E adesso, brava gente?

Tabea Nineo, carboncino anni ’90

Scrap- book dal Web sulle elezioni del 4 marzo 2018

a cura di Ennio Abate

SATURA POSTELETTORALE (1)

Giuseppe Muraca

Care amiche e cari amici, buongiorno! In questi anni Renzi ha compiuto un vero capolavoro politico, e cioè portare il PD a subire una dura sconfitta, al di sotto del 20% e a contare meno del 2 di briscola. Ora a Renzi rimane una sola scelta: di andare a cena con Farinetti. Anche Berlusconi è stato ridimensionato, con la Lega che diventa il primo partito del centro-destra. Oltre il 30% degli Italiani ha inteso cambiare riponendo le sue speranze nel movimento 5 stelle. Anche la sinistra è uscita sconfitta dalla campagna elettorale, continuando ad essere una forza residuale. Ora per la governabilità dell’Italia, per avviare una politica di riforme e per arginare l’avanzata della nuova destra si affaccia una soluzione: un’alleanza programmatica fra movimento 5 stelle e PD, costretto però a rimanere in una posizione subalterna. Speriamo…

Maria Zimotti Antonio Liuzzi ti dico la verità sono furiosa per la scelleratezza degli italiani. Massa, che segue solo chi urla più forte. No, non mi piace PER NIENTE il tono di Di Battista. Esistono le regole democratiche, che vi piaccia o no. E le regole democratiche non vogliono dire: comando io e chi non è d’accordo fuori. Gli altri non sono lacchè, hanno idee, un cervello proprio. E questo, fin dall’inizio è stato il modo di agire dei cinquestelle. Cacciare chi la pensa diversamente. E per quanto mi riguarda questo è fascismo, o stalinismo, se preferisci. E questo, aldilà della sostanza del programma sul quale, come ti ho già detto, nutro parecchi dubbi.

Giso Amendola

ora ci facciamo un paio di giorni tra quelli che espatriano perché il paese è irrimediabilmente reazionario e quelli che godono perché la fine delle varie sinistre apre le praterie. ma dura due giorni. poi si ricomincia a ragionare e si va a fare inchiesta, a partire dal sud, ché tutti questi che scappano dal pd ma non vanno a destra andranno pure studiati, – la mobilitazione sociale che servirà in questi tempi difficili qualche domanda su questo sud dovrà pure porsela.

Claudio Resentini

Buonanotte… ci vediamo in aeroporto

Alfredo Nicotra

al nord avete votato in gran parte lega e cdestra siete delle merde! merde

Lanfranco Caminiti

quindi si rivota a dicembre, oggesu’

Gianfranco la Grassa 

Dai dati che sembrano ormai abbastanza attendibili ci si dovrebbe attendere un sconfittona per il Pd e anche però di F.I. ben al di sotto di quanto raccontava il loro “nanetto”, che tale sembra proprio infine diventato. Continuano comunque – ma questo durerà ancora per un bel po’ – le illusioni di invertire la decadenza politica (e culturale) di questo paese (in buona compagnia con tutto l’“occidente”) mediante il “popolo sovrano”. In ogni caso, adesso attendiamo l’assegnazione definitiva dei vari scranni e poi assistiamo a quanto ci verrà offerto. Immagino che ci saranno molte complicazioni. Tuttavia, è inutile spendere tante parole. E’ bene seguire e stare attenti ai fatti. E continuare con ciò di cui si è convinti.

Giovanni Violetti

Aiuto

Guido Visco Gilardi ha condiviso il post di Sergio Scandura.

CI speravamo però questa è la dura realtà, avevamo altra scelta ,NO !
chi ci ha votato, ripeto astenersi dai giudizi e consigli chi non l’ha fatto grazie, si aspetta da noi la coerenza nell’impegno di lotte che abbiamo dichiarato di fare e vi pare poco.

Radio Popolare SCONFITTA STORICA di Luigi Ambrosio

La sinistra esce distrutta dalle elezioni. Disfatta del PD di Renzi cui non resterebbe che dimettersi. Liberi e Uguali non è riuscita a intercettare i voti di sinistra usciti dal PD. La destra radicale di Salvini è egemone. I 5 Stelle trionfano in nome della rivolta contro l’establishment.

[La sinistra deve ricominciare da capo” ha dichiarato Viola Carofalo, la portavoce di Potere al Popolo. Pap si è fermato poco sopra l’1 per cento. Carofalo si dichiara soddisfatta: “siamo contenti perché esistiamo da soli 3 mesi e ci sembra di aver ottenuto un risultato notevole. Ci sembra che la strada imboccata sia quella giusta. A sinistra c’e’ tanto da ricostruire”.]

[l capo della Lega è il vero vincitore di queste elezioni.  ‘Egemonia’ una volta era una parola della sinistra. Era uno dei cardini su cui la sinistra costruiva la propria azione politica. Oggi ‘egemonia’ è una parola nelle mani di Salvini. La politica della Lega, dura e con venature razziste, sarà l’architrave di un eventuale governo in coalizione con Forza Italia e Fratelli d’Italia. Ma al di là degli sviluppi parlamentari Salvini ha dimostrato di essere radicato nel Paese. Dopo l’attentato razzista di Maceratala Lega ha cavalcato la campagna contro gli immigrati. E ha vinto.

Comunque vada, il centrodestra non è più tale ma è ormai solo destra. La vittoria di Salvini è la sconfitta di Berlusconi, una sconfitta più grave di tutte quelle subite nei suoi 25 anni di carriera politica. Anche per Berlusconi questo risultato è il capolinea. Renzi e Berlusconi. Contro di loro, contro l’idea stessa delle larghe intese, hanno votato tutti quegli elettori che hanno sostenuto il Movimento 5 Stelle. L’altro vincitore.

Il Movimento 5 Stelle che cresce al nord e dilaga al sud intercettando la rabbia e sfruttando la crisi di credibilità della politica. 

Lega e 5 Stelle sono le sole forze a godere di credibilità vera, oggi in Italia.

Potrebbero fare un governo insieme? Lo auspica Steve Bannon, l’ideologo di Trump che vede nell’esito delle elezioni italiane una straordinaria avanzata del movimento populista internazionale.]

 

SATURA POSTELETTORALE (2)

LA PROVINCIA DIMENTICATA URLA LA SUA RABBIA E SPAZZA VIA RENZI E BERLUSCONI

LA PROVINCIA DIMENTICATA URLA LA SUA RABBIA E SPAZZA VIA RENZI E BERLUSCONI

di Jacopo Tondelli

JACOPO TONDELLI

http://www.glistatigenerali.com/partiti-politici/la-provincia-dimenticata-urla-la-sua-rabbia-e-spazza-via-renzi-e-berlusconi/

Il re è nudo, e là fuori fa un freddo cane. Il risultato delle elezioni non darà a nessuno la maggioranza che serve per governare, ma dice a tutti una verità che non si può nascondere o piegare a patetiche esigenze di propaganda. La conta dei voti restituisce la fotografia iperrealistica di un paese che chiede protezione, che apre crediti ad avventure ancora ignote e boccia senza appello il proprio passato recente e quello remoto.

