efficacemente, per ragioni culturali, queste insorgenze, l’idea che l’unica via d’uscita sia una spartizione del territorio (in forme da definirsi) tra popolazioni arabo-mussulmane e popolazioni autoctone. Non si tratterebbe della nascita di veri e propri Stati sovrani e indipendenti, ma di forme per ora qui inedite di “Territori autonomi” riconosciuti ufficialmente e con legislazione speciale, nei quali la popolazione sarebbe tutta arabo-mussulmana, e la classe dirigente formata da jihadisti et similia. L’idea l’hanno già fatta sorgere in Hollande, come dimostra il libro citato. A partire da queste basi di potenza interne agli Stati europei, la dinamica demografica rispettiva fornirebbe ai jihadisti una potente arma contro le popolazioni autoctone, che nell’arco di una o due generazioni si vedrebbero ridotte a minoranza. In pratica, è la soluzione di compromesso raggiunta tra cattolici e protestanti nel corso delle guerre di religione francesi (che i jihadisti hanno certo studiato), con i protestanti che avevano una base di potenza nelle varie piazzaforti, politicamente non indipendenti ma autonome e capaci di garantire loro anche potenza militare, a loro assegnate.

    2. La posizione di Visalli è ragionevole.
      Nei principi: salvataggio “direttamente dalle autorità pubbliche o da chi opera per esse”; accoglienza “rispettando il diritto di asilo”; integrazione senza “forme odiose di dumping sociale” e tenendo fermo che “non si possono aiutare gli ultimi ad esclusivo danno dei penultimi”;
      e nella conclusione: “fino a che queste condizioni … non saranno implementate, bisognerà operare come si può, un passo alla volta”.

      Mi si spieghi se differisce questa posizione da quella del ministro dell’interno, o piuttosto, in una cosa: Visalli non nomina la Libia né il codice per le ong.
      Però scrive che il salvataggio sarà fatto “dalle autorità pubbliche o da chi opera per esse”, cioè le ong che hanno firmato il codice.
      Quanto poi all’accoglienza scrive “Rispettare il diritto di asilo e la clausola di non-refoulement” e anche “Chi decidiamo democraticamente di poter accogliere” e poi “ripristinare la legalità che è la prima condizione perché i diritti non siano svuotati e la sovranità annullata”.
      Dietro queste tre frasi c’è chiaramente la questione dell’accogliere tutti o alcuni, e quindi il senso di intestare alla Libia il controllo delle sue acque territoriali.
      Visalli non entra di più nel merito, forse perché la materia scotta. Ma è tutto compreso nell'”operare come si può, un passo alla volta”.
      Tra i passi uno alla volta Minniti ha parlato del confine libico come confine europeo, e dei colloqui con Ciad e Niger alle cui frontiere passano i trafficanti con i loro carichi umani. Per Libia Ciad e Niger l’europa ha stanziato 200 milioni, e sono in campo unhcr e organizzazione mondiale per le migrazioni.

  25. @ Ennio

    Parto dalla tua del 19 agosto 2017 alle 17:52 per approdare poi ad un altro tuo commento precedente (18.8 h. 1.18) che riprenderò e cercherò di commentare.
    Tu lamenti: *il problema più immediato che vedo è proprio questo. Continuiamo pure a parlare o a competere dialetticamente con argomenti contrapposti, come stiamo facendo, ma ciascuno di noi in cuor suo sa che, se dovessimo fare qualcosa di sostanziale a favore o contro i migranti lo dovrebbe fare da solo. Non si è, in queste discussioni, costruito nessun *noi* che, per me , è lo scopo minimo di Poliscritture, la ragione per cui discutiamo*.
    Te lo dico con franchezza – e, ovviamente, secondo un MIO intendimento – : quello che io riscontro negli interventi che finora sono stati fatti qui a fronte di questo problema spinoso (e che rappresenta la punta dell’iceberg di tanti altri problemi altrettanto spinosi che rischiano di essere messi in seconda battuta, come è ovvio e naturale che accada quando siamo di fronte ad un ‘emergente’) è la presenza di una passione comune, un ‘noi’ che si sforza di capire, sia pure da angolazioni diverse che derivano dalle varie storie soggettive di cui ognuno è portatore, di ‘interpretare’ (imprimendo, come è ovvio, il proprio punto di vista), di esprimere la propria tensione emotiva nei confronti di una realtà ‘maledetta’ che continuamente sfugge ai nostri (anche goffi, a volte) tentativi di imprigionarla. Eppure ‘Noi’ siamo qui, concedendo a questo spazio un posto di un certo rilievo, anche se non ci dà certo nessun ‘benefit’ né in termini di audience né, tantomeno, di modificare il corso degli eventi.
    Tu, invece, dai a quel “noi” una valenza operativa (*se dovessimo fare qualcosa di sostanziale a favore o contro i migranti lo dovrebbe fare da solo*) dietro la spinta di un ‘ideale’ comune, sul modello di un Partito o similia.
    (Piccola notazione: anche in un Partito ognuno DOVREBBE pensare con la propria testa. Quindi sarebbe “solo”!).
    Per questo tu lamenti un *siamo arrivati (divisi) al che fare*. Ma prima di ‘fare’ è importante ‘pensare’, utilizzare il pensiero, le sue capacità di funzionare come un ‘agire differito’ per fare delle ipotesi. Altrimenti seguiamo il modello ‘american life’: “prima si agisce e poi, ‘domani è un altro giorno, si vedrà’, come diceva la protagonista del film ‘Via col vento’”.

    Però anche tu butti giù delle ipotesi di pensiero quando affermi:
    a) *Tu (Rita), memore della critica marxista al diritto, aggiungi vagamente “anche se sul ‘diritto’ ci sarebbe un discorso lungo da fare per chi fa fatica ad accettare che ci siano dei ‘diritti statuiti’. Ma sarebbe meglio approfondire questa questione dei diritti, invece di evocarla e poi abbandonarla.*
    Ma certamente! E allora, pensiamoci! In che termini oggi ha senso parlare di Stato, ad esempio!
    b) *Certo, che ci vogliono delle regole, ma le regole devono essere nuove e adeguate alla nuova situazione.* (Ennio)
    Ma sicuro! E allora questo obbliga a stare in contatto con la situazione ‘reale’ e non con quella che noi vorremmo che fosse. Altrimenti, addio regole!
    c) *O la globalizzazione porterà a regole globali, difficilissime da pensare e praticare oppure – temo io, ma posso sbagliare – ci saranno conflitti anche più pesanti e distruttivi di quelli a cui assistiamo*. (Ennio)
    Ma ‘questa’ globalizzazione’ (che fa molto da pendant ideologico con il concetto di ‘realtà liquida’) in che termini va letta? Perché poi vediamo che, in barba alla globalizzazione, gli Stati funzionano come Stati (tranne il nostro, ovviamente!). Allora? Significa che c’è una misura valida per la ‘vulgata’ in modo tale che, assumendo questo ‘spossessamento’, ci si disperda ancora di più e ci si ‘spaesi’, mentre invece c’è un altro intendimento su, alle sfere alte?

    Riprendo il commento del 18.08.

    Ennio: *Per me quanti si dichiarano oppositori del governo italiano e della burocrazia UE e volessero realmente ribellarsi contro i veri responsabili ad un tempo del disastro africano e dei disastri sociali in Italia e in Europa, dovrebbero scommettere nella possibilità di *alleanza* con gli anonimi (per ora) protagonisti di questa *ribellione non organizzata*. E appoggiarla, organizzarla, farla maturare politicamente. Come fecero, ad esempio, agli inizi del movimento operaio, cartisti, mazziniani anarchici, socialisti, comunisti.*

    a) mi sembra di aver sentito già questo modello espressivo (*alleanza con gli anonimi (per ora) protagonisti di questa “ribellione non organizzata”) propagandato, nella sostanza, ai tempi delle primavere arabe e dei movimenti arcobaleno. Va bene che ‘repetita juvant’, ma in questo caso mi sembra un atteggiamento ‘tafazziano’!
    b) i protagonisti di questa (ipotetica) “ribellione non organizzata” sono ‘per ora’ “anonimi”, ovvero non hanno una collocazione formativa ‘di classe’: ciò che li contraddistingue è solo la ribellione che viene automaticamente ascritta (nel commento di Ennio – per lo meno come potenzialità -) al desiderio di costruire movimenti antisistemici o anticapitalistici. Rischiare di perdere questa opportunità (*è, secondo me, deleterio ed è riassumibile così: perdete ogni speranza voi che lottate e cercate di costruire movimenti antisistemici o anticapitalistici* – Ennio).
    Ma anche negli anni pre-hitleriani c’era la ribellione alle vessazioni a cui le potenze straniere avevano piegato la Germania. Con gli esiti che abbiamo visto. Questo ci deve pur far riflettere.
    c) non è detto, quindi, che il mondo migliore a cui aspira chi si ribella sia necessariamente quello del ‘sol dell’avvenir’. Può andare benissimo anche questo sistema! E penso che molti migranti siano proprio allettati dal far parte di questo sistema! Non c’è quella ‘idealità’ che faceva parte del vissuto dei protagonisti del Film “Il Cammino della speranza” che tu a suo tempo avevi richiamato.
    d) pensarli come ‘protagonisti’ non solo ci svia assai dalla realtà (facciamo fatica ad essere ‘protagonisti’ anche noi al giorno d’oggi), ma anche ci tranquillizza la coscienza di non averli usati proprio come ‘cose’, come ‘pacchi’ sui quali mettervi le ‘nostre’ etichette rivoluzionarie, di averli dunque manipolati e resi ‘oggetto’ della nostra propaganda.
    Guardiamo coraggiosamente anche indietro, a certe nostre posizioni del passato!
    Mi ricordo quando, di picchetto ai cancelli, alcuni componenti della mitica ‘classe operaia’ mi dicevano che aspiravano al benessere e che la ‘rivoluzione’ poteva aspettare! Che dire?
    e) quanto al desiderio della loro ‘maturazione politica’, l’analogia ‘desiderante’ che viene chiamata in causa con *gli inizi del movimento operaio* è, quindi, estremamente fuorviante non solo nel senso di quanto ho espresso sopra, ma anche nel senso che non si tiene conto dei profondi cambiamenti storici e strutturali intervenuti all’interno del sistema capitalistico e dei suoi rapporti sociali. Oltretutto si rischia di insufflare in costoro – secondo me ‘non-protagonisti’ – *un livello ideologico che però è nostro, creato dalla nostra cultura europea, e poi americana, marxista* (Cristiana).
    f) prendo un’altra citazione rispetto al parallelo tra ONG e i missionari e la battuta *Ma ho pensato pure che, fra costoro, c’era e ci sarà forse pure qualche Bartolomé de Las Casas (Ennio)*.
    Sì, certo, posso valorizzare l’operato di questo vescovo ma, come recita il detto “una rondine non fa primavera”, dobbiamo vedere la tendenza. Conosco un imprenditore che è stato più che un padre per i suoi lavoratori: ciò non toglie che non sia stato vincolato dalla struttura del sistema produttivo.
    Ciò che invece mi spaventa, perché mi pare molto rischioso e pericoloso, è l’assecondare una ideologia *universalista superiore per valore agli stati*, posizione che viene ulteriormente ribadita nel successivo commento quando scrivi: *Fossero davvero le Ong “portatrici di una ideologia universalista superiore per valore agli stati”! Io ne sarei ben contento!*
    Perché da lì al “Deus vult”, oppure al “Gott mit uns” il passo è breve!

    Un’ultima notazione rispetto alla battuta *Qui siamo tutti vecchi e più o meno con una casa e una pensione*: io sono vecchia, senza una casa, e con una pensione di 400,oo €, ragion per cui, pur non stando bene di salute, continuo a lavorare non solo per una integrazione economica, ma per una continua ‘integrazione’ mentale.
    Da bambina, ho sperimentato l’amaro sapore delle ‘caritatevoli minestre’, dei pacchi UNRRA la cui elargizione era condizionata all’aderire alla ideologia dominante, la Chiesa, in primis, e la DC a fianco. Cibi rancidi! Com’erano più buone le calde uova rubate dai pollai, sorbite dopo averle forate sopra e sotto con la forcina dei capelli!
    Ma non si ruba… si può invece tranquillamente essere derubati della propria dignità e del proprio spazio vitale! America docet!
    La fame, il disagio, la paura, le vessazioni; ma soprattutto vivere e patire gli inganni e riconoscerli, come individuare i lupi vestiti di agnello o chi offre caramelle ai bambini soli e sprovveduti: tutto questo l’ho imparato dolorosamente dalla esperienza.
    Ma oggi, pur dolorosamente, mi sento ‘libera’ dentro. Libera di poter pensare.
    Ora mi pongo la domanda: che cosa ho da dire io di diverso dall’affermare che la libertà non viene regalata da nessuno, ma che deve essere guadagnata personalmente?
    E che sarà solo in un secondo momento in cui ci si potrà incontrare tra uomini sufficientemente liberi in previsione di un processo di trasformazione di sistema?

    R.S.

  26. @ Ennio. Per chiarezza. Premetto che in campo politico credo fermamente che occorre gestire l’esistente, prendere in mano quello che preme, analizzare il meglio possibile cosa è quello che è, quindi vedere una via di accesso per far evolvere la situazione verso il meglio. Il meglio può essere la mia convinzione, o la convinzione di un altro, o la scelta maggioritaria, o un valore assoluto.

    Ma, in ogni caso, il meglio è anche quello che è possibile.

    Dirai che tutti si sforzano di fare così, e lo credo anch’io. Eppure, sbaglierò, tu hai a riserva un insieme di direttive precostituite, ma non le misuri col possibile. Rebus sic stantibus tu non hai soluzioni ORA, QUI, A BREVE, se non *continuare quello che c’era prima*.
    Io credo invece che *continuare* sia diventato intollerabile, e socialmente e politicamente.
    Quindi si tratta di dare degli input. Abbiamo avuto prima il fatto magistratura-ong poi le azioni di Minniti. Magari erano operazioni collegate.
    La sola vera questione è: accogliere TUTTI o no?
    Ecco, questo è il punto. Per te sì, io penso che è meglio no, per noi, e in parte anche per loro:  non trovano l’Eldorado, muoiono. Come scrive a un certo punto Visalli: “bisogna che chi decidiamo democraticamente di poter accogliere (e sono moltissimi)”…
    “Decidiamo democraticamente di accogliere” e “sono moltissimi”. Ma non sono tutti.

    E non scrivere “È in questa fiducia, in questo concedergli carta bianca (perché ministro, perché autorevole, perché le sue parole hanno soddisfatto le tue attese?)”…
    Ma che mi importa di Minniti? rispetto dell’autorità, io?… Ma mi faccia il piacere! Credo solo che per iniziare a frenare gli arrivi probabilmente andava fatto quello che lui ha fatto. Il problema è sul frenare o no gli arrivi e non su Minniti.

    1. @ Cristiana Fischer

      1.
      Non mi pare di essere l’unico che «rebus sic stanti bus» non abbia « soluzioni ORA, QUI, A BREVE ». Persino le scelte di Minniti non è detto che lo siano. Potranno anche essere peggiori del «continuare». Mi limito a dire: aspettiamo.

      2.
      No, solo estremizzando astrattamente, si può pensare che «il punto» o «la questione» sia « accogliere TUTTI o no». Questa è una formulazione retorica e propagandistica dell’enorme problema delle attuali migrazioni. Tutta la discussione più becera che vedo sui social sguazza su questa ed altre false alternative. A me pare che sia l’ *accoglienza*, nata come soluzione tampone ed emergenziale e – per pigrizia intellettuale e stallo nei rapporti tra forze politiche contrapposte (buoniste e cattiviste) – mal gestita in concreto, perché affidata per lo più a cooperative “di ventura”, sia il respingimento (oggi alla Minniti, ieri alla Bossi/Fini, etc), non potranno essere vere soluzioni ma produrranno macerazione e prolungamento delle crisi. Chi vivrà vedrà.
      Restano fuori per adesso: o un progetto strategico o spietatamente nazionalista ( da “destra radicale) o quella ben più ardua *alleanza* di lotta tra le vittime sociali della globalizzazione presenti sia nei paesi sconvolti da guerre e disastri economici che, qui da noi, tra gli strati medio-bassi della popolazione.

  27. E facciamo intervenire nella nostra discussione anche Luciano Violante, dai!

    SEGNALAZIONE

    Violante: ‘Accoglienza migranti non è valore assoluto: sinistra è ideologica’
    http://it.blastingnews.com/politica/2017/08/violante-accoglienza-migranti-non-e-valore-assoluto-sinistra-e-ideologica-001931653.html

    Stralcio:

    In particolare riguardo al tema dell’#immigrazione Violante ha detto: “Non esiste un valore assoluto dell’accoglienza.

    Anche Papa Francesco ha detto che si deve accogliere ‘finché è possibile’. ‘Salvare vite umane e basta’ e ‘accogliere e basta’. Va bene tutto, ma bisogna vedere anche qual è il contesto generale. Se per esempio si scopre che le ONG oggettivamente anche non per loro volontà, rischiano di essere una catena del traffico, è chiaro che la cosa non va bene”.

    Riguardo alla diversità di posizioni dentro al PD (es. fra Delrio e Minniti) su questo argomento Violante ha dichiarato: “Le differenze di posizioni sono inevitabili. Il vero è problema è trovare un punto di conciliazione, che in questo caso si è trovato. Se io avessi dovuto scegliere, avrei scelto la linea del ministro Marco Minniti [VIDEO], perché oltre all’accoglienza è importante definire una politica della partenza”.

    Riguardo al ruolo della sinistra in questa fase Violante ha concluso: “Il realismo è incompatibile con l’utopia ed essa gioca la partita dell’estremismo ideologico. Un’inutile verginità, che poi significa sterilità. I blocchi sociali di una volta si sono scomposti perché è cambiato il modo di produrre e non esiste più l’operaio-massa.

    La sinistra, ma non solo essa, ha difficoltà di raccordo con pezzi della società. Infatti oggi uno dei punti di riferimento è il rancore. E questa società vota in prevalenza Movimento 5 Stelle e Lega Nord. Sinceramente non si può imputare a nessun partito di non avere radicamento sociale, anche semplicemente perché non si saprebbe dove mettere le radici in questo mondo frammentato”.

  28. *Non so se « l’ira dei «dannati della terra», da sempre prede dello schiavismo, del colonialismo e del neocolonialismo, sarà grande», ma « il meglio è anche quello che è possibile» (cristiana fischer 20 agosto 2017 alle 20:29) pare consista proprio in questo:

    « la nostra vocazione principale… essere presenti nei vari teatri di guerra per contare qualcosa nei tavoli politico-militari, sia pure in posizioni subalterne, a difesa degli «interessi nazionali» (energia e mercati, ovunque si trovino: petrolio, mercato di armi e tecnologie)»

    « La disinformazione dei media di servizio ha contrabbandato un assenso dell’Onu al «Codice Minniti», che è stato puntualmente smentito e anzi condannato come operazione illegale di respingimento dei migranti. Si respingono i migranti, anche i richiedenti asilo, per fare della Libia un lager; del resto l’ha già fatto l’Unione europea con la Turchia, con un costo decisamente più elevato; in Libia bastano pochi milioni di euro per accordarsi con la guardia costiera e le mafie locali (su queste pratiche l’Italia ha una lunga esperienza).» [E. A.]

