Da “La gente per bene”

di Francesco Dezio

Camminiamo io e me stesso su un tapis roulant e la citta finta ci scorre davanti, l’attraversiamo rimanendo sempre nello stesso punto. Cambia lo scenario, che continua a svolgersi davanti a noi mentre, con una costanza stoica, allunghiamo le nostre gambe sul nastro di gomma. Passeggiamo e riflettiamo, artificialmente scontornati in questo surrogato di realtà. Veniamo attraversati da caseggiati, rotonde, dalla stazione, dal corso, dalla cattedrale federiciana, da vicoli piazze claustri del centro storico, da altri palazzi ancora; piove, poi torna il bel tempo, esce il sole, dopo un po’ nevica (ho le prove), c’è vento, vento fortissimo, si rimette a piovere. Mi viene da menare uno scatarro, lo sputo finisce sul rullo e ciclicamente lo scanso. Il fondale cambia continuamente, sia per panorami sia per epoche. Mentre passeggiamo immobili ci passano davanti truppe di ragazzini e ragazzine in shorts ridottissimi, non parlano, hanno gli occhi incollati sulle tavolette luminose. La cam sale di livello, siamo ripresi dall’alto, me e l’altro me, si vedono le nostre zucche, la mia è pelata, quella dell’altro che è dentro di me pure; sale ancora e l’immagine diviene un reticolo di strade e palazzi, io non sono che un puntino infinitesimale.
Ho da farti una rivelazione, dice questo me all’altro me, ho da confidarti un segreto che poi in fondo non è nemmeno un segreto: il lavoro è finito, rassegnati, basta, non illuderti, non ce n’è più. Lavoro non ce n’è!
Non ti credo! Cucù? Lavoro, dove ti sei andato a nascondere?
Fino a quanto devo contare? Dove sei? Lavoro?
Dove sei finito, brutto stronzo?
Urla. Urla forte, magari ti sente. Urla, dai. Urla a pieni polmoni. Fatti sentire. Urla: Lavoro. Chiamalo ancora.
Casomai c’è, però io te l’ho detto: è finito. Non te ne sei ancora reso conto?
Fai sì con la testa per dire a te stesso che hai capito.
Hai capito che non ce ne sta più?
E fai sì.
Ancora non sei convinto?
Tu continui ad annuire.
Riempi tutte le ore disponibili postando le tue cazzate su Facebook, facendo avanti e indietro nella tua stanza, occupando la sedia girevole, coi manici di gomma, di fattura svedese, che tu stesso hai assemblato; ti distanzi dalla scrivania imprimendole una spinta e poi ruoti su te stesso. Potresti continuare così all’infinito.
Tre anni sono trascorsi e hai più volte rifinito, riveduto, corretto, aggiornato, diversificato il cv e non si è concretizzato alcun posto di lavoro decente, né soldi, che poi sono quello che ti interessa. Ascolta. Non ti devi scoraggiare, non devi dar retta alle offese di certi politici. Non li pensare. Quante te ne hanno dette: sfigato, choosy, bamboccione, le prime che ti vengono in mente. Andrebbero presi a schiaffi ma tu ignorali. Ad ogni cambio di Governo erano lì a colpevolizzarti o a dirti: Tu per noi sei inutile, la colpa e tua, mica nostra. Dalle colonne di tutte le testate nazionali si accendeva presto un dibattito che rimbalzava in televisione. Se avessero potuto ammazzarti, dopo averti sputato in faccia per quanto gli facevi schifo, lo avrebbero fatto. Quante ancora ne dovrai sentire? Poi un altro cambio di Governo ma la solfa sarà la stessa, tutti d’accordo nel volerti addossare tutte le colpe, perché non sei più giovane non ti adatti non ti sottometti non ti sotterri con le mani tue stesse.
Finché non si avvicinano le elezioni e ti ritrovi coccolato e sedato. Arrivano gli emissari locali di quei partiti nazionali di Sinistra, nel frattempo scissi, riformati in nuove combinazioni-permutazioni-sceltediorientamento-fraternealleanze. L’unica cosa che sanno fare per te è trasformarsi in stringitori di mani, in elargitori di sorrisi e speranza, in battitori liberi di pacche sulla spalla, in infonditori di coraggio a ciclo continuo. Sortiscono un benefico effetto su di te, ti placano, come quando hai sborrato tanto. Per un po’ stai bene, non vuoi niente, ti godi quella fase di estasi, steso sul letto. Una fase che purtroppo non dura perché poi ti sale a galla il tormento e devi toccarti di nuovo. Torni a vedere le cose come sono, capisci che pure loro sono dei ciarlatani saliti sul carretto elettorale stipato di promesse, con le loro facce di cazzo sui santini. Ti dicono di vedere la luce in fondo al tunnel. Tutti te la fanno vedere, questa luce. Stando a come te la raccontano, avviene tutt’intorno a te. Come ti giri e ti volti, alzi la capa e vedi invece che non avviene un cazzo di niente intorno a te. Qualcuno twitta: Ma come, non ve ne siete accorti? L’Italia è già ripartita! La ripartenza è col botto! Pum: lo dicono da Palazzo Chigi, mica il fruttivendolo qua all’angolo, quindi non può trattarsi di una presa per il culo, è solo che le tue antenne non la recepiscono, non captano bene il segnale. Allora, se non cammini senza meta sul tapis roulant o tra fabbriche e quartieri abbandonati, te ne stai in camera ma ruoti su te stesso con la sedia, magari cosi catturi il vento di cambiamento e te ne voli via. Quando finisci di girare su te stesso come un coglione prendi la seguente decisione: mandare il prossimo curriculum, tie’, e poi un altro ancora, tie’, mandato pure quello, tanto via e-mail non costa nulla. Considera il vantaggio: una volta bisognava pure affrancare e spedire per posta, ci dovevi tenere veramente a scrivere la letterina all’imprenditore che mai rispondeva; si trattava di scendere giù al tabacchino e acquistare una certa quantità di francobolli, ti rimaneva pure il sapore della colla sulla lingua, magari era cancerogena, che ne sai, può darsi pure che internet ti abbia salvato la vita oltre ad averti fatto risparmiare.
Passi il tempo cosi, ti lasci per strada la vita così, a inviare via e-mail il curriculum. Non ti sei neppure accorto che le rotelline della sedia su cui stai seduto stanno incidendo il pavimento a forza di ruotare. Pure tu stai scavando, per vedere la luce in fondo al tunnel. Cammini in tondo per la stanza come i matti. Ascolti le pareti in cerca di risposte. Poi ti svacchi sul letto. Altro momento topico della tua esistenza da zombie che non conta niente perché privo di qualsiasi capacità d’acquisto.
Come andare avanti, se non si procede di un solo passo? Non lo sai, ma cerchi di capire, anche solo di immaginare come tirarti fuori dalla situazione in cui sei invischiato da anni. Non ha senso stare lì ad aspettare la chiamata, ad arrovellarti su come farti bastare i soldi. Senza prendere alcuna iniziativa, rimanendo fermo dove stai ma con in mente un intero comizio di propositi e di angosce. Un grattarsi la testa continuo. Un tastarsi il mento continuo. Tu hai studiato, pensi, ti sei formato su tecnologie che diventano obsolete nel giro di qualche anno, pensa al salto evolutivo fatto dall’informatica, al ridimensionarsi dell’elettrotecnica, a tutti quei mestieri scomparsi, tipo l’arrotino, il sellaio, l’operaio addetto alla pigiatura dell’uva, il carbonaro, il sorgiaro, l’ombrellaio (acerrimo nemico di Batman), la mammana, il canestraio, il venditore di ghiaccio, ora sono tutti morti, mestieri morti. Devi far presto ma non vuoi finire in braccio a un deficiente, tutto il tuo percorso di maturando, di laureando, di specializzando, per metterti a servizio di uno che si è fermato alla terza media e ha messo su un’impresa specializzata a produrre sempre la stessa cazzata destinata a svanire nel nulla; non vuole perdere nemmeno troppo tempo a migliorarla, si migliora solo se il mercato non te la chiede più, e tu butti tutta la tua vita facendoti tenere in ostaggio da uno che produce questa cazzata inutile per il tempo in cui gli servi.

