In morte di un reazionario

di Ennio Abate

PUNCTUS CONTRA PUNCTUM: CERONETTI/SAMIZDAT

La morte di Guido Ceronetti ha dato la stura ai panegirici sulla stampa: “grande scrittore”, “grande traduttore” di testi biblici, ecc. Mi ha stupito (solo perché sono vecchio) che su Facebook molti “amici” si accodassero agli osanna e condividessero la sua ultima intervista al “Fatto quotidiano” (qui) di Silvia Truzzi, sovranisticamente intitolata “Sono un patriota orfano di patria. Italia, regno della menzogna”, un vero “grido di dolore” reazionario. E allora ho ripescato nel mio salvadanaio culturale alcuni spiccioli di cultura critica del solito Fortini, che Ceronetti l’aveva conosciuto da vicino (qui). I commenti seguiti mi hanno indotto a  contestare punto per punto  le “sparate” di Ceronetti in quella intervista. [E. A.]

1. Ceronetti si dice « patriota vissuto in una ininterrotta perdizione di patria».

Samizdat si sente un senza patria.

2. Ceronetti sostiene che « sinistra e destra sono vecchi fantasmi arcidefunti».

Samizdat sostiene che continuità e discontinuità nella storia (politica) vanno attentamente verificate; e che, fossero anche sinistra e destra soltanto fantasmi (ma non pare del tutto), bisogna farci i conti, perché i fantasmi agiscono nel nostro immaginario.

3. Ceronetti dice che «migrazioni di popoli e globalizzazione tecnologica abbattono quelle frontiere per le quali abbiamo combattuto e penato tanto».

Samizdat dice che esistono «questioni di frontiera» (Fortini). E non sta dalla parte di chi ha «combattuto e penato tanto» per difendere certe frontiere. Sta dalla parte di chi – come i migranti – le oltrepassano e pongono ai residenti nuovi problemi: perché noi dobbiamo essere esclusi da beni costruiti anche rapinando i nostri paesi? Non ci può essere un’altra forma di società (e di civiltà) che non escluda nessuno o escluda il meno possibile (e non sempre e soltanto i poveri o noi extra)?

4. Ceronetti dice: « la patria è una madre più grande per tutti. E quando manca la madre, il disorientamento è massimo».

Samizdat dice che siamo ben più disorientati quando manca il pane, il lavoro, un’abitazione e non si ha la possibilità di studiare, girare, conoscere, godere il mondo. E che la patria/madre (ma patria non è «(terra) dei padri’»?) è una «comunità immaginata» (qui), che, sì, agisce anche nella nostra psiche ma in contemporanea con altri fattori materialmente condizionanti.

5. Ceronetti dice: « L’assenza di patria non è sostituita da nient’altro, forse solo, per quelli che ce l’hanno, dalla fede».

Samizdat dice che Ceronetti non vede valori oltre quelli della patria e della fede. Lui ne vede altri – un po’ sporcati, un po’ azzoppati – nell’esperienze – contraddittorie, da ripensare, da riaffermare – del moderno, dell’illuminismo, del socialismo/comunismo.

6. Molto rammaricandosene (ed, infatti, ha nostalgia di Pio X, del suo calamaio museificato; e svalorizza l’attuale papa giudicandolo *al massimo* « un grande modernizzatore. Ma niente di più»), Ceronetti dice : «è sbagliato pensare che l’Italia sia un Paese cattolico. Abbiamo almeno ottocento gruppi religiosi, la stessa Sicilia va diventando pentecostale: diciamo meglio che l’Italia è un Paese dove c’è anche il Vaticano».

Per Samizdat è meglio che l’Italia diventi sempre meno cattolica. È stato un bene e non una iattura che si sia avuta nel Cinquecento la spaccatura della Riforma protestante. È un bene che altre religioni arrivino in Italia e mettano credenti e non credenti di fronte al problema di capirle e fare i conti con esse.

7. Ceronetti è di una superficialità bestiale quando parla di politica. La riduce soltanto a «menzogna». O a « surrogato incruento della guerra civile». O le nega qualsiasi elemento di verità («era la prosecuzione di quegli altri discorsi, era lo stesso identico vuoto di verità»). Evita il giudizio storico politico ed è reticente nel parlare di certi eventi: «Ricordo il passaggio decisamente traumatico e violento del 25 aprile» ( Sì, ma eri coi traumatizzati o coi partigiani?). Confonde la militanza con la conversione (« Ero della generazione delle “conversioni de La corazzata Potëmkin”.»). O un errore di gioventù di cui s’è pentito («Dopo la Liberazione mi appassionava moltissimo tutto quel che era politica. Per slancio, del resto ero talmente giovane»). Pur avendo detto (all’inizio dell’intervista) che « sinistra e destra sono vecchi fantasmi arcidefunti», nei casi concreti che cita, simpatizza di fatto esclusivamente con rappresentati riconducibili alla Destra: – è comprensivo verso Priebke (« è sempre stato un essere umano») ma non ce la fa né a comprendere né a vedere umanità anche nella « folla che prende a calci la sua bara» ( qualche motivo cisarà stato o no?); – equipara l’attentato dei partigiani (i gappisti) di Via Rasella, che conducevano con pochi mezzi la guerriglia contro i nazisti, alla strage-rappresaglia delle Fosse Ardeatine contro 335 civili e militari italiani, prigionieri politici, ebrei o detenuti comuni; – mette tutto nello stesso mucchio: Hitler, Lenin, Stalin; – ricorda che « quando Lenin arrivò in Russia nell’aprile 1917 subito si mise a predicare la trasformazione della guerra europea in aperta guerra civile», ma non capisce che quella rivoluzione (non semplice «guerra civile») ebbe il merito di fermare quantomeno la Prima Guerra mondiale.

Samizdat ritiene la verità (non solo contemplativa e ideale) e non la menzogna elemento decisivo di determinate politiche. E pensa il conflitto (non la guerra civile) come strumento indispensabile di emancipazione di chi soffre ed è messo sotto da dominatori di turno. E ha giudizi antitetici a quelli di Ceronetti su Resistenza, Priebke, Fosse Ardeatine, Lenin e Rivoluzione russa.

8. Ceronetti è un nostalgico del latino («Ecco, se c’è una differenza tra la classe dirigente del secolo scorso e questa, è che l’altra aveva una base di latino. Questa non ha niente e perciò ha le chiappe scoperte. Se non hai come base il latino, quel che dici in italiano difficilmente contiene verità»).

Samizdat ritiene che sia stato importante per una certa area culturale il latino, ma nega che tutte le culture e letterature di altri popoli siano inferiori solo per non essere derivate dal latino. E sa che la verità si costruisce nella storia e non è già bella e scritta solo in latino, una lingua che Ceronetti riduce a feticcio o a distintivo per élites dominanti e patriottiche («Alla domanda “a cosa serve il latino?”, posso rispondere che serve a distinguere un uomo che ha studiato il latino da uno che non ne sa niente. Latino è il vero padre della patria.»).

20 pensieri su “In morte di un reazionario

  1. Benchè reazionario sia un termine che risale agli oppositori della rivoluzione francese e di quella bolscevica, Samizdat lo ha impiegato al presente. Confrontando le posizioni di Ceronetti nell’intervista al Fatto, Samizdat dichiara:
    1 mi sento un senza patria
    2 bisogna fare ancora i conti con (i fantasmi) destra e sinistra
    3 rifiuta l’esclusione dei migranti
    4 la patria non è un bisogno prioritario rispetto a pane casa e lavoro (Patria vs Umma=terra dei padri vs comunità che deriva dalla madre)
    5 sono valori: il moderno, l’illuminismo, il socialismo/comunismo
    6 è opportuna la pluralità di religioni
    7 la verità è elemento decisivo in determinate politiche, il conflitto è strumento di emancipazione
    8 il latino non è un fondamento culturale universalmente valido.

    Nell’intervista però le posizioni espresse da Ceronetti non sono sempre fedelmente riprodotte da Samizdat. Per esempio C. non dice che altre culture sono inferiori perchè non derivate dal latino «Alla domanda “a cosa serve il latino?”, posso rispondere che serve a distinguere un uomo che ha studiato il latino da uno che non ne sa niente. Latino è il vero padre della patria», della patria Italia, evidentemente.
    Così pare piuttosto una insinuazione dire che C. “simpatizza di fatto esclusivamente con rappresentanti riconducibili alla Destra”. La lettura mi suggerisce che C. si occupi della posizione dei perdenti, diventati bersagli dell’ideologia vittoriosa post 1945.
    Se poi mette insieme “nello stesso mucchio” Hitler, Lenin e Stalin, bisogna ricordare che la categoria di totalitarismo (H. Arendt) puntava proprio a questo.

    Inoltre, nel mio commento del 13 settembre al post su fb, ponevo un problema che riguarda proprio il punto 7, rapportandolo al tempo. In quale tempo la verità è “elemento decisivo di determinate politiche”, prima, durante o dopo? Detto altrimenti: quando diventa vera una posizione politicamente assunta? Se Canfora discute ancora di Pisistrato.
    Secondo passo: il conflitto, dunque, sarebbe vero cioè reale, in tutte e due (o più di due?) le posizioni. A meno di non possedere la chiave del vero, e del tempo.

    Perchè impiegare oggi la definizione di reazionario nei confronti di uno come Ceronetti? L’etichetta si iscrive in una tradizione che ha come punto nodale la rinascita dell’idea di comunismo nella Resistenza – una rinascita che fu parte del patrimonio ideale del PCI, ma non della sua pratica politica, fino agli anni 70 credo. All’indietro questa tradizione si collega all’illuminismo, la rivoluzione francese, Marx e il marxismo, la Comune, la rivoluzione bolscevica (così ho imparato a scuola). In avanti si lega al ’68, ai gruppi e piccoli partiti nati di seguito, fino agli ideali rivoluzionari, ancora oggi sostenuti.
    Nel dopoguerra reazionario fu detto Armando Plebe quando, da comunista e marxista, passò all’Msi. Nel 1987 scrisse un libro, pubblicato da Adelphi, intitolato “La filosofia della reazione” (che non ho letto). Non solo quindi rinnegò il comunismo, ma anche si schierò con la destra. Nel catalogo Rusconi ci furono, con Ceronetti, Armando Plebe, Elémire Zolla, Cristina Campo, Pavel Florenskij, Simone Weil, Eric Voegelin, Giorgio de Santillana. Tutti reazionari? (Ma è impossibile pensare di definire così Weil e Campo, che autorizzano la riflessione e interrogano la coscienza e la coerenza di tante e tanti!) Però Rusconi era reazionario, punto. Era reazionario chi disarticola il legame tra illuminismo e comunismo, reazionario era Del Noce che lo tiene fermo quel legame, per dichiararne erronea la comune radice.
    Svalutazione di pensieri che non appartengono al mainstream dell’illuminismo-comunismo. Reazionario è l’etichetta per indicare l’opposizione politica a tutto ciò che non appartiene a quella linea che -poi- fu anche immaginata come compatta e unitaria.
    Reazionario è soprattutto una definizione culturale.
    E’ possibile dare autonomia e valore a altre esplorazioni culturali? Secondo quali criteri saranno valutate? Da chi, per scelte individuali o di un consistente movimento politico? (E quanto vale il giudizio di Fortini infarcito di valutazioni moraleggianti e sprezzanti “falsi rifacimenti, adattamento, sogno medievaleggiante, non siamo lontani dalle messe in scena di falsi drammi sacri in chiostri gotici autentici, sotto il patrocinio di un qualche ente turistico provinciale”?)
    Reazionario a questo rimanda, a come porsi di fronte alla Storia, e a noi a milioni, a miliardi, in essa.
    Quella stessa linea illuminismo-comunismo non ha solo mostrato i suoi limiti nei valori “un po’ sporcati, un po’ azzoppati – nell’esperienze – contraddittorie, da ripensare, da riaffermare”. Mostra anche, proprio oggi al presente, per me (non come singola, ma in ampia e differenziata compagnia), un suo aspetto ideologico e astratto quando nega un approccio concreto, sociologico e economico, all’immigrazione, e quando sostiene un internazionalismo che è però solo il globalismo del capitalismo finanziario.
    Non apprezzo quindi le contrapposizioni con etichette, le respingo come tentativi di gettare una rete vecchia su un mondo nuovo da comprendere.
    p.s. : credo poi che vecchi arnesi come la filologia e le fedi abbiano ancora potere di orientare.

  2. Caro Ennio, anch’io mi sono stupito a addirittura divertito un po’ amaramente a sentire questa mattina un rutilante panegirico a Ceronetti, tessuto dal presentatore del programma musicale della domenica mattina a radio popolare. Ho scelto di non dire nulla.in facebook, ma qualcosa qui lo dico. C’è reazionario e reazionario. Quando morì Ida Magli, che negli ultimi anni della sua vita prese posizioni imbarazzanti e in qualche caso simili a quelle di Ceronetti, io scrissi sul mio blog un elogio addirittura in parallelo alla morte di Umberto Eco avvenuta pochi giorni prima. Ida Magli ha scritto libri talmente importanti (Gesù di Nazareth, Storia laica delle donne religiose, La Madonna) che sono talmente illuminanti sulle radici misogine del cattolicesimo, che vanno salvati anche da lei stessa. Ceronetti, uomo di grande erudizione più che cultura, non ha bisogno di essere salvato da nessuno per quanto riguarda la sua opera di traduttore, filologo e quanto vuoi. su tutto il resto penso che, a parte l’arroganza degli ultimi tempi, non sia infondo un pensatore di grande originalità, piuttosto di confusa eterogeneità neppure rispetto e pensatori che condividevano i suoi presupposti, né un poeta che ricorderemo. Quanto a sinistra, regna talmente tanta confusione che è meglio lasciar perdere.

  3. @ Fischer

    Le dichiarazioni di Ceronetti stanno al link indicato. Tutti possono leggerle e valutarle in piena autonomia. Dunque non ho nessun obbligo di riprodurle «fedelmente». Mi sono assunto, invece, la responsabilità di contrastarle; e di contrastare te, che le difendi in modi mascherati invece che chiari.

    Nell’intervista, è vero, Ceronetti non dice che « altre culture sono inferiori perché non derivate dal latino». Lo deduco io. E lo sostengo con un buon grado di probabilità. Non so se si sia mai pronunciato in merito in altre occasioni, ma le altre culture poco interessano uno così preso dal suo ideologico attaccamento ad un latino, «”vero padre della patria”, della patria Italia, evidentemente».

    Si occupa «dei perdenti»? E le vittime delle Fosse Ardeatine non erano forse *perdenti*? (Della vita,addirittura). Non ci spende una parola. Ma è soprattutto il come se ne occupa che ho trovato inaccettabile. E ho spiegato il perché: « è comprensivo verso Priebke (« è sempre stato un essere umano») ma non ce la fa né a comprendere né a vedere umanità anche nella « folla che prende a calci la sua bara» ( qualche motivo ci sarà stato o no?)».

    Metteva poi nello stesso mucchio Hitler, Lenin e Stalin come la Arendt, la quale su esperienze storiche varie e contrastanti mise con successo l’equivoco concetto-tappo del *totalitarismo*? Sbagliavano in due. E su *questo* anche la Arendt era, sì, reazionaria. (Come lo può essere in *precisi punti* delle sue opere anche la rivoluzionaria Simone Weil).

    Torno al termine «reazionario». Ne difendo – sempre in questo caso – l’uso *soggettivo* (che non vuol dire arbitrario o capriccioso). Per me e per il passo citato di Fortini. Potrei anche definire Ceronetti con altri aggettivi: scettico, nichilista, cripto-destro, nicodemista, ignavo, apota (alla Prezzolini). Ma cosa cambierebbe? Le sue dichiarazioni suscitano irritazione, antipatia, fastidio. Certo, in me e in molti che, come me, difendono *criticamente* una certa tradizione di pensiero illuministico-comunista- internazionalista. Mai potranno darmi sentimenti opposti o convincermi ad ammorbidire il mio giudizio. L’etichetta «reazionario» (o altra affine) non è, dunque, una definizione scientifica. Non stiamo parlando di fisica. É, appunto, «culturale». Segnala – ma con una certa precisione e con una certa fiducia di farmi intendere da quelli a cui mi rivolgo – la mia distanza e il mio contrasto (incolmabile, per ora almeno) con Ceronetti e la sua (e la tua) visione del mondo.

    Del resto tu come lo (e ti) definiresti? Da quale tradizioni pensi che venisse e a che scopi l’ha usata? E tu per quali scopi ti senti di usare « vecchi arnesi come la filologia e le fedi» e collocarti, con Ceronetti, «sui tempi lunghi», rimproverandomi l’ uso dei “vecchi arnesi” dell’illuminismo e del marxismo o la limitatezza della mia riflessione «a uno spazio diciamo di cento anni? Eviti il problema, lasci tutto in sospeso e preferisci fare le pulci a Samizdat e a me. Cosa del resto ormai abituale e che ritengo legittima. Perché l’irritazione, l’antipatia, il fastidio tu, invece che per Ceronetti, le provi per la mia «linea illuminismo-comunismo», che definisci ideologica e astratta. Dici di non apprezzare queste «contrapposizioni con etichette» ma di fatto ti contrapponi. Ed è inevitabile. Solo che tu – da furbina o da calcolatrice – non ci metti le tue etichette e ti limiti a rodere quella che ho usato io. Ma il contrasto resta. E non lo si può eludere.

    Ciò detto, rilevate le distanze e le pochissime vicinanze con Ceronetti (nell’intervista ne ho trovate solo due: l’accenno a Cesare Pavese e alla convivenza con Erica Tedeschi), non mi pare che usare il termine «reazionario» significhi svalutazione di Ceronetti e dei «pensieri che non appartengono al mainstream dell’illuminismo-comunismo». Ho l’esigenza di contrastare – da singolo o insieme ad altri- dichiarazioni e modi di pensare, che non solo non attendono da me (che scrivo su Poliscritture e non sul Corriere della sera) la loro « autonomia» per potersi manifestare, ma impongono una loro crescente e preoccupante egemonia anche tra quanti in passato sono stati sfiorati dal pensiero illuministico- comunista. A loro mi rivolgo non a te.

  4. * lo definirei “misantropo” e “tradizionalista”;
    * non mi preoccuperei di chi eventualmente subisca la “loro” (?) egemonia passando così, dal pensiero illuministico-comunista a posizioni conservatrici o millenniarie, nel senso che se uno arriva a leggere Ceronetti (ci vuole impegno psicologico, io non lo ho mai frequentato con serietà) è anche capace di autodeterminarsi nelle scelte;
    * su Priebke e le vittime delle fosse ardeatine: non si mette in scena una battaglia ideologica tra un vivo e i morti! era del vivo che scriveva, no? vuoi dire che facendo così svalutava i morti? esprime dubbi sull’attentato di via Rasella, come sai lo fanno in molti, di solito a destra; io? io credo che in guerra si facciano azioni di guerra;
    * ho riportato i tuoi sette punti perché non dovesse avvenire che credessi di essere stato frainteso: sono stata corretta, no?
    * la mia visione del mondo, di femminista radicale, e senza fede, NON è quella di Ceronetti, possibile che non te ne sia mai accorto?
    *i vecchi arnesi sono quelli che interessano me, il tuo contesto del moderno-progressista invece lo “critico”;
    * come al solito non ti freni dagli insulti: mi accusi della solita ipocrisia viperina “le difendi in modi mascherati” e poi “furbina e calcolatrice”. Ma no, sono francamente polemica e oppositrice, i calcoli li lascio a… scegli pure chi altro non è d’accordo con te, magari senza livore.
    Tu usi la diminutio (furb-“ina”); io non scriverei “mai potranno darmi sentimenti opposti o convincermi ad ammorbidire il mio giudizio”, perché il mio giudizio è aporetico, anche scettico, e per questo preferisco misurarlo su tempi lunghi invece di sposare la tua tradizione definita (e non realizzata, santodio!). E, in questo hai ragione, sento affinità con chi vuole fondarsi sui tempi lunghi, Ceronetti non è certo il solo, in generale la filosofia lo fa.

  5. La Fischer afferma che la “…linea illuminismo-comunismo (…) Mostra anche, proprio oggi al presente, per me (non come singola, ma in ampia e differenziata compagnia), un suo aspetto ideologico e astratto quando nega un approccio concreto, sociologico e economico, all’immigrazione, e quando sostiene un internazionalismo che è però solo il globalismo del capitalismo finanziario.” E quale sarebbe l’approccio concreto? quello del governo e di Salvini? Si certamente è concreto: gli immigrati? mandiamoli via con le buone o con le cattive e chi se ne frega delle ragioni per cui si mettono in viaggio. E soprattutto difendiamo privilegi e sfruttamento economico di una parte del mondo (la nostra) sull’altra.
    Non ti piace la parola reazionario per definire chi da sinistra sostiene la politica della patria sovrana? Per me non è una questione di termini: diciamo semplicemente che da sinistra questa politica è semplicemente irricevibile, senza se e senza ma.
    Quali sono poi questi vincoli economici “concreti” da te evocati da non essere invece soggetti a discussione, terreno di scelte alternative tra loro? Chi li decide, te? Dunque la sinistra non dovrebbe più sostenere una idea di solidarietà generale ma riconoscere invece “concretamente” il diritto di ogni paese di opprimere, uccidere, imprigionare, sfruttare, inquinare, aggredire senza alcuna regola? Che poi è quello che “concretamente” avviene dagli USA con i suoi muri, in Ungheria con il ducetto Orban e ora anche in Italia? Se non si riconosce ad ogni persona il diritto alla piena realizzazione sociale e economica (il pane e le rose…) con te e questa linea concreta, non c’è proprio un terreno comune di discussione.
    La vera emergenza oggi non è l’immigrazione, certamente non lo è in Italia numeri alla mano ma continuano ad essere l’ambiente ed il lavoro e senza un pensiero critico globale e anche istituzioni internazionali è impossibile semplicemente anche solo immaginare di risolverle.

    1. @ Luca Chiarei
      “E quale sarebbe l’approccio concreto?” No, non te lo dico io quale potrebbe essere, se vuoi trovi discussioni di ogni genere dappertutto.
      Tu sostieni le emergenze “l’ambiente ed il lavoro”, d’altra parte “senza un pensiero critico globale e anche istituzioni internazionali è impossibile semplicemente anche solo immaginare di risolverle”.
      Ma istituzioni internazionali e pensiero critico globale non sono sottomano, quindi non ti resta che tuonare e scagliarti dichiarando irricevibile tutto ciò che è meno elevato delle tue nobilissime ma generalissime posizioni: “il diritto alla piena realizzazione sociale e economica (il pane e le rose…)”.
      Naturalmente chiunque abbia in mente le soluzioni differenziate e concrete, che ti rifiuti di considerare, (non parlo di me che sono ormai una notoria fascista e razzista con le orecchie a punta e la coda pelosa) si arroga solo il diritto di “opprimere, uccidere, imprigionare, sfruttare, inquinare, aggredire senza alcuna regola”. Tutti, tutti fascisti, da te in giù, vabbe’.

  6. SEGNALAZIONE

    Pur con le mie riserve sulle posizioni di Carlo Galli (le riprendo qui sotto da “Poliscritture FB” *), credo che questa sua lezione vada ascoltata e studiata e dia una cornice per capire meglio anche questo post su Ceronetti.

    https://www.facebook.com/92505448987/videos/482315058910311/

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    *

    RISPOLVERARE IL VECCHIO PCI “SOVRANISTA”?

    Gira su FB questa intervista del politologo Carlo Galli (https://www.huffingtonpost.it/…/il-pci-oggi-verrebbe-defin…/)

    Mio commento:

    Avendo avuto già modo di commentare su altra bacheca FB questa intervista, riporto anche qui le mie obiezioni, sperando in altri possibili approfondimenti.

    ” Anche perché la costruzione della sovranità è uno dei processi più distruttivi della storia umana. Le sovranità degli stati si sono formate nel sangue della guerra civile o nel furore delle rivoluzioni. Mai una sovranità è nata perché qualcuno intorno a un tavolo ha trasferito pacificamente a un soggetto terzo il diritto di tassare, di formare un esercito, detenere il monopolio della violenza, individuare gli interessi strategici di una comunità.” (Galli)

    Ma se “le sovranità degli stati si sono formate nel sangue della guerra civile o nel furore delle rivoluzioni”, perché scegliere (lavorare per) la sovranità dello stato e non per le possibili rivoluzioni?
    Mi si dirà che nessuna rivoluzione è «in campo»; e che dobbiamo pensare a rifare «la sinistra non-capitalista (non dico “anti”, ma almeno non acriticamente ‘pro’».
    E a me viene da pensare: basterà?
    Non abbiamo di fronte un capitalismo più “rivoluzionario” (per fini suoi) di quel che si pensava o si pensi?
    La risposta da costruire non deve tener conto fino in fondo della sua potenza? E la “nostra”debolezza non deve in qualche modo essere costretta a misurarsi con *quella*, proprio *quella*. Potenza, invece di accontentarsi del modello passato proposto da Galli. Che, secondo me, è il vecchio PCI che “correggeva” il capitalismo. Ed infatti scrive: «Il capitalismo, lasciato a se stesso, tende a distruggere la società. Compito della politica è costringerlo ad adattarsi alle esigenze della democrazia, regolandolo, mettendo dei limiti, tutelando gli interessi dei suoi cittadini, lasciando che il conflitto sociale si manifesti ».
    Voglio anche ricordare che l’attuale dibattito avviene con troppi paraocchi: una parte della “nostra” storia è messa da parte. Perché sconfitta. Perché “inattuale”. Perché sconosciuta ai giovani. Perché “pericolosa”. Solo per questo Carlo Galli può rispolvera reil “sovranismo” del PCI per legittimare quello “di sinistra” che starebbe per “sbocciare”. E con una doppiezza di antica tradizione scrive: “E se, a volte, la destra si spinge ad accusare il capitalismo finanziario, non giunge mai a una critica che i comunisti italiani opposero alla Nato e, per molti anni, al Mercato comune europeo.”. Verrebbe da chiedere: perché, a differenza della destra, la “critica che i comunisti italiani opposero alla Nato e, per molti anni, al Mercato comune europeo” giungeva fino ad “una critica del capitalismo in quanto tale»?

  7. SEGNALAZIONE

    NECROLOGIA
    di UGO ROSA
    https://www.glistatigenerali.com/costumi-sociali_media/necrologia/

    Stralcio:

    Ciò che oggi colpisce (ma senza stupire, visto che si tratta di routine) è il pullulare dei necrologi commossi e commoventi scritti da chi ama credere d’essere, anche lui, un erudito magico.

    Mi rendo conto che le cose “funzionano” così e non altrimenti.

    A me però, che sono solo un modestissimo sabotatore (nulla di più lontano dalla erudizione, magica o meno) i necrologi stanno sui coglioni.

    Perciò, per toglierceli, li scrivo prima e mi porto avanti col lavoro.

    Questo infatti è addirittura del 2011.

    Mi auguro (ma senza sperarci) che questo mi eviti il prevedibilissimo sbranamento da parte del branco, spero sparuto, degli eruditi magici.

    “Ciò che dell’odierna stronzaggine mette davvero paura è l’aria intelligente.

    Quando si arriva alla stronzata con attestato ufficiale di genialità siamo all’orrore puro.

    Di stronzi geniali il mondo, in verità, è pieno ma credo di poter dire che nessun altro paese ne pullula come l’Italia. Basta sfogliare le pagine di un quotidiano per vederli affiorare, brillanti, paludati, spesso forniti di attestazioni accademiche di prim’ordine, tronfi di bibliografie.

    Eccone un esempio:

    http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8579&ID_sezione=&sezione=

    Anche le date sono interessanti: è stato pubblicato, questo frutto del genio italiano, proprio il giorno prima che a Lampedusa crepasse qualche altro centinaio di migranti.

    1. Questo signor Rosa, in verità più propriamente appellabile Nero, solo vomita livore. Poteva anche fare a meno di scrivere, e altri di pubblic(izz)arlo, costringendo qualcuno a leggerlo. Se è vero che, come dice, ha scritto questo nell’11 preparava già allora il clima fosco di oggi, in cui stiamo vivendo.
      Curioso come nella foga di scagliarsi contro il morto Ceronetti di oggi, non si accorga neppure della consonante di lui condanna dei leghisti di ieri: “E la soluzione del governo, dominato dai vantoni celoduristi della Lega, e promossa dal loro stesso ministro dell’Interno, è sconcertante: lo sparpagliamento lungo tutta la penisola della promettente piena umana in arrivo mediante una flotta di mezzi navali” (dall’articolo sulla Stampa citato).

  8. IN MORTE DI UN REZIONARIO

    Di fronte alla proliferazione di appendici, divaricazioni, licenze anche verbali, intrusioni di temi generalissimi ho pensato bene di astenermi dall’appesantire una discussione che è già per molti versi pesante. C’è in essi troppa carne al fuoco. Cosa mi resta da dire ? Di Ceronetti conoscevo solo il suo amore per il teatro delle marionette e se ciò ha significato un pensiero sulla natura di esso quale archetipo del linguaggio teatrale, condivido. Non ho seguito né la sua poesia ( pur avendo nella mia libreria un suo intonso volume ) né il suo pensiero politico. Le affermazioni di C. riportate da Ennio – sulla cui autenticità non ho motivi di dubbio – mi sembrano irricevibili. Non le riporterei però tutte ad una scelta di campo di tipo schiettamente politico ( da cui il giudizio totalizzante di reazionario ) .Le meno pesanti possono ricondurre ad un generico stato di “ disagio della civiltà “. O almeno così mi pare.
    Le conclusioni di Ennio – e il testo di Fortini ( che mi sembra però rancoroso e, nelle affermazioni finali, un po’ confuso ) suonano come una sorta di “ resa dei conti “ che è privo di ogni pietà nei confronti di un morto. In fondo Ennio Abate ha imbastito un “ necrologio alla rovescia “ mettendo in luce il peggio del defunto così come quelli dei giornali mettono in luce le doti migliori fingendo che esse esistano davvero.
    Giorgio Mannacio

  9. @Ennio
    Mi è rimasta nella tastiera, una osservazione da farti. Scrivi testualmente : “ Cosa serve il Latino ? Serve a distinguere un uomo che ha studiato il Latino da chi non ne sa nulla”. Mi pare un vero e proprio “ appiattimento “ della cultura . O se preferisci: delle conoscenze. Lo si può applicare a tutte queste ? Ammetto che per il Latino la questione è più sottile ma i termini di essa sono identici. Ad esempio si può dire che i vaccini sono inutili o addirittura dannosi. Anche la Storia può essere oggetto di conoscenza e della Storia fa parte anche la lingua . U saluto.
    Giorgio

    1. Caro Giorgio,
      rispondo dei miei “appiattimenti” non di quelli altrui! L’obiezione che fai va rivolta proprio a Ceronetti, perché è sua. Vedi intervista:

      “Lei ha tradotto Marziale, Catullo, Giovenale: che pensa della sempre minor fortuna dei licei classici?

      È un disastro identitario e quindi politico. Ecco, se c’è una differenza tra la classe dirigente del secolo scorso e questa, è che l’altra aveva una base di latino. Questa non ha niente e perciò ha le chiappe scoperte. Se non hai come base il latino, quel che dici in italiano difficilmente contiene verità. È un disastro identitario e quindi politico. Ecco, se c’è una differenza tra la classe dirigente del secolo scorso e questa, è che l’altra aveva una base di latino. Questa non ha niente e perciò ha le chiappe scoperte. Se non hai come base il latino, quel che dici in italiano difficilmente contiene verità. Alla domanda “a cosa serve il latino?”, posso rispondere che serve a distinguere un uomo che ha studiato il latino da uno che non ne sa niente. Latino è il vero padre della patria. Purtroppo essendo destinato – anche per colpa gravissima della Chiesa che lo ha cancellato dai riti- a sparire del tutto, siamo in piena tragedia identitaria.”

      (https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/09/13/guido-ceronetti-morto-ripubblichiamo-la-sua-ultima-intervista-al-fatto-sono-un-patriota-orfano-di-patria-italia-regno-della-menzogna/4623553/)

  10. Caro Ennio, la struttura formale del tuo pezzo – la provenienza di esso era Samizdat e il resto era tra parentesi e con virgolette che non ho visto – mi ha indotto nell’errore di cui mi scuso . Sono contento per te e scontento per Ceronetti. Ovviamente aggiungo la sua affermazione alle altre che non condivido. . Per una sorta di eterogenesi dei fini il mio errore conferma – credo – la fondatezza della mia opinione. Buona serata. Giorgio

  11. Reazionario? Se mai geniale eccentrico. (mi ricordava Celine, talvolta)
    Lo conobbi personalmente nel 1972… ospiti in casa sua (abitava in un paese del Castelli romani, allora) per noi allievi di Ripellino (lo slavista ci presentò a lui; so che lo aiutò agli inizi e questo significava che lo stimava tanto) imbastì d’un tratto uno spettacolo di marionette… soltanto per noi… poi lo rividi in più occasioni… si parlò tantissimo di traduzioni e di autori – appunto – eccentrici e difficili da classificare: per questo odiava le classificazioni, le facili eichette, gli schemi, i sistemi d’ogni natura, insomma le prigioni interiori: mi vanto di averl letto quasi tutto quanto da lui pubblicato: intanto bisognava possedere una cultura “alta e profonda”, ecc.
    Ero in grande sintonia poetica e artistica con Ceronetti (forse per taluno significa che sono reazionario? Nulla di più banale! – Lo sono certo in POESIA, cioè contro una poesia dozzinale e senza storia da oltre 50 anni!
    La mia credo che abbia una Historia.
    Intanto saluto caramente Giorgio e la signora Fischer, e ora godetevi i miei versi, e chissà cosa diranno dopo di me, se diranno qualcosa è meglio non dire nulla!
    A. S.

    ————————————————–
    Me ne fotto!

    Non ho mai incrociato una fede umana o divina con un pianto di legno nella Casa,
    – sul pianerottolo una marionetta gioca con la testa di Maria Stuarda.
    Ha di gelatina gli occhi e non lacrime vomita, ma trucioli e colla di coniglio!
    Il lutto non s’addice ai Cesari e alle stelle… Gesti, gesti a me! Soccorrete le mie mani!

    Ma io che faccio qui o altrove se il boia non ha un nobile rancore sulla lingua
    e mescolare non sa con l’accetta dell’attesa e dell’accidia un colore di Turner.
    Il Nulla azzera i giudizi sui patiboli, e il resto di un delirio è nello specchio.
    E dov’era vissuto il mio corpo quando offriva sangue alla sua ombra?

    Sono rose nere queste quotidianità, ma non sono le mie rose!
    E come posso rifiutare un destino che ad ogni sua domanda mi risveglia?
    Io sono esente per grazia umana, e nella mia parola non c’è risposta!
    E non ho l’acrimonia del vivere, solo voglio esserci quando accadrà.

    Svegliatemi dopo la mia immortalità! La pantomima è piena
    di vento nelle apocalissi, negli incendi e nelle distruzioni! – i tre profeti
    farfugliano : Scusi – lei – sente – molto – la – nostra – differenza?
    La confessione è un’arma terrificante… il Poeta: io me ne fotto!

    antonio sagredo

    Roma, 29 ottobre 2011

    —————————————

  12. “Reazionario? Se mai geniale eccentrico. (mi ricordava Céline, talvolta)”. (Sagredo)

    Ma quale reazionario non è “un geniale eccentrico”? Non era eccentrico Mussolini? Non lo era Hitler? E Stalin forse era meno eccentrico? O eccentrici sono solo alcuni scrittori, come Céline o Balzac, che pure un reazionario fu?
    E poi se un geniale eccentrico ( che per me resta reazionario, anche se gli riconoscessi genialità ed eccentricità) è addirittura amichevole, stimava ed appoggiava Ripellino, vuol dire che bisogna lasciar correre tutte le cose politicamente oscene (per me) che ha detto nell’intervista?
    Non sono mai stato d’accordo su questa messa tra parentesi degli aspetti nichilisti e appunto reazionari dei grandi scrittori o grandi personaggi.
    No, io “non me ne fotto”. Io scavo nelle figure dei “grandi eccentrici” e voglio sapere di che lagrime (e a volte di che sangue) grondano anche le loro opere. Non ci si inchina o ci si azzittisce neppure di fronte ai veri geni.

    1. Credo di aggiungere qualche scheggia utile alla composizione di un ritratto ‘liquido’ come quello che si sta tentando di Ceronetti, ma in che senso liquido?
      Liquido nel senso di quello stato fisico, o di aggregazione, della materia che pur presentando un volume proprio esso assume sempre la forma del recipiente che lo contiene. Peraltro in questo articolo su certi pensieri di Ceronetti emerge a un certo punto una concezione dei ‘meridionali’ cui non era fin qui giunto nessun antimeridionale…
      Nel complesso, credo che Samizdat-Ennio Abate abbia ragione su ogni fronte…
      Gino Rago

      da “minimaetmoralia” del 2016

      “Intanto, sembra difficile che Guido Ceronetti abbia dedicato “trenta e più anni di saltuaria stesura” a Per le strade della Vergine, perché questo diario comincia nel gennaio del 1988 e siamo al 2016, no? Poi, da Ceronetti ci si può aspettare di tutto, anche che lui, le sue giornate, sappia descriverle in anticipo, che il suo passaggio terrestre sia una profezia che non può che auto-avverarsi, eh.

      È anche vero, però, che ciò che possiamo aspettarci non è altro che l’usuale e minuzioso ricamo a filo nero che, da decenni, egli va depositando attorno a noi – mai creduto che la variabilità sia indice di chissà che, se non della noia di sé dell’autore, a volte. Perciò, ben venga il solito Ceronetti, che affida alla carta una decina d’anni della propria vita, fino all’aprile del 1998.

      Pagine un po’ faticose, queste, di carattere paratattico e nominale, nelle quali si avverte, più che nelle altre, numerose opere dell’autore, qualche rischio di maniera: i tempi di Albergo Italia sono lontani (anche se non così tanto, se si pensa al contenuto del diario e non alla presente pubblicazione), e non è nemmeno un viaggio, questo, quanto una fuga. Chi non viene voglia di continuare a incontrare, però,lungo tutti questi pellegrinaggi, finisce per esserelo stesso Ceronetti, al quale, spesso, basta nominare, affinché sul creato visibile si estenda lo schifo, quel sentimento salvifico che differenzierebbe l’autore dalla legione degli insensibili: “L’unico segreto che degli altri arriviamo a penetrare un poco è il vuoto che hanno in testa, la loro assenza dal pensiero, la loro orfanezza di consistenza mentale”.

      Una fuga in Italia, dall’Italia: “Roma, dirne tutto il peggio che si può è ancora poco. Ormai tutti sentono il peso del mostro sul respiro. Appena messo piede, voglia di fuggirne e di non tornarci più”. Altro giro, altra città: “Una vera orripilazione, non goyesca, di merda, è Firenze, sudicia oltre ogni limite, di turismo, di droga, di piombo, di rumore, una brutta bestia chimerica urbana di fango putrido da cui emergono incongrue cupole”.

      Quello di Ceronetti è un Paese dal quale si vuole e non si può scappare, e scendere al Sud non fa da tregua, anzi: “Uscire da Firenze come da una galera. (Viaggio orrendo, tutto occupato da barbari meridionali, nessuno che mi ceda il posto neppure per qualche minuto, popoli senza civiltà, egoisti lerci). Il Sud: la massima riserva nazionale di disumanizzazione giovanile, la maggiore industria nazionale della Vittima”.

      Il fatto è che questo schifo è piuttosto facile, o lo è diventato, si è facilitato, nel corso dei decenni, e scatta così, senza tentennamenti, in automatico: “Liceo M. di Roma. Ora di uscita. Umanità già segnata dal nulla…”. A quanti è capitato di pensarlo, osservando le generazioni successive alla propria…“Ragazzi dei due sessi con le teste rase, o semirase, scatole vuote in movimento. Con quel che li aspetta, il nulla endocranico è la migliore difesa. Chi dentro ha qualcosa si spezzerà prima. Un generico barlume è già vulnerabilità, debolezza, via d’entrata del morso della tenebra”. Tutto molto vero, o molto falso – la variazione dovrebbe dipendere da chi la sorte ci mette davanti –, tutto molto facile, addirittura gratuito. “Da loro usciva una specie di urlìo fetido, bocche come fenditure di un suolo marcio”: viene quasi la curiosità di andare a interrogare i ragazzi, per ribaltare l’accusa e permettere anche a loro di esprimere, con pari creatività d’immagini, la loro opinione su Ceronetti, quei ragazzi che “ridono senza ragione, freneticamente, hanno sguardi di ubriachi. È come passeggiare nel cortile di un istituto per deficienti”.

      Di nuovo, innumerevoli saranno state le volte in cui ci siamo trovati a condividere osservazioni del genere: “È sera di sabato, tutto fermenta orribilmente, bande di giovani senza volto né gangheri, le loro voci sono peggio dei motori e dei clacson, incessantemente il buio vomita facce su facce senza realtà umana… lemuri…”. Poi, però, abbiamo resistito e non abbiamo scritto un rigo.

      Forse, una forma più severa aiuterebbe, perché il salto ininterrotto dall’appunto quotidiano all’aforisma definitivo rende la lettura un tour de force estenuante e poco remunerativo, e permetterebbe anche di superare la sensazione della sopravvenuta indistinguibilità dei libri di Ceronetti, il cui protagonista è così di successo che non può che funzionare, sempre, di fronte a qualsiasi epifenomeno della Caduta. Optare per la forma dell’aforisma e lasciar perdere il diario?

      In tal caso, bisognerà produrre sentenze un po’ più appuntite di questa, però: “Quel che c’è di più prospero, nella società del benessere, è il malessere”. Diversamente, si viene a perdere ogni pretesa conoscitiva, tanto che tutto sembra lo stesso, ogni volto un muso, la corsa di un bambino il trascinarsi di un malato.

      “Mi vedo riflesso nella vita idiota degli altri e mi vergogno da non poterne più. È vergogna vivere in questo modo, mangiare e crepare, guadagnare denaro e spenderlo, e peggio di tutto procreare. Sono felice di non aver avuto figli, li avrei visti sguazzare in una simile miseria di vita”: Ceronetti dovrebbe rendersi conto che, così, è esposto alla possibilità di essere imitato, quando non sbeffeggiato, perché quello che apparecchia è un meccanismo a vincere del quale l’unico padrone è lui, che ha inevitabilmente ragione, che tiene il banco delle scommesse sul peggio, requisendo tutta la posta in gioco, ogni volta.

      Il mondo non può che rispondere al nostro schifo con il proprio, come a comando, di fronte a uno sguardo tanto impietoso. Peccato che il giudizio personale non sia quello universale e che càpiti di notare che certe clemenze nei confronti di sé stessi non vengano, poi, elargite ed estese. Il giudice implacabile sembra, alla fine, uno che non perdona agli altri quelle colpe che, con minor scrupolo, non nota nei propri comportamenti: prima, nella passeggiata, avverte “odori di urina fortissimi”, cioè il prodotto dell’aggirarsi di quegli umani nauseabondi, ma bastano ventotto pagine e piscia, proprio lui, “contro un uscio, amichevolmente”, e non sarà l’unica volta – ecco, la nostra voglia di fare conoscenza con il proprietario di quell’uscio e di verificare la reciproca amicizia. Che succederebbe a Ceronetti, se incontrasse un altro Ceronetti? Come farebbero a riconoscersi, nel caso e nel caos umano?

      Un certo tono canagliesco sarebbe anche simpatico, se non andasse a darsi sfogo con chi il tempo presente si è già premurato di rimuovere dal proprio orizzonte culturale, perché inservibile e non riducibile al medio canone e che così viene salutato: “Moravia nei necrologi: giudicato maestro, educatore incomparabile, sommo artista, sommità in tutto. Mancava di genio, di stile, di pensiero, di pudore, di simpatia umana, era anche brutto”.

      Sorprenderà colui che si fermi di fronte al motteggiare ceronettiano il suo antileopardismo: “pesante armatura medioevale, lingua con polvere di secoli…”, quella del recanatese, il quale “ha cessato di fare luce. Ci sono poeti che si esauriscono come pile elettriche. È una poesia che non possiamo più utilizzare perché troppa povera di mistero, di energia magica. È un illuminista, dunque non illuminato”. (Quanti dubbi restano sull’illuminismo di Leopardi, nonostante una tale assertività? Tanti). Io vedo il rispetto del copione, invece: (uno come) Cioran è funzionale al disegno ceronettiano, ma Leopardi è renitente a qualsiasi stilizzazione e non va bene, di lui non fa che restare “fuori” qualcosa, qualcosa che non si presta e non si piega alla riduzione. Se uno volesse “ceronettizzare” le Operette morali, resterebbe fuori l’Elogio degli uccelli, per esempio, che non permette la creazione di un personaggio a tutto tondo, una commercializzazione letteraria priva di spigoli.

      “La fondamentale spietatezza e ottusità delle donne si rivela nella mancanza di rimorsi per aver partorito esseri umani. Di tutto arrivano a pentirsi, di questo mai”: ma sarà il caso di prendere sul serio Ceronetti, di farlo sempre? I frequentissimi incontri e appuntamenti femminili di questi dieci anni, e l’intenerimento conseguente, in che rapporto stanno con aforismi del genere? Le donne che curano Ceronetti di dove hanno tratto la propria eccezionalità? Le vezzeggiate Laurina, Chiarina… Chi sono e chi è che muove queste angeliche guaritrici? Che cosa, insomma, se non la ricerca del tonfo, dello scoppio, regola il ritmo invincibile del calamaio dell’autore? E non è questa una logica mediatica altrettanto deprecabile di quella televisiva, se dà luogo a un’umanità amputata delle proprie (vane)speranze, perché il personaggio che si è voluto stilizzare non è in grado di riceverle e mostrarle?

      Ah: il libro è quasi un capolavoro, certo, se ci si mette a raschiare e si lasciano in campo le sole forze che hanno la meglio e la peggio, il cancro e la vita futura, se si rintraccia la storia di Guido e di Michèle e si bada a loro due, ai segni evidenti della vittoria del tumore, a quelli più timidi della resistenza dell’amore e del dolore, quando Ceronetti lascia perdere sé stesso per un po’, e si dedica all’unica sconfitta che conta, non quella di una civiltà, ma quella di un uomo e di una donna.

      Paolo Bonari

  13. Caro Ennio, ma perché t’impenni subito?
    tutto sommato l’ho stimolata io questa discussione. E che cosa c’entrano i dittatori sanguinari (che non erano affatto eccentrici) con Ceronetti, che sarebbe stato una loro vittima di certo.

  14. Caro Antonio,
    credo di aver motivato abbondantemente in questo post nel contrappunto Ceronetti/Samizdat le *ragioni puntuali* (testo alla mano) del perché “m’impenno”. Contrasto Ceronetti in quanto *figura* di un certo tipo di scrittore/intellettuale. Combatto non tanto lui personalmente (di cui so poco) ma la maschera dell’esteta nichilista che indossa e nella quale si riconoscono in tanti. No, non credo che sarebbe stato vittima di qualche dittatore (nero o rosso a piacere) perché il suo disprezzo era tutto indirizzato *in basso*, come si vede bene anche dal testo proposto da Rago.

  15. DA POLISCRITTURE FB A POLISCRITTURE SITO

    APPUNTI POLITICI/COLLEGAMENTI

    1.
    Nella discussione su Ceronetti rispondendo in un commento a Cristiana Fischer (https://www.poliscritture.it/…/…/in-morte-di-un-reazionario/…) ho scritto:
    «Ciò detto, rilevate le distanze e le pochissime vicinanze con Ceronetti (nell’intervista ne ho trovate solo due: l’accenno a Cesare Pavese e alla convivenza con Erica Tedeschi), non mi pare che usare il termine «reazionario» significhi svalutazione di Ceronetti e dei «pensieri che non appartengono al mainstream dell’illuminismo-comunismo». Ho l’esigenza di contrastare – da singolo o insieme ad altri- dichiarazioni e modi di pensare, che non solo non attendono da me (che scrivo su Poliscritture e non sul Corriere della sera) la loro « autonomia» per potersi manifestare, ma impongono una loro crescente e preoccupante egemonia anche tra quanti in passato sono stati sfiorati dal pensiero illuministico- comunista. A loro mi rivolgo non a te.»

    2.
    E avevo segnalato approvando (22 sett. 2018) l’intervento di Marco Bascetta (qui: https://www.facebook.com/groups/1632439070340925/permalink/2213182888933204/) che, tra l’altro, diceva:
    « Il discorso della sovranità nazionale è totalmente egemonizzato dalla destra.
    Non è un caso: è il discorso che le è più proprio e congeniale, pensare di sottrarglielo è impresa vana. Esorcizzare questa realtà sventolando la Costituzione ha lo stesso effetto di agitare il crocifisso per scacciare un vampiro laico.
    Il potere statuale nazionale non è mai stato un argine al processo di accumulazione del capitale».

    3.

    Segnalo oggi – ancora condividendo il taglio “contro” ma con meno certezze dell’autore su « un futuro di progresso civile e di emancipazione sociale» e sulla possibilità ( da parte di chi?) di portare avanti un discorso di « storicizzazione dei gravi limiti e degli errori della pianificazione sovietica» – questo articolo di Emiliano Brancaccio (http://brancaccio.blogautore.espresso.repubblica.it/…/cont…/) che, a suo modo, è su questa linea critica antisovranista e attenta ai *rischi* di « un’egemonia culturale di stampo neofascista»:

    Stralci:

    1.

    Sebbene in forma blanda e mimetizzata, oggi il virus fascista è di nuovo attivo, la sua influenza sulle azioni di alcuni governi è già un dato di fatto.
    Ovviamente non stiamo ancora parlando di un fascismo che si fa regime. Ma se qualcuno azzardasse che già ora stiamo rischiando un’egemonia culturale di stampo neofascista, ebbene io non lo troverei assurdo.
    Per adesso, nelle arene politiche circolano solo emulazioni grottesche e persino un po’ ridicole, ma forme surrettizie di fascismo stanno realmente fiorendo e sembrano destinate a guadagnare forza ad ogni successiva crisi economica.

    2.
    la tesi che cerco di sostenere da tempo è che i liberali non sono semplicemente colpevoli di minimizzare il fenomeno fascista. I liberali, con le loro politiche economiche di “laissez faire”, sono la causa principale del revival fascista del nostro tempo.
    L’anno scorso, intervistato dall’Espresso, sostenni che al secondo turno delle elezioni presidenziali francesi non avrei votato nessuno: cioè, non avrei votato Macron per cercare di contrastare l’avanzata della Le Pen. Dichiarai che se fossi stato francese non avrei votato il delfino del più retrivo “laissez faire” finanziario per tentare di bloccare l’ascesa della signora fascista all’Eliseo.
    Quella intervista fece discutere. Venni criticato da molti esponenti della sinistra, anche della cosiddetta sinistra radicale. Alcuni sostennero che il Brancaccio astensionista aveva torto, mentre il Varoufakis che appoggiava Macron aveva ragione.
    Ebbene, oggi decisamente confermo la mia posizione di allora. Questo non solo perché Macron ha rivelato una chiara istanza di emulazione delle destre reazionarie in molte materie: dagli immigrati, alla sicurezza, alla gestione del conflitto sociale, a una lettura nazionalista dello scontro in Europa. Ma più in generale, io confermo quella mia scelta perché votare il cosiddetto “meno peggio” è oggi più che mai sbagliato: il “meno peggio” di oggi rappresenta la causa scatenante del “peggio” di domani.

    3.
    oggi bisognerebbe hegelianamente comprendere che la bruta reazione sovranista e fascistoide di questi tempi è figlia indesiderata del liberismo globalista degli anni passati.
    Il fascismo, cioè, come eterogenesi dei fini del liberalismo.
    Se comprendiamo questa fondamentale relazione di causa ed effetto, capiremo anche perché gli appelli di Massimo Cacciari e di altri, molto propagandati dalla stampa liberale di sinistra, appelli per organizzare per le prossime elezioni europee un grosso accrocco antifascista, che vada da Macron fino a Tsipras, questi appelli rappresentano un assurdo della logica politica.
    Sono appelli sbagliati, perché l’antifascismo liberista e deflazionista di Macron e dei suoi epigoni è un ossimoro, è una contraddizione in termini. E’ un’ipocrisia politica ed è un fallimento annunciato.
    Se vogliamo fare i conti con l’onda nera di stampo neofascista che affiora all’orizzonte, allora dobbiamo prima logicamente fare i conti con le politiche economiche dei liberali, che hanno alimentato quell’onda funesta.
    Questo è un punto importante, perché la tentazione di accodarsi ancora una volta ai liberali incapaci di qualsiasi revisione critica, è una tentazione forte e diffusa. Ed è sbagliata.

    4.
    Ma c’è anche un’altra tentazione di accodarsi, persino più perniciosa.
    E’ la tentazione, che si diffonde anche tra le file della cosiddetta sinistra radicale, di scimmiottare maldestramente le destre sovraniste e reazionarie nei loro più neri propositi.
    Io sono al tempo stesso politicamente inorridito e scientificamente affascinato dalla mostruosa trasformazione, degna del Dottor Jekyll di Stevenson, che alcuni ex compagni hanno subito in questi anni.
    Ex compagni che oggi prendono gli immigrati come capro espiatorio di ogni male economico e che prendono le distanze da fondamentali battaglie per i diritti: come quelle per l’uguaglianza di genere, per la libertà e l’emancipazione sessuale e contro ogni discriminazione, le battaglie per l’aborto, per la critica della superstizione, per una cultura laica e progressista nelle scuole.
    Vorrei dirlo con chiarezza anche agli esponenti della Linke, di France Insoumise e ai nostrani più o meno disorientati: cedere di un solo millimetro, compiere un solo passo verso le agende politiche delle destre reazionarie, significa rinnegare in un colpo solo una storia più grande di loro.

    5.
    Una storia che parte dall’illuminismo, che passa per le grandi rivoluzioni rosse, che attraversa il secolo con l’ecologismo, con il femminismo, con la critica della famiglia borghese. E’ la storia di chi interpreta e agisce nel mondo sulle basi scientifiche del materialismo storico e della lotta di classe. Basi che sono oggi paradossalmente note e apprezzate dai grandi magnati della finanza globale, e che invece sfuggono inesorabilmente ai sedicenti tribuni degli oppressi del nostro tempo.
    Questa storia eccezionale è l’unica ragione di fondo per cui, sia pure in questo tempo così cupo, si può tuttora scommettere razionalmente su un futuro di progresso civile e di emancipazione sociale.
    Gettare al macero questa storia straordinaria per portare avanti una strategia “codista”, al traino delle peggiori destre reazionarie, è l’idea politica più ottusa e perdente che mi sia toccato di commentare in tutta la mia vita.

    6.

    Ad esempio, contro la proposta oscurantista del rigido controllo dell’immigrazione, su cui queste destre fanno proseliti, ci si può riunire intorno alla proposta alternativa, razionale e progressista, di uno “standard sociale” per il controllo dei movimenti internazionali dei capitali. Si tratta di una proposta che oggi trova riscontro persino nei ripensamenti di grandi istituzioni liberiste come il Fondo Monetario Internazionale, ma che tuttora fatica ad attecchire nelle agende delle forze sedicenti progressiste.

    7.
    la costruzione di un futuro di progresso e di emancipazione richiederà necessariamente una ripresa e una rielaborazione, in chiave moderna, di un discorso molto più ampio e di sistema. E’ il discorso sulla pianificazione: sulla storicizzazione dei gravi limiti e degli errori della pianificazione sovietica; sulle possibilità della pianificazione discusse persino dal Congresso degli Stati Uniti nel 1975, poco prima dell’avvento della disastrosa Reaganomics; e sul potenziale di sviluppo dei diritti di libertà nel contesto di rinnovati esperimenti di pianificazione democratica e socialista. Perché è anche ora di superare l’ingenua concezione hayekiana del capitalismo come garanzia in sé di libertà.

  16. Proprio brutto questo articolo di Brancaccio. 1. Non solo perchè si immagina un filo unico che leghi illuminismo rivoluzioni rosse e attuali femminismo ed ecologismo, come se il femminismo non individuasse il patriarcato nell’Illuminismo e nelle rivoluzioni rosse, ma anche come se la critica all’illuminismo dopo il ‘900 non avesse preso qualche spazio; 2. e non solo per il tono da curato di campagna con cui conclude l’articolo “Potranno volerci molti anni e molto duro lavoro… Ma è l’unica seria via praticabile. Il mio auspicio è… Che le nuove generazioni lavorino… e si tengano alla larga da qualsiasi tentazione…”
    Ma anche la proposta economica di unificarci “per la rottura dell’attuale regime di accumulazione del capitale basato sulla centralità del mercato finanziario. Un regime che trae forza dalla indiscriminata libertà di circolazione globale dei capitali, e che attraverso di essa diffonde crisi, iniquità, sprechi e inefficienze nel mondo” sembra un richiamo generale che non fa immaginare nessuna strategia politica.

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