Disuguaglianze sociali a Londra


​di Paolo Carnevali​

La disuguaglianza che cresce in questa metropoli è lo specchio di quella globale. Se per pochi la qualità della vita offre opportunità di benessere, altri combattono, anche tra loro, per conquistare una condizione umana sufficientemente dignitosa. Questo squilibrio originato da sistemi economici ingiusti avvallati  da politiche insensibili, viene aggravato dalle nuove idee neo-liberiste, dal terrorismo internazionale, da una finanza senza etica, disastri ambientali e conflitti. Esiste una continua dispersione sociale che impoverisce le nostre coscienze e i più deboli come sempre pagano le conseguenze.


Dopo Brexit e l’incendio alla Grenfell Tower, il problema della disuguaglianza sociale torna come tema politico britannico. In questa città i poveri e i ricchi spesso vivono vicini. le loro vite sono separate anche nell’incrociarsi tutti i giorni. E’ come se esistessero pareti di vetro tra le differenze delle scuole, degli stessi modi di esprimersi, l’aspetto fisico ecc. Questi contrasti che in un Paese in cui ci sono 14 milioni di poveri, vengono ad evidenziarsi.Tre milioni di europei che si sono trasferiti qui per lavorare e centinaia di famiglie britanniche che non riescono a trovare un lavoro. Osservare la ricchezza di Kensington e vedere che in questo ricco quartiere andava a fuoco la Grenfell Tower è sembrato un controsenso. le famiglie vivono ancora negli alberghi messi a disposizione e per assurdo un monolocale qui viene a costare milioni di sterline. L’obbligo morale d’aiuto verso le persone colpite si scontra con l’istinto perentorio di mantenere un valore alto di mercato nella preziosa e ambita Notting Hill. Questo fa riflettere se pensiamo che nel 1942 un funzionario pubblico di nome William Beveridge, mise in atto un programma “Welfare State” mettendo in evidenza miseria, malattie, ignoranza, disoccupazione. oggi c’è ancora gente che non può ricorrere alle cure dentistiche o permettersi un telefono per ricevere le chiamate dell’ufficio di collocamento, una condizione obbligatoria per ottenere i sussidi di disoccupazione. E queste sono anche le storie che ritroviamo nei films di Ken Loach.
Negli anni seguenti, soprattutto con il governo di Margaret Thatcher, la povertà è cambiata, creando una società ancora più spaccata e individualista, un Paese a due velocità in cui gli imprenditori londinesi raggiungevano vette straordinarie, consentendo mobilità sociale, ma facendo rimanere indietro le classi povere. Consiglierei di leggere”La strada di Wigan Pier” di George Orwell: un interessante reportage e riflessione sulle condizioni dei minatori. Dunque è doveroso annusare la povertà per non dimenticare. “Solo perché i minatori si sudano l’anima che le persone superiori possono restare superiori….” E questa frase dice già molto. Lo scrittore sottolinea come i poveri pur non avendo fatto una rivoluzione, si organizzano per fare del loro meglio, con l’illusione di riuscire a disporre di beni di consumo dozzinali che cominciavano ad essere disponibili  in una specie di economia della povertà. Tanto da affrontare un esame sul sistema di classe sociale. Avere sottovalutato la scontentezza che con il tempo si è ingrandita nelle comunità che si sono confrontate con l’immigrazione pur benefica per il Regno Unito, ma ne ha messo in crisi la fragile identità e portato alla Brexit.  Un Paese chiuso, dimenticando che il Regno Unito e in particolare Londra ha sempre prosperato con le aperture. Una Londra in rotta con l’Europa, stanca da anni di austerità e da dibattiti politici litigiosi, non è certo una isola propensa alla rivoluzione, l’ultima ribellione fu nel 2011 dei riots: la rivendicazione dei diritto scoppiata con l’uccisione di Mark Diggan, armato, dalla polizia che portò al saccheggio e all’appropriazione di beni in una estate dove erano stati tagliati i fondi ai centri di sostentamento per i giovani che vivono nelle strade per tenerli impegnati. La rivolta fece molti danni, ma non raggiunse il Parlamento per cambiare il sistema.
Londra dunque una città schiava del denaro e dell’avidità, proprio lo scrittore J. G. Ballard è stato un esperto nel creare distopie urbane, popolate da residenti divorati dalla noia e dall’avidità. Tuttavia, l’ondata crescente di previsioni sul futuro della capitale punta verso conseguenze da  incubo. Una città profondamente iniqua, che viene rimodellata dagli eccessi della ricchezza straniera e dal dominio del settore finanziario con i suoi stipendi pesantemente gonfiati.
L’effetto a catena è virale, dal 2012 tre quarti delle nuove costruzioni è per compratori stranieri e un recente rapporto del Financial Time ha messo in evidenza che interi quartieri come Camden e Hammersmith sono aree ” no-go” per i professionisti della classe media. Forse sarebbe il tempo che i londinesi iniziassero a riprendersi la loro città. Poveri nonostante il lavoro non mancano, un vero controsenso che viene messo in evidenza quando si devono fare i conti con le difficoltà dettate dal vivere in una grande metropoli, le ricerche evidenziano che 700.000 bambini 1,4 milioni di lavoratori, oltre 200.000 pensionati vivono sotto la soglia di povertà. Il 50% della ricchezza inglese è in mano al 10% dei suoi abitanti. Altro dato è la forte difficoltà ad arrivare a fine mese, nonostante molti abbiano un lavoro.La colpa va attribuita ai costi di affitto pazzeschi. Pensate che quelli che vengono chiamati “Working family” i nuclei familiari dove non si superano le 20.000 sterline annuali, coprono con sacrificio gli affitti degli appartamenti. Una significativa disuguaglianza  in termini di ricchezza.Vivere in luoghi come Londra è sempre più difficile per chi non è ricco, i poveri continuano a essere emarginati nei grandi complessi di edilizia popolare.
In realtà esistono molte forme di disuguaglianze che richiedono politiche concrete, ma le disuguaglianze hanno molte sfumature: quelle del trattamento, dell’opportunità e della condizione. La sociologia moderna afferma che il continuo mutamento sociale associato alla modernizzazione, ridefinisce forme e contenuti in cui le differenze non vengono trasmesse direttamente di generazione in generazione, ma prodotte da un gioco di mercato. Proprio Zygmunt Bauman in una sua analisi sottolinea: “come l’esplosiva miscela di quella sofferenza umana che releghiamo alla sfera della collateralità (….) sta dimostrando di essere il più disastroso problema che l’umanità potrebbe vedersi costretta ad affrontare in questo secolo.” . E intanto Londra continua a correre frenetica, come un grande formicaio che non si ferma mai e nasconde le sue disuguaglianze come questo mondo ci insegna a fare…

13 pensieri su “Disuguaglianze sociali a Londra

  1. L’ultimo rapporto sulle disuguaglianze sociali ed economiche nel mondo della Oxfam stima che 2,5 miliardi di persone sono in condizioni di estrema povertà e 1% più ricco del mondo detiene quasi la metà della ricchezza. Per rendere meglio l’idea dell’incolmabile divario, 26 ultra miliardari possiedono la stessa ricchezza della metà più povera della popolazione mondiale. Il rapporto evidenzia la forte correlazione fra disuguaglianza economica e quella di genere. Ma è proprio così difficile consentire una vita dignitosa a tutti senza continuare a favorire la ricchezza estrema di pochi?
    Paul Mc Grane

  2. La disuguaglianza sociale nel mondo è al limite della tollerabilità e in un cuore finanziario come Londra, posso immaginare che l’evidenza appare ancor più accentuata. Servizi essenziali come la sanità e l’istruzione continuano ad essere sotto finanziati, la lotta all’evasione fiscale sembra impossibile.

  3. …credo che pure il dilagare della violenza giovanile nelle periferie di Londra abbia attinenza con le disuguaglianze sociali

    1. Certamente, è un’osservazione pertinente che mette in evidenza il problema. Sembra che oggi le metropoli ingabbiano chi provoca disturbo di immagine o meglio ghettizzino invece di unire, assorbire…..e questa è disuguaglianza.

  4. A volte penso come è difficile vivere con meno di due dollari al giorno per chi nasce in un Paese ricco. Impossibile, anche perché l’ho vissuto e ne ho fatto esperienza, invece questa è la realtà di molte persone che quotidianamente vivono nell’indifferenza. Una disuguaglianza che si chiama fame, diritti negati, ecc. ecc.