*Nota di Antonio Moresco

Fine del lavoro, disoccupazione endemica, polverizzazione sociale, illusioni perdute, vite spezzate, famiglie implose, irruzione ipertecnologica e strutture famigliari e sociali arcaiche…
Un romanzo scomodo, dalla forma libera e aperta, che fa ridere e riempie di desolazione, scatenato e beffardo, picaresco e incazzato, disperato e vitale, realistico e allucinato, perché bisogna attingere anche alla verità dell’allucinazione per poter descrivere una realtà simile a un’allucinazione. Una lingua in presa diretta, che ci fa vedere e toccare con l’effetto-presenza della letteratura cosa sta succedendo e bollendo nella pancia del nostro Paese e del nostro Sud, un libro che dovrebbe essere letto da tutte le persone che ne hanno a cuore le sorti.”

 

Francesco Dezio nel 2004 ha pubblicato con Feltrinelli il romanzo Nicola Rubino è entrato in fabbrica, opera che inaugura una nuova stagione della cosiddetta letteratura industriale e ora riproposta da TerraRossa Edizioni.
Nel 2008 è stato ospite di cinque puntate della trasmissione Fahrenheit su RAI Radio 3. Ha collaborato con «l’Unità», «la Repubblica-Bari», «Corriere del Mezzogiorno».
Del 2014 è la sua prima raccolta di racconti, Qualcuno è uscito vivo dagli anni Ottanta (Stilo).

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