    SEGNALAZIONE

    Senza confini
    21 agosto 2017 di Lanfranco Binni
    http://www.ilponterivista.com/blog/2017/08/21/senza-confini/

    Il respingimento dei migranti perseguito dal «Codice Minniti» dietro il maldestro polverone sulle attività di soccorso in mare delle Ong, che ha procurato all’Italia una condanna dell’Onu, copre altre ambizioni strategiche, affidate dall’Unione europea e dalla Nato agli ascari italici: la penetrazione del continente africano a partire dalla Libia. *Il cantiere dell’Europa riparte dal fronte Sud*, intitolava un articolo del presidente ombra Giorgio Napolitano pubblicato sul «Corriere della sera» il 17 giugno, nei giorni successivi al G7 di Taormina e all’incontro euro-africano tenuto il 12-13 giugno a Berlino su iniziativa della Germania. Ricordando che la dichiarazione Schuman del 1950, documento costitutivo del processo di integrazione europea, indicava tra i «compiti essenziali» dell’Europa «lo sviluppo del Continente africano», Napolitano scriveva:
    Ma di assoluto rilievo sono state l’ampiezza di visione e la concretezza di approcci che hanno caratterizzato l’impegno della Conferenza di Berlino per lo sviluppo del Continente africano. Non c’è dubbio che una spinta decisiva in tal senso sia stata costituita dalla grande ondata migratoria, in particolare di provenienza africana, che ha investito i Paesi dell’Unione europea. Ma quella che ha caratterizzato la riflessione strategica di Angela Merkel è stata una molteplicità di considerazioni di fondo: l’alto tasso di natalità e la giovanissima età media della popolazione africana, specie nell’area sub-sahariana; la straordinaria ricchezza delle fonti di energia, in particolare quelle rinnovabili, di cui dispone il Continente; la possibilità di attrarre ingenti investimenti privati in Paesi grandi e piccoli dell’intera Africa. L’interesse complessivo dell’Europa risiede non solo nella costruzione di un’alternativa di sviluppo e lavoro a caotiche e drammatiche correnti migratorie verso il nostro Continente, ma anche nella prospettiva di soddisfare in modo selettivo e regolato i futuri fabbisogni di energie lavorative delle nostre economie, e di aprire a queste ultime occasioni nuove di sviluppo congiunto con quello africano.
    Forse non a caso nello stesso «Corriere della sera» del 17 giugno una lunga intervista al capo di Stato maggiore della Difesa, Claudio Graziano, definiva i termini della questione:
    Il cosiddetto Fianco Sud, oltre a essere una minaccia multiforme che noi militari identifichiamo nel triangolo terrorismo-instabilità-migrazione, include una realtà molto vasta che va dalla Penisola Arabica al Medio Oriente, al Corno d’Africa, all’Africa del Sahel. L’istituzione di questo nuovo comando Nato [a Napoli, dal febbraio di quest’anno], su cui il ministro Roberta Pinotti si è molto spesa nelle sedi internazionali, è un indubbio successo politico-diplomatico dell’Italia. Da lì coordineremo meglio le operazioni in corso nell’area, sia Nato, sia europee. Ma ci sarà una sorta di cabina di regia per quella che è divenuta la nostra vocazione principale: il «capacity building», la creazione di forze di sicurezza che sono un tassello importante per la stabilità. […] Il processo problematico dell’Africa, probabilmente per colpa dell’Europa, è nato molti anni fa. Che in Africa ci fosse un problema, lo sapevamo. Che ci siano milioni di persone potenzialmente in movimento, sappiamo anche questo. Finalmente però c’è una strutturazione. Precisiamo comunque che in Mali ci siamo già, visto che partecipiamo alla missione Eutm [European Union Training Mission] con 12 istruttori. E che abbiamo la leadership di un’altra missione Eutm di altrettanta importanza in Somalia, con 130 militari. Stiamo per assumere anche la guida della missione europea antipirateria Atlanta. E non dimentichiamo che siamo massicciamente presenti in Iraq con altri 1.500 uomini, che stanno addestrando le forze di combattimento irachene. […] La trasformazione che stiamo facendo delle forze armate, vedi il *Libro Bianco*, che speriamo di portare a compimento presto, prevede di avere delle forze armate capaci di operare in un lungo periodo.
    E in Libia? Il piccolo ospedale da campo allestito alcuni mesi fa a Misurata, con 200 militari di supporto, è oggi sostanzialmente inutilizzato, ma l’operazione era solo un pretesto per mettere un piede nella porta del teatro libico. Anche i 500 militari spediti in Iraq a protezione di un cantiere italiano per il rafforzamento della diga di Mosul, terminata la battaglia in città con la sconfitta dell’Isis, saranno dislocati altrove. Dove?
    Vaghe le strategie, un’unica certezza: essere presenti nei vari teatri di guerra per contare qualcosa nei tavoli politico-militari, sia pure in posizioni subalterne, a difesa degli «interessi nazionali» (energia e mercati, ovunque si trovino: petrolio, mercato di armi e tecnologie).
    Quanto sta accadendo in Libia è un esempio di cialtroneria italica. Il sostegno esclusivo al governicchio di Serraj che non controlla neppure la città di Tripoli, e l’attuale tentativo di negoziare con il governo di Tobruk che tra l’altro controlla l’area degli impianti petroliferi dell’Eni, è una riprova dell’assoluta mancanza di visione strategica dei governi italiani, ai limiti dell’accattonaggio; si ristabiliscono i rapporti diplomatici con l’Egitto del golpista Al-Sisi con il pretesto di una pretesa nuova disponibilità del governo egiziano ad accertare le sue responsabilità nell’assassinio di Giulio Regeni, ma in realtà solo per negoziare, con il sostegno dell’Egitto, con il generale Haftar, uomo forte di uno schieramento Francia, Russia e Stati Uniti che il governo italiano non ha saputo vedere e ha dovuto subire. La disinformazione dei media di servizio ha contrabbandato un assenso dell’Onu al «Codice Minniti», che è stato puntualmente smentito e anzi condannato come operazione illegale di respingimento dei migranti. Si respingono i migranti, anche i richiedenti asilo, per fare della Libia un lager; del resto l’ha già fatto l’Unione europea con la Turchia, con un costo decisamente più elevato; in Libia bastano pochi milioni di euro per accordarsi con la guardia costiera e le mafie locali (su queste pratiche l’Italia ha una lunga esperienza). L’ira dei «dannati della terra», da sempre prede dello schiavismo, del colonialismo e del neocolonialismo, sarà grande.

    1. Trovo allucinanti e allucinati questo tipo di articoli, L.B. prende le mosse da un Pintor di 14 anni fa per dire che ci sono solo errori e va sempre peggio. La sua idea sul tempo che procede e la realtà che si fa man mano, è quella di una realtà come dovrebbe essere, e di una decadenza e allontanamento che producono una ir-realtà. Per cui, accuse di tradimento e cialtronaggine.
      Le sue critiche non riguardano una diversa gestione ma sempre il fatto che quello che è dovrebbe invece essere altra cosa. Si può modificare quello che c’è ma non sostituirlo con quello che non c’è.
      Ma ecco la catena delle azioni da compiere per riuscirci (è l’ultimo conclusivo periodo dell’articolo):
      “Un obiettivo concreto? Lo ripetiamo ancora una volta:
      1. disertare la Nato.
      2. A breve termine: cambiare governo, ritirare le missioni militari all’estero, sviluppare una cultura antimilitarista nelle scuola e nell’opinione pubblica.
      3. Per cambiare governo, è necessario
      a) rompere le divisioni politiciste tra gli elettorati della sinistra realmente estranea al Pd (in gran parte rifluita nell’astensionismo) e
      b) il composito elettorato del M5S
      sulla base di un orientamento politico-sociale che sappia unire – senza confini – le pratiche della democrazia diretta e della partecipazione attiva a elementi di programma, provvisori e di processo, ma chiari nelle prospettive, sui temi fondamentali
      * del lavoro,
      * del modello economico
      * e della collocazione dell’Italia nel mondo.”

      Sciocchezzuole, come mai nessuno ci aveva già pensato?

      1. “sviluppare una cultura antimilitarista nelle scuola e nell’opinione pubblica”

        Già fatto e benissimo, si è sviluppata una cultura antimilitarista anche nelle FFAA, con le bubbole sui “soldati di pace”, gli ottimi rapporti tra SM e Comunità di Sant’Egidio, il servizio taxi a cura della Marina Militare…

        Ragazzi, gli eserciti servono a fare la guerra = ammazzare della gente. Può non piacere, e infatti a molti non piace, ma se a te non piace e al tuo nemico sì indovina come va a finire?

        1. “Può non piacere, e infatti a molti non piace, ma se a te non piace e al tuo nemico sì indovina come va a finire?” (Buffagni)

          Va a finire che ti sottomette? E quindi mai si deve tentare di tirarsi fuori dalla catena di montaggio mondiale della carneficina organizzata?
          Mi ricordo ancora di un certo Lenin che suggeriva di contrapporre alle guerre (degli imperialisti, se ancora si possono chiamare così) non l’inerzia o l’altra guancia ma la rivoluzione.
          Può non piacere e a molti non piace ma è scritto nelle Tavole della Legge che finirà peggio di adesso?

          1. Subito la rivoluzione dovette affrontare una guerra, la guerra civile fino al 23, tanto vale saperlo. Come oggi lo hanno saputo (evitare) Dilma Roussef e forse la eviterà cadendo, Maduro. Rivoluzione e pace doesn’t matter.

  29. @ Rita Simonitto

    Cara Rita,
    confesso che, dopo aver letto il tuo ultimo commento, replicarti mi costa un po’, ma credo sia utile provarci e in pubblico.

    1. Quale “noi”? Sì, per me un “noi emozionale”, «che si sforza di capire, sia pure da angolazioni diverse che derivano dalle varie storie soggettive di cui ognuno è portatore, di ‘interpretare’[…], di esprimere la propria tensione emotiva nei confronti di una realtà ‘maledetta’ che continuamente sfugge » non basta. Se non si riuscirà a modificare «il corso degli eventi» in qualche maniera (ma – problema decisivo – in direzione di meno o più “democrazia”?), la situazione peggiorerà ancor più di adesso. Almeno per “noi” e per quelli che sentiamo più vicini o simili. Non capisco perciò perché rinunciare a porsi il problema del *che fare*. E a fare, quando c’è possibilità anche minima. Nel fare, anche approssimativo, c’è sempre qualcosa che serve a *meglio* pensare.

