Comunismo, poesia e nuovo governo

Si dovrà pur cominciare ad approfondire quanto accaduto in questi giorni con la laboriosa e a tratti sconcertante  nascita del nuovo governo Lega e M5S e ragionare su attese, paure, ombre, incognite. E perché non farlo  cominciando da una poesia che l’amico Lucio Mayoor Tosi ha pubblicato sul suo blog e mi ha inviato, dalla mia reazione e da una sua meditata replica? [E. A.]


Spread!

di Lucio Mayoor Tosi

Del comunismo è rimasta solo la ragione.
Una ragione astratta, senza corpo o sostanza.
La ragione di un sentito dire alla finestra
mentre fuori albeggia. Gli uccelli fischiettano
il sole getta la sua luce svogliata: pagina bianca
con scrittura uniforme, senza un a capo
un sussulto, un andare sulla luna.
Come andrà a finire?

Le cifre parlano chiaro: 4.300 suicidi in media
ogni anno. 350 ogni mese, al giorno 11,6.
E’ come ritrovarsi d’improvviso catapultati
in una piazza, ancora in pigiama con tra le mani
un catino pieno d’acqua. Senza alcuna ragione.
La gente passa, ti guarda, va di fretta.
Senza una ragione guardi l’orologio esposto,
esposta l’ora, esposta la ragione d’esserci
o non esserci. Te lo chiedi, ma intanto
che farne del catino e dell’acqua?

Sei fuori luogo, fuori tempo. Sei fuori.
La parola che sale è “Spread”. Non ti resta
che dirlo: «Spread?». La gente capisce.
Sei nella piazza, in pigiama, con un catino
pieno d’acqua in mano ma hai detto Spread.
Ora c’è anche chi ti sorride, chi dice “Mah”
oppure “Eh”. Ora sei nella ragione.
I Conti Pubblici, l’asfalto con le buche,
la grande offesa al Presidente della Repubblica.
Un sacco di gente che afferma di essere
l’Istituzione Prima di Tutto.

L’Europa è un paese con 28 capitali.
Quasi come a Roma le cupole delle chiese.
Se un politico dice “Bisogna andare in Europa
e battere i pugni sul tavolo”, significa
che vuole mettersi in viaggio. L’aereo
è praticamente sotto casa. Il cielo di Bruxelles
è una pagina bianca certificata. Può bastare
la giacca. Ci vado io, per Dio!
Uno mette il catino dell’acqua sul tavolo
e dice: ecco, questo è quel che rimane
degli ultimi 11,6 suicidi di ieri. Spread!

Dalla console della grande finanza
esce la voce programmata di un abitante
di Macintosh. Sembra il Paradiso.
Le parole sono esatte. A favore
significa Sì, Ci rincresce significa No.
Allora tu devi entrare nel programma,
modificare qualche funzione, creare
nuove opzioni. Mentre lo fai, pensi:
Non ti suicidare, aspetta, ci siamo quasi!
(Oh, ma questi sono pazzi! Oh, ma i Conti
non tornano!).

I fascisti non vedono l’ora di tirare il collo
a qualche gallinaceo. Così parlano.
I comunisti sospirano. Gli è rimasta la ragione
senza sostanza, la pagina bianca.

 

 

Nota
di Ennio Abate

Mi piacciono i versi svagati come ” Gli uccelli fischiettano/ il sole getta la sua luce svogliata”, le immagini oniriche (” in una piazza, ancora in pigiama con tra le mani/ un catino pieno d’acqua e altri”. ma quando infili la tua “non ideologia” – in testa con versi come “Del comunismo è rimasta solo la ragione./ Una ragione astratta, senza corpo o sostanza.” e in coda con versi come “I comunisti sospirano. Gli è rimasta la ragione/ senza sostanza, la pagina bianca” – mi viene da mandarti a quel paese. Perché si sente che parli di cose che non ti interessano, di parole svuotate, appunto, di sostanza storica.

 

Replica
di Lucio Mayoor Tosi

Caro Ennio,
il mio dispiacere è pari nel tuo, perché sei poeta e amico, amico anche nella grande delusione per come è diventata la sinistra in questi anni, socialmente e culturalmente. Ma come sai io divenni sannyasin già a fine anni ’80 – scelta curativa, si potrebbe dire – sotto la guida di un maestro filosofo, religioso ma di estrazione marxista. Le mie radici sono queste e queste rimangono, anche se ho scelto di aderire al M5s fin dal 2013.
Come me anche molte altre persone, di diversa provenienza ma nell’ambito della sinistra, hanno optato per questa colorazione politica.
Ora, le circostanze hanno portato il movimento a dover spartire il governo con forze di destra, e mi dispiace, soprattutto perché diventa difficile spiegare che andrebbero fatti dei distinguo tra l’una e l’altra componente dell’attuale, nuovo governo. Spero tanto che i fatti potranno chiarire.
Io interpreto questa fase come l’inizio di una ripresa democratica, ancora da definire, dove destra e sinistra cambieranno sostanzialmente, radicalmente. E sono ottimista, anche se mi aspetto conflitti di ogni genere e pericolose derive. Ma una cosa la so: che la partecipazione dei cittadini sarà più attiva, meno subalterna a politici e mezzi di comunicazione. Infatti, sia il M5s che la Lega sono forze politiche di piazza, con forte radicamento tra la popolazione. Esattamente come fu per il PCI e la sinistra rivoluzionaria. Lo ha ripetuto spesso anche Alessandro Di Battista, che se fosse rimasta una sinistra vera in Italia, il M5s non sarebbe mai nato. Ma, penso, nemmeno la Lega di Salvini.

Comunque ora le cose stanno così.
Se non avessi scritto quella chiusura, nella poesia “Spread”, non avrei preso posizione e la poesia avrebbe avuto un tono elegiaco, buono per qualsiasi interpretazione. Ma non sarei poeta se dicessi cose che tutti vorrebbero sentirsi dire – tento di farlo sempre, anche nelle cose che scrivo più leggere – quindi la mia provocazione è voluta. Però tieni presente il fatto che parlo anche di fascismo, di fascismo e comunismo in quanto ideologie giunte a esaurimento. E’ una lettura storica, anche se per la fine del comunismo il mio cuore piange; piange se penso ai miei antenati, la famiglia da cui provengo, e piange per gli amici che ancora ci credono e sperano.
Capirete che il discorso resta aperto, solo non potrà più essere lo stesso di sempre. Cambieranno i termini della critica, cambieranno gli obiettivi e le aspirazioni; esattamente come sono cambiate le componenti sociali; culturalmente in peggio, si dirà, ma da quel peggio si dovrà ripartire. O nascere ex novo, per chi se la sente.