Il Movimento 5 Stelle fa il vuoto dietro a sè con una cifra largamente superiore al 30 per cento dei consensi. In termini assoluti, supera gli 11 milioni di voti. Ironia e sapienza della sorte, cifra assai simile a quella totalizzata dal Pd renziano nel suo transitorio trionfo delle Europee del 2014. […]l Movimento fondato Grillo e Casaleggio si dimostra invece una strepitosa macchina di consenso, un sismografo millimetrico capace di intercettare le scosse telluriche più remote. Sa promettere protezione a chi la vuole; sa giurare innovazione politica e sociale a chi ci crede; sa baciare la reliquia di San Gennaro e diffondere il verbo con l’algoritmo […]Le sembianze e i nomi antichi che il Centrodestra ha portato sulle schede elettorali, e fino alla vittoria, non possono ingannare: il cambio di pelle e di anima sono radicali. […]L’eredità che Silvio Berlusconi non ha mai voluto lasciare, il testimone che a nessuno davvero ha mai voluto affidare, gli è stato strappato da un leader più giovane, veloce, contemporaneo e cattivo di lui. Come capita sempre in questi casi, del resto. Matteo Salvini è il nuovo capo della destra italiana, e così ci abituiamo da subito a chiamare le cose col loro nome. Del moderatismo tremebondo, anticamente anticomunista, antropologicamente impolitico, pacificamente arcitaliano che fu il centro berlusconiano, restano quattro milioni di ultrasettantenni attaccati alla tv. […]Sia come sia, a Matteo Salvini è riuscito quello che non è mai riuscito a Umberto Bossi, cioè di diventare il vero punto di riferimento nelle istituzioni della coalizione e, di fatto, perno della politica italiana. […]la storia di Matteo Renzi si calcifica definitivamente nella parabola di una meteora della sinistra italiana. La sua rapidissima ascesa scalando un partito esausto e fuori dal tempo e il suo unico successo elettorale, alle elezioni europee del 2014, diventano l’eccezione in una storia fatta di sconfitte, nella biografia politica di un perdente. […]In questa debacle ci sono molti ingredienti: c’è l’arroganza di una classe dirigente improvvisata e non abbastanza preparata; c’è l’assenza di senso del limite e la non accettazione di una realtà che ha assunto contorni netti ormai da anni; c’è la mancanza di un rapporto vero, profondo con almeno qualche pezzo di società, di paese, di vita vera; c’è l’aver liquidato una storia sicuramente usurata dal tempo e impigrita nei suoi vecchi miti, ma senza aver compreso che scriverne una nuova e altrettanto importante è impresa grande, che chiede spartiti alti e interpreti degni. In questa notte buia della sinistra italiana, che accentua i tratti di difficoltà delle sinistre occidentali ma li interpreta in maniera se possibile ancora più lugubre, una cosa sola non c’è: ed è la possibilità, ad essere onesti inellettualmente, di rinfacciare un ruolo serio e importante, in questa sconfitta, ai fuoriusciti di Liberi e Uguali[…]la miseria di voti e di idee di Liberi e Uguali non chiude proprio niente, perché niente era mai iniziato, prima. Già, perché la sigla di Bersani e Fratoianni, di D’Alema e Civati, di Boldrini e Grasso è l’emblema di cosa non si dovrebbe mai fare fondando un partito o movimento di sinistra: e gli elettori di sinistra, pur confusi, di questo si sono accorti. […]Chi non supererà la soglia, con ogni probabilità, è +Europa di Emma Bonino. Quei voti serviranno solo a rendere meno esangue il gruppo parlamentare del Pd, ma non basteranno a sfatare la regola che vuole piccoli movimenti liberali ed europeisti destinati a successi ampi nella critica, e limitati poi nel pubblico. Anche per loro, come per tutti, vale una regola: difficile esistere nelle urne senza esistere nella società. […]Se questi sono i dati politici, non può sfuggire un primo dato sociale. Al netto delle alchimie parlamentari, dei giochi di alleanza, del ruolo del presidente Mattarella, gli italiani hanno deciso di non fidarsi appieno di nessuno. Dipende dalla legge elettorale, certo. Ma un paese così spaccato, e i dati geografici ce lo confermeranno una volta di più, non si governa bene grazie a meccanismi che regalino maggioranze dove in realtà non ci sono.

 

SATURA POSTELETTORALE (3)

Te lo do io…
di E. A.

Te lo do io l’esodo.
Te lo do io il potere
al popolo.

Ti do i grillini
e Salvini.
Non i liberi
e egualini.

Al massimo
le bonini.

Per uscire dai casini
preparatevi a lacrime e sangue
nell’Italia che langue.

 SATURA POSTELETTORALE (4)

Tsunami grillin-leghista. La “terza repubblica” nasce senza padrone

di Dante Barontini

https://www.sinistrainrete.info/politica-italiana/11758-dante-barontini-tsunami-grillin-leghista-la-terza-repubblica-nasce-senza-padrone.html

1.

 lo scenario è chiarissimo e rende possibile un primo abbozzo di bilancio: un paese spaccato in tanti pezzi, che corrispondono quasi esattamente alle diverse condizioni sociali maturate nei decenni e nel corso degli ultimi dieci anni di crisi. Leghista al Nord, dove qualcosa da difendere c’è (imprese che fanno profitti e altre che rischiano di chiudere, occupazione precaria e sottopagata), “grillino” al Sud, dove si è già perso quasi tutto e la paura di non poter risalire è concreta, manifesta (i tagli alla spesa pubblica hanno segato, indirettamente, anche le gambe alle clientele). Incerto al centro, risucchiato per frammenti su entrambi lati.

L’Italia del “rancore” stavolta ha spazzato quel poco che restava della vecchia “classe politica” della seconda repubblica. Ha seppellito i Bersani e i D’Alema insieme all’alter ego di un quarto di secolo, Silvio Berlusconi. Non ci sono stati giochi di prestigio e promesse clientelari che abbiano potuto fermare questo tsunami provocato da sommovimenti tellurici così profondi da non presentare traccia sulla superficie del conflitto sociale. Anche i brogli non possono più avere la dimensione necessaria a spostare l’ago della bilancia. Il malessere che non si traduce in progetto di cambiamento si accontenta della prima risposta che trova, per quanto scadente possa essere.

2.

C’è poco spazio per le interpretazioni, per le speranze di “rivincita” al prossimo giro. Il simbolo stesso della “rottamazione”, l’attore venuto dal ventre della massoneria toscana e chiamato a incanalare per qualche tempo quella richiesta di cambiamento generale, è finito tritato, trascinando con sé ciò che restava di un “partito” nato già – un quarto di secolo fa – con le stigmate di due establishment politici un tempo concorrenti (Dc e Pci).

Ciò che resta è la mancanza di un baricentro credibile. Impossibile fare un governo qualsiasi senza cancellare anche quel poco di tangibile detto in una campagna elettorale priva di idee su come risollevare un paese che va impoverendosi ogni giorno di più (nonostante un momento di pausa nella crisi, impropriamente chiamato “crescita”).

3.

Il quadro politico è dunque apparentemente paradossale: quel che “c’è da fare” nei prossimi mesi e anni è scritto nelle direttive di Bruxelles, nei giornali mainstream, nei commenti degli opinionisti più informati. Ma nessuno dei candidati a “fare quel che c’è da fare” se n’è fin qui occupato minimamente.