    2. Secondo me le tue obiezioni rischiano di scindere pensare e fare, perché privilegiano unilateralmente la prima dimensione e svalutano o diffidano troppo (per sconfitte subìte?) della seconda. E in un’epoca che vede i dominatori fare o a disfare – «all’americana» appunto – senza che nessuno riesca a intralciarli o a fermarli, ho la sensazione che “noi” ci limitiamo purtroppo a pensare le cose che costoro fanno e disfano, a prenderne atto. E solo ad esse diamo il marchio positivo di *realtà*. Anche se ci distrugge.

    3. Non ho mai seguito «il modello ‘american life’: “prima si agisce e poi, ‘domani è un altro giorno, si vedrà’». E, per forza di cose, ho dovuto io pure adattarmi all’ «‘agire differito’», che tu tanto valorizzi. Non mi sento però di dare alcun primato al pensare. Chi lo fa (o è costretto a farlo) può anche diventare sterile, misantropo e chiudersi in una orgogliosa autosufficienza, distaccandosi dal fare in comune con altri (che è sempre cosa difficilissima e torbida, ma vitale). Il rischio di alimentare un «parlare per parlare» diventa in certi casi più forte. Anche se, specie in determinate circostanze storiche, posso apprezzare che sia persino un vantaggio o un rimedio al peggio, come dice giustamente Buffagni.

    4. «Stare in contatto con la situazione ‘reale’ e non con quella che noi vorremmo che fosse». Appunto. Ma – detto in modo schietto – chi può pretendere di conoscerla oggi questa «situazione reale»? La interpretiamo diversamente e, come si vede, in modi divaricati e quasi contrapposti. Faccio due esempi. Ho usato il termine ‘globalizzazione’ (e non credo per farne le lodi) e tu subito mi ricordi che ogni discorso sulla globalizzazione è – manco ‘potrebbe essere ‘ – fumo, «‘vulgata’», ideologia “liquida”, che ci spossessa, ci “spaesa”, ci distrae da problemi ben più importanti (quelli « su, alle sfere alte»?), mentre tutto procederebbe altrimenti: «in barba alla globalizzazione, gli Stati funzionano come Stati (tranne il nostro, ovviamente!)». E chi parla di globalizzazione lo ignorerebbe. Secondo esempio. Ho parlato dei migranti come «potenziali alleati» e di « anonimi (per ora) protagonisti di questa *ribellione non organizzata*. E tu subito a dire che sono «‘non-protagonisti’» e che molti di loro sono « proprio allettati dal far parte di questo sistema!» . Per cui, dal tuo punto di vista, io non farei altro che riecheggiare un vecchio « modello espressivo», sarei suggestionato dai «tempi delle primavere arabe e dei movimenti arcobaleno», penserei ancora al «sol dell’avvenire», non mi accorgerei che i migranti di oggi non hanno « quella ‘idealità’ che faceva parte del vissuto dei protagonisti del Film “Il Cammino della speranza” che tu a suo tempo avevi richiamato», ecc. Avrei – questa la conclusione – addirittura «un atteggiamento ‘tafazziano’».

    5. Insomma, a me pare di tenere aperta un’ipotesi e tu la escludi. Ammettessimo tutti di essere *un po’* «nel mondo dei desideri, degli auspici , delle attese, delle ipotesi», forse ci potremmo confrontare meglio. Ma sentirmi dire anche da te che quelli come me, pensando i migranti come potenziali ribelli e alleati, metterebbero «etichette rivoluzionarie», manipolandoli o rendendoli «‘oggetto’ della nostra propaganda» e così facendo si tranquillizzerebbero la coscienza mi fa un po’ innervosire. Tu ed altri, invece, chiamandoli “invasori” non mettereste delle etichette e non vi tranquillizzate la coscienza? E ancora. Io insufflerei «*un livello ideologico che però è nostro, creato dalla nostra cultura europea, e poi americana, marxista* (Cristiana)». Tu non insuffleresti nessuna ideologia mettendoli tra i “non protagonisti” della storia attuale?

    6. Ci sono stati « dei profondi cambiamenti storici e strutturali intervenuti all’interno del sistema capitalistico e dei suoi rapporti sociali», ma, in sostanza, renderebbero assurda *solo* la mia ipotesi sulla alleanza coi migranti. Che a tuo parere sarebbero fratelli gemelli di quei membri della «mitica ‘classe operaia’» degli anni Settanta che alla fine stramazzarono sulla loro via di Damsco e confessarono di aspirare al benessere e dichiararono che «la ‘rivoluzione’ poteva aspettare!».

    7. A me pare che questi esempi confermino non solo l’inconciliabilità delle nostre “ipotesi sulla realtà” ma mettano in serio dubbio anche la passionalità che, malgrado tutto, ci unirebbe. Temo che, oltre alle idee (e alle ideologie che in esse s’infiltrano) abbiamo anche *passioni contrapposte*.

    8. Infine, la tua ultima affermazione: «rispetto alla battuta *Qui siamo tutti vecchi e più o meno con una casa e una pensione*: io sono vecchia, senza una casa, e con una pensione di 400,oo €, ragion per cui, pur non stando bene di salute, continuo a lavorare non solo per una integrazione economica, ma per una continua ‘integrazione’ mentale». Ne condivido tutta l’amarezza. Non credo che la tua condizione sia poi così distante dalla mia (e penso anche da quella di molti che qui intervengono e commentano). Siamo in fondo “ceto medio” in via di impoverimento o già impoverito. Ma proprio per questo non capisco l’atteggiamento così diffidente verso i migranti. Nella tua esperienza hai evocato «la fame, il disagio, la paura, le vessazioni; ma soprattutto vivere e patire gli inganni e riconoscerli, come individuare i lupi vestiti di agnello o chi offre caramelle ai bambini soli e sprovveduti». Malgrado tutto questo, senti di aver raggiunto il traguardo di sentirti « ‘libera’ dentro. Libera di poter pensare». E mi chiedo: non possono raggiungere tale traguardo anche i migranti? Perché allora rimandare a « un secondo momento in cui ci si potrà incontrare tra uomini sufficientemente liberi in previsione di un processo di trasformazione di sistema»? Che, a certe condizioni (da costruire), uomini «sufficientemente liberi» possano venir fuori anche adesso *da noi e dai migranti* è così impensabile? Non ti passa per la testa che rimandare a «un secondo momento» (Paradiso o Sol dell’avvenire) sia stata la formula tipica imposta dai dominatori ai dominati?

    1. “I filosofi hanno (finora) solo interpretato diversamente il mondo; ma si tratta di trasformarlo” (K. Marx, “Tesi su Feuerbach”, 1845).

      Mi scuso con tutti per fare la pe-Dante nell’insistere a fare precisazioni sulla terminologia adoperata: già le parole sono ‘biforcute’ e infide di per loro, se ci aggiungiamo anche del nostro diventa davvero una Babele! Il linguaggio è una gran forma di comunicazione, ma anche di ‘separazione’!
      Capisco, dunque, Ennio, la tua difficoltà e quindi ben vengano le tue osservazioni che cercherò di commentare. E non brevemente.

      punto 1)
      Un ‘noi’ che si sforza di capire (così come ho scritto io), non è un “noi emozionale”, come affermi tu, perchè quest’ultimo tende ad azzerare le differenze, mentre, quando si cerca di capire, le differenze vengono sentite, eccome. E’ che, per fare questo movimento di comprensione, si utilizza una ‘passione’, una spinta emotiva, che è tutt’altra cosa! Perchè è guidata non dal fatto di voler avere ‘ragione’ sulle cose, sui fatti, ma di accettare anche la sconfitta di non averli ancora capiti.

      Ma quando tu aggiungi *Se non si riuscirà a modificare “il corso degli eventi” in qualche maniera (ma – problema decisivo – in direzione di meno o più “democrazia”?), la situazione peggiorerà ancor più di adesso*, significa che chi si attarda a pensare, a riflettere più a largo raggio, sta inceppando un movimento di cui tu, contrariamente all’incipit che hai messo all’inizio di questo commento (“Il futuro non è scritto”), sembri avere già una lettura alla quale bisogna conformarsi.
      Se la situazione peggiorerà (o migliorerà) ciò non dipenderà affatto da una particolare ‘nostra’ gestione della questione migranti, ma da ciò che li ha costituiti a monte. L’incipit che ho messo io suggerisce che Marx si diede da fare per pensare e studiare la SUA epoca storica, non per farne una teorizzazione filosofica ma per poter trasformare lo stato delle cose che lui aveva analizzato. Se scrive che “È nella prassi che l’uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero”, ciò significa che ci deve essere un rapporto tra pensiero teorico e il fare. E ciò che io lamento è proprio l’assenza di un pensiero teorico attuale.

      2) e 3)
      Non tengo separati (o scissi) il pensare dal fare (e auspico che anche gli altri facciano altrettanto), ma do loro priorità diverse a seconda delle circostanze. E in questa circostanza storica io preferisco dare la priorità al pensare e all’analisi, proprio in virtù di una possibile trasformazione dell’esistente.
      Dico “auspico”, perchè non posso obbligare nessuno. Ma nemmeno io voglio sentirmi obbligata – pena anatema – al “fare”, se non sono convinta di quello che sto andando a fare. E nemmeno il ‘pensare’ lo sento come un rifugio dentro una *orgogliosa autosufficienza*: è un sacrificio, anche perché imparare lo strumento della “azione differita” non si acquisisce ‘naturalmente’. Non differentemente dall’acquisizione (sempre ‘in fieri’) dell’essere ‘persona’ e maturare una posizione di consapevolezza del proprio essere (o essere ‘protagonisti’, come tu chiami). Mentre invece tu dai per scontato che i migranti, o buona parte di essi, siano dotati di ciò al pari di un ‘dono di natura’. Però tu, giustamente, ti *innervosisci* (o, per dirla paro paro, ti “incazzi”) quando ti vengono presentati pensieri che non senti a te conformi o che abusano di certe espressioni linguistiche – come “tafazziano” – . Ma l’educazione ricevuta e il ruolo che occupi ti porta ad utilizzare un termine, appunto, più addomesticato. Hai rinunciato ad una espressione diretta utilizzandone una più mediata. E questo si apprende, non viene da sé.

