Moreno

 

di Angelo Australi

 

Negli ultimi anni ho sempre vissuto nel mio paese lavorando altrove, alle otto del mattino attraverso la nuova circonvallazione messa nel caos dalle auto per recarmi in città e rientro più o meno alle otto di sera, affogando nello stesso caos di individui presi dalla fretta, impazienti, arroganti, intolleranti, vogliosi solo di lavarsi i denti. Non mi piace per carattere riconoscermi in una sfida quotidiana, per questo il paese piano piano dentro di me si sta sfuocando. Lo amo ancora tanto, ma è come se ci vivessi attraverso delle impressioni, dei ricordi e delle emozioni telecomandate. Con gli amici è difficile a questo punto della vita trovare argomenti comuni, i ritmi purtroppo non coincidono quasi mai. Sono come un profugo pronto a raccogliere ogni briciola di umanità, pur di attaccarsi al nuovo mondo e scordarsi il passato, invece a volte basta un secondo e mi sento un turista che coglie solo la vernice di quello che gli sta accadendo intorno, un turista che scatta mille istantanee senza riuscire ad affezionarsi a nessuna immagine. Altri giorni addirittura penso che qualcuno mi abbia steso al tappeto con un pugno allo stomaco, sono senza fiato e boccheggio come i pesci per ritrovare la naturale cadenza dei respiri, mi guardo intorno per rientrare nel ritmo del concerto, combattendo con il dolore. A volte provo la sensazione di ritornare da un viaggio dopo un’assenza di molti anni, trovo tutto uguale e al tempo stesso cambiato. E’ una delle sensazioni più strane che posso dire di aver provato nel mio mezzo secolo di vita, riconosco le facce, recepisco anche i gesti, focalizzo gli angoli di quelle abitazioni che si trovano nei pressi di un bar, distinguo l’inconfondibile odore di piscio e di vomito conservato nelle intercapedini più nascoste dei muri nella congiunzione di due palazzi, gli scorci di paesaggio che si aprono sfiorando appena le case antiche dell’infanzia e dell’adolescenza, ma nonostante tutto questo pulsare di vita intorno a me trovo le emozioni distanti come il cielo e come l’universo. Lo spazio della memoria si è ristretto, fa implodere tra le grinze un fastidioso pulviscolo sui ricordi.

Le colline oltre la linea rossa dei tetti, modellano l’argilla del pliocenico con calma e parsimoniosa corrosione. Pioggia con pioggia, sole con sole, vento con vento, nebbia con nebbia. La mancanza di contrasti delinea una prospettiva in cui è impossibile cogliere il significato più profondo di una forza selvaggia che ancora può attrarci.

I tramonti e le albe non rispecchiano più gli sguardi sospesi, meravigliati, curiosi. I giorni di festa, quando ho quindi più tempo, stranamente tutto quanto diventa ancora più distante, lontano, irraggiungibile. Le ore scorrono nell’attesa che accada qualcosa. Ecco perché in questa noiosa aspettativa le figure diventano simili alle lancette del tempo, sempre uguale nel suo scorrere, si mettono a fuoco ciascuna con delle manie, dei tic, dei gesti ricorrenti. Sono impressioni fatte a caldo, dalla finestra di casa o facendo la consueta passeggiata con Gino. Sembrano addirittura causate da un gioco di prestigio, non prese dalla realtà, come i personaggi famosi che appaiono in televisione. Io ho un’anima nascosta, mi sforzo, insisto a pensare. Loro hanno un anima, nascosta. Sta a me trovarla, nonostante affiori una voglia di cinismo così prevaricante.

Eppure insisto nel cercare di ritrovare un paese, se non proprio il mio almeno un insieme di scatole che abbiano un calore da trasmettere, dove gli individui rientrano stanchi con il proprio fardello, ma soddisfatti. Un paese composto di singole unità da cui ricostruire l’insieme.

C’è un anziano, un pensionato, che spesso incrocio la domenica nelle mie passeggiate, si chiama Moreno e si porta dietro un manico di scopa appuntito all’estremità che nei primi incontri credevo sostituisse la giannetta. La sua passeggiata consiste nel farsi il giro su tutti i cassonetti della nettezza dislocati subito al di fuori del perimetro del centro storico. La preferenza va a quelli dove i cittadini gettano la carta, è alto appena un metro e sessanta e sicché per sporgersi all’interno finisce per sbattere il mento sul bordo. A volte, quando questo è mezzo vuoto, l’ho visto penzolarsi come un ermellino alla ricerca di quelle confezioni di prodotti con i punti omaggio per ricevere un servito di piatti, una tovaglia, un accappatoio, una bilancia, un pallone per il nipotino. Gino gli abbaia da lontano, sicché smette di frugare nella spazzatura fino a quando non lo abbiamo superato con la nostra passeggiata. Non può avere più di sessant’anni, ha il passo ancora deciso e la domenica non succede mai di trovarlo indaffarato presso lo stesso cassonetto. Una volta lo incrocio a quelli dietro le mura medioevali, adagiati a ridosso di un enorme cartellone pubblicitario, una volta invece davanti alla Casa del Popolo, una volta più in là, a ridosso del corso principale che immette sulla piazza. Dipende sempre da come io e Gino impostiamo la nostra passeggiata, se procediamo in senso orario intorno al centro storico, lo incrociamo sempre dalla parte di paese esposta a levante, altrimenti l’incontro avviene nella zona a ponente, la più nuova del paese, con tutti villini che salgono lungo il crinale della collina. Lui ha adottato senz’altro un metodo nel suo giro, mentre invece io sono guidato dal fiuto del mio cane che annusa le urine dei suoi simili. Moreno è un paesano doc, anche se ci ho solo fatto caso di recente, lui è uno di quei visi che volteggiano insieme ad altri nella mia confusione mentale, riaffiora piano piano dalle figure della mia infanzia. Zitto zitto raccoglie le sue scatole, si guarda intorno furtivamente e strappa con le dita velocemente il ritaglio colorato che gli serve. Il resto vola nuovamente tra i rifiuti, con la grazia e la leggerezza di una farfalla.

Adoro la gente che ha così tanto tempo a disposizione. L’adoro anche se non la capisco. Ci provo con tutte le forze, ma non ci riesco, e sicché finisco per adorarli. Ci sono fisse che diventano malattie, un giorno per esempio Moreno si è fatto sfuggire di mano la scatola che è finita per cadere quasi in mezzo alla strada, lui nella bramosia di raccoglierla per poco non si faceva investire da un’auto. C’era una donna alla guida, che ha dato una tremenda inchiodata ai freni per evitare di andargli addosso. Ha abbassato il finestrino per dargli del vecchio pazzo. Era bionda, aveva le labbra rosse, molto vistose. Fumava una sigaretta, mentre la sua radio mandava musica. Dopo quelle imprecazioni è ripartita lasciando sull’asfalto il segno delle gomme. La donna non era né giovane né vecchia, e per quella domenica indefinibile mi sono avvicinato timidamente a Moreno per chiedergli se fosse ancora tutto intero. Lì per lì sembrava non sentirci, ha raccolto la scatola da terra e preso quello che gli serviva, gettandola nuovamente nel cassonetto. Sembrava che la mia presenza lo infastidisse, poi Gino ha iniziato ad annusargli tra le gambe e lui lo ha accarezzato.

Bel cane lupo, mi ha detto.

Sì, gli ho risposto, da cucciolo ci giocavano i miei figli, adesso se non ci penso io nessuno se ne occupa. E’ il destino dei semplici, va a finire che prima o poi vengono dimenticati.

L’anima dei cani è preziosa, mi ha detto lui. Ne avevo uno che è morto lo scorso anno. Lo portavo sempre nei boschi, anche se non sono mai stato un cacciatore di fagiani, e lo lasciavo scorrazzare come un padreterno. Poi gli facevo un fischio e lui riappariva. La sera si addormentava di fianco alla poltrona dove mi stavo guardando la Tv, e quando mandavano uno spazio di pubblicità nel programma mi voltavo a fissarlo per sentire la sua compagnia. Quando dormiva aveva delle espressioni felici, a volte agitate. Ma siamo proprio sicuri che i cani vedono in bianco e nero? Mia moglie è morta da tre anni, questi punti li prendo per mia figlia Teresa. Forse ne ho già fatti più di centomila, e lei ci ha preso in omaggio tanti oggetti per la casa. Questo giro lo faccio ogni domenica, prima di andare da lei a pranzo. Durante la settimana mi arrangio a cucinare da solo qualche spaghetto all’olio, la domenica no, sono ospite di mia figlia. Con i punti di questo detersivo può richiederci una mountain-bike. Ne occorrono quindicimila.

Si è allontanato strascicando un arrivederci, l’uomo che pur abitando nel mio paese, in tanti anni per me non ha significato che un fuggevole volto.

 

 

 

 

 

16 pensieri su “Moreno

  1. Come scriveva B. Brecht “E’ la semplicità che è difficile a farsi”, così con poche pennellate e senza tanti ghirigori, Angelo Australi ci fa toccare con mano quella società sfatta nella quale ci si può sentire come profughi, presi in mezzo tra ricordi sempre più appannati e un presente *telecomandato*, dal quale sembra abolita ogni meraviglia e curiosità.
    Attraverso la microstoria del suo incontro con il pensionato Moreno, ci viene anche narrata la sofferta difficoltà nell’inseguire frammenti di umanità, salvandoli (ed evitando di farsi travolgere) da quel *caos di individui presi dalla fretta, impazienti, arroganti, intolleranti*.
    Per una mountain-bike – su cui il nipotino possa sognare e affrontare le sue sfide -sembrano fronteggiarsi, sulla strada, Moreno (con il carico del suo *calore da trasmettere*) e la guidatrice (* Era bionda, aveva le labbra rosse, molto vistose. Fumava una sigaretta, mentre la sua radio mandava musica*), rappresentazione iconica di un artefatto presente.
    E proprio per evitare che si avveri la triste considerazione, *E’ il destino dei semplici, va a finire che prima o poi vengono dimenticati.*, che Angelo Australi ci fa dono di questo interessante racconto.
    Grazie.
    R.S.

    1. Cara Rita Simonitto, grazie per la frase di Brecht, credo anch’io che la semplicità sia difficile da raggiungere, così come il fare sintesi, quando tutto sembra sfuggirci di mano.

      a. a.

  2. E un personaggio vero, Moreno? E’ alto uno e sessanta e arriva appena al bordo di alcuni cassonetti, ma ha un bastone appuntito come Charlot per raccogliere carte e cicche. Moreno raccoglie i punti premio sulle scatole delle merende per meritare i premi favolosi di minima tecnologia domestica. Il benessere di piccole case, ma lustre e confortevoli, affidato alle immondizie di Moreno, un abitante dei vari Korogocho, che si costruisce la casa con le rovine del mondo, e se la arreda anche.

    Ed è un personaggio vero il narratore di Moreno? Il pliocene e le scatole-casa, il giro ora a destra ora a sinistra sulla circumvallazione del paese, le mura medievali e la Casa del Popolo ammassate con un cartellone pubblicitario. Insulti dalla donna-labbra rosse e sigaretta, che inchioda i freni e lascia solo segni di gomma; col pranzo domenicale la figlia si sdebita dei punti regalo. Il contatto degli occhi col cane negli intervalli pubblicitari alla tv.
    Si descrive come un profugo “pronto a raccogliere ogni briciola di umanità, pur di attaccarsi al nuovo mondo e scordarsi il passato”, oppure “un turista che coglie solo la vernice di quello che gli sta accadendo intorno”. Invece è un resto anch’egli, che riconosce e recepisce tutto quello che continua a rimanergli intorno ma “il paese piano piano dentro di me si sta sfuocando”, “le case antiche dell’infanzia e dell’adolescenza”, le emozioni stesse distanti “come il cielo e come l’universo”.
    Credergli? identificarsi?

    1. Cara Cristiana Fischer,
      Moreno non esiste nella realtà, l’idea è nata da un personaggio simile che incontravo molto spesso nelle mie passeggiate a frugare nei cassonetti della carta. Era un pensionato che aveva lavorato in un negozio di elettrodomestici per una vita e del quale conosco solo il soprannome che gli davano in paese: “Il topo”.
      Il racconto è nato perché un giorno ero dal barbiere a farmi i capelli e lui vedendo le mie chiome rosse che si stavano ingrigendo ha detto, lì davanti a tutti: “Hai i capelli del colore del grano”.
      Questa cosa mi è rimasta nella testa per un po’, prima di uscirne il racconto con Moreno.

      Una cosa del tutto inventata è il cane Gino: non ho mai avuto un cane, ma degli amici a parlarmi del proprio ci mettevano l’anima, così l’ho fatto mio.

      Alla fine è tutto vero, e sempre tutto un po’ immaginato quello che scrivo. Cerco di circoscrivere bene lo spazio di azione in cui si svolge la micro storia.

      grazie

      angelo australi

  3. …in questo bel racconto Angelo Australi ci confida molte cose del destino dei naufraghi approdati su lidi inospitali, anche quando si tratta dei luoghi natali. Il suo, per la stanchezza di un pendolarismo senza senso, tra persone ormai robotizzate, come quello del pensionato Moreno che raccoglie i punti sulle scatole di prodotti commerciali per donarli alla figlia, non per se stesso: lui ha abitudini parche ma vive per “lo sfarzo” di quell’unico incontro settimanale con la figlia che racchiude i sui affetti…Lo scrittore sembra dirci che quando il senso di estraneità cresce a dismisura, vuoi per un lutto o per la perdita di fiducia negli altri o di senso nella vita, allora ci si rifugia in piccoli universi ritagliati, da un tutto che ci respinge, su semplici obiettivi …Entrambi i personaggi, lo scrittore e Moreno, hanno trovato nel tempo una ragione di conforto, un alleato e un amico in un cane: “L’anima dei cani è preziosa…” Come dargli torto?

    1. Cara Annamaria Locatelli,
      la chiave di lettura del racconto, almeno dal mio punto di vista è nella frase che dice il narratore a Moreno, quando fa dei complimenti al suo cane:”E’ il destino dei semplici, va a finire che prima o poi vengono dimenticati”.

      Non ci può essere un mondo di Macrostorie senza Microstorie, cancellare i semplici per il timore di non riuscire a stare più con gli altri, in questo mondo così complicato, lo ritengo un sintomo di decadenza della società. Non ho molte armi per farmi sentire, se non quella di scriverne.

      Grazie per la lettura

      a. a.

      *Nota di E.A.
      Ricorreggo la frase saltata…

  4. …” gentile signor Angelo Australi “L’anima preziosa dei cani”, dalla mia esperienza è senz’altro vero…A volte loro sanno rivolgere uno sguardo muto e penetrante, non dico adorante che sembra essere scontato, ma proprio intelligente, molto intelligente: consapevole di sé, di te e degli altri, persino capace di concepire dubbi…più in là è difficile andare, ma la loro anima è come un tesoro prezioso da ricercare, indagare come del resto l’anima dei semplice di ogni specie…

    1. Cara Annamaria,
      capisco benissimo quello che lei afferma,anche se non ho mai avuto un cane; addirittura a un certo punto Moreno mette in dubbio il fatto che vedono solo in bianco e nero.

      Ritornando alla frase saltata e accennata nella nota di Ennio Abate, intendevo la successiva, quando il narratore dice: E’ IL DESTINO DEI SEMPLICI, VA A FINIRE CHE PRIMA O POI VENGONO DIMENTICATI.

      Il pensiero che muove il racconto è questo, al quale in modo più articolato ho risposto su questa stessa pagina all’amica Lucia Bruni.

      Un saluto

      angelo australi

      * Nota di E. A.
      Ho ancora corretto la frase saltata…

  5. Il nostro presente è fatto di attimi; come quello dei secoli passati, in fondo. Questo sembra volerci dire Angelo con il suo racconto. Ma un tempo forse si vivevano di più questi attimi, oggi siamo avvezzi a trascurarli perché ci sembra quasi di perdere tempo. Non ci rendiamo conto che sono quegli attimi a costruire il nostro futuro: pause di riflessione che ci sfuggono perché troppo indaffarati a rincorrerle. Attraverso la figura struggente di Moreno, Angelo ci fa entrare in punta di piedi e con una sapiente cifra di scrittura, in quel mondo di solitudine , spesso ignorata perché lontana dai nostri passi frettolosi, solitudine composta proprio di quei tanti attimi di cui ci ostiniamo a ignorare l’esistenza.

    1. Grazie Lucia,
      sei sempre un’attenta e sensibile lettrice.
      Dare voce alle persone comuni, che apparentemente sembrano avere una vita banale.
      Chi scava oggi dentro a questa banalità del quotidiano, ammesso che sia tale?

      Una persona come Moreno certamente troverebbe grosse difficoltà a seguire tutti questi cambiamenti giornalieri che ci assillano, ci rubano del tempo prezioso nella conoscenza di noi stessi. Sarebbe interessante conteggiare per un giorno il tempo che sprechiamo non so, magari a cercare di trovare l’offerta più vantaggiosa per il contratto del telefono, del gas, della luce, il tempo che sprechiamo in banca, alle poste, a eliminare le e-mail commerciali che ti arrivano a valanga; e tutto ciò moltiplicarlo per gli anni che uno ha vissuto. Probabilmente vengono fuori delle cifre spaventose di minuti, ore, giorni, in cui si è solo subito un tempo sincronizzato su altri obiettivi, rispetto all’essenziale che occorre nella vita.
      Siamo sopraffatti da urgenze materiali. Moreno non è San Francesco, ma ha la modestia che lo rende autentico.

      un saluto

      angelo

      1. Come è vero che il tempo ci passa fra le dita senza che ce ne accorgiamo!
        Per questo lo sprechiamo in tante azioni futili.
        Cerchiamo, almeno con la scrittura, di dargli la migliore voce.
        Lucia

  6. @ Angelo Australi

    Mi piacerebbe una tua riflessione, anche veloce, che accosti un personaggio come Moreno a quelli di Bolaño, presentati in uno dei commenti che ho segnalato come “personaggi programmaticamente anticonformisti, aperti all’esperienza e all’avventura: aspiranti poeti, letterati, reporter, prostitute, criminali, poliziotti dediti alla riflessione”.

    1. Ennio, di Bolano ho letto solo Notturno Cileno, un po’ di anni fa. Avrei bisogno di rileggerlo, prima di dare un contributo alla discussione. Spero di poterlo far presto.

      angelo

    1. Certo leggendo quanto scrivono su Roberto Bolano Nicola Lagioia, Massimo Rizzante e Guido Mazzoni che, caro Ennio, ci hai dato di stimolo per una riflessione, il Moreno del mio racconto sembra il sopravvissuto di un epoca arcaica, un reperto archeologico riemerso da qualche strato di terra solidificata sopra di lui da millenni. Sì, dico millenni, perché il pensiero ormai di strada ne ha fatta tanta, in considerazione della vita che facciamo, perché ogni breve frammento di tempo presente, ha idee (o solo immagini?) che cancellano dalla memoria le precedenti. Questo è in gioco, nel perverso meccanismo della globalizzazione al quale ci stiamo, volenti o dolenti, adattando a vivere, e a scrivere.
      Moreno è un operaio in pensione che non ha mai preteso troppo dalla vita, è vedovo e nonno, e per questo suo attaccarsi all’esistenza fruga nei cassonetti adibiti alla raccolta di carta e cartone per cercare tra la scatole vuote, senza più il prodotto, la merce da consumare, i punti che può utilizzare la figlia nel prendere una mountain-bike al nipote. Lui non ha orizzonte, o meglio, non avendo pretese complesse, ha un orizzonte illimitato. E’ lineare, nella sua emarginazione non scelta, ma subita. Si è trasformato piano piano in quello che diciamo sia essere un metodico dell’abitudine, non si aspetta che accada niente di eccezionale nella vita, almeno per se stesso. Perciò raccogliere i punti diventa uno scopo ben concreto su cui incanalare questa fissazione che nasce dalla solitudine.
      Di Roberto Bolano ho letto un po’ di anni fa, e rinfrescato in questi giorni, “Notturno Cileno”, e il personaggio di Sebastiàn Urrutia Lacroix, il critico letterario, che in una notte di allucinazione decide di ripercorrere a ritroso la propria esistenza, è ben diverso. Volevo leggere “2666”, prima di scrivere questa riflessione, ma vista la mole del libro, ti dico la verità, mi sono scoraggiato. Il personaggio del critico letterario, in questo caso, è uomo di successo, uomo del potere, è uno che si è sempre tenuto alla larga dal correre dei rischi per la sua carriera, che ha accettato molti compromessi, almeno fino al momento in cui tutti i volti del suo passato gli turbinano davanti in un vortice di “merda”, scatenando una riflessione che si trasferisce sulla scrittura di una potenza poetica davvero originale.
      Ma è un libro che sta tutto nella letteratura, secondo me. Bolano ha trovato una buona forma di compromesso tra il romanzo realista e quello immaginativo, ma non è l’unico, molta letteratura di fine XX e inizio XXI secolo è così. Due strade che prima andavano avanti senza mai incontrarsi, generando conflittualità e tensione creavano poesia, e che da un po’ di anni sembrano unificarsi nel concetto del libro come prodotto.
      In conclusione, posso suggerire una strada alternativa, che però sta tutta in questi anni? E’ nel libro di Claudio Magris “Non luogo a procedere”. Sarei curioso di sentire un po’ di opinioni al riguardo.
      Saluti
      Angelo Australi

  7. @ Australi

    Caro Angelo,
    credo che siamo tutti un po’ Moreno qui. E, se non nei cassonetti, in molti rovistiamo nel Web con intenti forse più “politici” di Moreno ( ma abbastanza antiquati da certi punti di vista “globalizzanti”) per cercare spunti di riflessione, notizie da rimuginare nella nostra mente e magari da scambiarci tra amici e forse ignoti lettori che capitano da queste parti .
    Pure io sento che Bolaño è vissuto in un altro mondo rispetto a quello in cui sono vissuto io; e che suscita l’interesse soprattutto di studiosi ( quelli che hai nominati) che in quella dimensione ci sono: per conoscenza dell’inglese, per condivisione dell’utopia globalizzante o per la possibilità che hanno, grazie alle loro professioni, di misurarsi più da vicino con la cultura che circola nelle aree metropolitane statunitensi ed europee e che noi conosciamo troppo parzialmente e di riporto.
    Tuttavia a me incuriosisce, anche se non credo che troverò più il tempo o una motivazione forte per impegnarmi a leggerlo.
    Claudio Magris è sicuramente più europeo ( o mitteleuropeo).
    Sarebbe bello che qualcuno di noi rispondesse al tuo invito a leggerlo. E che Poliscritture diventasse un po’ di più un *gruppo di lettura* in cui ci si scambiano opinioni.
    Grazie della tua riflessione.

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