Mi ha aiutato in questa scelta il fatto di essere poverissimo, al limite della sopravvivenza. E malgrado questo voler fare l’artista, che tutto sommato è un mestiere snob, da privilegiati (sebbene non sia mai stato così, ché tanti tra i migliori artisti hanno fatto la fame e sono morti in tutte le maniere, da sempre).

25 pensieri su “Comunismo, poesia e nuovo governo

  1. …A te poverissimo,
    hanno mescolato nel cibo donato
    il veleno,
    il pastone ben presentato
    nutre e uccide.
    Le abili mani intrecciate
    sciolgono piccoli nodi,
    ma il cappio si fa sempre più stretto
    non c’è scampo
    ai suicidi s’alternano
    scempi di esseri umani
    negati respinti
    o dissociati il corpo e la mente…
    E’ ben triste se ci prendon per fame,
    una fame diseguale.
    Occorre sì
    un catino pieno d’acqua
    di primo mattino
    per lavare gli occhi
    incrostati di sonno…

    1. Cara Annamaria, sono lieto che poesia ragionate (il termine farà piacere a Ennio) porti ad altra poesia ragionante.
      Mi sa tanto che in questi giorni, più che lavarci in un catino, s’è fatta la doccia.
      Grazie.

  2. «Del comunismo è rimasta solo la ragione. / Una ragione astratta, senza corpo o sostanza». Mi chiedo: che significa? Il significato sembra immediato, ma poi, meditandoci, mi accorgo che non lo è. Che significa «ragione»? Vuol dire che il comunismo ha dalla sua parte gli argomenti giusti (giustizia, economia, diritto, possibilità concreta ecc.) per poter essere e realizzarsi e però questi argomenti si sono vanificati? (astratta, senza corpo o sostanza). Ma non è così. Il comunismo non si è realizzato e gli stati cosiddetti comunisti sono stati e sono solo esempi di capitalismo di Stato. È assodato dalla storia e dall’esperienza. Il comunismo non ha mai avuto la «ragione» con sé. E lo stesso termine «comunismo», a pensarci bene, non si sa che cosa significa. In prima approssimazione (e gli studi non vanno molto oltre, e tanto meno le definizioni e le trattazioni da voce enciclopedica), si tratta di una società senza proprietà privata, senza classi, senza disuguaglianze, senza aggressività esterne e politica di potenza e di conquista, una società di pace dove le persone sono persone e non merce – forza lavoro. Ma detto così non abbiamo fatto altro che moltiplicare l’oscurità. Dovremmo dire come queste vaghe aspirazioni si possono tradurre in forze sociali, quindi quale ordinamento giuridico, quale ordinamento economico, quale ordinamento politico ecc. ecc. e tutto in dettaglio. Ma questo insieme di «ragione razionale e ragione pratica» non l’abbiamo. Se proviamo a leggere le Costituzioni e le principali leggi dell’Urss e della Cina, ci accorgiamo che i pochi aspetti che potrebbero interpretarsi come coerenti con il comunismo sono proprio quelli mai attuati, messi nel testo come pura affermazione di principio, astrattezze senza traduzione pratica.
    Ma il comunismo ha poi una sua «ragione»? Il comunismo è una «ragione»? C’è da dubitarlo. Prima di Marx il comunismo, più che ragione, è una istanza etica e una aspirazione motivata da una ragione etica (religiosa o laica che sia): è il desiderio di vivere in una società fondata sull’amore e non sull’odio, sulla solidarietà e non sulla rivalità, sull’eguaglianza e non sulla differenza ecc. Fondata, insomma, su uno stile di vita che richiede, da parte dei membri della società, l’adesione a un alto ideale morale. Non per nulla i pochi esempi storici di comunità comuniste, dopo il comunismo primitivo in cui si ha una uguaglianza provvisoria, naturale e non sociale, li troviamo in comunità di tipo religioso (dalle comunità di tipo pitagorico a quelle essene a quelle cristiane e così via). Sostanzialmente le dottrine comuniste conservano il loro fondamento etico, come unico e comunque principale fondamento, fino alla seconda metà del Settecento. L’adesione a una comunità comunista è volontaria e dettata dal sentimento etico di realizzare l’ideale massimo, l’armonia e la comunità fra gli uomini.
    Con alcune correnti radicali del giacobinismo, di cui Marx è a suo modo un continuatore (lo stesso concetto di «dittatura del proletariato» è ripreso dal concetto blanquista di «dittatura popolare»), il comunismo comincia a diventare qualcos’altro. Da ideale etico ad adesione volontaria diventa un programma di conquista del potere per imporre poi, con la forza, il comunismo a tutti. Ma questa divaricazione fra mezzi e fini (uso della violenza, dell’odio, dell’uccisione di massa degli avversari ecc. per realizzare una società di pace e d’amore?) ha portato ad attribuire il termine di «comunismo» più ai mezzi che ai fini, più al tipo di lotta che al programma finale. E l’incompatibilità dei mezzi con i fini ha fatto sì che il comunismo come ideale etico ad adesione volontaria sia praticamente morto o dimenticato, mentre il comunismo (eticamente non comunista) si è affermato, ha prodotto montagne di guai ogni volta che è andato al potere (discorso diverso per la sua azione all’opposizione, che è stata di stimolo a conquiste importanti) e ha fallito sempre nelle sue presunte finalità.
    I teorici del comunismo, sia gli antichi sia i moderni, non sono mai riusciti a spiegare in modo convincente come realizzare il comunismo potenziando, e non deprimendo, valori fondamentali quali la libertà individuale, la dignità della persona umana, la creatività in tutte le sue forme (artistica e letteraria, ma anche scientifica e anche organizzativa e imprenditoriale), l’armonizzazione fra l’uguaglianza e la differenza, in una dialettica che arricchisca e non appiattisca e impoverisca, l’armonizzazione fra il dettame «a ognuno secondo i suoi bisogni» e il dovere di partecipare alle attività sociali in modo spontaneo ma dando ognuno il massimo di sé, ecc. ecc.
    Questi teorici oscillano fra la più indefinita utopia (l’uguaglianza risolve di per sé ogni problema, l’uomo è fondamentalmente buono ecc.) e il più rigido autoritarismo totalitario (tendenzialmente totalitarie, se immaginate nella realtà, sono anche le società descritte da T. Moore in «Utopia» e da T. Campanella in «La Città del Sole»).
    Quindi: in che cosa consiste la «ragione» del comunismo? Che non si identifichi in un vago e non definito e tanto meno strutturato desiderio di società migliore?
    Leggo quasi quotidianamente qualche articolo di chi si definisce comunista. Ma non ci trovo il comunismo. Ci trovo molte altre cose. Quando non sono imprecisate e palingenetiche, trovo cose che vanno nella direzione di riformare il «capitalismo» e la «società capitalista» pur restandovi dentro, trasformando la politica e il potere statale in una specie di agenzia sindacale che lavora per la ridistribuzione della ricchezza, con l’attuazione di programmi i quali, però, sono in contrasto con le necessità di produzione della ricchezza. Per cui è facile prevedere, nei paesi dove questi comunisti prevalgono e hanno il governo in mano, una iniziale serie di riforme che migliorano le condizioni di vita dei ceti più poveri e poi, esaurita la ricchezza accumulata precedentemente, il piombare di tutti in una crisi sempre più acuta dalla quale i comunisti non sanno uscite e nella quale i ceti più poveri si impoveriscono ancora di più. Insomma, è il modello seguito e studiato in decine di esperienze moderne, da ultima quella Venezuelana. Con l’aggravarsi della crisi, ovviamente, si aggrava anche l’autoritarismo del potere, la depressione delle libertà e dei diritti, lo scontro sociale ecc.
    I comunisti dovrebbero, a questo punto, per poter davvero avere la «ragione», trovare il modo di allargare le libertà personali e i diritti sociali e politici e nello stesso tempo trovare il modo di produrre meglio e più ricchezza, in forme non capitaliste. Ma questa sfida non l’hanno mai veramente affrontata e quando in qualche modo ci hanno provato l’hanno persa. E c’è da chiedersi: è possibile vincerla? Il comunismo è compatibile con la libertà e con la migliore organizzazione sociale della ricchezza?
    Ed è compatibile come programma di conquista del potere per imporre il comunismo a tutti, anziché come ideale etico e sociale da realizzare in forme comunitarie volontarie? Quindi in forme di coesistenza di molteplici modelli sociali, dei quali il comunismo sia quello scelto dai comunisti, in convivenza pacifica con altri modelli non comunisti.
    Credo che quando si dice che il comunismo è finito, che la sinistra è finita, ci si debba riferire al comunismo marxista (che a mio parere non è comunismo, ma da un lato è dottrina per la conquista del potere e dall’altro, con Lenin e Stalin in particolare, diventa dottrina per la costruzione di una società totalitaria) e alla sinistra che deriva dal marxismo (per quanto se ne sia allontanata col tempo).
    Il comunismo come aspirazione etica, come desiderio di una società in cui non ci siano più le contraddizioni attuali, resterà invece come sentimento insopprimibile e, in mancanza di meglio, si mescolerà e unirà ai programmi più vari, tanto che elementi vaghi di socialismo e comunismo li possiamo trovare nei programmi di quasi tutti i partiti, da sinistra a destra.
    Intanto crescono partiti nuovi, non antisistema, come stupidamente e a pappagallo si legge da ogni parte, ma integralmente inseriti nel sistema, come il Movimento 5 Stelle e la Lega, i quali però si differenziano perché rispetto ai “vecchi” partiti non hanno legami con i vecchi schemi di destra e di sinistra e, nei loro programmi, mescolano elementi che, secondo quelle vecchie categorie, sono di destra e/o di sinistra. In sostanza il M5S e la Lega sono contemporaneamente partiti di destra e di sinistra, non perché non siano coerenti nel loro impianto dottrinario, ma perché sono le divisioni fra destra e sinistra a essere incoerenti.
    Se proviamo a mettere da parte, a dimenticare, la «sinistra marxista», e a ricordare invece quali furono le rivendicazioni della sinistra non marxista nel corso dell’Ottocento, vedremo che quasi tutte quelle rivendicazioni fanno parte dei programmi del M5S e della Lega, come fanno parte dei programmi di pressoché tutti i partiti, visto che quelle rivendicazione della sinistra ottocentesca ormai sono entrate nel sentire comune (stato sociale, obbligo scolastico, sistema fiscale progressivo ecc.). Nemmeno i liberali più spinti, oggi, le avversano. La gara fra i partiti odierni, pertanto, non è fra destra e sinistra in senso ottocentesco, ma fra nuovi tipi di destra e nuovi tipi di sinistra. E chi resta fermo alla vecchia gara del partito-sindacalista perde.
    Le uniche vere forze antisistema presenti oggi in Italia si riducono a insignificanti minoranze: sono i Mels (i ritardati seguaci di Marx Engels Lenin Stalin); sono gli anarchici comunitari, sono i libertari in versione anarchico-capitalista. Queste poche migliaia di persone sono ormai le uniche ad aspirare veramente a un sistema politico-economico-sociale radicalmente diverso dal sistema attuale. Tutti gli altri, anche quando criticano aspramente il capitalismo, il neoliberismo, il liberismo selvaggio ecc., poi di dottrina e di fatto si schierano dalla parte dello statalismo, del centralismo di potere, del sistema economico capitalistico, del libero mercato, della Costituzione italiana. Non hanno la capacità di pensare diversamente, per troppi condizionamenti culturali.
    In relazione a questo le differenze fra le forze «di governo» vere si riducono a due: 1) Di quantità nella somministrazione dei diversi provvedimenti (riforme). 2) Di concorrenza spietata nella distribuzione clientelare dei posti, del potere e delle ricchezze. La politica non si svolge solo al centro, ma ha un indotto vastissimo che coinvolge spese e benefici per centinaia di miliardi di Euro. Il cambiamento di una élite, di un gruppo di potere, che sostituisce l’élite sconfitta, può non interessare il sistema ma certamente interessa l’indotto con tutte le sue vaste clientele.

    1. L’indotto con le clientele si andrà restringendo, in taluni aspetti anche drasticamente. Per questo interessa al sistema, almeno a quella parte che staziona sull’indotto. Già e per questo buona parte della ricchezza non andrà dispersa (derubata). Non è poco. Ma non c’è ragione di credere che al sistema massimo questo debba dispiacere, anzi.
      Per il resto, se avessi scritto che del comunismo è rimasto solo il ragionare – che a mio avviso resta comunque ragionare e un bel ragionare – forse si sarebbe capito meglio. Ma allora si cerchi di capire meglio quale sia la sostanza, che manca al ragionare. Io poeta salto i collegamenti della ragione, la dialettica discorsiva, e vado all’opposto sui suicidi. Così si capisce prima di ragionare.

    2. @ Luciano Aguzzi 2 giugno 2018 alle 18:42

      Pur non convenendo completamente con la sua analisi debbo ammettere che pone problemi reali che troppo spesso la sinistra tende a oscurare.
      Si parla di autocritica ma poi al massimo si criticano gli altri.
      Nella sua prospettiva critica a me farebbe piacere sentire un giudizio articolato e senza remore anche iconoclasta sulle “Undici tesi sul comunismo” che Ennio ha sottoposto alla nostra attenzione. Non nego che leggerle è fatica improba e richiede un lavoro di decodificazione di fronte al quale Hegel fa la figura di un bambino ma credo che varrebbe la pena.
      Faccia uno sforzo … gliene sarei grato
      Giulio

  3. PER IL COMUNISMO
    (Improvviso d’occasione)
    *
    Carissimi comunisti,
    in attesa di altro e di meglio
    (sogno albe lontane, luci d’altri pianeti,
    mondi che mi svelano i segreti);
    in attesa di un nuovo risveglio
    sulla parola che m’attrae
    (e in me dibatte infante
    d’antiche lingue infrante
    il senso riproposto)
    ora veglio
    senza dirla, ché stretto mi sorveglio
    (carcere di me stesso
    cerco l’impossibile uscita,
    ma proprio questa è la vita!).
    *
    Ma essa parla nell’ombra degli auguri
    e fiduciosa si affida ai futuri
    giorni, al tempo che assicuri
    alle farfalle le ali e il dolce canto
    ai passeri dell’albero qui accanto.
    *
    È maggio ed esplodono le rose
    nascoste fra le cose
    in questo minuscolo giardino
    del mio piccolo condominio.
    Qui vivo e attendo che risplenda
    la storia che si fa leggenda.
    *

  4. Non per snobismo, non per stanchezza, ho preso due decisioni dopo le reazioni negative ( o il silenzio) che hanno seguito la pubblicazione – qui su Poliscritture – del mio commento su “Comunismo” di F. Fortini”:
    1 – non replicare più alle critiche ( come questa di Luciano Aguzzi);
    2 – discutere di Marx, di comunismo, di fallimento dell'”esperimento profano” (Rita Di Leo) solo con chi – intellettuali o singoli militanti – ancora s’interroga sulla *ragione* o le *ragioni* possibili del comunismo.
    Nel gennaio 2017 si tenne a Roma una Conferenza sul comunismo. Quel dibattito fu sintetizzato in “Undici tesi sul comunismo possibile” ( qui: https://operavivamagazine.org/undici-tesi-sul-comunismo-possibile/).
    Io, indipendentemente dal condividerle in toto, ragionerò da solo o con altri/e su quelle.

  5. Ecco, per alleggerire. Per dire cosa è stato per me il Comunismo. Un esperimento:

    Voi.

    Domenica mattina, che festa alzarsi innamorati.
    Leggeri camicia scarpe. Barba fatta
    e lei questi capelli, possibile, non tengono!

    Centro corpo, come asola e dita cucendo.
    In bocca un paio di spilli. Mia madre raro momento
    e concentrazione. Il grande amore, sappiamo
    già tutto.

    Nonna controlla gonna e calze nylon. Borbotta
    in dialetto «Non prendere l’aia, il petto scotta»
    dando a intendere se mai una sculacciata.
    E per finire mi raccomando, io, i nastri del vestito
    fuori dalla finestra!

    – Oggi ho visto un capriolo. Sembravi tu.
    Come diversa vita ti ho vista, sollevata due luci
    unite. Uniti e baciati. Un solo sguardo. Come quando
    la prima volta giovane e stonato.

    Allora, ci si fidanza? E la fotografia.
    Per fondo sfocato il muro. Ancora bene a mente
    un dipinto. Ma noi in posa sfiorati per sempre.

    Ah l’amor Natale, caminetto e quercia. Finché
    scampanella stacca le altre e corre
    suonando mezzogiorno, tutte le campane
    anche quelle a lutto. E suonava suonava.

    Già, quel bambino. Seduto non me
    che tra gli altri, in piedi, spaventato, ero
    gli occhi di tutta la gente.

    Mayoor – Giu 2018

    1. Certo, questo è *comunismo dell’io* soggettivo, intimo, leggero, lirico. Si confonde col sogno e quel che diciamo poesia.
      Ma c’è – oggi più che mai da fare i conti con il *comunismo del noi* ( o dell’ io/noi) che è quella “cosa” piena di rischi e di «oscurità», termine che secondo Aguzzi« a pensarci bene, non si sa che cosa significa», comunismo come incognita, come altra faccia mai vista della storia. E poi c’è da fare i conti con l’«esperimento profano» (Rita Di Leo) che è fallito.
      E poi c’è da prendere posizione – io l’ho appena fatto – contro i denigratori accaniti e ben attrezzati di questo “possibile”.
      Tra l’altro, ho dato un’occhiata alla reprimenda del duo Cesare Viviani- Alfonso Berardinelli contro i “moltinpoesia” (https://lombradelleparole.wordpress.com/2018/05/31/ieri-mi-e-arrivato-per-posta-un-libretto-di-cesare-viviani-la-poesia-e-finita-diamoci-pace-a-meno-che-il-melangolo-2018-pp-76-e-7-pp-45-e-segg-risposta-di-alfonso-berardinelli/).
      E mi è venuto da pensare che il loro accanimento contro la *poesia possibile* dei moltinpoesia è nella sostanza accanimento (inconsapevole?) contro il *comunismo possibile*.

  6. Non poteva sfuggire a Ennio che tutta la poesia “Spread” non contiene il Noi. Eppure quel Noi io l’ho messo in campo, in campo senza nominarlo, come traccia, come invisibile presenza. Per questo, credo, lo si dovrebbe sentire, anche meglio.
    Il Noi è invece presente nella poesia di Annamaria Locatelli. Che è bella ma il Noi, reso visibile, si fa moraleggiante, perché è questo il suo limite e l’insicurezza.