      4)
      Sulla Globalizzazione rispondevo alla tua frase che qui riporto:
      *O la globalizzazione porterà a regole globali, difficilissime da pensare e praticare oppure – temo io, ma posso sbagliare – ci saranno conflitti anche più pesanti e distruttivi di quelli a cui assistiamo*. (Ennio)
      Ragion per cui, analizzando:
      a) la globalizzazione viene già assunta come concetto assodato;
      b) a fronte di essa si auspicano regole globali (e nello stesso tempo se ne comprende la difficoltà, in quanto escludono il ‘caso-per-caso’).
      Lascio dedurre la ‘incompatibilità’ legata a mettere un cappello di regole alla globalizzazione!

      Più complesso rispondere al punto 5 che riporto per intero:

      5)
      * Insomma, a me pare di tenere aperta un’ipotesi e tu la escludi. Ammettessimo tutti di essere *un po’* «nel mondo dei desideri, degli auspici , delle attese, delle ipotesi», forse ci potremmo confrontare meglio. Ma sentirmi dire anche da te che quelli come me, pensando i migranti come potenziali ribelli e alleati, metterebbero «etichette rivoluzionarie», manipolandoli o rendendoli «‘oggetto’ della nostra propaganda» e così facendo si tranquillizzerebbero la coscienza mi fa un po’ innervosire. Tu ed altri, invece, chiamandoli “invasori” non mettereste delle etichette e non vi tranquillizzate la coscienza? E ancora. Io insufflerei «*un livello ideologico che però è nostro, creato dalla nostra cultura europea, e poi americana, marxista* (Cristiana)». Tu non insuffleresti nessuna ideologia mettendoli tra i “non protagonisti” della storia attuale?*

      Allora:
      a) Rispetto al primo passo, e cioè tu tieni aperta una ipotesi e io la escluderei, credo che le cose non stiano proprio così. Perché se lavorassimo davvero sul piano delle ipotesi, queste hanno lo stesso valore probante (ovvero relativamente nullo) in assenza di un ascolto della realtà. La quale, essendo al momento difficile da ascoltare, ci costringe a fare appello all’esperienza/memoria storica, ovviamente anch’essa inficiata da tutta una serie di ‘deviazioni’ soggettivistiche, in parte anche ideologiche. Pertanto ci si confronterebbe come ‘studiosi’, sul pensare, e non sul conflitto tra il pensare e il fare. E il fatto che tutti, dico tutti, siamo portatori di *desideri, di auspici, di attese*, deve essere messo (temporaneamente) fra parentesi se voglio accostarmi alla realtà in modo non pregiudiziale.
      b) Per questi motivi, la tua frase *quelli come me, pensando i migranti come potenziali ribelli e alleati* nonchè *anonimi (per ora) protagonisti di questa *ribellione non organizzata* ecc. ecc.- implicando dei temi sovvertitori non da poco, quasi fossimo alla vigilia di una rivoluzione e pertanto queste *ribellioni non organizzate* vanno ‘cavalcate’ -, questa espressione, dico, non viene rappresentata con un tremebondo punto di domanda (che quel *potenziali* solo debolmente fa trapelare e, oltretutto, è ambiguo nel suo valore), bensì come una precisa presa di posizione che segue più un desiderio ‘movimentista’ (=”ribellione non organizzata”) che di analisi concreta. Come ho già scritto in precedenza, la sola ribellione non è sufficiente e rischia di farsi prendere la mano da guide non sempre affidabili!
      Sì, è necessario prendere *in considerazione* i migranti, stabilire chi sono, quanti sono e quali sono le nostre possibilità/disponibilità all’accoglienza. Ma sono queste le modalità ‘civili’ da applicare. Per questo ho preferito optare per la scelta delle adozioni a distanza di bambini di paesi tormentati dalla guerra o disagiati. Mantenendoli nel loro paese di origine.

      c) quanto alle etichette, ho già detto che ‘invasori’ è un termine descrittivo di un dato di fatto a differenza dell’etichetta *potenziali ribelli e alleati* che appartiene ad un codice desiderante soggettivo, e forse anche ideologico.
      A proposito di ‘invasori’ (ovvero qualcuno che occupa un posto non suo), riprendo Cardini e la citazione che lui ha fatto a fronte del diritto internazionale:
      “Mi riferisco a quel comma importantissimo e sempre disatteso secondo il quale le ricchezze del suolo e del sottosuolo di una determinata area appartengono a coloro che lì sono insediati.” Quindi, semplificando al massimo, noi a casa nostra e loro a casa loro. Ci possono essere spazi condivisi, ma sottoposti a contrattazione con soddisfazione reciproca.
      Ma il colonialismo ha disatteso questo principio e adesso, paradossalmente, ci troviamo di fronte ad una ‘colonizzazione all’inverso’.
      Il “ricco Occidente” (come lo chiama Cardini) attira qui, anche se da ciò ne verranno generati squilibri che andranno ad implementarsi (a detrimento degli ultimi e dei penultimi) proprio a seguito di questo tipo di migrazioni di massa.
      Migrazioni provenienti da paesi, molti dei quali, avrebbero delle “ricchezze del suolo e del sottosuolo che potrebbero essere sfruttate”. Solo che queste ricchezze abbandonate verranno sfruttate da nuovi colonizzatori!

      6) e 7)
      *Ci sono stati “dei profondi cambiamenti storici e strutturali intervenuti all’interno del sistema capitalistico e dei suoi rapporti sociali”, ma, in sostanza, renderebbero assurda *solo* la mia ipotesi sulla alleanza coi migranti.*
      Ripeto, quando viene fatta una ipotesi, si devono mettere fra parentesi i nostri desideri. Il che aprirebbe anche alla domanda: perché abbiamo bisogno di alleati? Abbiamo bisogno di ‘manodopera’ rivoluzionaria così come i capitalisti hanno bisogno di forza lavoro?.
      Ma allearsi che cosa significa? Innanzitutto che ho una visione strategica e, cosa altrettanto importante, che ho un certo potere. Allearsi per fare ‘numero’ o ‘forza d’urto’ può anche avere un iniziale successo ma … non è sufficiente vincere il primo passaggio (rivoluzionario?), bisogna anche consolidarlo. Anche con un potere in armi e ben addestrato. E questo a fronte del commento del 25.8 h. 7.19 di Ennio a Buffagni: *Mi ricordo ancora di un certo Lenin che suggeriva di contrapporre alle guerre (degli imperialisti, se ancora si possono chiamare così) non l’inerzia o l’altra guancia ma la rivoluzione*. Sì, ma dopo? A rivoluzione avvenuta?
      Nel secondo conflitto mondiale gli Stati Uniti si allearono alla Unione Sovietica ma non permisero che quest’ultima si allargasse troppo nel sud-est asiatico. E l’atomica su Hiroshima e Nagasaki non penalizzò solo il Giappone ma, a detta degli storici, fu anche un avvertimento al vecchio alleato, dando inizio alla Guerra Fredda.

      Da qui, la tua ‘amareggiata’ conclusione: *A me pare che questi esempi confermino non solo l’inconciliabilità delle nostre “ipotesi sulla realtà” ma mettano in serio dubbio anche la passionalità che, malgrado tutto, ci unirebbe. Temo che, oltre alle idee (e alle ideologie che in esse s’infiltrano) abbiamo anche *passioni contrapposte*.

      Io credo che più che *passioni contrapposte* ci sia sì una differenza, abbastanza significativa, ma che ha a che fare con il diverso sguardo prospettico a partire da una medesima spinta: trasformare il mondo.
      Per parte mia, probabilmente per deformazione professionale, prima voglio capire e non mi accontento di ciò che mi viene propinato. Poi vedrò che cosa si può tenere e che cosa si può cambiare.
      Per parte tua, invece – però è una mia valutazione rispetto a queste tue posizioni sui migranti – tu parti da assiomi valoriali (lo sfruttamento; la rigida divisione tra dominati e dominanti, senza capire che a volte possono ‘dominare’ anche i dominati; la credenza in un ‘universalismo’, come hai affermato a proposito delle ONG ( *Fossero davvero le Ong “portatrici di una ideologia universalista superiore per valore agli stati”! Io ne sarei ben contento!*) per arrivare alla ‘rivoluzione’ tout court.
      Il mio fine è ‘capire’, il tuo è ‘cambiare’ (perché ça ne tient plus).
      Quindi non sono *contrapposte*, bensì faticano ad interfacciarsi.

      8)
      Parlare delle mie esperienze non intendeva sollecitare una solidarietà per quanto accettata e gradita (*Ne condivido tutta l’amarezza* – Ennio), ma segnalare la difficoltà a passare in mezzo fra Scilla e Cariddi (le lusinghe della vanità, la seduzione della bellezza e della vita di successo di contro alla durezza e agli inganni dell’esistente).
      E ciò pur avendo alle spalle una storia (Occidentale, perché no? Anche se un Occidente distrutto da una iconoclastia interna) e il desiderio di mantenerne la memoria.
      Il mio accento non va sull’essere *“ceto medio” in via di impoverimento o già impoverito* a cui poi, Ennio, aggiungi: *Ma proprio per questo non capisco l’atteggiamento così diffidente verso i migranti*.
      Certamente che il proditorio attacco (ma chi ebbe il coraggio di ostacolarlo?) contro la nostra moneta ha dimezzato non solo il mio, ma anche il potere di acquisto di tutti.
      Ma il problema non sta lì.
      La ‘povertà’ è culturale, ovvero di sudditanza al politically correct, ad un pensiero che omogeneizza tutto senza tenere conto delle differenze: questo devastato panorama (con punte encomiabili di resistenza) è ciò che noi offriamo ai migranti – e che loro, purtroppo, assorbono subito perché è il più elementare rapporto di botta-risposta, così come i bambini piccoli imparano velocemente le parolacce. E che non può essere sostituito, come alternativa, né da un piatto di minestra, né da un ‘inserimento’ di cui si capiscono poco le coordinate.
      Le mie perplessità sono queste: davanti a questa schizofrenia. Da un lato i migranti vengono attirati dall’Occidente “opulento” per sfuggire (o essere coartati a fuggire) da paesi in difficoltà e, dall’altro lato, verrebbero reclutati (o immaginati) come alleati al fine di cambiarlo. O di distruggerlo!
      Si dice che alcune madri schizofreniche possano essere delle buone madri: ma non è certo una esperienza facile da consigliare!