Ci attende una manovra correttiva di molti miliardi già a maggio. Saranno dolori veri, dopo le piccole dosi di morfina rilasciate con la legge di stabilità del governo Gentiloni. Soprattutto ci attende l’attuazione vera del Fiscal Compact, che costringerà qualsiasi governo dei prossimi venti anni ad accantonare un avanzo primario minimo del 5% annuo per ridurre il debito pubblico. Roba da 50 miliardi l’anno in uscita, prima ancora di decidere cosa si può fare e cosa no. I più informati, discretamente, hanno già indicato alcune delle vene da cui trarre tanto sangue: le pensioni, che questa volta verrebbero “riformate” riducendo gli assegni erogati mensilmente, in stile Grecia.

4.

Manca però l’esecutore, il boia sociale che impugnerà la mannaia in nome e per conto dei “mercati internazionali” e della Troika. Nessuno vuole apparire tale prima di avere quella mannaia in mano (è la parte giocata da Emma Bonino, con risultati minimi rispetto ai costi della sua onerosa campagna elettorale).

Abbiamo insomma una distanza abissale e drammatica tra una popolazione disorientata in cerca di un possibile “difensore” e un ristretto ceto di aspiranti boia che, ovviamente, non intendono presentarsi come tali prima di cominciare ad “operare” (in attesa che i maghi della “comunicazione” costruiscano una “narrazione” accettabile).

15 pensieri su “E adesso, brava gente?

  1. DA POLISCRITTURE FB A POLISCRITTURE SITO

    SATURA POSTELETTORALE (5)
    (Tema tratto dalla bacheca FB di Giso Amendola)

    * Questo articolo mi pare importante. Esce dalla logica propagandistica e denigratoria contro il M5S e ne analizza il progetto politico mirante ad una «alleanza tra la piccola impresa» e « il precariato diffuso e la cittadinanza rancorosa ma dispersa»; e cioè quel bacino sociale (in gran parte di giovani) che sinistra e sindacati non riescono più né a capire né ad attrarre. Il M5S nuota in quest’acqua («all’internità alla nuova composizione sociale del quinto stato, ovvero la condizione delle persone escluse nella cittadinanza dal godimento reale dei diritti sociali») contrapponendola però ai migranti. La sinistra, che in altri tempi (quando c’era) avrebbe perseguito un progetto di ampliamento della cittadinanza a favore sia del «precariato diffuso» che dei migranti , non ci riesce o neppure ci pensa. Ciccarelli riconosce anche che il M5S tenta «una possibile risposta all’alleanza tra la tecnocrazia europea e i grandi feudatari del potere nazionale» ( PD e Berlusconi). Non la risposta “giusta” , perché « ispirata a un social-liberismo, condito da un rinnovato moderatismo politico». Perché non accorgersi di questa loro «evoluzione» in corso ed insistere a etichettarli come “populisti” (= estremisti)? Saranno magari dei “populisti moderati”. Di fronte però ai i limiti della « teoria sbilenca del “reddito di cittadinanza” rivendicata da Di Maio», che può produrre «un nuovo assistenzialismo » e alimentare forme di « lavoro coatto e gratuito », Ciccarelli può solo indicare il più giusto obiettivo del «reddito di base». Che al momento non è sostenuto da nessuna vera forza politica. [E.A.]

    Capire il 32% del Movimento Cinque Stelle
    di Roberto Ciccarelli
    https://ilmanifesto.it/storia/capire-il-32-del-movimento-cinque-stelle/

    Stralci:

    1.
    Ciò che colpisce, a poche ore da un risultato che ha confermato la fine infinita di quel partito del neoliberismo di massa che è il Pd è l’esiguità (numerica, non di valore intellettuale e culturale) degli interpreti della nuova politica pentastellata. Sono interpreti di “sinistra”, ma di una “sinistra” che ha poco a che vedere con quella “sinistra” che continua a pigolare percentuali irrisorie. I cinque stelle sono votati da milioni di persone, ma manca ancora un’analisi, per non parlare di uno schema di azione, per comprendere l’evoluzione di una fase politica. Si è molto lavorato su altri paesi, con concetti in gran parte fuorvianti, ma sui cinque stelle non c’è mai stato uno sforzo analogo. Visto che non sono la “sinistra” greca, quella spagnola o inglese, c’è stata una rimozione. Semplicemente, non esistono. E loro macinano risultati. Il “populismo” non basta più per spiegare cosa sta accadendo.
    2.
    Cinque Stelle propongono un’alleanza tra la piccola impresa allora protagonista di una crescita interstiziale ma continua, il precariato diffuso e la cittadinanza rancorosa ma dispersa. Collocandosi al centro di un sistema, tra Roma e le periferie abbandonate, cercano di dare una voce agli esclusi di quella società che, nella “terza italia” dei territori e nell’individualismo metropolitano, ha trainato la crescita di una stagione tra localismi politici e svuotamento di un senso di comunità che in realtà è sempre stato deficitario. E’ una possibile risposta all’alleanza tra la tecnocrazia europea e i grandi feudatari del potere nazionale che hanno sostenuto l’intollerabile stagione delle riforme imposte dai governi “di larghe intese” dal 2011. Il Pd e Berlusconi sono state la sponda di questa operazione che ha desertificato il paese. Nel 2018 la loro sconfitta, ancora parziale ma significativa, è il segno che l’alleanza ha perso un giro.
    3.
    Politicamente la loro ricetta è ispirata a un social-liberismo, condito da un rinnovato moderatismo politico, che non deve mancare mai in un paese come l’Italia. E’ un’immagine sideralmente lontana da quella di chi si attarda ancora a descrivere questo movimento come “populista”, concetto inteso come sinonimo di “estremismo”. Va detto che “populismo” può essere coniugato anche con “moderatismo”. Il concetto è per definizione privo di contenuto. Per questo è adattabile a destra e a sinistra, agli anti-sistema come ai pro-sistema. Renzi, che per un breve e infausto periodo, è stato a cuore dell’establishment altro non era che un populista opportunista.
    4.
    E’ in corso l’evoluzione dei Cinque Stelle. Cinque anni fa, attaccavano i sindacati e tutte le “caste”, in una battaglia a metà tra il liberismo reaganiano e un’idea di “democrazia diretta” in rete capace di rompere – come le piattaforme digitali della Silicon Valley – le mediazioni sociali. Anche al tempo dell’utopia “disruptive” di Gianroberto Casaleggio il progetto di alleanza tra piccola impresa, precariato e cittadinanza impoverita era abbastanza evidente.
    5.
    Il possente risultato del 4 marzo è dovuto tra l’altro all’internità alla nuova composizione sociale del quinto stato, ovvero la condizione delle persone escluse nella cittadinanza dal godimento reale dei diritti sociali. I cinque stelle separano questi “esuli” in patria dagli “apolidi”, ovvero gli extraterritoriali in uno Stato, i migranti. E, in questa guerra dei penultimi contro gli ultimi, si dividono i voti con un partito razzista che arriva al 18%. Ribaltare il vettore di questa politica, dimostrare che la condizione di apolidi e esuli è la stessa, e che il problema è semmai la cittadinanza che esclude gli uni e gli altri, a partire da situazioni di inclusione differenziata, è il compito di una politica.
    6.
    Quella dei Cinque Stelle è una vittoria cospicua, ma interlocutoria. Perché chi ha pensato la legge elettorale ha pensato di sabotare questo risultato – prevedibile, in realtà – amplificando l’ingovernabilità già emersa nel 2013. Sulla lunga durata questo è il nuovo esito di una crisi verticale iniziata già negli anni Settanta (la “prima repubblica”). E’ una crisi di sistema che chi, come i cinque stelle, ha l’ambizione di farsi “sistema” non ha forse i mezzi per affrontare. Non li ha nessuno, tranne chi ha gestito dal 2011 questa crisi, lanciando ipotesi di “grande coalizione” uscita a pezzi da queste elezioni. Non è escluso che potranno farne un’altra, lasciando passare i mesi, aumentando il panico, creando una maggioranza in parlamento, come hanno fatto tra il 2013 e il 2018. Potranno inventarsi un nuovo “Renzi” che ha fallito il progetto con il referendum del 4 dicembre. L’ipotesi Draghi 2019, o chi per lui, non è peregrina. L’esito di queste elezioni corrobora una simile ipotesi.
    7.
    la teoria sbilenca del “reddito di cittadinanza” rivendicata da Di Maio. Come sappiamo è un reddito minimo, particolarmente costrittivo, fondato su una lettura economica infondata – in un periodo modesto: un anno 18 mesi, due anni – il percettore di questo reddito troverà – anche perché obbligato – un “lavoro”. In cambio sembra che dovrà erogare “otto ore di lavoro gratuito allo Stato”.
    Tale “reddito”, dice Di Maio, è destinato a scomparire perché alimenterà la “crescita”. Una “crescita” discutibile nelle premesse, oltre che negli effetti. E tuttavia questa proposta costituisce lo scheletro della politica pentastellata. Sempre che sia possibile, loro la declinano nella cornice di una “normalizzazione” e di una “neutralizzazione” della crisi. Il rischio non è solo quello di un nuovo assistenzialismo, quanto di un irrigidimento di un regime di lavoro coatto e gratuito