  7. Il ‘noi’ si fa moraleggiante quando, minoritario e in posizione di debolezza, è portato ad idealizzare. E capita anche all’ ‘io’, ma visto che siamo in una società di individualisti si sorvola o si tollera. L’unico ‘noi’ che la passa liscia (tranne agli occhi dei chi pensa criticamente) è quello che ripete gli slogan o i mantra dei dominanti.

  8. …mi schiero con i sospiri
    ovvero i respiri sofferti.
    Non nego l’io, mio nostro,
    lo nutro,
    ma ci intralcia se
    estremo rifugio fittizio.
    Sento un Noi insicuro
    ma possibile
    e, forse, “spettro” temibile…
    per questo negato e negato.
    Parlo con timidezza di Noi
    che tanto siamo dispersi,
    già polvere da cannoni…
    Peraltro non più delle stelle,
    cinque o migliaia che siano…

    1. Mario Pezzella dovrebbe anche scrivere che il M5s è lasciato solo a contenere le spinte neofasciste in Italia. Scusate ma le altre voci mi sembrano, al momento, solo chiacchiere.

      Sono di parte, questo è certo, ma non vedo predominanza di Salvini, o di Lega rispetto ai 5stelle. Queste sono opinioni, o timori o pregiudizi, per altro già elettoralisticamente avanzati dal PD per darsi una ripulita.

      Pazienza. Aspetteremo trepidanti la formazione di una sinistra internazionale capace di riunire tutte le anime della sinistra in un solo grande progetto, confronto al quale lo scandaloso Reddito di cittadinanza dovrebbe fare sorridere per quant’è patetico. Spero che Mario Pezzella ci riesca.

      1. Ho segnalato per ragionare nel merito delle cose che dice Pezzella. Sono giuste? Sono sbagliate?
        Non servono le liquidazioni a priori (vedi anche vari commenti in “poliscritture su Facebook”).

      2. Lucio, leggiti Supernova, di Biondo-Canestraro, Ponte alle Grazie, non aver paura, sbaglieranno in qualcosa, ma puntano il dito sul lancio che Casaleggio ha fatto e suo figlio sta implementando, della propria ditta/impresa nell’agone delle grandi imprese informatiche mondiali. (Devo vedermi perciò i contenuti dell’incontro tra Di Maio e i rider dal punto di vista della lotta al “vecchio” sindacalismo, sostituito con i Data.) E’ chiaro che qui è l’impresa che usa la politica, va anche bene la rivendicazione che la violenza popolare e/o il fascismo i 5* l’abbiano assorbita, il mercato non vuole problemi!
        Sono con te, invece, che la politica precedente non abbia capito niente di quello che accadeva, e non so quanto Salvini e i piccoli industriali possano fronteggiare il salto informatico di Casaleggio jr.
        Però: basta con una ideologia buonista-democratica!

        1. Da quanto fai notare, capisco questo: che dal controllo di massa effettuato dalla TV tradizionale si sta passando a internet. Magari leggerò, perché è bene sapere se si tratti di manovre disinteressate, ma fintanto che l’iscrizione alla piattaforma Rousseau è gratuita e accessibile a chiunque, continuerò a pensarlo come mezzo utile di collegamento , organizzazione e discussione al servizio di tutti. Come stiamo facendo qui, solo che su quella piattaforma si raccolgono le proposte di legge, ecc. che danno contenuto all’azione del M5s. Se poi il sistema partecipativo si dovesse interamente, o prevalentemente, informatizzare ( ad esempio con le votazioni), be’ la discussione è aperta. Ma in ogni caso sarebbe una discussione pubblica, a porte aperte, quelle dei Ministeri, ecc. Dovrebbe crescere il livello partecipativo… La ditta Casaleggio ne trarrà vantaggi? Si tratterebbe di speculazione, di interesse privato o per conto di chissà chi? Che si vada a vedere, allora. Ma in se’ non mi sembra cosa negativa.

          1. “in se’ non mi sembra cosa negativa”: in sé rispecchia l’interesse della Casaleggio o quello della democrazia partecipativa? Le continue variazioni nelle posizioni politiche mi direbbero che la “democrazia partecipativa”=sondaggi; e che lo scopo è attrarre sempre più partecipanti=data su di essi, che quindi l’interesse della Casaleggio è prioritario.

  9. @ Giulio Toffoli
    L’invito a esprimere un mio giudizio sulle «Undici tesi sul comunismo» mi arriva (anche attraverso un “avviso” di Ennio con Messenger) dopo i seguenti passaggi:
    1) Ho letto parzialmente le undici tesi diverso tempo fa e non ne ho terminata la lettura perché davvero indigeribile, per contenuti e forma di scrittura.
    2) Le affermazioni di Ennio («1 – non replicare più alle critiche (come questa di Luciano Aguzzi); 2 – discutere di Marx, di comunismo, di fallimento dell’”esperimento profano” (Rita Di Leo) solo con chi – intellettuali o singoli militanti – ancora s’interroga sulla *ragione* o le *ragioni* possibili del comunismo».) mi hanno scoraggiato a replicare ulteriormente, sia perché la n. 1 non mostra di ritenere nemmeno discutibili le mie tesi, ma solo “ignorabili”; sia perché la n. 2 conferma che – per Abate – le mie considerazioni non rientrano fra quelle che si interrogano «sulla *ragione* o le *ragioni* possibili del comunismo», mentre a mio parere è proprio di questo che trattano, mentre le undici tesi non trattano delle ragioni «possibili» del comunismo ma di un insieme di idee appiccicate a un concetto «impossibile» di comunismo.
    3) Sinceramente, mi interessa discutere anche del perché si perpetui l’errore di ragionare sul comunismo impossibile, anziché su quello possibile. Ma, avendone tempo, preferisco farlo con la rilettura dei classici (di teoria o di storia), o nell’attualità della politica e del farsi sociale, non con uno scritto davvero poco significativo come le undici tesi.
    4) Ho comunque riletto le undici tesi, per intero, ma dopo le prime righe, condivisibili («Dove è al potere il Partito Comunista, il comunismo è scomparso da un pezzo. Vigono mercato e sfruttamento, ma senza parlamenti e libera opinione. Il comunismo è una storia degenerata, sconfitta, rimossa; in Europa e nel mondo. Raramente capita che una sconfitta sia ancora uno spettro, abbia la capacità di spaventare ancora: è il caso, raro, del comunismo. La parola è impronunciabile, il senso o il progetto difficili da chiarire»), a partire dal periodo: *«Comunismo è il nome di questa eccedenza che, nonostante tutto, continua a far paura. La vittoria del capitale, come una nemesi, non smette di produrre questa eccedenza (di relazioni, mobilità, forza-invenzione, cooperazione produttiva, ecc.). La vittoria del capitale, come una nemesi, non smette di produrre le condizioni oggettive del comunismo: la riduzione del «lavoro necessario» alla riproduzione sociale della forza-lavoro»*, non posso condividere praticamente nulla. Né condividere né, in buona misura, capire. Capire proprio in senso letterale. Non riesco a visualizzare in concreto il fiume di frasi astratte, né organizzarlo in una sequenza concettuale logica.
    Ho allora cominciato a infastidirmi per il linguaggio gergale, involuto, oscuro, nebbioso, metafisico. E l’oscura astrattezza metafisica del dettato mi è parsa la migliore rappresentazione dell’oscura astrattezza metafisica dei contenuti, e di quell’idea di comunismo come «eccedenza».
    La vittoria del capitale, come la vittoria di qualsiasi altra realtà, non è mai la vittoria di qualcosa di perfetto e di definitivo. Il conflitto di vario tipo (sentimentale, sociale, intellettuale, culturale ecc.) è sempre una realtà presente, in tutti i periodi storici e in tutte le tipologie di realtà politica economica sociale. Ogni realtà contiene in sé, sempre, altre possibili realtà, sia nettamente antagoniste sia debolmente antagoniste ma comunque alternative. Allora, questa è «eccedenza»? Questo è comunismo? Il comunismo sarebbe pertanto la somma delle alternative?
    Questa mi sembra un’idea delirante che, di fatto e concettualmente, vanifica ogni specificità e concretezza di ogni possibile comunismo.
    Eventualmente, il comunismo potrebbe intendersi come una particolare e ben definita eccedenza, una definita forma di realtà alternativa al capitalismo.
    Ma nel testo delle undici tesi manca proprio ogni concretezza descrittiva del comunismo.
    5) Questa rilettura mi ha scoraggiato dall’analizzare più dettagliatamente le undici tesi e farne un commento. Fra l’altro, per sottolineare tutti i punti per me errati, ci vorrebbe una quantità enorme di tempo che non ho.
    ***
    Ma la sollecitazione ricevuta mi obbliga a riprendere in mano le undici tesi.
    6) Dopo alcune tesi di carattere sociologico che danno un’immagine distorta della realtà ma di cui qui non interessa analizzare i dettagli, si arriva alla tesi n. 6 «Comuniste e comunisti» in cui leggo: *«Chi sono, oggi, le comuniste e i comunisti? Meglio: cosa fanno? Ripartiamo, schematicamente, dalle indicazioni del Manifesto di Marx ed Engels: fanno «emergere gli interessi comuni», oltre i perimetri locali/nazionali delle lotte; si dedicano pazientemente e con determinazione alla «formazione del proletariato in classe»; si battono per prendere il potere politico; esprimono in modo generale i «rapporti di forza di una esistente lotta di classe» («cioè di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi»). Le comuniste e i comunisti dunque, in primo luogo, conquistano o costruiscono il comune nelle lotte. […] Affidiamoci ancora alle metafore dei filosofi: comporre il proletariato in classe significa fare arcipelago, delineare costellazioni. Solo nel mezzo di questo processo, che è sempre anche un laboratorio di auto-apprendimento, è possibile generalizzare le lotte, coglierne gli aspetti trasversali. Le comuniste e i comunisti, nel combattimento, esprimono questi aspetti con la propria vita, non li rappresentano con le chiacchiere».
    Sembra quasi tutto condivisibile, peccato però che siamo sempre nel generico. Proviamo a rileggere il brano sostituendo ai termini «comunismo» e derivati il termine «democratico», e al «proletariato» il cittadino e il discorso filerà allo stesso modo.
    «Chi sono, oggi, le democratiche e i democratici? Meglio: cosa fanno? […]: fanno «emergere gli interessi comuni», oltre i perimetri locali/nazionali delle lotte; si dedicano pazientemente e con determinazione alla «formazione dei cittadini»; si battono per prendere il potere politico; esprimono in modo generale i «rapporti di forza di una esistente lotta di classe» («cioè di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi»). Le democratiche e i democratici dunque, in primo luogo, conquistano o costruiscono il comune nelle lotte. […]. Le democratiche e i democratici, nel combattimento, esprimono questi aspetti con la propria vita, non li rappresentano con le chiacchiere».
    Praticamente tutti i partiti, con modesti adattamenti lessicali, possono fare proprie queste posizioni. Perché? Perché non riguardano il che cos’è il comunismo e la concreta possibilità e modalità di realizzarlo, ma riguardano forme di lotta per la conquista del potere. Strategia, tattica e propaganda, insomma.
    7) La tesi 7 è intitolata «Comunismo» e vi si legge che il comunismo *«Lo si confonde spesso con la comunione dei beni, siano essi naturali o artificiali. Vale la pena, invece, essere letterali: comunismo è «abolizione della proprietà privata borghese». Consapevoli che quest’ultima è un rapporto sociale di sfruttamento […]. Se non si afferra questo nocciolo duro, si confonde il comunismo con un semplice problema di equa distribuzione della ricchezza. […] «Espropriare gli espropriatori» (o lotta di classe), allora, significa abolire questa proprietà privata: il comune del comunismo riguarda tanto i beni e il welfare – il loro uso condiviso, la loro gestione democratica – quanto il rifiuto del lavoro sotto padrone, l’invenzione di nuove misure monetarie quanto l’autonomia dell’intelligenza collettiva e della sua costruttività (scientifica, economica, politica, artistica)»*.
    Qui c’è una distinzione fra «comunione dei beni» e «abolizione della proprietà privata», ma non c’è la pars construens della seconda: abolita la proprietà privata, che cosa ci sarà? quale sarà il regime giuridico dei beni? come sarà organizzata la produzione ecc. ecc. ecc.? Insomma, si ripetono vecchie formule lasciando tutto nel vago.
    Poiché i beni sociali, a differenza dei beni naturali in una situazione di primitiva «res nullius» (cosa di nessuno, e quindi per conseguenza del primo che se ne appropria), hanno sempre un proprietario, chi è questo proprietario? che cos’è in concreto la nominata «autonomia dell’intelligenza collettiva»? Insomma, se il proprietario non è più il privato, sarà allora lo Stato? il Comune? la Regione? qualche altro ente politico? E come funzionerà questo nuovo proprietario?
    E ancora: chiunque sia il proprietario, come potrà calcolare quale sarà la parte del lavoro destinato alla sopravvivenza e la parte eccedente che ora il capitalismo ruba? Chi deciderà? E che cosa accadrà a chi non sarà d’accordo con le decisioni prese? E così via. Si ripetono vecchie formule come se la storia non ci avesse insegnato nulla.
    8) La tesi 8 («Forme di vita») contiene pericolose affermazioni e confusioni concettuali che non potrebbero che riportare agli errori passati, cioè al passaggio dal «comunismo» al «totalitarismo». Si legga: *«Appropriazione comunista – ovvero rifiuto del lavoro salariato, democratizzazione del welfare, ecc. – è anche abolizione della persona. […]. La tradizione politica liberale e oggi, in modo assai più spiccato, la governamentalità neoliberale insistono sul primato indiscusso dell’individuo nei confronti della società. […]. Farla finita con lo sfruttamento, oggi che questo si presenta nella cattura del valore oltre i confini della fabbrica, nella sussunzione della cooperazione sociale, nella coincidenza tra tempo di vita e tempo di lavoro, significa farla finita con l’individualismo competitivo. Comunismo è autonomia del lavoro vivo, primato del presente sul passato (capitale, lavoro accumulato), dunque affermazione del carattere irriducibilmente sociale dell’individuo. Di più: non c’è abolizione della personalità del capitale senza abbattimento della famiglia e del patriarcato, senza invenzione di nuove istituzioni amorose»*.
    Si confonde il primato dell’individuo in senso cognitivo con quelli in senso etico, in senso politico, sociale ed economico. E con questa confusa negazione della personalità individuale, si nega la libertà individuale. Perché, se ci sarà, come ci sarà sempre, disaccordo su alcune decisioni, come potrà la «cooperazione sociale», il nuovo proprietario collettivo, il nuovo gestore della produzione dei beni e della loro distribuzione, arrivare a una conclusione che rispetti la libertà di chi non è d’accordo? Che lasci aperta alle minoranze la possibilità di discutere, pensare ed esprimersi liberamente e proporsi come classe dirigente alternativa?
    Ma sul reale funzionamento di ciò che si dice non si dice nulla.
    Esemplare, per la sua cattiva e pericolosa coscienza, è l’affermazione: *«Comunismo è autonomia del lavoro vivo, primato del presente sul passato (capitale, lavoro accumulato), dunque affermazione del carattere irriducibilmente sociale dell’individuo»*. A parte il fatto che io non riesco a capirne il significato (che cos’è l’«autonomia del lavoro vivo»?), e l’ovvietà dell’affermazione «del carattere irriducibilmente sociale dell’individuo» già affermata dai filosofi antichi e mai negata da nessuno (il nostro Carlo Cattaneo ci ha basato tutta la sua filosofia), l’accostamento nel suo insieme mi suona così: il collettivo sociale ha sempre ragione, le libertà individuali non contano nulla.
    È sulla base di tesi del genere che già nell’Ottocento, Marx ancora vivo, molti critici di Marx lo hanno accusato di voler costruire un regime di tirannia sociale. Il che con Lenin e seguaci è avvenuto. E i gravissimi problemi posti dall’esperienza del socialismo reale non sono stati, non dico risolti, ma nemmeno affrontati, come confermano le undici tesi nel ripetere vecchie formule senza considerarne tutte le implicazioni.
    Altra frase emblematica e di cattiva coscienza e teoria: *«Di più: non c’è abolizione della personalità del capitale senza abbattimento della famiglia e del patriarcato, senza invenzione di nuove istituzioni amorose»*. In quanto al patriarcato, il capitalismo moderno lo ha distrutto molto meglio del comunismo e in quanto alla famiglia e alle «istituzioni amorose» io direi che vanno lasciate alle libere scelte degli individui, mentre il collettivo deve occuparsi – per ciò che lo riguarda e possibilmente il meno possibile – del regime giuridico e delle esternalità delle libere scelte.
    Il linguaggio qui usato dalle undici tesi mi pare, da un lato, quello delle vecchie utopie in cui il libero amore non era una possibilità, ma un obbligo gestito dallo Stato (o comunque si chiamasse il potere supremo), dall’altro lato il tragico errore di molte rivoluzioni comuniste o paracomuniste che ancora prima di realizzare riforme sociali si sono scagliate contro la famiglia e la religione, massacrando in misura industriale anche proletari, comprese donne e bambini, colpevoli di non voler cambiare repentinamente la loro «forma di vita». Lo sbocco ferocemente totalitario e criminale è lo sbocco logico di tali formule concettuali.
    9) Le tesi successive tornano a considerazioni sociologiche, economiche e politiche, con richiami a Marx e a Lenin e con la delineazione di un programma che, mi pare, consista nella formazione della coscienza di classe, nell’autonomia del «proletariato» largamente inteso, nella costruzione del «sociale» e, forse, se non ho capito male, nella costruzione graduale di un «dualismo di potere», cioè da un lato lo Stato e gli altri poteri contro cui si lotta, e dall’altro l’autonomia dell’«eccedenza» organizzata e quindi con un proprio potere alternativo. Su un’autonoma alternativa potrei essere d’accordo, purché si basi, come ho scritto più volte, sulle libere scelte, sull’adesione volontaria e sul principio di non aggressione. Ma ciò dovrebbe significare che i comunisti sono tali in quanto vivono da comunisti (nei limiti del possibile), fin da subito, senza attendere la conquista del potere e l’estensione obbligatoria (il tragico destino della «dittatura del proletariato») per tutti. Mentre oggi, chi dice d’essere comunista, in genere vive da borghese come tutti gli altri borghesi.
    Il testo è poi pieno di termini di moda, ma estremamente ambigui, come globalizzazione (che è in realtà un insieme di globalizzazioni, alcune positive e auspicabili e altre no), neoliberismo (non ho mai capito in che cosa differisca dal liberismo e dal postliberismo, salvo che non si limitino a indicare una diversa datazione cronologica), populismo e altro ancora.
    10) In conclusione, questi autori delle undici tesi stanno al marxismo di Carlo Marx come gli aristotelici che nella prima metà dell’Ottocento ancora insegnavano astronomia sulla base del sistema tolemaico stanno ad Aristotele. I due classici hanno costruito sistemi che poi il tempo ha sgretolato aprendo le loro parti a destini diversi, con alcune dottrine che hanno avuto vita più lunga e altre morte e stramorte e poche cose ancora valide. Ma i tardi seguaci, i fanatici e chiusi sacerdoti del culto continuano a ripetere imperterriti le vecchie formule sforzandosi di adattare la realtà alla dottrina, e non le dottrine alla realtà, per cui le novità delle undici tesi rispetto a Marx sono quasi solo terminologiche e di attualizzazione esteriore, trascurando del tutto le molte cose che la filosofia, la sociologia, le scienze politiche e sociali hanno detto dopo Marx. Non lo fanno per ignoranza, ma per un rifiuto intellettuale a esercitare in modo pragmatico, concreto e possibile le armi della critica.

    1. @ Luciano Aguzzi

      Ti ringrazio x lo sforzo di approfondimento. Devo riconoscere che molte delle cose che scrivi mi colpiscono un poco perché sono impressioni simili a quelle che ho provato anch’io leggendo quelle tesi. Il testo mi pare segnato non solo da un linguaggio criptico e poco accattivante ma sono soprattutto da concetti che veicolano idee vecchie e che avrebbero bisogno di una radicale revisione.
      Su questa via tu ti sei avviato con coraggio mentre molti di noi fanno fatica a seguire la via in qualche modo rallentati da cento remore. Evidentemente è necessario che maturino i tempi. Posso solo auspicare che si continui a dialogare anche quando ci capita di sembrare sordi quslche cosa poi lentamente germoglia.
      Ancora grazie

      1. Le vicende degli ultimi due decenni mi hanno allontanato dalla lettura di Marx a cui avevo dedicato molto tempo negli anni Sessanta-Settanta e Ottanta e dalla storia del pensiero politico mi hanno avvicinato di più alla letteratura (storia e critica letteraria). Se riuscissi a trovare il tempo necessario mi piacerebbe rileggere il “tutto” Marx edito in Italia (e qualcosa edito in altre lingue), partendo da un punto di vista diverso dalle mie letture precedenti: cioè il punto di vista libertario e non più quello “rivoluzionario” del dibattito interno alla Terza Internazionale. E, in aggiunta, dal punto di vista del comunismo come costruzione etico-politica libera e volontaria, e non più quello del preteso comunismo scientifico che si realizzerà per forza di cose e la cui unica alternativa è la barbarie, cioè l’arretramento di ogni livello sociale quasi che l’alternativa fosse unicamente avanzare verso il comunismo o distruggere le basi stesse dell’avanzamento e riprecipitare in situazioni passate. Alternativa del tutto irreale.
        Questo nuovo e mio personale punto di vista credo che porterebbe a individuare meglio, nell’insieme dell’opera di Marx, i diversi elementi del “sistema” e le loro diverse possibilità, una volta liberati dalla gabbia del sistema stesso, di interpretazione, lasciando morire in pace gli elementi ormai non più attuali in nessuna forma ma anche permettendo di sopravvivere utilmente ad altri elementi suscettibili di nuove e interessanti interpretazioni e utilizzazioni.
        Ad esempio il Marx libertario e il Marx della dittatura del proletariato, che fanno a pugni fra loro. Marx, dalla sua prospettiva ottocentesca, non se ne è accorto e ha creduto che i due filoni di pensiero potessero convivere, ma chi oggi continua a crederlo non ha più le attenuanti cronologiche di Marx, perché la storia ha separato nettamente i due elementi.
        Un altro esempio: Marx ritiene di poter tenere insieme l’utopia comunista (utopia nel senso storico, come ripresa del comunismo precedente in alcuni suoi valori di fondo) con la critica dell’utopia e la pretesa di fondare un comunismo scientifico e soprattutto una via scientifica per passare dal capitalismo al comunismo. Tutto ciò non si tiene più insieme ed è necessario separare l’utopia possibile del comunismo, in quanto possibile e nei modi in cui è possibile, dalla pretesa strategia scientifica che non ha invece nessun fondamento scientifico ma rientra nelle tradizionali dottrine, nelle dottrine di sempre, della conquista del potere (con ciò che comporta, compresa una visione ideologica proprio nel senso marxiano di falsa coscienza del potere stesso, della società e del comunismo e/o dell’«essere di sinistra»).
        Il mondo è un orizzonte aperto, sebbene l’uomo sia sempre troppo miope per vederlo nella sua interezza. La libertà e il principio di non aggressione mi sembrano sempre elementi fondamentali per ogni “tecnica” che si sforzi di migliorare e ampliare la visione. Il riferimento al passato è sempre una buona cosa se serve a guardare con più profondità il futuro, ma è una pessima cosa se serve a chiudere il mondo nella gabbia dei ricordi e delle cose che ci sono care solo perché si siamo abituate ad esse e in esse ci riconosciamo.

  10. @ Luciano Aguzzi

    Per ora soltanto su questo punto:

    ” Le affermazioni di Ennio («1 – non replicare più alle critiche (come
    questa di Luciano Aguzzi); 2 – discutere di Marx, di comunismo, di
    fallimento dell’”esperimento profano” (Rita Di Leo) solo con chi –
    intellettuali o singoli militanti – ancora s’interroga sulla *ragione* o
    le *ragioni* possibili del comunismo».) mi hanno scoraggiato a replicare
    ulteriormente, sia perché la n. 1 non mostra di ritenere nemmeno
    discutibili le mie tesi, ma solo “ignorabili””

    Tengo a precisarti subito che non ho mai sostenuto che le tue tesi siano da ignorare. In varie occasioni in passato ho controbattuto e replicato. E sempre ci ho meditato sopra per conto mio. Ma, in modo simile a te, io pure per una certa stanchezza e il dubbio (” ma ha senso dialogare con chi pensa e desidera cose così diverse dalle mie”) mi sono concesso un attimo di respiro e ho cercato altri interlocutori. La stima nei tuoi confronti resta. Tant’è vero che ti ho avvertito io della richiesta di Giulio.

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