      R.S.

      1. Posto questo commento alla conclusione di uno scambio tra Ennio e Rita, in cui non mi spetta di intervenire. Ma l’ultimo paragrafo, che inizia con “Ma il problema non sta lì”, apre su un altro scenario. Potrei fare mie le parole di Rita “La ‘povertà’ è culturale, ovvero di sudditanza al politically correct, ad un pensiero che omogeneizza tutto senza tenere conto delle differenze”, ma anche quelle successive, una per una.
        Sempre più spesso occorre di riferirsi a anni anche molto lontani per entrare nella situazione presente, perché sempre più spesso occorre guardare il presente da lontano, per inserirlo in una prospettiva più ampia. Che siamo in una “sudditanza al politically correct” vuol dire che siamo entrati in una svolta culturale -menzognera- che spaccia i diritti in nome del principio astratto dell’uguaglianza (dei tre liberté égalité fraternité) come pratica politica principe, violenta nel mettere a tacere chi mostra invece le differenze reali.
        Differenze di vari tipi, o di vari livelli per parlare in termini di struttura-sovrastruttura, io penso invece a differenze che non dipendono da una differenza principale, abolita la quale… Anzi penso a differenze che devono essere rilevate, e poi pensate, per non attentare all’interezza umana. Che è multipla e differenziata, la paleontologia ce lo ha rappresentato, ma facciamo finta di niente. Questa cultura occidentale in cui siamo stati allevati e in cui continuiamo a muoverci, sia pure “criticamente”, ha voluto uniformare l’intero mondo negli ultimi cinque secoli, e ha lasciato il segno, se il capitalismo in forme proprie alligna anche in culture a lungo separate dalla nostra (mentre altre sono state semplicemente conquistate, occupate e svuotate del loro).
        L’uguaglianza, dicevo, è il vero totem dell’occidente, ed è il cavallo di Troia con cui l’occidente spaccia la sua fame divoratrice come civilizzazione e ben-essere.
        Quello che è considerato un capitolo a parte del pensiero moderno – il femminismo che segnala la differenza sessuale come un elemento, e anche fondamentale, della umanità multipla – segnala invece fino a che punto il fantasma unità si sta spingendo: con lo sfruttamento del corpo femminile per produrre una maternità maschile. Diritto dei maschi di comprarsi un bambino alla sua nascita non potendolo fabbricare.
        Delle successive parole di Rita sottolineo poi “questo devastato panorama (con punte encomiabili di resistenza) è ciò che noi offriamo ai migranti – e che loro, purtroppo, assorbono subito”: è in nome del principio di uguaglianza che sentono di avere il diritto di fuggire dai loro paesi per stabilirsi in occidente.
        “Vengono attirati dall’Occidente ‘opulento’” e invece l’Occidente, che dell’uguaglianza fa solo uno specchietto per allodole, riserva loro ben *diverse* posizioni!
        A essere prigionieri dell’illusione egualitaria, senza andare a fondo del suo significato (religioso, politico, proprietario, massonico, sempre mistificato e mistificante quanto più sonoramente proclamato) i migranti potrebbero finire anche “reclutati (o immaginati) come alleati al fine di cambiarlo. O di distruggerlo!”

  30. Quanto accaduto ieri a Roma – profughi politici assaltati dalla polizia di Stato ( Cfr. video già postato su “Poliscritture FB ” :https://www.facebook.com/agora.fanpage.it/videos/10212468193613912/) mi induce a pensare con più forza che siamo di fronte ad una *ribellione non organizzata* di questa gente e che ci rifiutiamo di prenderla in considerazione ( non dico : sostenerla, organizzarla, farla maturare). Almeno qui su Poliscritture.

    1. Sto seguendo la trasmissione Omnibus, con Giannuli, Raimo… la Politica precedente non si è occupata dei rifugiati -non immigrati ma rifugiati- il Pd e la destra; oggi ha ordinato alla polizia lo sgombero. Di Stefano 5 stelle si è congratulato con la Raggi

  31. SEGNALAZIONE

    * Povero Gramsci ( non solo per l’uso che ne fa Minniti ma, nelle ultime righe, anche Famiglia cristiana). E. A.]

    IL PUGNO DI MINNITI SUI RICHIEDENTI ASILO
    Sugli immigrati ha inaugurato una nuova politica, imponendo un codice per le Ong e dando il via a una campagna di screditamento. Parla di legge e ordine citando Gramsci. Adesso fa manganellare i profughi, donne comprese. Dove vuole arrivare?
    24/08/2017
    di Francesco Anfossi
    http://m.famigliacristiana.it/articolo/l-idrante-di-minniti-sui-richiedenti-asilo.htm

    Stralcio:

    «Governare i flussi migratori non è un optional, è un tema centrale per la nostra sicurezza. Per la nostra democrazia», ha detto Minniti imperturbabile nel tradizionale incontro ferragostano con i giornalisti. Il punto è come governarli. A manganellate, come chiede l’uomo della strada e la suburra digitale di Facebook? Finora è questa la risposta del Governo. Piace il suo piglio pragmatico, la sua faccia di duro, persino il suo passato di vecchio comunista: «Quando ero nella sede del Pci in Calabria avevo attaccato fuori un cartello: “Qui si lavora e non si fa politica”. Volete farmela fare adesso?». Ha citato il suo maestro di gioventù, Antonio Gramsci: «Il compito di una classe dirigente non è quello di mantenere la propria posizione per il proprio controllo della società ma per il proprio superamento». Legge e ordine, insomma, non è stato anche il motto di Blair?

    Il problema è che Minniti sta alzando un po’ troppo l’ asticella dell’ ordine. A Roma si sono viste scene di guerriglia urbana degne del Venezuela nei confronti di un gruppo di rifugiati politici: uomini donne, vecchi, bambini e persino portatori di handicap che sono scappati dalla guerra. Tutti con i documenti in regola, titolari dello status di rifugiato. Occupavano da 4 anni un palazzo di via Curtatone ed erano stati sgomberati. Poliziotti in assetto antisommossa hanno usato gli idranti e si sono messi a manganellare per liberare la piazza da un centinaio di loro, tra cui numerose donne in lacrime, alcune delle quali inginocchiate con le braccia alzate. Uno spettacolo indegno per una democrazia, che ha suscitato le proteste di Amnesty International e dell’ Unicef per come sono stati portati via i bambini sui pullman della polizia. Nemmeno il governo dei respingimenti di Berlusconi, che pure si era ritrovato una condanna della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, si era mai spinto fino a questo punto.

    Non sappiamo se andrà avanti così fino alla fine della campagna elettorale. Non sappiamo nemmeno se la nuova politica contro gli immigrati sarà premiante in termini di consenso elettorale per il Partito democratico (a quel punto tanto vale andare all’ originale, Lega Nord e grillini in primis). Sappiamo però che questo pomeriggio si è scritta una pagina nera per la democrazia. Nera o rossa, che poi è lo stesso: comunismo e fascismo sono due totalitarismi contigui, in fondo. Questo Gramsci lo sapeva benissimo.

    Nota
    da uno scambio su FB

    Maria Pia Picone
    beh, la provenienza di Minniti non da torto alle ultime righe di Famiglia Cristiana.

    Ennio Abate

    Scrivere “Sappiamo però che questo pomeriggio si è scritta una pagina nera per la democrazia. Nera o rossa, che poi è lo stesso: comunismo e fascismo sono due totalitarismi contigui, in fondo. Questo Gramsci lo sapeva benissimo.”, attribuendo al comunista Gramsci, incarcerato dal regime fascista, che comunismo e fascismo “sono due totalitarismi contingui, in fondo” mi pare un po’ offensivo. Per Gramsci, che del fascismo fu vittima. Se poi si vuole alludere al trattamento subito da Gramsci da parte di Togliatti ed altri del PCI, lo si precisi. Ma senza approvare l’equiparazione fascismo/comunismo che è oggi di moda.

  32. SEGNALAZIONE
    (dalla bacheca di Csoa Gabrio)

    CHI E’ IL “PROPRIETARIO” DEL PALAZZO DI PIAZZA INDIPENDENZA A ROMA?

    L’immobile, che era ormai una casa dall’Ottobre 2013 per quasi mille persone per lo più provenienti da Somalia ed Eritrea con lo status di rifugiato, era la ex-sede di Federconsorzi (https://it.wikipedia.org/wiki/Federconsorzi) protagonista di una vicenda scandalosa che la portò alla chiusura nel 1991 per bancarotta fraudolenta.
    Il palazzo diventa poi proprietà di un fondo di speculazione immobiliare, Idea Fimit SGR , che lo lascia all’abbandono.
    Idea Fimit è “un fondo di investimento immobiliare” con 9 miliardi di capitale, il cui attivista di maggioranza è De Agostini con il 64,3%, poi INPS con il 27,3% e Carispezia con il 6%.
    Idea Fimit sgr è un fondo immobiliare a cui, tra l’altro, piacciono davvero molto i migranti. L’importante è che se ne possa fare un business.
    Si sono infatti candidati ad ospitare presso due dei loro immobili un nuovo “Hub” per migranti a Roma: 500 a struttura per un totale di 1000 persone. Hanno ricevuto l’ok della prefettura di Roma e nelle loro casSe a breve pioveranno un bel po’ di soldi.

    SOSTENERE CHE VENGA PRIMA IL DIRITTO DI PROPRIETA’ DI UN FONDO SPECULATIVO, PIUTTOSTO CHE IL DIRITTO ALLA CASA, E’ SEMPLICEMENTE INDECENTE.

    P.S. A quelli che “cianciano” fesserie del tipo “eh ma hanno rifiutato le offerte fatte dal comune”, sappiate che l’offerta era:

    80 posti in 2 SPRAR (da cui in moltissimi sono già passati non appena arrivati in Italia ormai anni or sono) + alcune “villette” offerte da Idea Fimit in provincia di Rieti (a gente che ha la sua vita a Roma, cioè lavora, manda i figli a scuola ecc.).
    Oltre la solita infame pratica del separare le famiglie (ovvero forse una sistemazione temporanea per donne e bambini, gli uomini per strada).

  33. SEGNALAZIONE
    (dalla bacheca FB di Giuseppe Masala)

    Venendo ai tristissimi fatti di Piazza Indipendenza a Roma mi viene da pensare che ci stiamo sempre di più avviando verso una società che combatte i poveri e non la povertà. E la cosa non è poi tanto strana a pensarci bene: una società fondata sulla ricchezza e sulla corsa alla ricchezza non potrà che essere una società fondata sulla povertà. I ricchi esistono perché esistono i poveri diceva il grande Victor Hugo.
    Il problema degli occupanti il palazzo romano non è il colore della loro pelle né la loro religione (peraltro essendo etiopi ed eritrei sono cristiani come noi). Il loro problema è la loro povertà. Disturbano alla vista, peraltro in una piazza importante: quella dove affaccia il Consiglio Superiore della Magistratura.
    Spiace, spiace oltretutto che altri poveri – quelli italiani che vivono il problema dell’emergenza abitativa – gioiscono per le manganellata dicendo “a questo punto posso occupare anche io in pieno centro”.
    Una società che combatte la povertà anziché i poveri lancerebbe un davvero urgente piano case nelle grandi metropoli. Ma questo non può essere fatto perché la ricchezza dei nostri palazzinari – denominati pomposamente immobiliaristi sulle colonne della carta stampata – si fonda sui prezzi proibitivi delle case nelle nostre metropoli. Se si lanciasse un serio piano di edilizia popolare i prezzi scenderebbero distruggendo il “mercato”.
    E allora noi, se non capiamo questo, continuiamo a dividerci tra stranieri e autoctoni, tra cristiani e musulmani, tra bianchi e neri e continuiamo a pagare casa a prezzi doppi rispetto a Berlino e Vienna. Per la felicità dei caltagironi continuiamo ad ipotecarci la vita per 50 mq in periferia e sfoghiamo le frustrazioni gioendo delle manganellate agli altri. Fino a quando quel manganello magari non lo assaggiamo noi perché magari ci sbattono fuori di casa per non aver pagato 5 rate, magari perché abbiamo perso il lavoro. Ho detto, e scusate la predica non richiesta.

    1. Infatti, fino al 1995 tra le trattenute in busta paga dei lavoratori dipendenti, ce n’era una ( la Gescal) che “serviva” per finanziare e agevolare le costruzioni di edilizia popolare. E’ stata tolta col consenso di tutti i partiti, giustificando quella trattenuta ormai fuori luogo e dai tempi visto che la maggioranza dei lavoratori dipendenti erano, secondo le statistiche di allora, proprietari della loro prima casa, e molte altre balle sono state raccontate a giustificare la sua soppressione. Invece era stata tolta proprio per fare un favore ai “palazzinari” e ai loro “amici” .

  34. @ Simonitto

    Cara Rita,
    potrei ancora replicare punto per punto a quest’altro tuo commento; e tu fare lo stesso subito dopo con il mio. Io non ti convincerò. Tu non mi convincerai. Il nostro confronto dura da tempo e anche stavolta è arrivato al punto in cui continuare , secondo me, non ha senso. Anche per il silenzio che – tranne Cristiana, Annamaria e Roberto – sta calando attorno ai nostri interventi.

    @ Fischer

    “è in nome del principio di uguaglianza che sentono di avere il diritto di fuggire dai loro paesi per stabilirsi in occidente”? ( Fischer)

    Eh, sì. Potremmo suggerire a Minniti di sottoporre ad un esame di diritto internazionale i migranti che vogliono partire dai loro paesi devastati dalle guerre o con le economie sconvolte da vecchi e neo colonialismi. Partono solo quelli che lo supereranno.

      1. Per me i migranti partono in base a bisogni materiali veri e anche ad immaginari che ignoriamo. Dire che “è in nome del principio di uguaglianza che sentono di avere il diritto di fuggire dai loro paesi per stabilirsi in occidente” mi è apparsa affermazione idealistica, unilaterale, eurocentrica.
        La mia voleva essere un battuta acida.

    1. @ Ennio
      Ne convengo. Con una precisazione (che ho sempre esplicitato nei miei scritti): non ho mai cercato, né mi interessa, convincere nessuno. Le mie esposizioni sono ‘ipotesi-al-fine-di-un-confronto’ – legate anche a stralci di memoria storica – e sarà la realtà dei fatti a convincere oppure no.
      Rita

    2. Rita, al punto 1 del 25/8: “tu (Ennio), contrariamente all’incipit che hai messo all’inizio di questo commento (‘Il futuro non è scritto’), sembri avere già una lettura alla quale bisogna conformarsi”. Eggià. Come tutti naturalmente.
      Però io non declasso i tuoi argomenti a assurde ingenuità. Che risposta è che i migranti dovranno sostenere un esame di diritto internazionale?

      Il mio argomento è:
      *vengono per decisione autonoma (bisogno, necessità… quello che vuoi)
      *sanno che non tutti li vogliono
      *non chiedono (bontà o pietà), ma si impongono.
      Quindi: qual è il quadro ideologico che sostiene il loro arrivo qui?
      O credi davvero che non gli attraversi la mente che cosa troveranno quando arrivano?

      Perciò io credo che sia l’uguaglianza, come principio cristiano e poi rivoluzione francese, che giustifica in profondità il loro fatto di arrivare imponendosi.
      E’ lo stesso principio di uguaglianza – sono umani come noi, hanno bisogni desideri fame famiglia come noi – che fa sì che li accogliamo; uguaglianza per cristianesimo, e poi laica, illuminista, democratica, socialista, e oggi di political correctness, che sostiene il nostro occuparcene, a livello individuale, amministrativo, politico, in tutti i modi in cui avviene.

      Di questo ho ragionato, e fino a qui.

  35. …mi riferisco ad una semplice riflessione riportata, se non sbaglio, tempo fa da G. Mannacio, che richiamava l’attenzione sulla necessità di distinguere tra ” differenze e diversità”, in relazione ai popoli, alle culture, ma anche ai singoli individui nell’ambito della stessa o differenti culture…Le prime vanno difese, anzi valorizzate e con esse occorre confrontarsi in un percorso di conoscenza e, si dà il caso, di incontro…Il concetto che sta alla base delle seconde, invece, sottintende un giudizio di incomunicabilità, di non rapportabilità tra esseri umani (?), che, magari negandolo, prevede in una delle parti un sentimento gerarchico di superiorità…Penso che questa seconda posizione vada respinta, soprattutto quando si arriva ad affermare la “diversità” nella sfera dei bisogni primari: se noi abbiamo bisogno di cibo, riparo, sicurezza e incolumità ne abbiamo diritto, mentre i “diversi”, no…
    Ascoltavo in questi giorni un’intervista alla sindaca Raggi e mi è parso disumano e, addirittura insensato, dichiarare che lei sente solo il dovere di occuparsi dei cittadini di Roma, volutamente ignorando la presenza di un migliaio di persone che da quattro anni viveva stabilmente a due passi dal comune, con la conseguente totale indifferenza verso il brutale sgombero avvenuto sotto i suoi occhi, girati debitamente dall’altra parte…Non sottovaluto i complessi problemi legati alle migrazioni, ma credo che questo non sia nè lo spirito giusto per affrontarli, nè adeguate le azioni per risolverli…

  36. SEGNALAZIONE

    Canetti, le masse, la democrazia
    di Leonardo Mazzone
    http://www.leparoleelecose.it/?p=27430#more-27430

    Stralci:

    1.
    La combinazione di enormi masse di migranti in fuga da diversi tipi di minacce mortali e, negli ultimi due decenni, gli attacchi terroristici di matrice islamista hanno istigato la formazione di nuove masse aizzate contro singoli o interi gruppi di stranieri entro i confini stessi delle democrazie[12]. A differenza delle precedenti cacce all’uomo, che consistevano nell’estromissione delle prede umane dalla comunità di appartenenza, nella loro inclusione obbligata nella comunità dei fedeli (come in occasione della “conquista dell’America”[13]) o, più semplicemente, nella loro cattura e sorveglianza finalizzate allo sfruttamento (come nello schiavismo e nel colonialismo), le attuali cacce all’uomo su scala globale si sono ipostatizzate: non consistono più solamente in un moto dinamico di inseguimento finalizzato all’espulsione, alla reclusione o allo sfruttamento delle prede catturate, ma in un divieto formale di ingresso all’interno dei confini delle cosiddette fortezze occidentali della ricchezza globale. Il movimento istantaneo, continuo e sovranazionale di flussi di capitale è controbilanciato da questo atto generalizzato di estromissione delle masse di migranti dai benefici residuali della ricchezza dei paesi più sviluppati.
    Queste nuove forme di caccia all’uomo non sono appannaggio esclusivo di funzionari e amministrazioni deputate a rintracciare ed espellere immigrati irregolari. Tenere le prede a distanza, infatti, sembra essere diventata una delle crescenti preoccupazioni delle masse di cittadini occidentali timorosi di perdere i benefici acquisiti, quale che sia la posizione di potere occupata nella società di residenza[14]. All’indebolimento relativo dei potenti, prodotto dalla minaccia nucleare e dalle procedure democratiche, corrisponde un processo di democratizzazione della paranoia: da tipica malattia del potere, essa si trasforma in una patologia di massa.