    8.
    Il reddito di base va interpretato all’opposto: è un primo strumento per assicurare l’autonomia delle persone e per rifiutare il ricatto del lavoro precario. Un modo per rompere il disegno che ispira i Cinque Stelle.

  2. AL VOLO

    SATURA POSTELETTORALE (6)

    Uno vorrebbe riuscire dall’analisi con, per l’appunto, un’analisi – e invece non si può, non c’è più interpretazione, ma soltanto fattualità. Si avverte, alle paratie che fanno la persona, la pressione sconvolgente di un tempo trascurabilissimo in un momento speciale, ovvero proprio della specie, che è poi la maturazione impolitica dell’intero occidente, che, come sempre, noi Italia assaggiamo prima degli altri, in un ciclo di nausee e vomiti che non si sa se siano agonici o da gestazione. Non è che ci sia da ripensare la sinistra: bisogna ripensare tutto il momento politico. E’ secondarissimo, per esempio, che “il popolo” si sia “pronunciato”. Il destino è solo apparentemente al bivio tra tecnocrazie e cosiddetti populismi. In realtà preme dal futuro la forma non statale, non politica, post-economica, che sfida tutti i continenti, partendo dalla più periferica delle appendici geografiche e antropologiche: noi, gli italiani, gli usurai usurati, i tattici sempiternamente menefreghisti rispetto alle strategie, gli strateghi dell’attendismo o dell’esplorazione nemmeno avventurosa, bensì irrazionale. Così penso e sento qualunuisticamente io, che fui un intellettuale e oggi non più, secondo il mandato che mi recapita la mia nazione, ovvero il posto in cui nacqui e il cui idioma parlai, io, lo sdrucito, finale sempre, semifinale sempre, ultimo sempre, sempre primo. A voi consegno questa irrisoria impressione generale dei fatti, che stentano sempre più a esserlo.

    (dalla bacheca di Daniela Andreis)

  3. SATURA POSTELETTORALE (7)

    Dalle elezioni italiane, un nuovo modello per l’Europa?
    di redazione
    https://www.dinamopress.it/news/un-modello-leuropa/

    Stralcio:

    È il partito di Di Maio il punto di convergenza di questa ambiguità: nella sua logica di incorporazione degli opposti, il Movimento 5 Stelle, negli ultimi mesi, ha flirtato tanto con il populismo euroscettico quanto, più di recente, con il governismo neoliberale europeo, facendo di questa commistione la cifra del suo successo: dovrà ora sciogliere l’ambiguità, in un senso o nell’altro. Mentre l’ipotesi di un asse con la Lega esporrebbe il futuro governo al regime emergenziale dei mercati finanziari e della governance europea, un governo sostenuto anche esternamente dalle forze di centro e centro-sinistra uscite sconfitte dalla tornata elettorale, lo spingerebbe a svolgere una funzione di stabilizzazione politica in condizioni tutt’altro che favorevoli. Distorcendo la propria immagine politica.

    In ogni caso, l’eccezione italiana potrebbe presto tramutarsi in un modello emergente nel cuore del vecchio continente: un nuovo paradigma di governo frutto dell’incorporazione di istanza tipiche del populismo conservatore ma al contempo interno ai dettami della stabilità europea.

    Nonostante la situazione politica si presenti come del tutto aperta a scenari tra loro assai differenti se non divergenti, quello che è certo è che i movimenti sociali italiani dovranno fare uno sforzo di analisi cogliendo l’estrema “singolarità” della situazione. Come già accaduto diverse volte nella storia di questo paese, l’”arretratezza” e l’”eccezionalità” del caso italiano potrebbe trasformarsi ben presto in “prototipo”. In altri termini, l’Italia potrebbe essere oggi vista come il laboratorio dove testare una provvisoria configurazione di quel ciclo politico reazionario che sta modificando i sistemi politici in Europa, e non solo. Da questa particolare angolazione, pensare di poter ridurre l’estrema complessità di queste tendenze al fenomeno (pur reale, ma secondario e derivato) dello “sdoganamento istituzionale” dei “neofascisti”, rischia di far imboccare vie con poche uscite.

    La mobilitazione di istanze di libertà, emancipazione e uguaglianza dovrà sempre più confrontarsi con forze non immediatamente codificabili, e per questo più pericolose, e con scenari istituzionali perlopiù inediti.

  4. SATURA POSTELETTORALE (8)

    Dopo il 4 marzo
    di Augusto Illuminati
    https://www.dinamopress.it/news/dopo-il-4-marzo/

    Forse sarebbe stato meglio avere un po’ di sano seppur magro populismo di sinistra, tipo Mélenchon o Podemos, ancor meglio una socialdemocrazia radicale infettata di populismo come Corbyn o die Linke. Invece abbiamo un galoppante populismo di destra alla Salvini e un voto ibrido di protesta a un M5s in piena virata democristiana. Questa è la zuppa che passa il convento. Forse dovremmo rivedere gli argomenti antagonisti, che ne dite?

    Il M5s ha trionfato sopra ogni aspettativa, il Pd è crollato, per riuscito suicidio. Il centro-destra come coalizione è in testa, lontano però dalla maggioranza dei seggi (secondo i dati disponibili al momento) e soprattutto con un sorpasso di Salvini su Berlusconi che rende impossibile un allargamento dell’egemonia: oltre tutto la compravendita dei “responsabili” (che pure ci sarebbero) è resa difficile dal fatto che Berlusconi non vuole dissipare i soldi di Mediaset per portare al governo il suo rivale.

    Di fatto è una situazione ingovernabile di stallo e non sembra una legislatura di lungo respiro.

