Da “Superfici di passaggio”

di Giovanni Fantasia

 

1.

sistematico, il mattino mi riveste
d’insistenze elettrostatiche, pensieri
monoblocco, ossidazioni e non ho voglia
di ripetere la vita. in cucina
mangio telecereali
soppesando i movimenti
della lotta quotidiana
riavvolgendo le importanze
su rocchetti scivolosi
fino a farle scomparire.
al distributore automatico, dopo
ritrovo i miei occhi negli occhi di altri
e la vita mi scappa di mano
e rovescio il caffè

5.

l’elefante in vetroresina del circo
è parcheggiato a lato del concessionario
tra berline missilistiche e possenti fuoristrada;
al semaforo
due maschere maneggiano tagliandi riduzione
senza crederci granché:
hanno uniformi sconfitte
espressioni da vecchi ippopotami magri
ogni tanto tossiscono e sputano
nel pomeriggio mortale

 

6.

scambiarsi baci spazio-temporali
sotto casa, verso sera, come un rito
circoscritto ma profondo:
i ragazzi lo fanno, appartati
fra l’ora dei compiti e l’ora di cena
dopo la clinica veterinaria:
danza invisibile corpo su corpo
e risate leggere, alla menta
quando un guaito di cane
perfora la strada. poi si lasciano
lei sale, lui rimonta sulla moto
e romba via ruvidamente.
la porta del veterinario si apre
un levriero spaurito ne esce
la sera riprende il suo corso

 

11.

sulla corriera, un sabato fine mattina, verso paesi brevissimi, tratti di vita in comune tra Modena e il Po, uno studente pensoso rincasa ascoltando colonne sonore segrete, ignorando un paesaggio già visto, azzerato a priori; davanti, un anziano signore racconta tortuosi stradari di storie all’autista, imboccando parentesi non richiudibili e strette evidenze private, appianando con mano terrosa la stoffa del suo fazzoletto leggero, bianco a tal punto che incarna un’idea di colomba, pronta a staccarsi e sparire nel lampo diurno

 

13. Parigi, 13 novembre 2015 [2]

sul marciapiede
una notte al di là della Storia
un soccorritore in giubbetto arancione
accompagna una giovane donna al sicuro.
tiene una mano prudente sul fianco di lei
lei ha le braccia serrate sul ventre
e lo sguardo di vetro:
spostano piano
le loro paure diffuse
fino alla fine dell’inquadratura.
dietro, un poliziotto a gambe larghe
stringe l’arma d’ordinanza
e fissa il culo della donna:
due secondi forse tre
mentre intorno il mondo accade

[2] frammento televisivo da RaiTre, diretta notturna sugli attentati di Parigi

 

15. Roma, 09 maggio 1978 [4]

non il blu delle divise, non il rosso
di una macchina qualsiasi in piena sosta
e nessun graffio, ammaccatura o forse sì
ma non importa, ciò che importa
è che in assenza di colore
personaggi a vario titolo
fronteggino il finale di una storia
e per conferma e per sentire come suona
si ripetano fra loro: « È Moro? È Moro? È Moro».
il prete benedice il corpo vuoto
ma posato come in sonno
e la sua tonaca sublima
la realtà del bagagliaio.
dopo, uno sciame più denso e più grigio
accompagna ad un retrofurgone
la salma: metri, pochissimi metri
prima che un morso cattivo d’Italia
si chiuda e si lasci ingoiare

[4] dal filmato del cameraman Valerio Leccese: ritrovamento del cadavere di Aldo Moro in via Caetani. Ripubblicato su YouTube

 

17. Cina, 10 novembre 2012 [6]

sette secondi di Cina
strada che passa esemplare
tra case ordinate, negozi, colori
che esorcizza
densità, conurbazioni apocalittiche, città senza più cielo
che è la Cina che mi aspetto
da un rettangolo di schermo;
un mondo minimo si muove
sotto al sole, un dopopranzo:
un’automobile registra il suo tragitto,
a bordo strada, accovacciato, un uomo attende
formulando mentalmente il tempo esatto
per saltare, pronto, via…
soltanto carne da risarcimento
maglia a righe bianche e verdi
contro il cofano, esemplare
sei secondi, sette, stop

[6] filmato ripreso da camera-car e montato in sequenza con altre decine di falsi incidenti stradali, soprattutto in Cina e Russia. Pubblicato su YouTube

 

18. Parma, 15 dicembre 2012 [7]

Binnu u’Tratturi
(papà, la cornetta, così)
che rimane?
papà, la cornetta, al contrario
ripete decisa la voce del figlio
e ne passa di tempo, prima che il padre
traduca la voce in azioni e risponda.
ora, se pensi che sembra un bambino
perplesso davanti alla complessità della vita
con il berretto calcato sul capo
alla soglia degli occhi
sei pazzo, che pensi?
parliamo pur sempre di uno
che ammazza a ritroso la storia
uno che nemmeno al capolinea
puoi guardare con pietà

[7] filmato ripreso da telecamera di sorveglianza del carcere di Parma durante un colloquio tra Bernardo Provenzano e suo figlio. Diffuso da Servizio Pubblico di Michele Santoro nel maggio 2013, ripubblicato su YouTube

 

24. Černobyl’ – Pripjat’, 17 settembre 1986 [12]

non so perfettamente
cosa siano i raggi gamma
so però che serve il piombo
per fermarli, e poco possono
uniformi di fortuna
fantascienza e medioevo;
non so quale nosferatu
succhi il sangue via dal corpo
dopo solo due palate di grafite,
non so quale svenimento
assalti gli occhi dopo aver salvato
il popolo, con l’anima del popolo
sul tetto della morte;
tu, riservista di venti trent’anni
ritira i tuoi rubli di gloria
il tuo certificato d’onore
raccogli le forze, resisti, sei storia:
ora tu rompi gli schermi e prosegui
la corsa, verso l’eterno sapere

[12] frammento dal documentario “The battle of Chernobyl”, 2006. Ripubblicato su YouTube

 

27.

metti da parte l’ossigeno, ci servirà
se implodiamo, se i giorni si allungano
fino alla nebbia, poi fino all’inverno
poi fino alla fine. un metro cubo forse basta
per il tempo dell’addio ma non soddisfa
perché servono le mani, la saliva
serve tutta un’altra bolla di respiro
in cui nuotare ad occhi chiusi
ed è difficile staccarsi dalla vita burocratica
e cadere finemente dentro noi
non preoccuparsi, costruire
quasi senza materiali
un’esistenza.
serve anche indovinare dove siamo
quale spazio ci separa e se
qualcosa di esclusivo ci è concesso.
tu metti da parte l’ossigeno, intanto
io metto da parte i profumi
impossibili da riprodurre
ricalco la forma che hai
e raccolgo dettagli di poca importanza
e conservo anche quelli
che è meglio di niente
che è meglio del vuoto
che inalo per non soffocare

 

29.

l’ordine, le cose al proprio posto
l’insistenza dello sguardo
l’esigenza del controllo generale:
ne possiamo fare un pacco
da spedire negli abissi
con biglietto sola andata.
serve la resa completa
per l’esplorazione del fondo
serve smontare e riporre scafandri
verbali, salire all’esterno di sé
coniugare il non detto, parlare
una lingua oceanica e dolce.
è un alfabeto corporeo sospeso:
basta restare sdraiati sul pelo dell’acqua
presi dal peso specifico
del desiderio profondo

 

32.

contiamo lentamente fino a dieci
e se lo sguardo non si spezza
siamo salvi, siamo santi
siamo una transiberiana
un mercantile gigantesco
un continente sconosciuto
siamo tutto ciò che serve
all’esercizio della forza

 

33.

esistono frammenti
più importanti dell’insieme
ma l’insieme sa d’assalto e di tempesta
e li disperde. esistono anche
carezze accerchiate da squali
e megattere contro lo sterno
esistono i verbi
schiacciare, annaspare, finire.
eppure, al largo, esiste
la più vasta prospettiva:
spazio equamente diviso
per dimensionare la vita

 

36.

la strada, dico, c’era oppure no?
non lo sapremmo nemmeno
scavando la vita a ritroso
chiamando per nome le buche
leggendo a dovere la terra
premendoci dentro le cose.
era, dico, pura superficie di passaggio
amore minimo filante al finestrino;
ciononostante ringrazio l’inizio, la fine
l’innesco di vaste visioni d’insieme;
ringrazio la detonazione, la vampa
la meravigliosa onda d’urto
e se anche la strada non c’era
dico che abbiamo trovato lo stesso
la collocazione del bene

 

Nota biografica

Giovanni Fantasia (Sassuolo, 1980) ha scritto le raccolte di poesia “Introduzione alle Città” (Grafiche Zanichelli, 2007), “Superfici di passaggio” (Italic, 2018) e i romanzi “Santi, negri e scarafaggi” (Quarup Editrice, 2009), “Le pratiche del niente” (Incontri Editrice, 2014). Altri suoi testi, poesie e racconti, sono stati pubblicati su diverse antologie; ha collaborato con illustratori, videomakers, musicisti. Dal 2015 al 2017 ha curato sul magazine Concretamente Sassuolo la rubrica di interviste fotografiche “Land\Slide”. Fotografa luoghi e persone dal 2011.

 

Nota a “Superfici di passaggio” di Marco Bini

Il suo è un espressionismo tecnologico, una lingua dove il registro medio della scrittura si nutre di certe ruvidità di matrice quasi hard-boiled e di un gusto marcato per il ritmo della frase, e incontra un immaginario contemporaneo nutrito di urbanità tutt’altro che scintillante, consumi impersonali e una violenza latente che sembra sempre sul punto di far implodere tutto. Ne esce un ritratto allucinato, surreale, a tratti dolce, molto più spesso abrasivo della vita occidentale e di un paesaggio, quello dove oggi trascorrono i nostri soggiorni nel mondo, a metà tra uno scherzo del destino e un’illusione della nostra stessa mente.

 

10 pensieri su “Da “Superfici di passaggio”

  1. finalmente un poeta non ” vecchio ” come linguaggio e come argomenti. Attento alla realtà e privo di ogni accenno ad alcun autoritratto spacciato per poesia. Attendo su Poliscritture notizia della pubblicazione del volume per procuramelo.

    1. Ciao Luigi, grazie delle osservazioni. In “Superfici di passaggio” cerco proprio la realtà, e cerco di decifrarla attraverso sequenze di immagini storicizzate o più contemporanee. Spero che l’inquadratura “finale” abbia voglia di farla chi legge.
      Un saluto, ti terrò aggiornato sull’uscita,
      Giovanni

  2. Niente di più e niente di meno, lancia l’occhio, vede e interpreta, forse capisce, dice cosa ha visto, cosa crede, cosa forse è accaduto. Cosa accade? Forse è diverso dalle forme con cui ci regoliamo, confrontiamo, misuriamo, incomparabili e resistenti.
    Ecco ciò che può essere, e sia

    “basta restare sdraiati sul pelo dell’acqua
    presi dal peso specifico
    del desiderio profondo”

    1. Ciao Cristiana,
      mi piace, molto, il tuo “forse capisce”; l’idea di una scrittura che non chiude, che non esaurisce l’osservazione né tanto meno l’argomento mi soddisfa in modo particolare. Se avrai voglia e occasione di leggere il testo integrale, quando sarà il momento, ne sarò felice.

  3. …belle queste poesie di Giovanni Fantasia del tempo veloce delle immagini e della tecnologia…consola e fa ben sperare sentire che l’essere umano ne è preservato, anche se sotterranea sembra sopravvivere un’esigenza di lentezza: “Contiamo lentamente fino a dieci/ e se lo sguardo non si spezza/ siamo salvi…”. Forse la mediazione si esprime nei versi: “…pura superficie di passaggio/ amore minimo filiforme al finestrino…”

    1. Ciao Annamaria,
      questo confronto su Poliscritture fa emergere ottimi spunti, grazie dell’attenzione. (ti correggo solo “filiforme” con “filante”)
      A presto, se vorrai, con la raccolta tutta intera,
      Giovanni

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