    P.S: Ho saputo che alla fine dell’anno tornerai definitivamente in Italia….

  5. Suggerisco la lettura di un piccolo libro di Lev Nikolaevic Tolstoy, il titolo è: Che fare? Edito da Fazi. Un testo molto forte sulla povertà e l’ingiustizia della disuguaglianza. Un saggio politico e filosofico, un reportage nella Mosca disperata dalla miseria e gli da un volto, mentre aumenta l’indignazione dello scrittore. E nonostante richiami ad un periodo storico passato, lo trovo decisamente attuale.

  6. The Inequality Problem
    Ed Miliband ( is the MP for Doncaster North and former leader of the labour party)

    “What do I see in our future today you ask? I see pitchforks, as in angry mobs with pitchforks, because while…. plutocrats are living beyond the dreams of avarice, the other 99% of our fellow citizens are falling farther and farther behind.” Who said this? Jeremy Corbyn? Thomas Piketty? In fact it was Nick Hanauer, an American entrepeneur and multibillionaire, who in a TED talk in 2014 confessed to living a life that the rest of us can’t even image. Hanauer doesn’t believe he’s particulary talented or unusually hardworking; he doesen’t believe he has a great technical mind.
    His success, he says, is a consequence of spectacular luck, of birth, of circumstance and of timing. Just as his own extraordinary wealth can’t be explained by his unique talents, neither, he says, can rising inequality in the United States be justified on the ground that it is a side effect of a broader economic success from which everyone benefits. As Henry Ford recognised, if you don’t pay ordinary workers decent wages, the economy will lack the demond to sustain economic growth,

    Martha Linden
    James Tapsfied
    London Review of Books

    1. traduzione:
      “Che cosa vedo nel nostro futuro oggi?, mi chiedi? Vedo una folla inferocita con forconi, perché mentre i plutocrati vivono al di la dei sogni, l’altro 99% dei nostri cittadini cade nella miseria.
      “Chi l’ha detto? Jeremy Corby? Thomas Piketty? in effetti è stato Nick Hanauer, un imprenditore americano e multi -miliardario che in un discorso del 2014 ha confessato di vivere una vita che il resto delle persone non può nemmeno immaginare. Hanauer non crede di essere particolarmente talentuoso o insolitamente laborioso, non crede di avere una grande mente tecnica. Il suo successo, dice, è una conseguenza della fortuna, della nascita, delle circostanze e dei tempi. Proprio come la sua ricchezza non può essere spiegata dal suo talento unico, neanche la crescente disuguaglianza negli Stati Uniti può essere giustificata sulla base del fatto che si tratta di un effetto collaterale di un più ben ampio successo economico da cui tutti traggono beneficio.

      Ed Miliband, deputato di Doncaster North ed ex leader del partito laburista, attacca la disuguaglianza sociale, accusa il governo di avere reazioni sulla mobilità sociale, permettendo alle disuguaglianze di crescere e negando ai giovani brillanti provenienti da ambienti poveri la possibilità di riscatto e successo. Il leader laburista ha chiesto azioni per aprire i nelle professioni d’elite e rendere più facile l’accesso alle università per tutti. Abbiamo bisogno di garantire che l’istruzione professionale sia considerata uno standard d’eccellenza quanto l’educazione accademica.

  7. Want to tackle inequality? then first change our land ownership law.
    Of George Monbiot The Guardian

    From housing costs to wildilife collapse, we pay the price while the rich hoost their profits. But from today we can fight back. Homes are so expensive not because of the price of bricks and mortar, but because land now accounts for 70% of the price.

    1. Questo articolo è apparso il 4 giugno 2019 sul The Guardian:

      Vuoi affrontare la disuguaglianza? Prima modifica le leggi sulla proprietà terriera.
      Di George Monbiot.

      Dai costi della casa al crollo della fauna selvatica, paghiamo il prezzo mentre i ricchi aumentano i loro profitti. Ma da oggi possiamo contrattaccare. Le case sono così costose non a causa del prezzo dei mattoni e della malta, ma perché la terra ora rappresenta il 70% del prezzo.

  8. Forse per discutere di proprietà (e non solo terriera) sarebbe il caso di ripartire da Marx e fare mano mano i necessari aggiornamenti:

    La proprietà privata
    Karl Marx

    Abbiamo preso le mosse da un fatto dell’economia politica, dall’estraniazione dell’operaio e della sua produzione. Abbiamo espresso il concetto di questo fatto: il lavoro estraniato, alienato. Abbiamo analizzato questo concetto e quindi abbiamo analizzato semplicemente un fatto dell’economia politica. Ora, proseguendo, vediamo come il concetto del lavoro estraniato, alienato, debba esprimersi e rappresentarsi nella realtà.

    Se il prodotto del lavoro mi è estraneo, mi sta di fronte come una potenza estranea, a chi mai appartiene? Se un’attività che è mia non appartiene a me, ed è un’attività altrui, un’attività coatta, a chi mai appartiene? Ad un essere diverso da me. Ma chi è questo essere? Son forse gli dèi? Certamente, in antico non soltanto la produzione principale, come quella dei templi, ecc. in Egitto, in India, nel Messico, appare eseguita al servizio degli dèi, ma agli dèi appartiene anche lo stesso prodotto. Soltanto che gli dèi non furono mai essi stessi i soli padroni. E neppure la natura. Quale contraddizione mai sarebbe se, quanto più col proprio lavoro l’uomo si assoggetta la natura, quanto più i miracoli divini diventano superflui a causa dei miracoli dell’industria, l’uomo dovesse per amore di queste forze rinunciare alla gioia della produzione e al godimento del prodotto.

    L’essere estraneo, a cui appartengono il lavoro e il prodotto del lavoro, che si serve del lavoro e gode del prodotto del lavoro, non può essere che l’uomo. Se il prodotto del lavoro non appartiene all’operaio, e un potere estraneo gli sta di fronte, ciò è possibile soltanto per il fatto che esso appartiene ad un altro uomo estraneo all’operaio. Se la sua attività è per lui un tormento, deve essere per un altro un godimento, deve essere la gioia della vita altrui. Non già gli dèi, non la natura, ma soltanto l’uomo stesso può essere questo potere estraneo al di sopra dell’uomo.

    Si ripensi ancora alla tesi sopra esposta, che il rapporto dell’uomo con se stesso è per lui un rapporto oggettivo e reale soltanto attraverso il rapporto che egli ha con gli altri uomini. Se quindi egli sta in rapporto al prodotto del suo lavoro, al suo lavoro oggettivato come in rapporto ad un oggetto estraneo, ostile, potente, indipendente da lui, sta in rapporto ad esso in modo che padrone di questo oggetto è un altro uomo, a lui estraneo, ostile, potente e indipendente da lui. Se si riferisce alla sua propria attività come a una attività non libera, si riferisce a essa come a un’attività che è al servizio e sotto il dominio, la coercizione e il giogo di un altro uomo.

    Ogni autoestraniazione dell’uomo da sé e dalla natura si rivela nel rapporto che egli stabilisce tra sé e la natura da un lato e gli altri uomini, distinti da lui, dall’altro.

    Col lavoro estraniato l’uomo costituisce quindi non soltanto il suo rapporto con l’oggetto e con l’atto della produzione come rapporto con forze estranee ed ostili; ma costituisce pure il rapporto in cui altri uomini stanno con la sua produzione e col suo prodotto, e il rapporto in cui egli sta con questi altri uomini.

    Come egli rende a sé estranea la propria attività, così rende propria all’estraneo l’attività che non gli è propria. Il rapporto dell’operaio col lavoro pone in essere il rapporto del capitalista – o come altrimenti si voglia chiamare il padrone del lavoro – col lavoro.

    La proprietà privata è quindi il prodotto, il risultato, la conseguenza necessaria del lavoro alienato, del rapporto di estraneità che si stabilisce tra l’operaio, da un lato, e la natura e lui stesso dall’altro. La proprietà privata si ricava quindi mediante l’analisi del concetto del lavoro alienato, cioè dell’uomo alienato, del lavoro estraniato, della vita estraniata, dell’uomo estraniato. Certamente abbiamo acquisito il concetto di lavoro alienato (di vita alienata) traendolo dall’economia politica come risultato del movimento della proprietà privata. Ma con un’analisi di questo concetto si mostra che, anche se la proprietà privata appare come il fondamento, la causa del lavoro alienato, essa ne è piuttosto la conseguenza; allo stesso modo che originariamente gli dèi non sono la causa, ma l’effetto dell’umano vaneggiamento. Successivamente questo rapporto si converte in un’azione reciproca.

    Solo al vertice del suo svolgimento, la proprietà privata rivela il suo segreto, vale a dire, anzitutto che essa è il prodotto del lavoro alienato, in secondo luogo che è il mezzo con cui il lavoro si aliena, è la realizzazione di questa alienazione.

    da: Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Dal primo manoscritto: Il lavoro estraniato.

    ( da https://www.doppiozero.com/materiali/marxiana/la-proprieta-privata)

  9. E come spunto per i necessari aggiornamenti propongo questo stralcio di un articolo molto interessante:

    IHU On-line: In questi tempi di Intelligenza Artificiale, in che forma si tramuta il capitalismo?

    Marildo Menegat: L’Intelligenza Artificiale è una tecnica del capitalismo. Essa non utilizza niente che non faccia già parte dei mali di questa società. Per capire quest’affermazione è necessario stabilire quale sia la relazione tra produzione di valore, profitto e sviluppo della tecnica. La competizione fra i capitali privati di solito viene vinta da quelli che sono in grado di ridurre i propri costi di produzione in modo da vendere merci più a buon mercato. Questa è l’ossessione di ogni imprenditore, oltre ad essere un esigenza subliminare dei paradigmi tecnologici. Quando un nuovo sistema tecnologico diventa sufficientemente accessibile, in modo tale da poter sostituire con i guadagni ciò che verrà investito in esso: sia componenti della produzione che nuovi macchinari, sia energia che materie prime, verranno tutti sostituiti con relativa facilità. In questo quadro, uno degli elementi che vengono sistematicamente economizzati è l’utilizzo della forza lavoro. Fin dal XVIII secolo, le macchine hanno sostituito uomini e donne nella linea di produzione. In questo modo il capitale riduce la quantità di lavoro presente in ciascuna merce. Questo diminuisce anche la quantità di valore prodotto, cosa che sia a medio che a lungo termine influenzerà la redditività del capitale totale. Per poter evitare un simile dramma, l’imperativo è quello di aumentare la quantità di lavoro, aumentando la produzione totale di merci, allargando le frontiere del mercato dei consumatori e creando nuove opzioni di investimento in branche dell’economia ancora inesistenti. Una fabbrica altamente automatizzata, crea rapidamente un deserto economico e porta al collasso del sistema. Qui si può vedere la contraddizione, a partire dalla quale il capitalismo tende a sviluppare al massimo la tecnica che porta a risparmiare lavoro e riduce i costi mentre, allo stesso tempo, distrugge le condizioni della possibilità di continuare a produrre valore, e quindi accumulare capitale. Senza lavoro umano nel processo di produzione, in una quantità capace di valorizzare il capitale investito, non c’è alcuna possibilità che si produca plusvalore. Si finisce così per creare un sistema di accumulazione a somma zero, vale a dire, si vanifica la possibilità di realizzare quello che è il fondamento logico che dà senso e impulso al tutto.
    Il problema del «costo marginale zero» dei nuovi prodotti e dei nuovi servizi, basato sulla Quarta Rivoluzione Industriale, perseguita e tormenta imprenditori ed economisti. Negli ultimi anni in cui queste tecniche hanno cominciato ad essere usate con relativa frequenza, la produttività delle economie dei paesi centrali è crollata! Per mezzo delle tecnologie di apprendimento automatico e grazie ai nuovi sensori, sta diventando possibile creare dei sistemi di macchine intelligenti interconnessi che non hanno nemmeno più bisogno dei loro supervisori. È stato sempre Turing, se non sbaglio, ad aver suggerito che, per evitare che questi sistemi di macchine diventate autonome terrorizzino la vita sociale – cosa che potrebbe avvenire di frequente nel prossimo futuro – in ultima analisi, alla fine, diverrebbe necessario distruggere quella che è la loro alimentazione energetica. Va notato in che senso stia girando la ruota; se Turing oggi fosse vivo, verrebbe certamente scambiato per propaganda terroristica a favore del sabotaggio! L’automazione delle attività essenziali nel contesto di un’unità produttiva nei prossimi cinque, sei anni potrebbe essere totale. A partire dagli anni ’70, tuttavia, quando le tecniche della Terza Rivoluzione Tecno-scientifica hanno raggiunto la maturità del loro utilizzo su larga scala, il capitalismo ha dato inizio ad un lungo periodo di crisi e di collasso. Il cambiamento e l’alterazione che produrrà la quarta rivoluzione è stato quello di accelerare tale processo, amplificando notevolmente quella che è una variabile del suo carattere distruttivo: quella delle situazioni senza ritorno.

    IHU On-line: Il mondo del lavoro è stato già impattato dalla tecnologia. Quali sono le sfide, nel caso specifico del Brasile, un paese in crisi, per poter creare occupazione, investire in tecnologia, ma senza sacrificare ancora più posti di lavoro?

    Marildo Menegat: La quarta rivoluzione industriale non produrrà una rottura delle strutture sociali, ma il suo collasso totale. E ciò avverrà precisamente a partire dal fatto che spingerà ad un approfondimento delle tendenze già in atto nel periodo precedente. La perdita significativa di posti di lavoro ha avuto inizio negli anni ’80. Il concetto di disoccupazione strutturale, emerso in questa fase del capitalismo, è una novità teorica con delle conseguenze ad ampio raggio che serve proprio per descrivere qualcosa di contro-intuitivo. Per la prima volta, si riconosce che il capitale non è più in grado di impiegare tutta la forza lavoro disponibile, e che tale situazione non ha niente di congiunturale. Nei Grundrisse, Marx scriveva, già nel XIX secolo, che questa era una possibilità già in atto, ma il marxismo tradizionale ha sempre evitato di prenderlo sul serio. In tutto e per tutto aderente alla moderna ideologia del progresso, appariva – per questa modalità dominante del marxismo – quasi come un controsenso ammettere che ad un certo punto dello sviluppo di questa società, la percezione di una storia votata a trovare nel futuro quello che sarebbe stato l’unico vero paradiso, come avrebbe detto Lasch, si era trasformato nel suo inverso.
    Quello che sappiamo finora è che la combinazione di Intelligenza Artificiale, robotica, Internet delle cose, nanotecnologia, biotecnologia crea la possibilità di «una fusione delle tecniche del mondo fisico, digitale e biologico». Diversi artefatti prodotti da questa fusione abitano già il nostro quotidiano e molti altri sono già pronti a partire nella seconda metà degli anni 2020. L’impatto di questi cambiamenti sull’occupazione è, secondo le parole di un esperto del ramo (Schwab), un Armageddon. Alcune istituzioni come l’Oxford Martin School stimano che prima degli anni 2030 spariranno fino al 47% dei posti di lavoro. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) e la Società Internazionale di Consulenza McKinsey parlano della perdita di (da 400 a 800 milioni) posti di lavoro nel mondo in quello stesso periodo.

    ( da “La tecnologia che ingabbia l’essere umano” – Intervista di IHU On-Line a Marildo Menegat – di João Vitor Santos, del 29 Maggio 2019

    https://francosenia.blogspot.com/2019/06/la-preistoria-umana-delluomo-senza.html?spref=fb&fbclid=IwAR1Arr-lQLDd6c-EKniT6JubZW3qffd6_f8tHSLOxrbJWvu6qrWXrnAif9A)

  10. Sempre in direzione di un discorso aggiornato sulle diseguaglianze:

    SEGNALAZIONE

    Pierluigi Fagan

    Una sera che non avete di meglio da fare, questo documentario è ben fatto. Ne emerge tra l’altro una costante: l’incredibile stato di eccezione conseguente la guerra (la Prima, la Seconda e quella Fredda) come momento in cui lo Stato investe a manetta e la ricerca fa salti da gigante. Ricerca che poi alimenta una distruzione creatrice schumpeteriana nella vita civile. Cose note ma che è bene ripassare. Colpisce sopratutto l’evidenza di come l’ovvia funziona di motore storico-sociale che è lo Stato, è consentito operare solo per fare la guerra. Subito dopo lo Stato diventa tiranno e deve lasciare mano libera alla mano invisibile.
    https://www.arte.tv/it/videos/073938-000-A/l-uomo-si-e-mangiato-la-terra/?xtor=CS1-355&kwp_0=1243917&kwp_4=3942311&kwp_1=1641397&fbclid=IwAR1r764e0y8ZcO6Vo-UK9-EV_sPQiBtVvfG0jXmvJmgE6T2UTAV4j5CwtbU

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