Note sulla rima

 

di Giorgio Mannacio

I.

La rima è una entità alquanto misteriosa. La definizione che se ne dà nei testi scolastici (identità di suono delle sillabe finali dalle vocali accentate in poi di due o più parole) ha il pregio di metterne in risalto alcune caratteristiche sulle quali fondare qualche utile considerazione.

Nella definizione si dà rilievo al fatto che la rima non è una parola ma un rapporto tra parole sparse in un certo testo; che tale rapporto si specifica nell’identità di suono delle parole o parti di parole messe a confronto a partire dalle sillabe finali delle vocali accentate. Tale definizione non descrive gli effetti di codesta particolare struttura e non si occupa della musicalità e del ritmo ad essa connessi e che finisce per comunicarsi all’intera composizione. Tutto ciò è però avvertibile nell’esperienza del fare poesia e ne diventa un elemento fortemente caratterizzante.

Proseguendo nell’analisi si riscontra, quasi banalmente, che la singola parola non crea la rima  e che quest’ultima nasce da quel rapporto /incontro tra parola e parola successiva di cui si è parlato. Lo stesso effetto si ha partendo dalla parola successiva e risalendo alla  precedente. La rima non dipende , quindi, dall’ordine dalle parole nel testo. La rima non è dunque né la prima né la seconda ( se ha senso fare questa distinzione rispetto ad essa ) ma una entità a sé stante che nasce da un peculiare rapporto tra parole o parti di esse. Si è, allora, arrivati a concludere, molto acutamente che, per questo verso, risulta diminuita la immediata traducibilità concettuale dei segni (S. Agosti: Il cigno di Mallarmè – Pratiche Editrice – Parma 1994 ,307: L’identità fonica dei segni o di parte di essi compromette l’immediata traducibilità concettuale degli stessi ).

Se volessimo  in qualche modo catalogare la rima in un sistema diverso da quello letterario dovremmo attribuirle un luogo tra le chimere nel senso complesso di fantasticherie o di organismi costituiti di cellule provenienti da due individui di specie diverse (vd. voce Chimera in Grande Enciclopedia De Agostini Novara 1953 )

II.

La rima è creata, inventata o trovata? Il poeta che non voglia addentrarsi in problemi metafisici o scientifici si accontenta della consapevolezza di essere un demiurgo di secondo grado e se ne accontenta rifiutando di risolvere il primo interrogativo. Del resto, a ben guardare, la soluzione di esso ha importanza pari a zero.

Lo stesso prudente poeta conosce, poi, la prossimità semantica tra inventare e trovare e finisce quindi per costruirsi un sistema di credenze (e di azioni) in cui la rima – presupposta come esistente nel caos primordiale dei segni – viene inventata perché cercata e trovata. In altre parole il punto di interesse viene spostato dall’oggetto in sé all’attività di ricerca dell’oggetto. Possiamo sbizzarrirci non poco sui tempi e modi di questa invenzione/ritrovamento ed immaginare, ad esempio, il primo poeta del mondo che scopra la rima e ne resti sorpreso, come davanti alla prima scintilla.  Perché continuare ad usarla? Per le entità di portata pratica la risposta è dietro l’angolo. Ma lasciamo da parte questa divertente  (ed un po’ fuorviante ) archeologia per tornare alle nostre esperienze.

All’apparenza – legittimata da questa sorta di parentela delle parole – la rima risponde ad una esigenza di ordine e simmetria, ma il problema – guardato un po’ più da vicino – si pone in termini alquanto diversi.

La rima è sovranamente indifferente a tale funzione, anzi se ne prende allegramente gioco  dato che collega con equanime imparzialità significati convergenti e divergenti; segnala stati di armonia e di conflitto; crea incontri e scontri; pacifica e muove guerra tra i segni. Essa scocca, indifferentemente, tra parti anche grammaticalmente differenti del discorso (R. Jakobson: Saggi di linguistica generale – Feltrinelli – Milano 2005, 204 seg ): può, infatti, interessare sostantivi ed aggettivi; sostantivi e verbi; aggettivi e proposizioni e via dicendo. E’ stato anche ipotizzato, dai linguisti, che la rima assolva a funzioni diverse a seconda che intervenga tra categorie grammaticali identiche ovvero differenti.

Per chi crede che la rima sia stata trovata alla fine di un procedimento intenzionale di ricerca l’ipotesi ricordata è del tutto convincente e lascia integro il discorso unitariamente significativo della rima all’interno del testo poetico. Basta ripetere con Agosti (vd opera sopra citata) che la rima, in quanto tale, partecipa a due opposte nature: la natura anticomunicativa e la natura di specchio sensibile del fondamento linguistico. Essa finisce , perciò, per essere un elemento per così dire di disordine. Possiamo rendere questa formulazione concettualmente ineccepibile con l’osservazione esperienziale che la rima accresce l’ambiguità del testo poetico introducendo in esso un elemento – la musicalità – che è inutile rispetto ad ogni funzione meramente comunicativa.

III.

Ho già anticipato qualcosa circa la soluzione del problema se la rima sia inventata o trovata. E’ opportuno aggiungere qualche osservazione supplementare.

Se si prescinde dalla posizione (teoreticamente debole da ogni punto di vista) dei surrealisti che vedono nell’artista una sorta di invasato e quindi in stato di trance e si accetta la diversa visione del fare poesia come attività largamente consapevole, si deve concludere che la rima – come ho già anticipato – è anch’essa, come ogni altra parte del testo, oggetto di un’intenzione e quindi di una ricerca. Ogni elemento di un testo partecipa allo statuto del testo stesso e ne rispetta le normative. Allora il rilevamento dell’esistenza della rima e delle sue modalità finisce per diventare elemento illuminante per il significato dell’insieme.

Due dei più noti Canti di Leopardi (L’ultimo canto di Saffo e Il tramonto della luna) si chiudono con due versi a rima baciata (rispettivamente : han la tenaria Diva – e l’atra notte e la silente riva  e che l’altre etadi oscura – segno poser gli Dei la sepoltura). La perentorietà delle due aspre sentenze sul destino umano riceve dall’artificio della rima una conferma che appare anche formale , una sorta di suggello o timbro. Cosa dire contro di essa se anche l’identità grafica ne attesta la verità?

Nell’aereo sonetto di Mallarmè intitolato Sainte e che tanto filo da torcere ha dato agli interpreti (se ne veda l’analisi in H.Friedrich : La  lirica moderna  – Milano – Garzanti 1958,114 ), il terz’ultimo verso ( ni le vieux livre, elle balance) fa rima con l’ultimo verso che dice : musicienne du silence. Gli oggetti accostati sono un vecchio libro che oscilla e un musicista che cerca (e trova) la sua nota nel silenzio (e col silenzio). I due oggetti sono legati dalla rima alla quale, dunque, possiamo dare molti significati: il destino della letteratura è il silenzio; la parola è in bilico tra vuoto ed espressione; il silenzio, quale voce di una santa, è consolazione.

Quando, nel ciclo dell’esistenza, si accostano vita e morte cosa si può dire di più intenso e struggente – collegando questi eventi ancora, guarda un po’, con una rima se non quello che dice J. Joyce  nella sua poesia Ecce puer ? Ascoltiamolo:

Un bimbo dorme
un vecchio è mancato;
perdona tuo figlio
o padre abbandonato

TESTO INGLESE

A child is sleeping
An old man gone
O,father forsaken
Forgive your son !

La traduzione utilizzata nel testo è di E. Sanguineti e si trova in J. Joyce:Poesie – Milano –Mondadori 1969, 284 )

5 pensieri su “Note sulla rima

  1. Se trovare è una parola legata alla caccia (http://www.continuitas.org/texts/benozzo_etnofilologia_anteprima2.pdf), proprio come in-venire è scoprire cercando (da cui il frequentativo inventare), ambedue quindi giungere e riconoscere per tracce, la rima per chi scrive – che è il punto di vista da cui si pone Mannacio – ha la funzione di guida, di lancia di luce nel bosco dei nomi, per indirizzare il percorso, di allerta sensoriale per scartare svoltare proseguire e raggiungere l’oggetto. La rima è l’olfatto del cane per il cacciatore, o la forcella del rabdomante, o l’udito finissimo per le increspature di suoni sul fondo continuo mormorante, la rima è attiva, produce in avanti, crea quello che ancora non c’è.

  2. ..una riflessione sulla rima molto profonda questa di Giorgio Mannacio e lasciata in qualche modo aperta, come riguardasse il mistero. La rima allora, nella composizione poetica, sia che si presenti in ogni coppia di versi sia in alcune parti del testo, assolve molte funzioni: infonde musicalità, svincola il testo dallo stretto significato, infondendo leggerezza, o lo vincola forte, come il nastro di un pacco più o meno dono…La ricerca della rima, che sfocia nel trovarla o inventarla, sembra avere attinenza sia con l’atto della scelta, sia con il gioco, a cui presiede il caso o il destino, quasi come pescare in un pallottoliere di parole e significati…Se espressione corale, la rima può legare un gruppo

  3. Interessante questa riflessione di Mannacio, ma non so se sia nelle sue intenzioni una vera e propria difesa o valorizzazione o riproposizione dell ‘uso della rima.
    Alla domanda :« perché continuare ad usarla?», egli sembrerebbe rispondere di sì e valorizzare l’esigenza «di ordine e di simmetria» che la rima permette o fa risaltare. Allo stesso tempo, citando Agosti, Mannacio prende atto che lo strumento-rima è in sé ambivalente: « la rima, in quanto tale, partecipa a due opposte nature: la natura anticomunicativa e la natura di specchio sensibile del fondamento linguistico. Essa finisce , perciò, per essere un elemento per così dire di disordine… la rima accresce l’ambiguità del testo poetico introducendo in esso un elemento – la musicalità – che è inutile rispetto ad ogni funzione meramente comunicativa».
    E allora?
    Si rimane incerti o rimandati ad altri ragionamenti: spingersi verso la musicalità o il canto (con un uso o, al limite, un abuso della rima) o verso la “comunicabilità” e il poetare riflessivo che si spinge verso la prosa o la cosiddetta “prosa poetica” (che castiga la rima o l’occulta)?
    Non mi spingo oltre nel commento e mi limito a offrire un altro spunto. Se ci guardiamo intorno si deve riconoscere – come scrive Paolo Giovannetti nel suo nuovo libro «Poesia italiana degli anni Duemila» (Carocci 2017) – che « molta lirica moderna ha fatto di tutto per negare la rima, per affidarsi a pronunce non più condizionate dal peso dei suoni». E che non esiste più una regola certa e condivisa: «è come se ogni volta si dovesse ridefinire le regole. Scrivere e leggere poesia ha molto a che fare con questo gioco a rimpiattino, che a ben vedere costituisce la vera norma, il vero fondamento linguistico di una certa poesia d’oggi. La regola consiste in un *uso aperto della regola*».

  4. @ Cristiana, Annamaria, Ennio.

    Grazie dell’attenzione. A Ennio, al solito molto puntuale, rispondo in modo interlocutorio.
    1 ) Perché la rima continua ad essere usata? Ad altri l’ardua risposta.
    2 ) Non ho inteso fare una difesa a tutto campo della rima, ma annoverarla tra i tanti ” mezzi ” per ottenere un certo risultato, non ultimo quello di allontanare il liguaggio poetico – nella sua specificità – dal linguaggio comune. Dobbiamo confondere i due linguaggi?
    3 ) Il mio testo ha portata limitata a rilievi sulle qualità – positive o negative della rima, secondo i gusti di ciascuno – non quella di una poetica della rima.
    4) Con più ampiezza mi sono espresso a commento del Decalogo di Arminio su Cos’è la poesia.
    Grazie ancora.

  5. non sarà che a volte vogliamo complicare le cose più semplici? la rima è una tecnica usata dai poeti per creare una maggior musicalità al propriomessaggio.forse tra le tante è la tecnica più facile perciò attualmente la si usa di meno o la si nasconde come rima almezzo o come semplice assonanza.come tecnica fa parte della ripetizione che può essere iniziale (come l’anafora,che è ripetizione di un’intera parola o addirittura di un gruppo di parole) o finale come appunto la rima o omeoteleuto.val la pena continuare ad usarla? certo,anche se forse vanno evitate le rime troppo semplicistiche (ad es.quelle legate alle desinenze degli infiniti o dei participi passati)e se va attenuato il suo effetto di chiusura.

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