    Una maggioranza aritmetica possibile (la più temuta) per uscirne sarebbe quella fra M5s e Lega. Nutro qualche perplessità in proposito. Innanzi tutto non conviene né a Salvini (che ora è il numero 1 a destra e in quella coalizione dovrebbe fare il numero 2 di Di Maio, perdendosi Forza Italia, e per di più spiegarlo al proprio elettorato nordista) né a Di Maio, che finora ha dispiegato la sua vocazione governativa flirtando con Mattarella e candidati ministri vagamente di sinistra e dovrebbe sia spiegare al proprio elettorato meridionale l’alleanza con Salvini sia prendersi in casa un partito vincente e desideroso di posti di comando. Molto più semplice accattarsi un appoggio esterno di Pd e Leu bastonati e rassegnati a votare la fiducia senza chiedere niente e quasi nascondendosi.

    Inoltre c’è un pesante problema di legittimazione rispetto ai poteri forti finanziari ed europei. A un governo a cinque stelle serve un garante nei confronti di Merkel, Draghi e Fmi – pena lo scatenamento (già in atto) dello spread, il crollo delle Borse e minacce immediate di trojka. Questo garante lo trova soltanto in un Pd frastornato, de-renzizzato e che giustificherebbe il cambio di rotta pro-stellati in nome dell’interesse nazionale e dei sacrifici. Il solito rifugio delle canaglie.

    Del resto a un appoggio esterno incondizionato del Pd a un governo di minoranza Di Maio mica ci sputiamo sopra. Sempre meglio di Salvini ministro degli Interni per qualche mese (più a lungo l’accrocco non reggerebbe, immagino). E il sovranismo a cinque stelle è farlocco, per fortuna, del tutto “occasionalista”, mentre per la Lega lepenista è un fattore cruciale. Il partito catch-all del “democristo” Di Maio ha il vantaggio di non essere vincolato alla coerenza e di pescare in ogni settore, globalismo, fondi esteri e ambasciate comprese.

    Il crollo del Pd era previsto, forse non con queste percentuali e questa emorragia parlamentare. Adesso i colonnelli prenderanno atto e cercheranno di salvarsi la pelle sacrificando chi fino a ieri avevano osannato. Negli archivolti delle chiese romaniche raffiguranti il ciclo dei mesi, dicembre è dedicato all’uccisione del porco. Il Pd sta tardando di tre mesi. Quando si deciderà non è detto che resti unito e stavolta la scomposizione potrebbe essere più significativa dell’esodo dell’anno scorso – in termini di personale politico, se non di idee.

    Il miserevole risultato di LeU conferma tutti i dubbi sull’operazione e prelude a una plausibile decomposizione nei suoi elementi costitutivi. Auguriamoci che non ci sia un altro Brancaccio e altre coppie Falcone-Montanari. Potere al Popolo in tre mesi ha ottenuto un discreto score, magari da festeggiare più sobriamente. Potrebbe consolidarsi e crescere ancora, configurando un decente populismo di sinistra. Potrebbe perfino aspirare, in corso d’opera, a una leadership non demagogica, in omogeneità alle forze evocate all’inizio, ai Corbyn, ai Mélenchon, alla Colau.

  5. Gli esteti della politica dovrebbero scendere dall’osservatorio, fare la spesa, stare tra la gente, mettersi in coda alle poste o in coda alle mense dei poveri. Eviterebbero così di sparare giudizi che sono l’ombra di quel che rimane di un vecchio modo di interpretare la politica.
    Il M5s è passato dal 20% dell’elettorato al 33%: doppia sorpresa per chi li avrebbe liquidati come semplici improvvisatori, dilettanti o quant’altro; per tanti un movimento che avrebbe dovuto dissolversi in poco tempo. E via dicendo. Beppe Grillo ha ieri dichiarato che il Movimento è bio-degradabile: svolgerà il compito di restituire la politica ai cittadini, dopodiché si potrà riprendere con il confronto democratico, ma sui temi non sulle poltrone. E’ un altro modo di vivere la politica, radicalmente diverso da quello a cui siamo tristemente abituati oggi. Se non si sanno cogliere nemmeno questi segnali – e si continua a giudicare dall’alto di non si sa quale postazione – vuol dire che siete perduti, nel senso che l’ondata nichilista vi ha già storicamente oltrepassato: reduci con in mano niente! solo tante idee e parecchio confuse, ma guai ad ammetterlo. Il M5stelle non offre prospettive rivoluzionarie, di ribaltamento sociale ed economico, non combatte i ricchi e il capitalismo; è questo che non convince gli idealisti di sinistra. Il M5stelle vuole soltanto più giustizia sociale, riconoscimento della povertà come componente sociale con cui bisogna fare i conti (non come addendi per un problema da risolvere); vuole riaprire un discorso di prospettiva nelle scelte economiche, nell’indirizzo industriale da intraprendere in previsione di un futuro pulito e intelligente; chiedono alla gente di tenersi informati, di proporre istanze, di non essere più spettatori impotenti dei vari giochi di potere.
    Non vi piace? Eppure a me sembrano obiettivi minimi su cui vale la pena impegnarsi. Il M5stelle è ostacolo per le logiche espansionistiche della globalizzazione ma, a differenza dei saputelli, conoscono la macchina che ci sta governando e impone con cifre qualsiasi scelta politica si vorrà fare; ma non sono compromessi, non devono niente a nessuno e non dipendono da nessuno; sono cittadini, gente italiana normalissima, non professori o professionisti; politica è dare uno scopo a quel che si fa, perché lo si fa, in vista di cosa. Se pensate solo al reddito di cittadinanza significa che siete voi a non capire, a non vedere, perché assuefatti al vostro scontento. Dalla piattaforma Rousseau io posso scegliere quali proposte di legge portare in Parlamento; se mi venisse un’idea su qualcosa che si potrebbe modificare in meglio la posso proporre; grazie alla rete sono connesso con i miei rappresentanti. Se qualcosa nei comportamenti dei pentastellati vi ha fatto pensare a forme dittatoriali, scordatevelo, ma dico solo questo: provate voi a reggere quando avete contro tutti i media, tutti gli opinionisti di destra e sinistra, e nessuno che vi finanzi ( a cui poi dover dire grazie)… capirete che bisogna tenersi saldi; si è trattato infatti di uno “sfondamento” con testa d’ariete (Grillo), bisognava essere uniti altrimenti non ce l’avremmo fatta. Ma siamo all’inizio… poi diventerà un partito bio degradabile ( due sole legislature per ogni rappresentante); a quel punto, cari saputelli, teorici e idealisti, toccherà a voi; se ancora ne siete in grado.

  6. Anche il tuo mi pare “estetismo politico”. Al posto di questo panegirico del M5S, scontato all’indomani della loro ascesa elettorale, sarebbe meglio approfondire i problemi della sue ambivalenze ( indicati soprattutto nell’articolo di Ciccarelli). Tra l’altro non mi pare che né Salvini, né Di Maio né Grillo o altri pratichino molto il tuo (demagogico) consiglio: “fare la spesa, stare tra la gente, mettersi in coda alle poste o in coda alle mense dei poveri”.

  7. SATURA POSTELETTORALE (9)
    (dalla bacheca di Fabrizio Leccabue)

    La repubblica post-ideologica
    Ida Dominijanni, giornalista
    https://www.internazionale.it/opinione/ida-dominijanni/2018/03/05/repubblica-post-ideologica

    Stralcio:

    Quella foto bicolore dello stivale, con il nord e il sud consegnati a due populismi diversi ma convergenti, racconta – lo avevamo anticipato prima del voto – un fallimento storico delle classi dirigenti, della prima e della seconda repubblica, rispetto alla storica questione del dualismo italiano, quella maggiormente costitutiva della fragilità strutturale nazionale. All’uscita da una crisi economica più lunga e devastante di quella del ’29, c’è un nord in ripresa che si affida alla prospettiva sovranista, protezionista e xenofobica della Lega, preferendola di gran lunga al non più sostenibile regime del godimento berlusconiano. E c’è un sud eternamente figlio di un dio minore, condannato a uno standard inferiore di cittadinanza – nella salute, nei trasporti, nel lavoro, nel reddito – che giustamente non ci sta più e manda via in un sol colpo colpevoli e conniventi, di destra e di sinistra, di questo stato delle cose corrotto e corruttivo. Non si tratta dello stesso disagio, anzi: sotto ci sono ragioni diverse e perfino conflittuali. Ma il dato nuovo è che per la prima volta questi due disagi si sommano senza elidersi, e fanno un blocco sociale inedito, cementato in primo luogo dall’arroccamento contro i migranti. Le ironie della storia non finiscono mai: quasi un secolo dopo – l’ha notato Enrico Mentana nella sua maratona notturna -, il programma gramsciano dell’alleanza progressista e rivoluzionaria fra nord e sud si realizza nel suo contrario.

  8. SATURA POSTELETTORALE (10)

    A botta calda
    di Carlo Formenti
    https://sinistrainrete.info/politica-italiana/11767-carlo-formenti-a-botta-calda.html

    Stralcio:

    Tutte le vitttorie “populiste” — sia quelle di destra, sia quelle, purtroppo meno frequenti, di sinistra — sono il frutto della rabbia delle periferie, delle classi subordinate schiacciate dalla crisi e incazzate con una sinistra che le ha consegnate alla repressione del capitale globale preoccupandosi solo di difendere i diritti civili di minoranze colte e benestanti. Questa è la causa della meritata morte dei socialisti francesi e delle disfatte di Spd, Pd e delle altre socialdemocrazie europeiste che spacciano per internazionalismo il loro cosmopolitismo borghese.

    Del resto, come abbiamo appena visto, le presunte sinistre “radicali” in stile Leu fanno la stessa fine (altrettanto meritatamente!).

    Che dire infine di Potere al popolo e del misero 1% che ha raccolto (in linea con i risultati di precedenti federazioni Arcobaleno e quasi a pari merito con Casa Pound!)?. Ovviamente li ho votati — come annunciato — ma devo prendere atto che avevo ragione di esprimermi contro la partecipazione della Piattaforma Eurostop alla coalizione con centri sociali, Rifondazione e altri “cespugli”.

    Avevo detto 1) che in questo modo la chiarezza del nostro discorso contro Euro e Ue si sarebbe annacquata nell’ennesima operazione di restauro di formazioni neocomuniste incapaci di leggere il nostro tempo e sviluppare idee, obiettivi e linguaggi all’altezza della nuova realtà; 2) che così avremmo sprecato energie più utilmente investibili nella costruzione di un progetto internazionale in vista delle europee del 19 a fianco di Mélenchon, Podemos e altre forze populiste di sinistra, uscendo dall’asfittico minoritarismo delle vecchie sinistre radicali, 3) che qualsiasi alternativa credibile all’egemonia indiscutibile che 5 Stelle esercita oggi sulla rivolta anti-establishment delle masse popolari italiane avrebbe richiesto tempo, pazienza e fatica, 4) che tale impresa dovrebbe partire da una riflessione critica sulla necessità di costruire una sinistra nazional popolare che non abbia paura di affrontare il tema della sovranità come passaggio obbligato del rilancio della lotta di classe contro il capitalismo globale e i suoi reggicoda nostrani.

    Avevo concluso dicendo che speravo che la realtà mi avrebbe smentito, devo invece prendere atto (e non ne gioisco) che avevo ragione: non si compete con le potenti spinte del rancore popolare che trovano risposta nei messaggi radicali e semplificati di 5Stelle e Lega con un progetto in cui la gente vede solo la riproposizione di retoriche veterocomuniste appena stemperate dalle suggestioni giovanili dei centri sociali.

    Rendo onore all’impegno dei compagni, ma non posso fare a meno di rilevare che i loro errori ripetitivi ci costeranno cari….

  9. SATURA ELETTORALE (11)
    (dalla bacheca di Claudio Vercelli)

    Le tre vittorie della Lega
    Claudio Vercelli
    http://www.doppiozero.com/materiali/le-tre-vittorie-della-lega

    Stralci:

    1.
    In tutta probabilità Silvio Berlusconi aveva già intuito l’esito prima che le urne si aprissero. Si tratta di un successo storico per Matteo Salvini, erede di un esangue partito che la famiglia Bossi e i suoi accoliti del “cerchio magico” erano riusciti a portare al quattro per cento, consegnandolo all’irrilevanza e quindi al prevedibile tramonto.

    Un successo che si può intestare con pieno merito. La Lega, non più “nord”, non più “padana” ma sovranista e identitaria, può giocare ora il ruolo di global player rispetto agli altri attori politici. Le settimane a venire ci diranno quali saranno gli scenari possibili. Invero assai pochi, a meno che il Movimento cinque stelle, sempre più orfano di Grillo e sempre più collocato a destra nell’asse politico continentale, non “getti la maschera”, abbracciando un leghismo con il quale, in fondo, avrebbe diverse cose da condividere. Quanto meno in termini di passioni e concezioni del mondo. Ma Salvini è vincitore anche una terza volta, incassando un assegno ancora da compilare, quello del ritorno dei temi fascistoidi nel lessico e nella subcultura popolare.
    2.
    È lui, per il momento, che beneficia degli “sdoganamenti” che da trent’anni a questa parte hanno accompagnato i mutamenti strutturali della società italiana. Poiché del fascismo storico si può dire di tutto e di peggio ma non che non fosse riuscito a radicarsi in alcune parti della società italiana. Troppo presto, troppo frettolosamente è stato archiviato. Per poi sostituirlo, in questi ultimi tempi, con il rimando a una risorgente minaccia neofascista, altrettanto precipitosamente evocata come se il passato potesse pedissequamente ripetersi. Il fuoco della nuova/vecchia destra è invece quello che, almeno per il momento, Matteo Salvini riesce meglio a intercettare, dandogli uno spessore che ne nobilita politicamente il vasto catalogo non di idee bensì di paure: dal malumore diffuso all’angoscia organizzata, dal risentimento per una “perdita” alla rivalsa per una qualche “riconquista”, dalla crisi delle identità del fare (il lavoro) all’ipertrofia del sogno di un’appartenenza etnica e territoriale ora estesa al perimetro nazionale (l’Italia “padrona a casa sua”). Soprattutto, dall’integrazione sociale alla selezione
    3.
    Si tratta di un lungo trend, che coinvolge tutti i paesi a sviluppo avanzato. La frantumazione del lavoro, delle cittadinanze e dei diritti ad esso legati, sta concorrendo a ridisegnare il campo delle costituzioni materiali di queste stesse società. L’Italia tra esse. Matteo Salvini lo ha capito da tempo, ribaltando lo sfiancato provincialismo e il campanilismo leghista, sospeso tra improbabili secessioni e inconsistenti “federalismi”, in una piccola ma determinata macchina da guerra, che si alimenta di ciò che la stessa destra berlusconiana (insieme all’insipienza di una sinistra che parla esclusivamente il linguaggio dei diritti civili per non affrontare l’annullamento di quelli sociali) in venticinque anni ha prodotto.

    4.
    In fondo, avevano ragione quei capitani coraggiosi di certa sinistra, quando definivano la Lega come una loro costola. Peccato che oggi si riveli come l’ossatura di ciò che resta dell’idea di “stare insieme”.

  10. SATURA ELETTORALE (11)
    (dalla bacheca di Claudio Vercelli)

    Le tre vittorie della Lega
    Claudio Vercelli
    http://www.doppiozero.com/materi…/le-tre-vittorie-della-lega

    Stralci:

    1.
    In tutta probabilità Silvio Berlusconi aveva già intuito l’esito prima che le urne si aprissero. Si tratta di un successo storico per Matteo Salvini, erede di un esangue partito che la famiglia Bossi e i suoi accoliti del “cerchio magico” erano riusciti a portare al quattro per cento, consegnandolo all’irrilevanza e quindi al prevedibile tramonto.

    Un successo che si può intestare con pieno merito. La Lega, non più “nord”, non più “padana” ma sovranista e identitaria, può giocare ora il ruolo di global player rispetto agli altri attori politici. Le settimane a venire ci diranno quali saranno gli scenari possibili. Invero assai pochi, a meno che il Movimento cinque stelle, sempre più orfano di Grillo e sempre più collocato a destra nell’asse politico continentale, non “getti la maschera”, abbracciando un leghismo con il quale, in fondo, avrebbe diverse cose da condividere. Quanto meno in termini di passioni e concezioni del mondo. Ma Salvini è vincitore anche una terza volta, incassando un assegno ancora da compilare, quello del ritorno dei temi fascistoidi nel lessico e nella subcultura popolare.
    2.
    È lui, per il momento, che beneficia degli “sdoganamenti” che da trent’anni a questa parte hanno accompagnato i mutamenti strutturali della società italiana. Poiché del fascismo storico si può dire di tutto e di peggio ma non che non fosse riuscito a radicarsi in alcune parti della società italiana. Troppo presto, troppo frettolosamente è stato archiviato. Per poi sostituirlo, in questi ultimi tempi, con il rimando a una risorgente minaccia neofascista, altrettanto precipitosamente evocata come se il passato potesse pedissequamente ripetersi. Il fuoco della nuova/vecchia destra è invece quello che, almeno per il momento, Matteo Salvini riesce meglio a intercettare, dandogli uno spessore che ne nobilita politicamente il vasto catalogo non di idee bensì di paure: dal malumore diffuso all’angoscia organizzata, dal risentimento per una “perdita” alla rivalsa per una qualche “riconquista”, dalla crisi delle identità del fare (il lavoro) all’ipertrofia del sogno di un’appartenenza etnica e territoriale ora estesa al perimetro nazionale (l’Italia “padrona a casa sua”). Soprattutto, dall’integrazione sociale alla selezione
    3.
    Si tratta di un lungo trend, che coinvolge tutti i paesi a sviluppo avanzato. La frantumazione del lavoro, delle cittadinanze e dei diritti ad esso legati, sta concorrendo a ridisegnare il campo delle costituzioni materiali di queste stesse società. L’Italia tra esse. Matteo Salvini lo ha capito da tempo, ribaltando lo sfiancato provincialismo e il campanilismo leghista, sospeso tra improbabili secessioni e inconsistenti “federalismi”, in una piccola ma determinata macchina da guerra, che si alimenta di ciò che la stessa destra berlusconiana (insieme all’insipienza di una sinistra che parla esclusivamente il linguaggio dei diritti civili per non affrontare l’annullamento di quelli sociali) in venticinque anni ha prodotto.

    4.
    In fondo, avevano ragione quei capitani coraggiosi di certa sinistra, quando definivano la Lega come una loro costola. Peccato che oggi si riveli come l’ossatura di ciò che resta dell’idea di “stare insieme”.

  11. SATURA POSTELETTORALE (12)

    M5S: una forza “antisistema” perno del sistema
    Oliviero Ponte Di Pino
    http://www.doppiozero.com/materiali/m5s-una-forza-antisistema-perno-del-sistema

    1.
    Oggi inizia una nuova fase. Una forza “antisistema” diventa il perno del sistema. Un movimento che aveva basato la sua strategia comunicativa su irritazione, provocazione, denuncia, deve assumersi inevitabili responsabilità politiche.
    Al di là del pienone elettorale, molti nodi restano irrisolti.
    2.
    Dovrà cambiare – sta già cambiando – la modalità di interazione politica. Finora il M5S poteva permettersi di irrigidirsi sulle proprie posizioni: le altre forze politiche dovevano allinearsi a quello che era stato deliberato, formalmente con il meccanismo “una testa un voto” e in realtà con forti ipoteche del vertice. Le “proposte” del programma elettorale sono state presentate così: chi le approva vota con noi, gli altri si arrangino. È un atteggiamento che sfocia inevitabilmente nel totalitarismo, perché esclude l’opzione della mediazione politica necessaria in un sistema democratica. Come e quanto la leadership del Movimento sarà capace di mediare con le altre forze politiche? E la base saprà accettare i compromessi della Realpolitik?
    3.
    Collegato a questo è il nodo del blocco sociale cui si appoggiano il Movimento e un suo eventuale governo. Di quali ceti è espressione il trionfo elettorale del 4 marzo? Alla base ci sono di sicuro rabbia e frustrazione, come dimostra il “cappotto” in un Sud dimenticato e marginalizzato. Ma è molto difficile trasformare questi sentimenti negativi in un efficace progetto politico, ed è impossibile accontentare tutti. Un successo elettorale di queste dimensioni può liberare molte energie nella società, ma può anche generale ulteriori frustrazioni: la storia politica italiana è un alternarsi di speranze illusorie e catastrofiche delusioni, dal centro-sinistra a Craxi, da Berlusconi a Renzi.
    4.
    Non bastano la moralizzazione della vita pubblica e un pacchetto di misure generiche e velleitarie. Nella competizione globale, la corretta gestione dell’esistente non basta più. È necessario scegliere le priorità dello sviluppo e tagliare i rami secchi. Fare scelte è difficile, e finora la sinistra ha saputo solo difendere le rendite di posizione e per questo è andata al suicidio.
    5.
    Nei vecchi e nei nuovi populismi convivono due anime, quella di destra e quella di sinistra. Finora, ci insegna la storia, lo sbocco è stato quasi sempre autoritario. Il passaggio inevitabile è stato l’impoverimento e l’indebolimento della classe media, che è la base della democrazia. La sfida che attende Di Maio è semplice ma forse impossibile: come uscire dalla crisi, come far crescere la democrazia italiana, senza appiattirsi sul progetto identitario (“Italians first”) e in sostanza reazionario di Salvini e dei suoi soci? Sempre che sia possibile portare l’Italia nel XXI secolo.

  12. SATURA POSTELETTORALE (13)

    Il crollo del PD
    di Sergio Benvenuto
    http://www.doppiozero.com/materiali/il-crollo-del-pd

    Stralci:

    1.
    La sinistra è stata punita semplicemente perché, agli occhi della gente, da anni essa è percepita come il Potere. Ormai a ogni elezione si vota contro chi governa – non importa se esso sia di destra, di sinistra, o fuori da questo asse. Nelle democrazie si vota sempre più contro non a favore. Più che la fiducia, prevale la rabbia. C’è da scommettere che se il Movimento 5 Stelle nei prossimi anni assumerà un ruolo dominante e verrà quindi inscritto nel luogo del Potere, prima o poi prenderà una batosta non meno severa di quella che oggi ha preso la sinistra.

