Li Yu e i G20


di Giulio Toffoli

Li Yu era appena uscito di casa; si era messo a camminare con la sua usuale andatura lenta quando fu raggiunto e affiancato da un suo studente.
“Li Bo hai bisogno di qualche cosa? Non bisogna essere un indovino per intuire che questo nostro incontro non è casuale … Dimmi”.
“Ha ragione maestro – rispose lo studente – ma visto che in questo periodo non ho avuto possibilità di dialogare con lei c’è un tema che mi ha particolarmente colpito e su cui vorrei sentire una sua ponderata opinione …”.
“Visto che temo non sia cosa che si risolva in pochi minuti forse conviene che ci si fermi in questo locale per prendere una buona tazza di tè. Qui viene preparata una miscela piuttosto rara. C’è qualche burlone che dice si tratti dell’infuso che beveva il grande maestro Mo. Andiamo a sederci”.
Davanti al locale erano posizionate una serie di seggiole e qualche tavolino ben riparati dalla calura solare. Li Yu e il suo allievo si sedettero e poi Li Bo riprese a dire:
“Maestro mi sono permesso di disturbarla per chiedere la sua opinione sul summit dei cosiddetti G 20 che si è tenuto ad Amburgo il 7 e l’8 luglio scorso. Le opinioni che ho sentito sono tanto diverse che faccio fatica a raccapezzarmi …”.
Li Yu prese la sua tazza di te e si mise a sorbirla a piccoli sorsi, poi iniziò a dire:
“Certo un tema interessante per un giovane che si interessa di relazioni internazionali, come ben sai era presente anche il nostro presidente Xi. Leggendo la relazione sulle conclusioni finali non si può negare che abbia una qualche ragione chi ha affermato che la ritualità stanca del G20 mostra le crepe di una struttura che dopo un decennio si mostra sempre più inefficace e forse fin obsoleta.
Ciò che abbiamo visto è una specie di teatrino intorno all’immagine di un’élite mondiale che vuole raccontarsi come responsabile nelle divergenze e compatta di fronte alle varie declinazioni di sempre nuove «crisi».
Insomma un quadro non certo edificante.“
“C’è chi addossa tutta la colpa delle difficoltà – aggiunse Li Bo – al presidente statunitense Trump …”.
“Qui credo che la gran parte della colpa sia invece da addebitare alla pigrizia di certa intellettualità asservita che non riesce a uscire dai suoi stilemi. Si tratta dell’idea di un primato indiscusso degli USA e tutta una serie di altri modelli mentali che la crisi, di cui Trump non è altro che un effetto, ha reso ormai inutilizzabili; e che questi figuri, soggiogati al padrone e abituati a piegarsi di fronte a certezze consolidate, non riescono a togliersi dalla mente. Sono gli stessi che pensano che Trump, Merkel, May, poi Macron e perfino quel poveretto di italiano, il Gentiloni, siano l’incarnazione del «free world».
Insomma passano i decenni e perfino i secoli ma questi signori continuano a credersi i legittimi padroni del mondo in quanto espressione della più alta civiltà. Dei cinquecento anni di genocidi di cui sono lorde le loro mani non si ricordano proprio, mentre sono abilissimi a incolpare gli altri di ogni possibile crimine. Dei cento anni di servitù che ci hanno imposto hanno già perso memoria e continuano a farci lezioni di civiltà.
Forse è meglio che mi fermi qui altrimenti inizio ad inveire contro questi cialtroni, in questi ultimi anni mi capita spesso di perdere la misura.
Briganti che rapinano, sfruttano, fanno uccidere se non in prima persona per procura, fomentando guerre, guerre civili e guerricciole per bande, in ogni landa di questo mondo e la chiamano democrazia e libertà.”
“Ma allora cosa è servito in quest’ultimo decennio il G20?”
“Ti sembrerà paradossale, caro Li Bo, ma questa istituzione nata in un clima di liberismo trionfante quando regnava, e bisogna dire regna ancora, come unica legge quella del mercato, divino regolatore universale, è servita nel corso dell’ultima crisi economica, quella del 2007-09 per piegare gli stati asservendoli alla primaria necessità di socializzare le perdite per salvare il mercato globale. E ci sono riusciti. Di qui l’intervento in favore delle banche, l’adozione di stimoli alla crescita che hanno consentito di rimettere in moto una macchina che sembrava grippata in modo quasi irreparabile. Ecco il significato del G20 consentire al capitale di favorire il processo di accumulazione in una situazione di crisi sistemica.”
“C’è stato però – ha aggiunto Li Bo – chi ha fatto sentire una voce di opposizione … manifestazioni e proteste anche piuttosto energiche. Non mi dica maestro che non servono a nulla …”.
“Non mi permetterei mai di giudicare chi mette in gioco la propria incolumità personale per fare sentire una giusta voce di opposizione. Ciò nonostante non vorrei che anche queste proteste presentassero le stesse caratteristiche delle riunioni di quei signori che si arrogano il nome di Grandi. Insomma un gran trambusto che si dissolve appena le macchine da presa vengono spente.
Da questo punto di vista c’è stata una sola cosa che mi sembra davvero significativa proprio perché superando la logica della confrontazione violenta mi sembra aver aperto un nuovo terreno di presa di coscienza.
Intendo la performance dei”1000 Gestalten”.
“Mi spieghi meglio?”
“In una età come quella che stiamo vivendo dove tutto viene mercificato. Dove ogni nostro movimento è controllato e studiato tramite algoritmi forse è proprio l’arte, un’arte popolare che sappia svincolarsi da tradizionali modelli, che può rimettere in moto una discussione all’interno delle comunità rivitalizzando una vera opposizione.
I mille performer di Amburgo erano travestiti da veri e propri zombie, morti viventi, tutti coperti di una materia grigio-bianca che faceva pensare alle anime che incontrò Ulisse quando visitò l’Ade. Come quei defunti i performer di Amburgo sono omologati non come semplici ombre ma nella condizione di strumenti del capitale, senza identità se non quella che gli viene data dal mercato. Sono l’espressione della perdita dell’identità umana, una massa inerte che marcia in una città che ha perduto quell’“aria di libertà” che da sempre ha costituito la peculiarità della polis.
I morti-viventi di Amburgo sono il segnale di una possibile nuova presa di coscienza.
Quando alla fine della performance i 1000 performer hanno iniziato a svestirsi, e dal grigio sono emersi lentamente i colori dei loro abbigliamenti, che erano stati coperti dalla patina unificante dell’alienazione del capitale, si è intravvista una perduta potenzialità. Solo una scintilla, ma una scintilla significativa … quella di una umanità liberata dalla servitù del profitto e del mercato.
Si è trattato di un messaggio, di una indicazione che solo l’arte riesce, di tanto intanto, ad offrire, liberandosi a sua volta dal giogo del denaro. L’idea che un’altra umanità è possibile.
Si tratta solo, caro Li Bo, di avere la voglia di lottare per dare corpo a quella speranza.
Certo si tratta di una strada dura e non ben tracciata, ma abbiamo forse una scelta migliore che cercare di percorrerla?”.

7 pensieri su “Li Yu e i G20

  1. A partire dall’idea che *forse è proprio l’arte, un’arte popolare che sappia svincolarsi da tradizionali modelli, che può rimettere in moto una discussione all’interno delle comunità rivitalizzando una vera opposizione*, mi permetto di avere delle perplessità.
    Rispetto alla *opposizione*, intendo.
    Viene affermato che *I morti-viventi di Amburgo sono il segnale di una possibile nuova presa di coscienza*, ovvero che la *la performance dei ”1000 Gestalten” [materializza la] condizione di strumenti del capitale, senza identità se non quella che gli viene data dal mercato*.
    Tutto questo è molto interessante ma non sufficiente: perché, credo, che senza una teoria, non c’è presa di coscienza che tenga.
    La rappresentazione iconica ha un effetto immediato, ma non basta.
    E ne abbiamo esempi storici a iosa.
    Infatti, a fronte di questa espropriazione di identità operata dal sistema – sia a livello lavorativo che personale – verrebbe da dire “nulla di nuovo sotto il sole”.
    Come non ricordare, infatti, il film “Metropolis” di Fritz Lang del 1927 con gli operai rappresentati come automi alla catena o, nel film di A. Parker, 1979, “Pink Floyd – The Wall” – nella scena “Another Brick in the Wall”, con i bambini senza faccia che scivolano su un rullo fino a precipitare nel tritacarne?
    Queste scene raccapriccianti le abbiamo viste e … non hanno prodotto grandi trasformazioni!
    Ora è vero che, come viene affermato nel post, *Certo si tratta di una strada dura e non ben tracciata, ma abbiamo forse una scelta migliore che cercare di percorrerla?”*
    Sì, quella di pensare che l’arte da sola rischia di essere come la vox clamantis in deserto.

    R.S.

    1. Carissima Rita

      come non convenire che senza una teoria che riesca a trasformare una occasionale presa di coscienza in una volontà cosciente di azione comune non si può far molta strada?
      Quello che Li Yu voleva sottolineare era però qualche cosa di ben più modesto ovvero che di fronte a occasioni di stanca ritualità politica dove le parti sono già segnate secondo un copione rigido c’è la possibilità, attraverso l’uso di linguaggi che non sono necessariamente quelli del confronto fisico, di lanciare un segnale.
      E’ un segnale debole, nulla di nuovo sotto il sole …
      Può ben darsi ma è pur sempre qualche cosa.
      Certo non è colpa di Picasso se a 80anni da Guernica ogni giorno si levano bombardieri in varie parti del mondo a distruggere città e villaggi e a massacrare civili inermi. Ne si poteva pensare che la sua opere potesse modificare le logiche della forza e dei conflitti di potere. Ciò nonostante il segnale è stato dato.
      In ogni caso sempre più utile, almeno così la pensa Li Yu, dei rituali scontri fra black block , arrabbiati vari e polizie sempre più armate e simili a Robocop.

      G.T.

  2. Li Bo si è scelto uno strano maestro; che invece di ascoltare le sue domande, alla parola G20, inizia a parlare a raffica sciorinando le verità consunte della sua religione; che potremmo chiamare “storicità”, intesa come legge esistenziale ma ridotta ai minimi termini, di buoni e cattivi. E’ semplice: basta individuare i cattivi e il perché viene di conseguenza. Questo avrebbe dovuto dire Li Yu. Ma forse l’allievo queste cose le sa già, solo a volte gli capita di confondersi, quindi non sempre capisce.
    Tutto sta a interpretare correttamente le Sacre scritture, nelle quali per altro vien detto che il perché verrebbe prima del chi; solo che, avendo ormai compreso a sufficienza la procedura, i saggi (perché son loro ad amministrare il verbo) han ritenuto la questione del perché come cosa fatta e accertata.
    La religione di Li Yu si basa ormai soltanto sulla messa in campo della storicità. Non esiste fenomeno che non si possa ascrivere dentro poche, semplici regole. Buoni e cattivi. Di conseguenza, siccome sullo scranno del potere (lo sanno tutti) ci stanno i cattivi – e dietro cattivi le oscure forze del profitto – e siccome siamo alle strette perché il mondo s’è globalizzato – che non è come dire che la Terra si è terresterizzata – , in questa situazione asfittica non resta altro da fare che affidarsi alle arti ( sì, perché Li Yu non conosce il linguaggio filosofico ma ragiona per categorie sociali), quindi le arti, non più in generale la creatività, che è un’ente astratta, e in quanto tale a lui non dice nulla. Poveri artisti, quanta e quale responsabilità Li Yu gli attribuisce!
    Io penso che Li Po qualche domanda da fargli l’avrebbe avuta, se solo Li Yu gli avesse lasciato il tempo per formularla. Eh, ma non esistono più i saggi di una volta, quelli che sapevano ascoltare, vuoti di sé e del proprio pensiero, sempre pronti ad accogliere le domande, degli universitari come quelle dei bambini dell’asilo; perché va detto che gli artisti, oltre che essere essi stessi degli avidi mercanti, capita anche che siano come bambini. Per questo a volte ci sorprendono.
    Lasciamo stare che Li Yu, non sapendo più che pesci prendere, e avendo un’idea categoriale delle genti, quindi ragionando solo con quel che vede attorno, quel che c’è e nient’altro, nella sua beata aridità questa volta l’ha sparata grossa, perché come si fa… magari avrebbe potuto dire onestamente: facciamoci venire qualche idea, che qui stiamo morendo di fame e ideologia! Invece no, e il suo degno discepolo Li Po se la beve! Buonanotte ai suonatori, direbbero dalle mie parti.
    Ma voglio pensare che Li Po avesse in segreto la domanda che farebbero i bambini, particolarmente quelli cresciuti nei brefotrofi ( le loro galere) perché hanno vivo il desiderio di conoscere la libertà, che non può essere soltanto quella cosa che gl’insegnano in classe, dalle ore otto a mezzanotte.
    Quindi Li Po avrebbe potuto chiedere al Maestro:
    Maestro, se di fatto esiste un governo mondiale, a che servono i governi delle nazioni?
    E’ un bene che esista un governo mondiale? In fondo renderebbe le cose più semplici in tutti i paesi. Se qualcosa, una minaccia si presentasse, il governo mondiale avrebbe la forza per intervenire con autorevolezza… Com’è che non sono stati i Buoni a pensarci?
    Immagino che Li Yu gli avrebbe risposto iniziando dagli uomini delle caverne, poi le guerre puniche… insomma, avrebbe subito pensato agli insegnamenti della storicità, la sua religione. Ma giunto al G20, ecco, quello sarebbe stato il momento per prendersi una pausa di pensiero. E ordinare una birretta, invece del solito té. Magari due.
    – Maestro, ma perché i buoni non ci sono nel governo del mondo?
    Altra birretta.
    – Maestro, ma come possono arrivarci i Buoni al governo del mondo?
    Discutiamone, avrebbe quindi risposto Li Yu… certo che ‘sti bambini…

    1. Li Yu non conosce una “religione della storicità” e fino a prova contraria neppure dello storicismo. Non è aduso ad andare a cercare buoni o cattivi. Non ha nulla da dividere con coloro che amano discettare su bene e male.
      Lascia a Mayoor e altri la ricerca della ricetta per la edificazione di un governo mondiale e non è neppure interessato a chiedersi come i buoni o i saggi (?) possano arrivare al governo ed altri innumerevoli esercizi retorici del genere.
      Se non erro ha cercato di interpretare un fenomeno limitato a ciò che è avvenuto il 7 e 8 luglio scorso ad Amburgo. Nulla di più.
      Si può convenire con la sua analisi o criticarla ma parlare del fatto che gli asini volano è altra cosa.
      Una attività usuale per metafisici e irrazionalisti di ogni specie e che gli lasciamo volentieri.
      Tanto per essere chiari, pur con tutta la stima possibile e avendo più volte letto il tuo scritto, se fosse per me ti avrei semplicemente detto: “Fuori tema”.

  3. @ Giulio Toffoli

    Ti ringrazio, innanzi tutto per la pazienza ( a fronte del fatto che ho interpretato i due Li come una metafora discutibile, perfino irritante, anche se è chiaro che avrebbero potuto essere anche due marziani…) e per aver quindi mantenuto la calma, nonché l’ironia, diciamo pure lo humour che ti contraddistingue. Mica posso avercela con i 1000 Gestalden, solo, e sempre per via dell’equivoco iniziale, mi sarei aspettato una risposta più meditata da parte del Maestro Li Yu. Ad esempio sulle gioie del “libero mercato” che il G20 non pone in discussione perché ritenuto sacro, ma solo si è tenuto a dire che verrà salvaguardata l’autonomia delle nazioni; che poi, non fosse così, non si potrebbe più parlare di libero mercato per l’evidente contraddizione. In poche parole viene confermata la sostanza del doppio mercato: uno sovranazionale e l’altro nazionale. E si cercherà di raccordare il secondo al primo, che gli sia comunque funzionale. Insomma, che si abbia la certezza di avere becchime per tutti.
    Sì, ero abbondantemente fuori tema. Però Li Yu continuava con la sua magra analisi ricordando le responsabilità dei genocidi, ecc. e questa mi è parsa la parte più scontata, quella che si potrebbe ormai recitare a memoria ( per carità, siano sempre condannati!). Ma invece di stare sul generico Li Yu avrebbe potuto sbilanciarsi su una riflessione, ad esempio se abbia senso oppure no pigiare sul tasto delle autonomie nazionali, ma soprattutto se sia, non dico possibile ma almeno immaginabile. Oppure ecco, credo, un pensiero alto, degno di un Maestro: possibile che l’errore umano, e il perseverare, alla fine, sul piano idealmente evolutivo, non giochi a favore del farsi di una globalizzazione che se volta in positivo potrebbe davvero cambiare le sorti del mondo? Che si stia costruendo in modo sbagliato una cosa giusta? Da Li Yu mi sarei aspettato questo, altrimenti è aria fritta. Infatti, com’è da tempo ormai tradizione, si finisce sempre col fare appello alla speranza che non demorde: perché a questo ci porta, lo dico con stima e affetto, la ripetizione di schemi divenuti secondo me ormai obsoleti. Ma ammetto che l’iniziativa dei 1000 Gestalden ha se non altro avuto il merito di aver scelto un linguaggio diciamo così tecnologico, per quanto possa apparire come anch’esso anacronistico; nel senso che Li Yu dovrebbe sapere che non è bene porsi frontalmente all’avversario ma è di gran lunga più efficace sfruttarne la forza dirompente; quindi bisognerebbe non solo difendere la tecnologia, penso io, ma anche impossessarsene. Il punto chiave sta qui: se oggi al capitalismo gli sfugge la tecnologia è perduto. La tecnologia è al contempo la sua forza ma anche la sua debolezza…

    1. Mi scuso per il ritardo … accetto molto volentieri la critica ed anzi la prendo come un invito a riprendere in modo approfondito il discorso sulla globalizzazione. Invero la mia attenzione era rivolta semplicemente alle forme della cosiddetta protesta…
      Avevo timore che riprendere a ragionare sulla globalizzazione risultasse in qualche misura obsoleto di fronte a nuovi scenari del post Obama ma forse sbagliavo…
      In ogni caso qualunque critica stimolo è sempre la benvenuta…

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