    2.
    Canetti aveva intuito le derive pericolose di queste nuove forme di “massa aizzata a distanza” analizzando le reazioni emotive del più pericoloso dei pubblici democratici – oggi il più innocuo, se paragonato a quello televisivo o virtuale:
    Anche oggi ognuno partecipa alle esecuzioni pubbliche attraverso il giornale. Solo che oggi anche ciò – come tutto – è più agevole. Non è necessario scomodarsi, e fra cento particolari ci si può soffermare su quelli che eccitano in maggior misura. Si applaude soltanto quando tutto è fatto, e neppure la più piccola traccia di complicità guasta il godimento. Non si è responsabili di nulla, né della condanna, né dei testimoni oculari, né della loro deposizione, e neppure del giornale che ha stampato la deposizione. E però se ne sa di più che nei tempi passati, quando bisognava camminare e stare in piedi per ore, e alla fine si vedeva abbastanza poco. Nel pubblico dei lettori di giornali è sopravvissuta una massa aizzata più moderata ma più irresponsabile per la lontananza degli avvenimenti – si sarebbe tentati di dire: la forma più spregevole e al tempo stesso più stabile. Poiché non deve neppure radunarsi, tale forma di massa può anche evitare la propria disgregazione; il giornale, nella sua ripetizione quotidiana, si prende cura delle sue distrazioni[15].
    Il “pubblico dei moderati” descritto da Canetti presentava già alcuni dei tratti virtuali ascrivibili alle odierne masse di telespettatori. Come i loro “antenati cartacei”, costoro formano una sorta di “massa aizzata degli occhi”[16]; diversamente dalle più antiche masse aizzate caratterizzate dalla concentrazione fisica dei corpi, questa massa affamata di immagini non ha bisogno di approssimarsi fisicamente alla preda, né di condividere alcunché con la sua morte per esperire il sollievo connesso alla consapevolezza di sopravvivere.

    3.
    Sull’attualità della muta di caccia e della massa aizzata, si veda E. Canetti, Party im Blitz. Die englischen Jahre, München, Hanser, 2003; trad. it. di A. Vigliani, Party sotto le bombe. Gli anni inglesi, Adelphi, Milano 2005, pp. 115-119, dove l’autore rivela alcuni aneddoti circa i suoi incontri con il parlamentare conservatore inglese Enoch Powell in casa Spearman. Powell aveva letto l’edizione inglese di Masse und Macht e aveva espresso il suo vivo interesse specialmente per le sezioni dedicate alla muta di caccia: «Non passò molto tempo, e il suo discorso contro l’immigrazione della gente di colore suscitò notevoli polemiche in Inghilterra, trasformandolo nell’uomo politico più popolare del momento. Powell tratteggiò scenari spaventosi, qualora non si fosse posto un energico freno a tale immigrazione. Con l’immagine dei fiumi di sangue che avrebbero potuto scorrere… si conquistò molti cuori; le categorie operaie più nerborute – scaricatori di porto e macellai –, si radunarono a migliaia davanti al Parlamento e manifestarono a favore di Enoch Powell. Migliaia e migliaia di lettere di adesione gli vennero recapitate a casa, le si contavano ormai soltanto a sacchi. Quando andavo a farmi tagliare i capelli in Baker Street, il barbiere che conoscevo da anni mi accoglieva, contrariamente alle sue abitudini, con un sonoro plauso: Enoch Powell, ecco l’unico politico degno di fiducia e capace di parlargli con il cuore in mano. Ero fuori di me per la svolta prodottasi nella vita pubblica inglese. In questo specifico caso ho assistito alla nascita di un demagogo che per lungo tempo si era alimentato di citazioni dantesche e nietzscheane»

    https://youtu.be/zQrmCegqZb0

  37. @ Annamaria

    Annamaria Locatelli scrive (citando G. Mannacio) : * necessità di distinguere tra ” differenze e diversità”, in relazione ai popoli, alle culture, ma anche ai singoli individui nell’ambito della stessa o differenti culture…Le prime vanno difese, anzi valorizzate e con esse occorre confrontarsi in un percorso di conoscenza e, si dà il caso, di incontro…Il concetto che sta alla base delle seconde, invece, sottintende un giudizio di incomunicabilità, di non rapportabilità tra esseri umani (?), che, magari negandolo, prevede in una delle parti un sentimento gerarchico di superiorità…*

    Il problema che viene segnalato non è di poca portata, anzi. Ed è molto utile per capire meglio alcune dinamiche odierne.
    Sì, da un lato abbiamo qualcosa che attiene più a rappresentazioni ‘altre’ a fronte di una stessa realtà osservata. Assieme dovrebbero concorrere ad avvicinarci ad una visione più ampia del reale, a comprendere un po’ meglio le sfaccettature della sua complessità.
    Se invece tutto ciò viene utilizzato per imporre un punto di vista che esula dal fine della comprensione, ma va nella direzione del distruggere l’altra visione, allora le cose si fanno ‘diverse’, nel senso che diventano portatrici anche di qualche cosa d’altro (qui si innesta il *giudizio di incomunicabilità*).
    Pertanto il punto nodale, quello che fa da spartiacque, ha a che vedere piuttosto con il potere, il potere di utilizzare le differenze a propri scopi. Oggi questo potere lo troviamo nelle lobby del politically correct, mentre una volta in quello ‘costituito’ (o dal Papa, o dal Re o dall’Imperatore) così come ci viene ben illustrato da G. Belli nel suo sonetto 362: “Li soprani der monno vecchio (1831)”, trovando piena accondiscendenza – non si può dire che c’erano i ‘media’ allora – ai piani bassi.

    C’era una vorta un Re cche ddar palazzo
    mannò ffora a li popoli st’editto:
    “Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo,
    sori vassalli bbugiaroni, e zzitto.
    Io fo ddritto lo storto e storto er ddritto:
    pòzzo vénneve a ttutti a un tant’er mazzo:
    Io, si vve fo impiccà nun ve strapazzo,
    ché la vita e la robba Io ve l’affitto.
    Chi abbita a sto monno senza er titolo
    o dde Papa, o dde Re, o dd’Imperatore,
    quello nun pò avé mmai vosce in capitolo!”.
    Co st’editto annò er Boja per ccuriero,
    interroganno tutti in zur tenore;
    e arisposeno tutti: “È vvero, è vvero!”. »

    C’è da meditare, dunque, su chi ha il potere di “fare dritto lo storto e storto il dritto”!

    R.S.

  38. …@Rita
    certo che poesia lucidissima questa di G. Belli e scritta quasi duecento anni fa! Il volto del potere allora è sempre lo stesso, solo che ieri schiavitù e impiccagione erano solo per i “disobbedienti”, gli altri: “E’ vvero, è vvero!”, per salvarsi la pelle ma il cervello era comunque salvo, mentre oggi il potere occulto delle nuove tecnologie ci impedisce proprio di ragionare, ci persuade…per caso ho letto questa definizione della televisione: “il capezzolo di vetro”, che rende bene l’idea: ti schiavizza, ma finisci per non poterne fare a meno, per amarla come una madre, anche se ti nutre di cibo cattivo…Poi, è chiaro, saper distinguere le differenze, rispettandole, come rifiutare le diversità diventa difficile…Il caos è forse più nei cervelli che fuori..

  39. Le analogie storiche vanno sempre manovrate con le pinze e l’indignazione impotente di Bifo (“C’è modo di fermare questo orrore? Non lo so. “) non mi piace, ma la sua denuncia si basa su dati reali allarmanti e va meditata. [E. A.]

    Endlösung (la soluzione finale) – di Franco Berardi Bifo
    http://effimera.org/endlosung-la-soluzione-finale-franco-berardi-bifo/

    Stralcio:

    Ma su qualcosa l’Europa è unita.

    Negli ultimi dieci anni è stata unita nell’imporre misure finanziarie rivolte al trasferimento delle risorse dalla società al sistema bancario, col risultato di devastare la vita sociale in molti paesi, soprattuto quelli del sud.

    La società è impoverita al punto che i cittadini europei, impotenti a fermare la violenza di chi è più forte di loro (il sistema finanziario) cercano un capro espiatorio, qualcuno più debole di loro da perseguitare, rinchiudere, sterminare.

    Non è esattamente quello che accadde negli anni ’20 e ’30 in Germania? Dopo la prima guerra mondiale Maynard Keynes lo aveva scritto in un libro intitolato Le conseguenze economiche della guerra. Alle potenze vincitrici riunite a Versailles aveva detto: non imponete alla Germania misure punitive che provochino l’umiliazione e l’impoverimento, il popolo tedesco potrebbe reagire in modo violento.

    Non lo ascoltarono. Le decisioni del Congresso di Versailles portarono alla rovina dell’economia tedesca e il popolo tedesco si riconobbe in un un uomo e in un partito che proponevano l’eliminazione dei rom, dei comunisti e degli ebrei.

    Similmente negli ultimi anni molti hanno detto: non distruggete i servizi sociali e la vita quotidiana degli europei, altrimenti il popolo europeo cercherà un modo per vendicarsi contro qualcuno che non possa reagire.

    Il momento è giunto.

    L’Unione stata in questi anni uno strumento per lo spostamento di risorse dalla società al sistema bancario, ora l’Unione si trasforma in macchina per lo sterminio.

    I nazisti la chiamarono soluzione finale.

    Il vertice europeo di Parigi di ieri ha deciso che lo stalino-nazista Minniti è la sua guida.

    Finanzieremo (poco ma abbastanza) i militari libici e africani perché incarcerino, affamino, violentino, torturino e sterminino chi vorrebbe raggiungere il mare. Puniremo le Ong che si permettono di salvare la vita a chi ha osato superare il muro militare.

    Credo che possiamo chiamarla soluzione finale.

    C’è modo di fermare questo orrore?

    Non lo so.

    Quel che so per certo è che la guerra che gli europei hanno scatenato contro l’umanità è destinata a diffondersi nelle nostre città che nei prossimi anni diverranno sempre più teatro del terrore scatenato. E quella guerra si trasformerà in guerra civile europea.

    L’Unione è morta da un pezzo.

    Ora è morta anche la pietà, pietà l’è morta, e nei prossimi anni assisteremo all’estinzione della civiltà europea in ogni luogo di vita collettiva.

    Come a piazza San Carlo di Torino ben presto avremo paura di ogni botto, di ogni urlo e di ogni sussurro, perché sappiamo di essere criminali nazisti, e sappiamo che prima o poi chi semina vento raccoglie tempesta, come in Texas stanno imparando in queste ore.

    Requiem.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *