Divagazioni dialettiche sullo jus soli

dal film “Heimat”

di Giorgio Mannacio

1.
Uno degli argomenti del giorno – che a volte offusca problemi ben più gravi – è quello dello jus soli inteso come attribuzione della cittadinanza italiana ai nati sul territorio nazionale da cittadini stranieri. Si registrano in proposito due opinioni ( semplifico ): una si manifesta in una opposizione radicale alla concessione oggetto dello jus soli; l’altra – con sfumature diverse e, penso, diversificando le condizioni di attribuzione – afferma la necessità della concessione.
Sulla prima affiderò il mio giudizio alla conclusione delle divagazioni. Sulla seconda si registra un’affermazione (del Governo e di alcune forze politiche) secondo cui “ la concessione dello jus soli è una scelta di civiltà “. Alla base di essa v’è indubbiamente una ricerca di un “ fondamento “ ed è in questa direzione che si debbono leggere le mie osservazioni (in parte critiche).Esse tendono ad avvertire del pericolo insito nell’uso disinvolto del “ Vocabolario del politicamente corretto “, cioè non argomentato in maniera convincente.

2.
Parlando di scelta di civiltà intendiamo ovviamente la nostra civiltà. In sostanza l’affermazione tende a dire che è contraria ad essa la decisione di non concedere la cittadinanza secondo la scelta dello jus soli. Questa ha – in primo luogo – un aspetto giuridico-formale: è cioè una scelta da parte dello Stato/Nazione di concedere o non concedere la cittadinanza. Secondo l’affermazione oggetto delle mie osservazioni la non concessione urta, dunque, contro la nostra civiltà. Si prescinde in essa di considerare l’esistenza di una norma giuridica specifica (di diritto positivo ) e si fa riferimento a valori sostanziali insiti, appunto, nella nostra civiltà. L’insistito richiamo ad essa suona quasi come un’ammissione dell’inesistenza di una norma positiva che lo preveda. In effetti né l’art. 1 né l’art. 8 della nostra Costituzione sono tali da imporre tale scelta. Non ho nulla contro questa corrente che è – certo – eticamente raccomandabile e ricca di suggestive implicazioni politiche. Qualche dubbio mi sorge invece sulla appartenenza dello jus soli a tali principi superiori. Se nella “nostra civiltà “ inseriamo (a torto o a ragione non importa) i principi morali cristiani non troviamo nulla che riguardi lo jus soli : siamo tutti pellegrini su questa terra e ciò basta ed avanza. Basta a creare un vincolo di colleganza il sentirsi accomunati dal destino di sofferenza e morte. Del resto per il cristiano la città degli uomini non è la città di Dio e dunque cosa può importare della cittadinanza ? Anche la Rivoluzione francese e l’Illuminismo in genere non si occupano di ciò ma della diversa questione delle condizioni sostanziali di una persona all’interno di uno Stato ( così pure la nosra Costituzione ) ed è questo il vero l’orizzonte dei principi di giustizia.

3.
Penso che nella “cittadinanza“ confluiscono anche un complesso di credenze, costumi, esperienze e memorie che fanno la identità di ciascuno e del quale è inutile e pericoloso gioco trascurare il “ valore intrinseco “.
In che misura tali elementi possono consigliare o sconsigliare l’attribuzione della cittadinanza come jus soli ?
Nello straordinario film Heimat del regista tedesco E. Reitz (un vero poema epico per immagini ) il titolo (Heimat significa: paese natale ) tradisce il senso globale dell’opera che è più complesso. Esso si trae dalla sequenza degli episodi che costituiscono la trama del racconto che si articola in 12 episodi due dei quali estremamente significativi, a mio avviso. Il primo si intitola Nostalgia di terre lontane e riguarda il periodo 1919 – 1928 e l’ultimo,  La festa dei vivi e dei morti ,  è riferito all’anno 1982, giorni nostri. Cosa ha voluto dire il grande regista? L’heimat, il luogo natale, ha poco a che fare con il suolo ma molto a che fare con quel cumulo di esperienze che costituiscono la memoria del nostro vivere.
Le invocazioni che si rivolgono alla divinità attribuendo ad essa l’onnipotenza e la grandezza possono essere lette come l’indicazione di un itinerario di salvezza che ha fondamento nelle proprie origini. In esse non viene indicato un suolo ma una dimensione che è storica, antropologica, insomma culturale. Non è forse decidibile la questione se lo jus soli favorisca “ l’integrazione ovvero il terrorismo“( termini da maneggiare con cautela ) ma è certo, secondo la mia opinione, che il suolo sta perdendo sempre di più la sua rilevanza a favore di fattori di altra natura.
Si fugge dal suolo con le emigrazioni e lo si contesta con il ribellismo delle periferie degradate delle metropoli . E’ difficile sostenere che la condizioni di vita in esse non siano una delle cause di tale ribellismo rispetto al quale la rivendicazione di una religione è simbolicamente un ritorno all’heimat nel senso complesso cui ho accennato. Le rivolte sono – guarda caso – di “ terza generazione “ quando il radicamento sul suolo è diventato elemento d’opposizione.

4.
Queste divagazioni mi portano a formulare una domanda. Il fatto reale – la nascita in Italia – può costituire un filo in qualche modo rilevante per una persona? La risposta negativa mi sembra un pregiudiziale rifiuto di ogni ragionamento specificamente umano. Come ogni affermazione che escluda la rilevanza dei fatti reali che coinvolgono la persona, il ragionamento che ne consegue è un non ragionamento. Sono convinto che tale circostanza vada, invece, presa in considerazione. Se guardiamo all’oggettività del fatto non possiamo non considerare che – almeno nel momento originario – la rilevanza è “inconsapevole “ per il neonato. Ma non lo è per i genitori. E’ – questo evento – quasi una eredità. Il perché i genitori sono in Italia e il modo secondo cui in Italia vivono è parte della loro storia e poi del piccolo. Sembra ragionevole considerare che quest’ultimo è già all’interno del nostro sistema e non può considerarsi “ un “estraneo“. La sua vicenda natale intrecciata con quella dei genitori mi porta a pensare che la volontà di questi ultimi non possa essere trascurata. Credo che l’automatismo tra nascita e cittadinanza debba essere evitato a favore di una rilevanza di una scelta cosciente che – ovviamente – ricade in primis sui genitori. Si dovrebbe – poi – pensare ad un sistema che assicuri l’uniformità della posizione del gruppo familiare rispetto allo Stato ospitante.
La difformità potrebbe portare a seri inconvenienti. Se un genitore straniere viene legittimamente espulso dallo Stato ospitante che fine fa il neonato? Il cittadino italiano non può essere espulso; lo straniero sì. Se dunque si deve seriamente dubitare sulla bontà di negare la cittadinanza al nato in Italia, bisogna seriamente elaborare un sistema che salvi il fatto storico (che non può non avere “ senso “ )e le conseguenze di un automatismo di concessione. Si aspetta che agli slogan – che a volte celano solo convenienze momentanee – si passi ad un approfondito esame e a scelte conseguenti.

13 pensieri su “Divagazioni dialettiche sullo jus soli

  1. Secondo me tutti dovrebbero poter decidere quale deve essere il loro paese, indipendentemente dal luogo di nascita. Perché essere italiano, francese o altro dovrebbe essere una libera scelta; non perché se sei nato qui tu devi per forza appartenere, e sottolineo appartenere, al “qui”. Per il neo-nato, a meno che la scelta sia quella forzata dei genitori, finché non avrà raggiunto la maggiore età, dovrebbe disporre di una certificazione che attesti il suo essere europeo. Nel qual caso sarebbe l’Europa a prendersi la responsabilità, decidendo per i giovani tutto quel che serva in fatto di diritti e doveri. Ma al punto in cui siamo questa sarebbe fantascienza.
    Comunque secondo me queste sono scelte che spetterebbero all’Europa, non ai singoli paesi.

    1. Non sono d’accordo con questa tua .
      Decidi tu quale deve essere il paese di tuo gradimento in base a quali criteri ?
      Non è possibile ! La tua è una non risposta !
      Dovresti specificare meglio perché scegli un paese e non un altro, così per dare la possibilità di capire cosa condiziona questo tuo modo di pensare, secondo me è inconcepibile ragionare in questi termini.
      Il mondo ha una sua storia, non sempre pacifica, fatta di popoli che sono cresciuti sviluppati hanno formato le loro comunità, i loro territori, i loro stati , sono vissuti sia in pace ma si sono fatti la guerra eliminandosi gli uni con gli altri ecc…ecc…, tutto questo non viene preso in considerazione è come non fosse mai esistito nella tua opinione, ed è una cosa grave.

      1. “Decidi tu quale deve essere il paese di tuo gradimento in base a quali criteri ?
        Non è possibile !” (gian)

        C’è un obbligo a restare tutta la vita nel luogo dove si è nati? Chi ha deciso questa norma?
        La storia delle società umane non è certamente pacifica, ma troviamo esperienze stanziali e esperienze nomadiche. E non si vede perché la stanzialità debba essere imposta solo ad alcuni.
        Nel caso in questione poi – la cittadinanza a figli d’immigrati nati in Italia –
        non si vede questi discorsi generali che senso abbiano.

        1. Le migrazioni economiche credo debbano essere regolate da accordi Statali, più che lasciate allo sbando o pilotate secondo i desideri di qualche fatiscente filantropo come accade oggi.
          Perché uno Stato non può avere il diritto di decidere quanti immigrati accettare e per quali lavori destinare loro ?
          Per quanto riguarda l’immigrazione odierna non credo che l’Italia in questa fase di crisi economica possa accogliere tutte queste masse di “diseredati” che vengono spinti sulle nostre spiagge e non credo che il sistema regga se non vengono messi dei limiti di entrata regolando i flussi secondo i bisogni del paese ospitante, un flusso migratorio non regolamentato in maniera efficace, credo possa scatenare contrapposizioni sociali coi nativi scatenando fenomeni incontrollabili di intolleranza e violenza, un aumento della concorrenza per i pochi posti di lavoro ormai rimasti, le infrastrutture del sistema sanitario verrebbe messo sotto pressione, ecc… ecc… quindi danni seri alla società ospitante.
          E credo di non essere un razzista se la penso così, ma un po’ più realista di quelli che insistono che bisogna accogliere tutti indistintamente.
          Bye

          1. Senta, gian, sulle migrazioni stiamo discutendo e *giustamente* litigando da anni qui su Poliscritture. E può vedere in numerosi post che il suo punto di vista “più realista” è abbondantemente rappresentato. Ma non venga a ripetere con l’aria compita pseudo-argomenti di mera propaganda sistematicamente diffusi ormai dalla maggior parte della stampa pro-Minniti .
            Ragionare è una cosa, menare il can per l’aia un’altra.
            Il suo realismo “plus” occulta o sottovaluta queste *reatà*, che per me sono inaccettabili e spero lo siano anche per chi frequenta Poliscritture:

            « Un aumento esponenziale di vite perdute che è difficile non ricollegare direttamente alla barriera eretta dall’Italia e dall’Unione Europea nel Mediterraneo (oltre che sulla frontiera del Sahara) grazie alla serie di accordi stretti con Tripoli, partendo dal Processo di Khartoum sottoscritto nel novembre 2014 e arrivando via via fino al vantatissimo memorandum ispirato dal ministro dell’interno Marco Minniti e firmato il 2 febbraio a Roma dal premier Paolo Gentiloni e dal presidente Fayez Serraj. Vite perdute due volte, verrebbe da dire, proprio perché non si sa praticamente quasi nulla di loro e addirittura non ne è concesso neanche il ricordo.
            Sono tanti, tantissimi, del resto, gli episodi, le sofferenze, le vicende umane, le storie di disperazione che la politica e gran parte dell’informazione stanno gettando nell’oblio più profondo, sulla scia degli ultimi accordi che hanno bloccato i profughi in Libia e negli altri paesi di transito o prima sosta, incastrandoli tra le situazioni di crisi estrema da cui fuggono e i muri eretti dalla Fortezza Europa.
            Un caso emblematico è la sorte toccata in Sudan a 104 profughi eritrei che, alla fine di agosto, sono stati riconsegnati alla dittatura da cui erano scappati a rischio della vita. Li hanno catturati, in tre diverse operazioni, i miliziani della Forza di Intervento Rapido, la polizia speciale, tristemente famosa per le stragi nel Darfur, alla quale il presidente Omar Al Bashir ha affidato il compito del controllo dell’immigrazione, in ottemperanza agli impegni presi con il Processo di Khartoum e il successivo patto bilaterale con Roma, firmato nell’agosto del 2016. Sono gli ultimi di migliaia di arresti condotti nell’ultimo anno. Il primo gruppo, 38 giovani tra cui 9 donne, è finito in carcere a Ondurman all’inizio di agosto. Gli altri 66 – suddivisi in due gruppi rispettivamente di 36 e 30 tra uomini e donne – è stato sorpreso dalla milizia nella boscaglia di Wed Baow, nel sud del paese, presso Wedel Hihlio, e trasferito nella prigione di Kassala all’inizio di luglio. A fine agosto le corti di Khartoum e Kassala ne hanno deciso la deportazione in Eritrea, dove c’è da credere che quasi tutti verranno trattati come disertori e consegnati alla giustizia militare del regime. Un calvario destinato ad essere percorso da numerosi altri ragazzi: secondo notizie pervenute alla diaspora eritrea, nel solo carcere di Ondurman ce ne sono 43 in attesa di essere processati e rimpatriati di forza.»

            (http://www.tempi-moderni.net/2017/09/13/migranti-piu-morti-dopo-il-blocco-in-libia-dura-condanna-del-commissario-onu-per-i-diritti-umani/)

  2. Molto interessante il modo di ragionare, analitico, coerente, apre con necessità nuove possibilità da prendere in considerazione. “Divagazioni dialettiche”, il titolo, è un’antifrasi, ma la figura retorica, più che riportare a un’intenzione ironica, è un’attenuazione, la modestia di cui il retore competente deve invece dare prova.
    Complimenti!

  3. …partendo dal testo significativo di Giorgio Mannacio, ho sviluppato alcune mie riflessioni, che si discostano dal discorso strettamente giuridico. Secondo me, il riconoscimento dello “ius soli” per il figli dei migranti nati sul suolo italiano dovrebbe essere acquisito alla nascita, salvo recessione del medesimo da parte dei genitori…Cosa quest’ultima, penso, rarissima vista l’urgenza dei genitori stranieri di veder riconosciuti ai figli quei diritti che attengono alla soddisfazione di bisogni primari, come la casa, di assistenza sanitaria e pediatrica, di poter frequentare i luoghi
    per l’istruzione e le mense scolastiche…mentre l’heimat, come complesso di memorie e di pratiche che attengono alla cultura e all’antropologia delle origini, dovrebbe venire riconosciuto di conseguenza, nel rispetto reciproco delle culture, compresa quella autoctona…
    Il concetto di heimat, volendo fare un accostamento un po’ azzardato con la matematica, comprende vari elementi ben precisi, come la religione, i costumi sociali, le tradizioni radicate nel luogo di origine…più un’incognita, un elemento di apertura, che presiede ai cambiamenti, alla possibilità di ibridarsi,come ci insegna la storia dei popoli. Perciò la presenza di questa incognita dell’heimat, nostro e altrui, è un elemento importante perchè alla terza generazione di coesistenza tra popoli differenti si verifichino cambiamenti virtuosi e non viziosi, da generare ribellismo o terrorismo…Se sì, bisognerà rivedere il percorso…non il diritto allo ius soli

  4. Capisco la tragedia di quel che sta succedendo in Sudan, in Eritrea o altre parti dell’Africa e dare importanza all’aspetto umanitario, ma la soluzione non la vedo risolvibile secondo i suoi termini.
    Bye

  5. Capire la tragedia è il minimo che possiamo tentare fare. La soluzione non ce l’ho né io né lei. E tuttavia indignarsi è meglio che diventare complici:

    Se questo è umano
    di Alessandra Daniele
    https://www.carmillaonline.com/2017/09/17/se-questo-e-umano/

    Tutti i migranti che raggiungono, o raggiungevano il nostro paese sono dei sopravvissuti.
    Innanzitutto alle guerre, alle persecuzioni, ai bombardamenti, all’ISIS, alla fame, alla miseria, ai disastri climatici e socioeconomici causati nei loro paesi da secoli di sfruttamento colonialista.
    Poi al viaggio attraverso il deserto, che è sempre un calvario tra fame, sete, fatica, aggressioni, e costante pericolo di morte.
    Poi alla prigionia nei campi di concentramento libici, nei quali adesso sono trattenuti, ma che sono sempre stati una tappa obbligata, dove si subisce ogni genere di tortura e di abuso, e si viene ridotti in schiavitù.
    Poi alla vera e propria traversata, durante la quale si rischia sistematicamente di annegare.
    Tutti i migranti che approdano, o approdavano in Italia hanno perduto tutto quello che avevano, e spesso anche più d’un familiare rimasto ucciso durante il viaggio. Figli, genitori, coniugi, fratelli.
    Se hanno la fortuna di venire ripescati in tempo, finiscono in un altro centro di detenzione.
    Un CPT o qualche altro acronimo, dove vengono trattati prima da criminali, e poi – se gli va bene, e non vengono espulsi e rispediti all’inferno – da rifiuto urbano, e scaricati in qualche periferia degradata i cui abitanti, già economicamente e socialmente emarginati per conto loro, finiscono per odiarli a morte dandogli la colpa di tutto.
    Respinti dalla popolazione locale, sistematicamente additati dai media come invasori, parassiti, criminali, untori, terroristi, senza nessuna possibilità di lavoro che non sia la schiavitù, senza nessuna speranza di recuperare anche solo in parte quello che hanno perduto, senza nessuna prospettiva futura di miglioramento economico o sociale.
    Questa è la loro condizione.
    Alcuni di loro vivono di espedienti illegali.
    E grazie al cazzo.
    La maggioranza degli italiani s’è mai chiesta cosa farebbe nei loro panni?
    Ovviamente no, perché li considera di un’altra specie.
    Per la maggioranza degli italiani i migranti sono l’alieno.
    Sono solo numeri dei quali festeggiare la riduzione insieme al ministro Minniti che l’ha ottenuta incrementando l’attività dei campi di concentramento.
    Un crimine contro l’umanità di cui tutta l’Europa è complice, compreso il Vaticano, dopo tutte quelle chiacchiere, tutte quelle cazzate sul “Papa dei poveri e degli ultimi”.
    Dice il gesuita Bergoglio: prima di accogliere, chiedersi “quanti posti ho?” Nell’attico di 700 metri quadri del cardinale Tarcisio Bertone di posti ce ne sono parecchi.
    Come si sentiranno i cristiani eritrei, somali, etiopi, sapendo che il loro Pontefice approva la loro cacciata, avalla il loro massacro?
    I cristiani italiani se lo sono chiesto?
    La capacità di riconoscere gli altri come propri simili, di condividere il loro dolore e comprendere la loro condizione, è l’essenza dell’umanità.
    Ciò che ci distingue dalle macchine.
    L’empatia.
    Quella cosa che oggi viene dispregiativamente chiamata buonismo, e considerata un disgustoso vizio del quale vergognarsi, che ti costa insulti e minacce sui social, e alle elezioni ti fa perdere più voti d’una condanna per mafia.
    Il trucco del capro espiatorio ha funzionato ancora una volta.
    Tutte le speranze di riscatto, di cambiamento, di giustizia sociale nate in questi anni sono state affogate nella propaganda razzista.
    Con tutto quello che hanno passato, non sono i migranti ad aver perso la loro umanità.
    Sono gli italiani.

  6. Giorgio Mannacio-
    Ringrazio tutti quelli che sono intervenuti dopo le mie Divagazioni. Cosa mi ha spinto ad esse ? Sono rimasto un po’ sorpreso dall’enfasi con la quale si invoca lo jus soli. Di quella porzione di
    crosta terrestre sulla quale viviamo è rilevante piuttosto il LUOGO cioè quel territorio in cui viviamo come uomini in eguaglianza delle condizioni di esistenza. E’ questo il traguardo della civiltà ( non solo nostra ) e dunque conta poco o nulla l’attribuzione formale di una patente di cittadinanza. Se si prescinde da casi particolari ed estremi si può, si deve pensare che l’insoddisfazione per lo spazio assicurato dallo Stato ospitante non sia il LUOGO in cui l’ospite vorrebbe provarsi . Siamo tutti nomadi non nel senso stretto del termine ma in quello allargato di ricerca di un collocamento che ci renda – nella nostra identità – eguali ad altri nelle condizioni di vita. Non fu questo il “ sogno americano “ dei nostri emigrati oltre oceano ? In questa direzioni andrebbero approfonditi tanti concetti come integrazione, migrazione, invasione ( i due ultimi attengono – ha ragione Ennio – a situazioni ben diverse, per non dire opposte )-

  7. SEGNALAZIONE

    Perché non ho firmato l’appello sullo ius soli
    di Giorgio Agamben
    (https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-perch-on-ho-firmato-l-appello-sullo-ius-soli)

    A quanto pare, benché io abbia dichiarato espressamente che non intendevo firmare l’appello sullo ius soli, il mio nome vi è stato in qualche modo illegittimamente inserito. Le ragioni del mio rifiuto non riguardano ovviamente il problema sociale ed economico della condizione dei migranti, di cui comprendo tutta l’importanza e l’urgenza, ma l’idea stessa di cittadinanza. Noi siamo così abituati a dare per scontato l’esistenza di questo dispositivo, che non ci interroghiamo nemmeno sulla sua origine e sul suo significato. Ci sembra ovvio che ciascun essere umano al momento della nascita debba essere iscritto in un ordinamento statuale e in questo modo trovarsi assoggettato alle leggi e al sistema politico di uno Stato che non ha scelto e da cui non può più svincolarsi. Non è qui il caso di tracciare una storia di questo istituto, che ha raggiunto la forma che ci è familiare soltanto con gli Stati moderni. Questi Stati si chiamano anche Stati-Nazione perché fanno della nascita il principio dell’iscrizione degli esseri umani al loro interno. Non importa quale sia il criterio procedurale di questa iscrizione, la nascita da genitori già cittadini (ius sanguinis) o il luogo della nascita (ius soli). Il risultato è in ogni caso lo stesso: un essere umano si trova necessariamente soggetto di un ordine giuridico-politico, quale che sia in quel momento: la Germania nazista o la Repubblica italiana, la Spagna falangista o gli Stati Uniti d’America, e dovrà da quel momento rispettarne le leggi e riceverne i diritti e gli obblighi corrispondenti.
    Mi rendo perfettamente conto che la condizione di apatride o di migrante è un problema che non può essere evitato, ma non sono sicuro che la cittadinanza sia la soluzione migliore. In ogni caso, essa non può essere ai miei occhi qualcosa di cui essere orgogliosi e un bene da condividere. Se fosse possibile (ma non lo è), firmerei volentieri un appello che invitasse ad abiurare la propria cittadinanza. Secondo le parole del poeta: “la patria sarà quando tutti saremo stranieri”.

    Giorgio Agamben
    18 ottobre 2017

  8. La discussione che si è sviluppata su questo intervento ma nei media e nella politica in genere, intorno a queste due parole e ai significati ad esse sottesi mi ha convinto di alcune cose:
    1) concedere il diritto di cittadinanza ai figli di coloro che sono di fatto cittadini italiani in quanto integrati nel contesto economico e sociale italiano, nell’attuale dimensione istituzionale, che è quella dello stato democratico così come oggi lo conosciamo, più che una questione di civiltà dovrebbe essere una questione di semplice buon senso normativo.
    2) nessun figlio ha potuto scegliere quando e se nascere, e dove e come, che i genitori siano italiani, svizzeri, con la pelle chiara o scura non c’è differenza. Ipotizzare casistiche particolari in nome di differenze culturali, per le quali con la maggiore età si dovrebbe scegliere la cittadinanza – cioè da che parte stare -, non ha un senso logico. Le diversità e il mantenimento della propria identità culturale, religiosa per chi ha una fede, è un elemento che non cessa di esistere nel momento in cui si stabiliscano diritti, ma anche doveri, nei confronti della propria comunità, la polis di tutti, di appartenenza.
    3) il cortocircuito politico e culturale, di ispirazione populista ma non solo, per cui la questione si salda con quella dei flussi migratori e dell’attrazione che il nostro paese può produrre nei confronti di questi flussi una volta che fosse approvato lo ius soli, è incomprensibile. Sono due questioni radicalmente diverse che si collocano in ambiti di azione quasi non comunicanti tra loro; la proposta di legge che c’è in senato (con una semplice ricerca in rete è comodamente reperibile) parla di ius soli rivolto a genitori in possesso di permesso per soggiornanti di lungo periodo, un titolo definitivo, e di minori che hanno fatto un percorso di studi di almeno 5 anni o hanno conseguito titoli di studio professionale, dunque soggetti stabilizzati; invece il problema dei flussi di migranti non economici riguarda il tema dei conflitti dispersi nel mondo, le conseguenze dei cambiamenti climatici ecc. insomma di chi nel nostro paese non ci ha messo piede o se ce l’ha messo si trova in una condizione di assoluta precarietà;
    4) Infine che ogni società ha bisogno ciclicamente di un capro espiatorio sul quale scaricare le responsabilità delle proprie crisi, economiche, culturali ecc.; considerando allora il migrante non più uomo/donna portatore di diritti inalienabili ma un alieno diverso dalla nostra condizione umana, egli diventa il soggetto ideale per assumere questo ruolo. E questa deriva culturale e etica non può essere accettata.
    Per questi motivi mi sono convinto che era necessario dare una piccola testimonianza concreta di una posizione diversa da quella che sembra essere la tendenza maggioritaria nel paese su questi temi, una tendenza che in qualche modo è entrata negli interstizi etici anche di chi ne dovrebbe essere estraneo. Per questo ho deciso di aderire al digiuno a staffetta del prossimo 31 ottobre, promosso da varie organizzazioni politiche e associative affinché il Parlamento, prima che finisca questa legislatura, decida e approvi la proposta di legge. Lo so che il digiuno è uno strumento inflazionato, che fa storcere il naso per l’uso che ne è stato fatto nella storia italiana, che per molti non è proprio uno strumento di lotta politica, che certamente non cambierà niente di concreto, che è insufficiente, che con la pancia piena è facile digiunare…ecc ecc. Lo so che i coordinatori dell’iniziativa hanno le loro contraddizioni, che la politica pro e contro questo provvedimento è attorcigliata nei calcoli elettorali, nelle convenienze a breve termine dove il migrante è lo strumento di altri giochi. Lo so. Ma è un atto, minimamente organizzato tra persone diverse che con varie posizioni ne affermano una, che non sarà l’ideale ne la migliore possibile ma di concreto non ho visto altro (forse la mia miopia è peggiorata…)…

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