Dediche. Ai due Giacomi (Leopardi e Joyce)

di Antonio Sagredo

 L’Apollo di Lissa io degusto con Stephen.
 Dedalus d’aromi e linguistici suoni, 
 quanti misteri d’Irlanda io compresi
 sotto i portali di scoperta e la famosa torre che non vidi mai?
  
 Ma la statua dell’anima nell’unica città
 dov’io mescendo sangue vivrei in contumacia
 e con lei nel bordello, lì, con pensili pensieri
 e lingue a due passi tra oscure selve e cosce di linguaggi.
  
 Sotto il pontecanale  forse c’è un’anima seconda, 
 la penna e la stampa che Gutenberg sbalestra
 a ogni bivio trivio e quadrivio tra archi di trionfo -       
 e dei due Giacomi mangiagelati quale l’ottimista
 dell’infinito che è dato, e che  non possiamo eliminare?
 
 
 
                                    Roma, 11 aprile 2012
 
 
  

5 pensieri su “Dediche. Ai due Giacomi (Leopardi e Joyce)

  1. Versi che conducono al sorriso e ai sovra-pensieri, divertenti ma non tanto, profondità che si cela sotto una patina alcolica. Per chi on sapesse “l’Apollo di Lissa” è un vino che Joyce amava bere spesso e che Sagredo degustandolo con l’irlandese ne scopre qualità insospettabili. Intanto “i portali di scoperta” nella fase finale dell’Ulysses sono un omaggio alla poesia universale (e al suo incrociarsi con le centinaia di culture e lingue relative) senza le quali impossibile dire di progresso continuo e irreversibile… e che soltanto Joyce con la sua bussola linguistica in ogni dove e tempo riesce a scoprirli… i portali!
    Da questa riflessione il poeta Sagredo si riporta – durante un suo passaggio a Trieste proveniente da Praga-Budapest – alla città “finale” di Trieste – finale per l’impero austro-ungarico sfociando nell’alto Adriatico, ma iniziale per la nuova Italia dopo la prima guerra mondiale – terminando nella sua città natale, Brindisi: portale allora per l’Oriente (la nave “Valigia delle Indie” lo attesta!).
    E si giunge alla Trieste dei bordelli – come ogni città marina che li contiene quasi orgogliosa – dove su un ponte canale la statua dell’autore irlandese modestamente saluta i passanti sorniona, si incontra con la presenza “simpatica-empatica del recanatese a causa della passione – per entrambi fondamentale, per i gelati
    e al poeta Sagredo piace immaginarli entrambi sostare sul ponte affacciati a gustare i gelati amatissimi… ma i due versi finali
    ” e dei due Giacomi mangiagelati quale l’ottimista
    dell’infinito che è dato, e che non possiamo eliminare? ”
    si spiegano forse con una domanda posta al lettore : “quale dei due il più ottimista… dell’infinito leopardiano metafisico nel Nulla senza fine o dell’infinito delle possibilità linguistiche da scavare e usare per una nuova rivoluzionaria scrittura?
    E sono allora due infiniti che “non possiamo eliminare”!

  2. Gentile Giulia Rivelli,
    ho invece apprezzato il Suo commento. Certo la poesia di Antonio Sagredo è di difficile lettura soltanto per chi ama la poesia da quattro soldi, e esempi di tale poesia ve ne sono a centinaia in Italia (ma l’Europa ne è colma!): tantissimi sono molto famosi, e dunque scadenti e per giunta anche premiati, ma proprio per questi; ne conosco tanti personalmente e mi fanno pena… questi sono e saranno acerrimi nemici di Sagredo.
    La poesia di Sagredo, credo, sia un esempio unico di alta e profonda poesia del resto come quella di A. M. Ripellino, di cui fu allievo.
    Una poesia la cui prima impressione per chi si accinge a leggerla è la potenza ( forse meglio dire possanza) delle sue visioni e la costruzione formale ineccepibile. La parola gli è fedele come il poeta che la ricambia con gratitudine.
    Mi dispiace anche a me che sia poco compresa, ma il limite è solo del lettore; I suoi versi sono inimitabili e trovare le fonti non è difficile.

    1. “dispiace anche a me che sia poco compresa, ma il limite è solo del lettore” (Ragno))

      Sig. Ragno, non si abbindoli nella sua stessa rete.
      No, il limite di comprensione delle poesie dei Sagredo non è del lettore ( o solo del lettore).
      Già altre volte, ricorrendo a Dante e pochi giorni fa a Leopardi (qui: https://www.poliscritture.it/2019/06/29/antonio-sagredo-la-gorgiera-e-il-delirio/#comment-93970), ho ricordato che poeti grandissimi MAI hanno rifiutato di “spiegare” ( per quel che è possibile) i propri o gli altrui versi “acciocché il lettore, non intendendo, non si credesse nè più ignorante nè meno acuto dell’interprete “.

      E’ la prima volta che vedo scaricare testardamente la “colpa” solo sul lettore. E non ci sto.
      Ho anche affacciato un’altra ipotesi: “riconoscere che […] un lavoro [di parafrasi, di “spiegazione” sia] ormai impossibile ( e non solo per la non collaborazione di Sagredo o la vastità e oscurità della sua produzione)”.

      Se ne traggano, però, le corrette conclusioni.
      Le mie sono queste: “quale destino attende la poesia italiana contemporanea? Quella di essere prodotta caoticamente e senza possibilità alcuna di essere letta o compresa? Di farsi *mostruosa* subendo o inseguendo un mondo che è sempre più *mostruoso*? Di attendere imperterrita dei lettori *mostruosi* capaci alla fine di trovare il giusto modo di rapportarsi ad essa?”.
      E le sue?

      A questo punto del discorso, onestamente, a me pare ci siano solo due possibilità:
      1. esiste almeno un lettore che è stato capace di comprendere i suoi versi; e allora sarebbe il caso di farci conoscere come ha fatto e se ci sia davvero riuscito;
      2. la sua opera è strutturalmente, volutamente “incomprensibile”, “inspiegabile”; e va o ammirata o detestata; quindi è del tutto inutile prendersela con i lettori.

  3. Leggo questo articolo su Stefano Agosti, nel quale tra l’altro si dice: ” Parola difficile in quanto facilmente fraintendibile, «enigma» diviene per Agosti quasi un termine chiave per indicare non solo l’allusiva ambiguità del linguaggio, (si pensi a Gadda ossia quando il linguaggio non va in vacanza, 2016), ma, più ancora, alla funzione del critico (Il romanzo francese dell’Ottocento, 2010) che, al pari di un abile «enigmista», è chiamato a decifrare quanto nel testo poetico si dice al di là del poeta e del critico stesso: un al di là che si presentifica solo attraverso le strutture formali su cui si costruisce un testo letterario e che, come Agosti soprattutto negli ultimi anni ha cercato di dire, sottrae la lettura, cioè l’ascolto, all’interpretazione, vale a dire alla pretesa da parte del soggetto di dominare un ordine simbolico di cui proprio l’uomo è il primo effetto.”

    (https://ilmanifesto.it/stefano-agosti-una-raffinata-flanerie-sullenigma-del-testo/?utm_term=Autofeed&utm_medium=Social&utm_source=Facebook&fbclid=IwAR3YvQCJiJ94cE0DB28HugcxmzF_ew5sbG1cvTsi-fGWx82tfpNZI9Na6G4#Echobox=1562450489)

    E penso che, sì, forse lui avrebbe potuto essere il critico congeniale ai testi di Sagredo.

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