    2.
    Oggi la protezione governativa del lavoro in un’economia sempre più sregolata non è più possibile; del resto, le persone più sfavorite, a cominciare dagli operai, non percepiscono più l’imprenditore, il “padrone”, come il loro avversario storico. Per chi appartiene alle fasce più povere il nemico storico è ormai “il politico” – e l’immigrato. È questo il dilagante populismo: i meno favoriti categorizzano come nemici non i ricchi (anzi, “Berlusconi dà lavoro a tanta gente!”) bensì chi detiene potere politico. I grillini sono stati votati perché appaiono persone senza potere (ancora) in lotta contro il Potere politico.
    3.
    La tendenza generale in Occidente è comunque verso un superamento dell’asse sinistra/destra come criterio fondamentale del conflitto politico: sempre più prevale la narrazione populista, che contrappone “chi sta sotto” a “chi sta sopra”. È il populismo effetto della crisi delle grandi narrazioni classiche? Che in Occidente sono: confessionalismo, marxismo, liberalismo e fascismo. Ma il populismo è esso stesso una grande narrazione che nasce con la democrazia stessa. Nella democrazia ateniese antica avemmo già un geniale populista: Aristofane. Con la rinascita della democrazia, rinasce anche il populismo, come mostrò Christopher Lasch. In tanti film famosi di Frank Capra – da Arriva John Doe a Mr Smith va a Washington – si assiste a una sviolinata populista che anticipa Grillo e Salvini. L’uomo comune, l’uomo qualunque, il common man, in lotta contro il machiavellismo dei politici. Non appena si dà il voto a tutti, ipso facto si scatena un nostro profondo risentimento contro “chi sta sopra”, ovvero contro i politici che noi stessi abbiamo eletto. Perché? Perché non tolleriamo di essere noi gli artefici del potere altrui, del loro successo. Viale del tramonto della democrazia?

  13. SATURA POSTELETTORALE (14)

    LeU: missione impossibile
    di Marco Revelli
    http://www.doppiozero.com/materiali/leu-missione-impossibile

    1.
    Un cammino tutto sommato solitario di vecchi leader storici rimasti senza casa e di giovani leader senza storia aggrappati alle proprie casette. L’intera operazione è così apparsa a molti più un modo di metter su in fretta e furia un accampamento di fortuna per profughi dalle passioni spente che non un progetto appassionante di nuovo inizio.
    Ma forse anche questo è un modo, impietoso (cioè privo di pietas) e frettoloso di liquidare una tragedia almeno in parte annunciata, consumata tra l’altro nel quadro della più ampia tragedia dell’intero nostro Paese in questa elezione di svolta sistemica. Ed è più indietro nel tempo, e più in largo nello spazio politico, che bisogna cercare. Nella crisi della sinistra – della sinistra tutta intera, non solo italiana ma europea, e occidentale, la famiglia allargata dei socialismi –, che non ha saputo sopravvivere alla mutazione di fine-secolo, e ha abbracciato acriticamente la globalizzazione neo-liberista come fosse l’Angelus novus della Provvidenza progressista. E dentro quella crisi “epocale”, la crisi locale del Pd, in fondo nato morto, fin da quando Walter Veltroni gli fece da ostetrica dal palco del Lingotto, generando una creatura senz’anima, una formazione politica senza cultura politica perché ignara delle due culture che chiamava a fondersi, quella cattolica e quella social-comunista, più attenta a piacere alla gente che piace che a definire se stessa, più impegnata nella comunicazione che nella pratica sociale e nella rappresentanza. Quando è arrivato Matteo Renzi quel partito era già in coma, aveva già consumato tutte le proprie scissioni dal proprio popolo e dal popolo tout court (ricordate il governo dei tecnici chiamati a fare il lavoro sporco con delega mai negata?). Per questo lo acclamarono come fosse il salvatore della patria, e invece era Terminator, venuto con arroganza e retorica populista a chiudere la partita e liquidare il patrimonio.
    2.
    temo che non siamo solo di fronte all’insabbiamento di un convoglio di profughi. Siamo di fronte all’implosione di un’intera galassia che si chiama, appunto, sinistra.

  14. Che cos’è la povertà?
    Nelle società consumistiche odierne, fondate sul lavoro, è una conseguenza del mercato delle merci, anche umane, e dell’evolversi dei mestieri; per cui chi resta indietro, perché improduttivo verrà abbandonato al suo destino. Lo stesso welfare, per quanto misero, è improntato sul lavoro, non su chi non ne ha. La mia opinione è che questo sia profondamente sbagliato, in quanto i “poveri” andrebbero riconosciuti come componente sociale del paese, senza infingimenti. La soluzione sta nel creare lavoro? Sì, ma al contempo bisogna svolgere una politica sociale che non sia una presa in giro – es. pochissime persone hanno accesso al “reddito di inclusione”, a firma PD, solo chi guadagna meno di 6000 euro l’anno, se ne guadagni 7000 sei fuori; e comunque furono i 5stelle a sollevare la questione, altrimenti neppure questo si sarebbe fatto – . Un partito che bada principalmente all’economia, alle banche, che toglie i diritti acquisiti in difesa dei lavoratori, che consente il precariato, non dimostra di conoscere e avere a cuore le sue componenti umane e sociali. L’idea che il PD non sia più di sinistra sta tutta qui, secondo me; anzi, a farne questione ideologica si finisce col creare dell’inutile confusione. Il “reddito di cittadinanza” ha il duplice obbiettivo di creare reinserimento nel mondo del lavoro e di dare sostegno per chi è in difficoltà (pagare luce, gas, tel, ecc.). Mancano politiche che partano dal considerare la povertà come un dato di fatto; ma si fanno politiche pensate da chi un lavoro ce l’ha e non solo, guarda con ambizione all’espansione degli affari: questa è oggi la sinistra di governo. I poveri lo sanno bene, per questo se ne sbattono di Renzi. Qualcuno ha scritto che il ceto medio fa da perno alla democrazia: non è più così. Non appartengono al ceto medio i ragazzi disoccupati, come neppure i tanti che non ce la fanno. Servono altre politiche e investimenti che tutelino il mercato interno; trattare con l’UE, dare un freno alla globalizzazione.
    Tacciare i 5stelle di superficialità e pressapochismo è solo una questione ideologica. Sono almeno cinque anni che i 5stelle stanno dettando l’agenda di governo: all’inizio gli sprechi, le auto blu, gli stipendi dei parlamentari, i privilegi, le pensioni d’oro… qualcuno doveva bene iniziare, altrimenti a quest’ora la crisi avrebbe creato molti più morti per strada. Ciao

  15. ….è sembrata una doccia gelata, ma in effetti sorprese non ce ne sono state, così era da tempo, ma purtroppo oggi, con “il bollo di garanzia” della vittoria elettorale le cose si potrebbero radicalizzare. Se si immaginasse un alto e un basso, chi ci governa in alto e la popolazione in basso: quest’ultima risulterebbe essere la vittima impoverita, depredata e, nello stesso tempo, lo specchio deformato della realtà in alto, arroccata ai suoi piccoli “privilegi” escludenti…Un gioco riuscito sino in fondo quello di dividere, confondendo e evitando così serie opposizioni, da parte di governanti senza idee guida universali e di un sistema capitalistico che corre all’impazzata, trasformando tutto in merce. I più poveri un giorno, forse, potrebbero diventare lo spartiacque?

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