Per Luisa

Luisa Colnaghi accanto a Giampiero Neri e con altri partecipanti all’incontro del 10 marzo 2009 alla Palazzina Liberty di Milano

di Federico Bock

Per ricordare e onorare Luisa Colnaghi pubblico questo affettuoso ricordo di lei scritto da Federico Bock e, in appendice, alcuni materiali  tratti dall’archivio del Laboratorio Moltinpoesia (2006- 2012) al quale aveva partecipato assiduamente. [E. A]

Incontrai Luisa Colnaghi al “salotto Caracci” qualche anno fa. Presentava l’ultimo libro di prosa, “Deserto blu”, edito nel 2009 per i tipi di ex Cogita.
Mi incuriosirono sia libro sia lei, composta, staccata, come fosse altrove.
Lessi il libro, un romanzo anch’esso dell’”altrove”, una prosa essenziale, come la sua prosa.
Incontrai una seconda volta Luisa allo spazio Bligny 42 in occasione di una lettura, quando la rivista il Monte Analogo, di Giampiero Neri, di cui lei era segretaria di redazione, aveva già pubblicato alcune mie composizioni.
Sodalizzammo.
Avevamo in comune l’amicizia con Giampiero.
Andavamo a trovarlo sia a Milano che a Erba, nella sua residenza estiva.
Luisa sempre riservata, distratta sembrava, poi col tempo ho capito che non era distrazione ma comprensione, com-prensione, di sé e degli altri, una comprensione accompagnata da sorprendente meticolosa accuratezza.
Aveva bisogno di scrivere, e di leggere.
Volle che vergassi alcune note di commento alla sua ultima raccolta di poesie, “Da una zona d’ombra” (La Vita Felice), ed alla sua ultima opera di prosa, “La via stretta” (ex Cogita).
Chissà, forse cercava una testimonianza, in me, nella cui poesia, mi disse una volta, sentiva libertà.
La presi come un grande complimento.
Diventammo quello che suol dirsi amici.
Seppi che aveva lungamente assistito suo marito, ucciso da un tumore.
Parlava dei progetti, sempre con riserbo, mi presentò ad Ogginpoesia, che poi continuammo a frequentare giungendo assieme a Linea d’Ombra, abitavamo vicini, a qualche centinaio di metri.
Ci telefonavamo spesso, ci confidavamo spesso.
Fui triste quando mi disse che si sarebbe trasferita a Pavia.
Capii che avrei perso un’amica, o la contiguità con un’amica, che è la stessa cosa.
Quindi la notizia, ferale, della malattia, il suo decorso, le mie andate a Pavia a trovarla, a visitare la mostra dei Longobardi, a desinare in qualche simpatico ristorante, a scherzarci su, me lo potevo permettere, perché anch’io ero stato poco prima di lei colpito da similare accidente.
Poi la fine, con discrezione anch’essa.
Luisa era credente, era, era stata, aveva ottantatrè anni, una bella donna.
Sul libro della funzione funebre lasciai scritto: ciao Luisa, arrivederci…

APPENDICE

*

RITRATTO A MATITA
di Luisa Colnaghi

La primavera di Mosca
era già arrivata. Nella luce
di sole freddo e chiaro
era apparso l’artista,
disegnava creava,
seguiva sui miei passi.
In cerca di idee che
non si trovano andavo
sulla strada della poiesis
qui chiamata Arbat Prospeckt
mondo di pittori colori
di arte e musica.
Esitanti soste e riprese
indugio di sguardi, occhi
come punte di diamanti,
scrutando cercando
sul viso, sul disegno,
l’artista l’improvviso.
Il ritratto a matita era
segnato da lieve malinconia
fissato sul foglio bianco con
un soffio di lacca trasparente.

(poesia presentata per il DIZIONARIETTO DEI MOLTINPOESIA
Palazzina Liberty 26 MARZO 2009)

 

*

 FIORI DI ROBINIA
di Luisa Colnaghi

C’è molta luce nell’aria

il  candore della robinia

sui  rami a sbalzi tesi verso

il calore, verso il  primo sole.

Le api  con ritrovato vigore

celebrano il  rito della primavera.

Anche tu hai sentito il  profumo

colto il sapore dei dolci grappoli.

Domani i fiori caduti

saranno un grande trionfo

per le piccole formiche,

la loro giornata laboriosa.

 

*

Luisa Colnaghi su “Visita agli antenati” di Giorgio Mannacio     (1999 – 2001)

I testi che formano la  raccolta di Giorgio Mannacio hanno la coniugazione dei tempi al passato e sono divisi in quattro sezioni il cui tema è quello degli elementi naturali, dalla citazione di Empedocle: il fuoco. l’acqua, la terra e l’aria. Come dice il titolo “Visita agli antenati” alcuni testi si riferiscono a un tempo lontano, il tempo degli antenati e della storia, mentre altri sono dettati dai ricordi. Le riflessioni che si avvertono in questi versi riguardano la vita e la morte e si ritrovano in tutti i testi in un intreccio sottile di parole, una trama con la quale l’autore ha disegnato visioni profonde,  osservazioni fatte con gli occhi dell’animo e la sensibilità di un poeta. I versi sono permeati da grande malinconia con riflessioni rapportate  alle tracce e ai segni lasciati dagli antenati e a pensieri filosofici sulla vacuità della vita. In alcuni testi come “Amore e medicina”, “La vita è fiamma” e “Minute ceneri”, sono le memorie che portano alla mente momenti dolorosi di malattia, ma anche di amore e di gioia nel ricordo di una persona cara. I versi che parlano della pittura “Quadri antichi” e del teatro “Teatro d’ ombre”, sono un intreccio sottile di ombre di quadri e di teatro.   L’ombra della pazzia appare in “Figure fuori campo”.  Le ombre sono tante, appaiono improvvisamente, svaniscono e ritornano. I versi della sezione “Piccola Musa” (Aria), dedicati a una bambina, sono espressioni  di grande tenerezza. La tenerezza per una figlia che il padre rievoca con “Il pianto di bambina”, i “Primi passi”, i  “Primi giochi”, la ninnananna “Two lullabys”  e le favole di una figura di bambina rimasta nel ricordo dell’autore. Un testo “Casa dei padri”  induce il lettore a una particolare riflessione: un gioco di ombre  richiamate  in un gioco di parole sulla vita delle ombre che non tornano più. I versi sempre sottili e leggeri, sono  lirici di metro classico,  portano percezioni di ricordi e  emozioni di un passato che l’autore lascia intravvedere senza svelare.  Una tecnica molto bella per parlare di cose personali in modo impersonale. Molto vivo è il tema della morte espresso in tre tempi, la morte di un tempo lontano,  la morte del presente e una morte  che porterà a un futuro inevitabile, un tema ripreso in modo sottile e quasi impercettibile nel profondo dei versi  in quasi tutti i testi.

1 ottobre 2007

*

Giorgio Mannacio su “ GUFI E CIVETTE “ di Luisa Colnaghi (2007)

Ragioni di una sintonia, non di una scelta: mi è sempre interessato, nella pittura, il paesaggio. Quanto alla poesia il mio rapporto con essa è stato tanto ambivalente che la mia personale esperienza si è rivolta piuttosto alla “ trasfigurazione “ o, se si preferisce, alla mediazione entro coordinate meditative. Anch’io ho parlato spesso, nei miei scritti, di animali (di preferenza, del gatto) e dunque , per una ragione e per l’altra, mi sono accostato con curiosità ad una raccolta, quella dell’amica Luisa Colnaghi , che – dichiaratamente e senza infingimenti – si definisce poesia della natura e che sin dal suo titolo ( ma  svelerò , poi, il senso che ad esso, a mio giudizio, va attribuito ) fa omaggio ad alcuni elementi di essa ( civette, gufi ). C’è sempre una sorta di attrazione nella scoperta di esperienze simili. Ma, poi, si assiste al curioso fenomeno che di questi animali si parli ben poco, quasi che l’autrice se ne sia dimenticato o sia stata per così dire scavalcata nelle proprie intenzioni. Essi ritornano un paio di volte soltanto ( “ Stavano come gufi…”; “….la civetta grida ….” ) Avranno ragione , questi animali, di risentirsi? M sono chiesto subito se siano proprio loro i protagonisti ed alla fine ho risposto di no. Ed infatti una sola volta la civetta si pone come attore sulla scena  ( Plenilunio) ; l’altro “ animale sacro “ – il gufo -. è ricordato in una struttura di similitudine ( “ stavano come gufi…” ) che, ovviamene , non puo’ che alludere a un termine di paragone diverso. Penso proprio che sia nell’uno che nell’altro caso (nel secondo più esplicitamente ) l’animale sacro sia l’autore stesso ed è perciò interessante capire perché egli abbia vestito tali piume. L’altro aspetto oggettivamente rilevante dei testi di Luisa è la “ natura “ in senso proprio ( alberi, ruscelli, pietre , ed anche figure umane ma come parte ).  La sua  è davvero una poesia di paesaggio. Restava enigmatica, a questo punto, la incoerenza tra titolo e considerazione effettiva degli animali del titolo.

Ho sempre creduto che il rapporto tra poeta e natura possa atteggiarsi secondo due modelli fondamentali che ho chiamato, per comodità e semplificazione , modello classico e modello romantico. Nel primo la natura partecipa alle nostre vicende in modo “compassionevole “ piangendo se piangiamo e ridendo se siamo felici; nel secondo vi partecipa in modo ironico ridendo se siamo infelici e piangendo se siamo felici. In questo modello vi è una duplice tensione perché tra il piano dell’esperienza umana e la realtà della natura si istituisce sempre e comunque una disarmonia: Forse c’è un terzo modello( cui accennerò ) in cui viene messa addirittura in discussione la relazione. In quale di questi due ( tre ) modelli si pone la poesia di Luisa ?

 Una costante delle sue poesie è la serenità di sguardo. Certo anche nei suoi versi si parla di ombre ( Il Sentiero, L’Eco , L’albero di sambuco…) ; certo anche nelle sue poesie si “ annota “ la condizione umana ( dolore, solitudine, lontananza , sparizione…) ma  a questa sorta di catalogo  mai ne segue ( questa almeno è stata la mia risposta emotiva ) un effetto di angoscia e di estraneità. Lo dimostro. Di fronte alla solitudine ( leggi poesia omonima ) il correlato è “ ospite/ amicizia .

Nella più articolata desolazione di Il passato nel silenzio il correlato è – appunto – il silenzio simile a quello che si coglie nei boschi ( e nella contemplazione delle pitture dei boschi ) piuttosto che quello espresso nell’ossimoro montaliano “ rombo silenzioso “.. E che dire dello spaventapasseri il cui gesto “ pare generosità “ ? Anche qui , in un certo senso , siamo in presenza di un ossimoro ma di segno  rovesciato, in positivo. Gli esempi di questo atteggiamento di estrema serenità  e dolcezza si possono moltiplicare e –se come credo – alla “ quantità “ va attribuito un senso, questo è proprio in una direzione in cui il c.d lato oscuro dell’anima è dato per scontato come fatto naturale, neppure sottolineato più di tanto. Direi – e ne traggo conferma da La Filatrice – che tale lato oscuro finisce per assottigliarsi “ lungo una vita “ ( vd ultimo verso ) perdendo per esaustione la sua minacciosa terribilità. Altri avrebbero insistito – tutto sommato banalmente – sull’accostamento o  filatrice-Atropo e invece Luisa vi accenna e quasi dice “ ma lo si sa “ e corre via. Qui vedo una funzione catartica della semplicità e una coerenza tra mondo e parola.

In che direzione corre via l’autrice ? Più che la direzione, mi sembra interessante cogliere le modalità di questa corsa rispetto al percorso della natura lungo il quale la corsa si svolge. Si tratta , a mio giudizio, di un percorso in un certo senso parallelo . La natura sta da una parte, nella sua oggettiva epifania ( sono come sono ) , epifania descritta in termini precisi, semplici, lineari ( una punta di matita che ne descrive i contorni, i limiti invalicabili ). Dall’altra parte è l’osservatore, il passeggero, il poeta che sembra proprio sciorinare il proprio filo in un percorso non invadente, rispettoso del prato, dell’acqua, dei confini naturali. La violenza, anche quella esercitata da una meditazione sulla natura, non appartiene a Luisa che dice all’altra “ io sono così “ e “ tu sei così.”

Il rapporto sembra quindi superare quella antitesi tra modello classico e modello romantico per porsi – ambiziosamente ( ? ) – su una linea di distacco continuo e lineare costituito da una lontananza solidale. Non so se Luisa voglia di proposito allontanarsi anche dal terzo modello possibile ( partecipare “ ai dolori della natura” secondo la lettura  dell’Anguilla montaliana) o a tale esito pervenga in forza della “ sua natura “ . Sta di fatto , secondo me, che Luisa arriva ad una sorta di “poesia ecologica “ che non ammicca alla natura e non chiede ad essa se non una pausa che le permetta una contemplazione felice semplicemente di essere tale. Marte è allo stesso punto non perché Luisa non sappia che anche Marte si muove ma perché è in quel punto che , cortesemente , si è fermato per farsi vedere .E questo basta ed avanza.

Ogni elemento del quadro si presta – come in La strada delle fonti ( poesia che mi è piaciuta in modo particolare per il tono evocativo reso dalla “ superficialità “ di specchio dei vari elementi ) ad una visita riservata in una galleria privata di quadri ai quali non ci si può avvicinare più di tanto per non attivare i segnali di allarme. Questo limite non viene mai superato e il gioco di equilibrio riesce sempre in un modo che rende coerente senso e segni. Alla fine penso che Luisa abbia utilizzato nella sua raccolta gli elementi naturali gufo e civetta per una forma di distaccato rispetto. Si, dice a noi, sono nella natura ma, badate bene, a differenza di gufi e civette ho orecchie per udire, occhi per vedere, olfatto per sentire , gusto per assaporare , tatto per accarezzare. Leggete le poesie e vi accorgerete che tutti e cinque i sensi sono presenti in termini concreti .

Dunque Luisa Colnaghi è civetta e gufo ma in questo  senso del tutto particolare che le consente una trasmissione di memoria: sono natura ma anche cultura. Ciò è esattamente quello che, secondo me, significa la frase “ misurare il proprio destino “ ( come dicono i taciti veggenti simili a gufi ). E solo in questo squarcio – sintetico e coinvolgente – che la nostra Luisa si fa trasportare da una parola “ pesante “ ( veggente  ) che abbandona subito  per diventare , lombardianamente, “  vedente “ . E del resto – ammirate la sua “ prudenza “ – i veggenti non sondano affatto la sorte ma la misurano ( nuova dimostrazione della vocazione  visiva della nostra poetessa ).

Come vedete, la mia non è una critica in senso tradizionale. Voglio, poi, essere fedele al programma del Laboratorio [Moltinpoesia] e alla prima sono incapace e restio. Ho proposto un tentativo di ripercorrere ( a mio modo: ma ognuno , alla fine, cammina solo sulle proprie gambe ) quello che ho immaginato, forse arbitrariamente, potesse essere il percorso creativo dell’autrice. Mi piace, riscontrata una sintonia – “ accogliere “ un testo , metterlo a suo agio e rendere eloquenti e dunque discutibili i risultati del mio colloquio con esso. Questo ho fatto e  credo di saper fare . Come dice il noto proverbio:  ogni botte dà il vino che ha . Mi scuso di non essere DOC.

Un cordiale saluto a Luisa e alla Moltitudine.

Giorgio

*Nota
Altri testi di Luisa Colnaghi sono reperibili sul vecchio blog “Moltinpoesia” partendo da qui

4 pensieri su “Per Luisa

  1. …grazie per queste belle testimonianze e ricordi della nostra amica Luisa…Federico B. ci ha consegnato un ritratto commosso e inedito di Luisa, legato alla loro più stretta amicizia, ma ben riconoscibile a noi tutti quando scrive: “Luisa sempre riservata, distratta sembrava, poi col tempo ho capito che non era distrazione, ma comprensione, com-prensione, di sé e degli altri, una comprensione accompagnata da sorprendente meticolosa accuratezza”. E di Giorgio M. è presentato un commento di critica dialogante intorno ad una raccolta poetica di Luisa: “Gufi e civette” – mentre una sua opera, “Visita agli antenati”, era stata a sua volta oggetto di approfondimento critico da parte di Luisa- dove, nella sua serena bellezza, la natura viene descritta dall’autrice con distacco magistrale, sapendola coniugare con il senso del mistero e con la cultura…Le poesie un tempo pubblicate per il DIZIONARIETTO dei MOLTINPOESIA presentato periodicamente alla Palazzina Liberty o sul blog testimoniano anche il gran fervore di studio e di ricerca che caratterizzarono il laboratorio dei Moltinpoesia, una vera Moltitudine poetante, come scrive Giorgio M. Io fui presente solo nell’ultimo tratto di questa lunga esperienza, ma qualcosa ricordo…Grazie anche a Ennio A. per la disponibilità di allora e di oggi…

  2. Apprendo con sconcerto. Ero oberata da problemi di salute dei miei cari e non guardavo in rete da qualche giorno. Era una donna affabile, una persona di testa e di cuore. Qualche volta, dopo gli incontri pubblici, capitava di tornare a casa con gli stessi mezzi di trasporto, finché lei visse a Milano, e parlavamo di molti argomenti leggeri e meno leggeri . Mi raccontò della sua attività di traduttrice e della lunga malattia del marito. Era più che una semplice “collega” di poesia. Ciao Luisa: e complimenti per i tuoi anni (li apprendo anch’ essi ora), splendidamente portati e vissuti con garbo gentile e passione per la scrittura. Alessandra

  3. Un saluto per Luisa Colnaghi: da un amico del gruppo OGGINPOESIA

    La muta notte
    (ricordando Luisa)

    Amica,
    ricordo la tua attenzione
    all’ascolto
    e i meditati commenti
    negli incontri del nostro gruppo,
    e il tuo vivo interesse
    alla scrittura, ai versi, alla poesia.

    Attraversata la muta notte,
    sotto un cielo più vasto,
    in uno spazio più puro,
    tra armonie di soli,
    tu, amica, oggi felice
    ascolti il canto dei giusti,
    versi celesti di luce e di vita nuova.

  4. Mando anch’io un saluto a Luisa Colnaghi. Siamo stati amici per un breve periodo, ho di lei un bel ricordo. Fuori dalla Palazzina Liberty. Una ragazza milanese.

Rispondi a Annamaria Locatelli Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *