Solo la testa?

Tabea Nineo 1998

di Arnaldo Éderle


Ecco il penultimo dei poemetti che Arnaldo Éderle mi aveva mandato prima della sua improvvisa morte. [E. A.]

 

 

A Tommasina

 

E’ rimasta solo la testa?
Ma… troppo poco, anzi niente.
Il corpo è lì attaccato,
senza di lui il cranio non risponde
è atrofizzato, lì sotto
ci sono il cuore i polmoni le gambe
i piedi le braccia e via dicendo,
ma che saranno mai questi attributi?
Non si nominano mai, ma ci sono e sono
vitali come gli occhi e le mani, tutte
cose che via via si adoperano.
Che ne dici?
I tuoi attributi sono sempre stati
alquanto attivi come quando
li avvolgevi, e spesso avvolgi, attorno
a me e mi stringi al tuo petto come
un’anatra con il suo anatro e mi chiudi
fra le tue candide ali.
Sì, proprio così. Non ti curare dei miei
errori grammaticali e dei miei sbagli
dizionarici, tanto dopo poco, tutto si aggiusta
ed entra nella norma e non ne esce più.
Si sa! La tua testa è quella che più conta,
dà vigore alle tue candide mani ai tuoi
soffici polpastrelli luce alle tue
pupille luce alle tue spalle ai tuo glutei.

Che sarà mai della tua persona,
completa padrona dei tuo begli arti e
delle tue pupille, dolce serva dei tuoi
pensieri delle tue malinconie del tuo riso
spesso squillante, dei tuoi casti
ammiccamenti?
Che sarà la curva delle labbra quando ridi?
Mia compiacente gazzella sfoderi i tuoi
amichevoli artigli con la grazia
dell’uccellino e con la testa girata un po’
verso di me come un bel barboncino che aspetta
un pezzo di biscotto dalle mie mani.
E mi guardi come una capretta furba e pronta
ad afferrare il suo filo d’erba.
Sì, capretta e barboncino sono i due animali
che più ti somigliano.
Mia pronta amica non ti lascerò mai, dovessi
scriverti tutte le mie fragili memorie
su di un piatto argentato e offrirtelo
imbandito su una tavola di cristallo ampia
dove tu possa appoggiare i tuoi gomiti
e mangiucchiare i miei dolci
come una bimba nata tre anni prima.

Se potessi invaderti con le mie tiritere,
riempirti la pancia con i miei figli
cerebrali, ti farei regina del mio mondo
e mi giocherei la tua corona sulle mani
del mio povero spettro che non aspetta altro
che fondermi in te.
Oh, mia povera cerbiatta come ti vorrei
totalmente felice dei mie doni, ma sono un
donatore da pochi soldi e pochi gioielli
e scadenti pure, senza grandi valori, miseri
direi, i cui valori sono nascosti dentro
la vana superficie, come perle del mare
e ci vuole un coltello per estrarli e porgerli
al tuo sguardo e nutrirtene.

Povero angelo mio, che potrei fare
per renderti vera grazia.
Questa è una piccola poesia di inabile preghiera
di scarsa volontà di innalzarti e
di donarti gli attributi che meriti.
Vorrei essere un mago che trasforma le pietre
della terra in casti diamanti, e tu
saresti incoronata dal loro assoluto azzurro
e pregna del loro incommensurabile bene.

Oh, come vorrei pregare il dio
dell’amore che indora le sue figure
di lamine d’oro e d’argento e fartele brillare
sulla pelle come la regina delle innamorate,
oh, come lo vorrei!
Ma sono un pover’uomo di paglia con scarpe
senza suole e cappello senz’ala e giacca
senza braccia.
Che dovrei fare? Non so. E quando dico
non so, non so davvero. Forse, gettandomi
nell’oceano scoverei qualche medusa proprietaria
d’un tesoro nascosto. Potrei rubarglielo
e portartelo nel tuo sontuoso palazzo
e offrirtelo in cambio del tuo amore, come
un naufrago risorto dal malanno e ormai ricco
dei frutti del mare.

Forse ti strapperei un sorriso finalmente
sereno e ancora umido delle prime lacrime sparse
sul grembo della terra.

2 pensieri su “Solo la testa?

  1. Tommasina abbraccia (chiude) fra le sue candide ali una testa fisica (“Il corpo è lì attaccato,/senza di lui il cranio non risponde”), ma anche non fisica. Tommasina è anche l’angelo della morte.
    Tutt’altro che ossuto e scavato
    “La tua testa è quella che più conta,
    dà vigore alle tue candide mani ai tuoi
    soffici polpastrelli luce alle tue
    pupille luce alle tue spalle ai tuoi glutei”,
    si tratta di un angelo della morte inedito, che attende di raccoglierlo “come una capretta furba e pronta/ad afferrare il suo filo d’erba”.
    “Solo la testa?” si trasforma nel dialogo intimo e arrischiato fra la “sola” testa del poeta e quella dell’angelo della morte:
    “Se potessi invaderti con le mie tiritere,
    riempirti la pancia con i miei figli
    cerebrali, ti farei regina del mio mondo
    e *mi giocherei la tua corona sulle mani
    del mio povero spettro che non aspetta altro
    che fondermi in te”.
    Ederle fa il suo bilancio: “sono un/donatore da pochi soldi e pochi gioielli/e scadenti pure”, perché alla morte non è sicuro di poter riconoscere la ricchezza di un passaggio:
    “Oh, come vorrei pregare il dio
    dell’amore che indora le sue figure
    di lamine d’oro e d’argento e fartele brillare
    sulla pelle come la regina delle innamorate,
    oh, come lo vorrei!”
    Forse, gettandosi nell’oceano (comune l’immagine di un oceano d’amore, e facile associare il “naufragar m’è dolce in questo mare”), scoverebbe un tesoro nascosto e glielo offrirebbe in cambio -siamo all’assurdo!- del suo amore. La morte potrebbe infatti anche essere il necessario passaggio per fondersi nell’amore divino.
    Spesso con le sue poesie Ederle costruisce una parabola. Qui la donna Tommasina, con vivi tratti corporali, arricchiti dalla mansuetudine propria di certe care bestiole, acquista allora un significato più completo, nel momento in cui si potrebbe aggiungere, nel rapporto fra le due teste (“Solo la testa?”) il senso indecifrabile di un passaggio radicale.

  2. Acuto e sensibile, come sempre, il commento di Cristiana Fischer. Domani andrò a trovare Tommasina, che non si dà pace… (“Lasciatemi morire” , dal Lamento di Arianna).

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