L’intellettuale da asporto

di Canio Mancuso

 Il riciclo secondo lo spazzino
 
 I testi sono chiari:
 non ti lasciano
 soltanto le persone;
 anche gli oggetti
 alla fine del gioco
 allineati lì sulla banchina
 per dirti un addio allegro. 
 Sei tu che parti
 e loro si allontanano
 dalla tua ombra che non
 stringe le sagome. Tu mischi
 plastica e carne nell'abbandono:
 confondi il sangue
 con l'olio dell'ingranaggio
 il cuore fermo
 sui minuti con l'orologio,
 i calzini coi piedi che li svuotano
 e la saga infinita delle sciarpe
 che per tua madre avrebbero
 protetto il mondo - una sciarpa
 di lana per la gola
 una sciarpa per le vene tagliate
 una sciarpa per tutte le ferite
 e una per il costato di Cristo.
 Sono persone le cose
 che ti abbandonano
 sono cose i volti
 che si rapprendono
 in una luce di sangue
 nei ritratti, vizi di forma
 smessi come vestiti
 le inadempienze scordate nella ressa
 degli strumenti e delle imprecisioni
 allineati per salutare un altro
 con lo stessa sciatteria delle persone
 e con l'aria smarrita delle cose.
 
 
 
 
 
 Tu, lo spettatore
  
 Affondare gli occhi in ciò che guardi
 gli occhi come dita nella polpa
 dei volti e delle camicie di chi passa
 e non guarda. Guardare
 è questo il tuo talento. Guardi
 smorzi il battito sotto le coperte
 perché la stanza non veda
 e il paesaggio non sospetti
 che tu esisti chiuso tra le palpebre.
 Lo senti il sangue non circola
 le vene si aggrovigliano
 eppure guardi il mondo  
 nel poco d'aria che sfreghi con il corpo
 guardi nella fessura indovini il varco.
 Il mondo si stringe nelle tue pupille:
 la linea del pianerottolo confina
 con lo strapiombo, tre vasi di fiori
 finti (è questa l'Amazzonia?)
 i pesci nuotano nell'ascensore -
 l'universo pressato in una scatola -
 il varco che si apre il battito
 che si ferma, tu non gli credi:
 riconosci il mondo
 che guarda e muore prima di te.
 
 
 
 
 Chaperon
  
 La madre e il figlio conoscono
 il silenzio della strada che non
 ricordano, la casa è lontana
 e più lontana è la musica.
 La madre vestita da ragazza
 cammina davanti al figlio
 Orfeo grigio ammutolito
 con una canzone accartocciata
 in tasca (il refrain continua a sfuggirgli).
 Lei guarda il profilo del figlio
 la stempiatura che si fa strada
 sulla fronte e non incontra un'idea.
 Lui invecchia lei impara a morire
 lei ha fresco sotto la vestaglia
 lui suda nel cappotto
 al riparo nella nebbia del fiato,
 il figlio accovacciato su una sillaba
 la madre che trova da sola
 la casa la musica e la canzone.
 
 
 
 
 Nitidezza
                                                       
                          Per Domenico e Incoronata
                                                                                                         
 La foto dove splende                           
 di più la dimenticanza
 non conserva il volto  
 o il rossore o la piega  
 indenne dell'acconciatura
 solo le frasi nell'intercapedine:
 "Sono, sono stato"
 e il dettaglio: gli zigomi
 che bruciano, le scintille  
 dei tacchi sulla pista da ballo
 (chi sbagliava le note?
 chi ha buttato le scarpe?)
 e i nomi che si spezzano  
 e quelli che resistono  
 avvolti in un gomitolo,
 disegnano il tuo volto  
 raschiato dall'immagine
 tu disperso nel click
 scivolato dal bordo  
 dei nomi ancora in luce.
 
 
 
 
 Disordine dell'oncologa
 
 La vostra fede mi disturba scompiglia
 i passi di questo mio barcollare  
 sui trampoli guardarmi i piedi per non  
 guardare voi mentre tocco il soffitto  
 mi incollo al muro e vi lancio biglietti:  
 Guarirete non potete morire la domenica  
 c'è la festa del santo curandero.
 Ve lo dico ogni volta e cado a terra
 se inciampo nel filo teso di un'occhiata  
 quando vi scorro accanto in corridoio  
 perciò scusatemi ho fretta sentite il morso
 dell’orologio qui sul mio avambraccio
 l’odore stanco rappreso nel camice -
 a infastidirmi sono le vostre attese  
 che con le dita mi lisciano la manica
 mentre cerco la porta e le domande  
 che ignoro e le risposte che conosco
 eccole in cambio dei vostri regali
 (cento bottiglie e io non bevo il vino)
 le vostre attese gonfie obbedienti   
 che maledico dal buio di un sorriso.
 Aspetto anch’io voi il vostro corpo  
 raccolto nell’impronta della schiena  
 voi che credete ancora al purgatorio  
 e alle stazioni intermedie non  
 disprezzate la mia fede solitaria:
 io qui lavoro e prego insieme a voi  
 dentro il silenzio in nome dei medici
 che come me non ricordano i nomi.  
 Non preoccupatevi se cado di nuovo
 davanti alla porta nel ritaglio dell'ombra   
 dove voi abitate e io mi nascondo.
 
 
 
 
 Addestramento sul lago
  
 La nostra è l’illusione
 delle anatre stanziali
 che invecchiano sulle sponde
 copiamo i loro gesti
 il nostro sonno scivola
 insieme a noi sull’acqua
 spruzza i canneti le ortensie
 la luce che rassicura
 i nostri voli di prova
 la gioia che sgorga stupida
 mentre affiniamo la voce
 il verso zitelle svizzere
 ci gettano molliche
 
 e i cartelli bisbigliano Attenti
 i cani scodinzolano nasando
 dai cancelli: mastini incrociati
 con orchidee rottweiler
 morbidi come camerieri
 invitano i ladri in giardino.
 
 Perciò non abbiamo paura:
 la nostra è l’ignoranza
 che non conosce il tempo
 lungo dei cacciatori
 i loro sbadigli curvi
 nell’attesa la noia
 di chi ricorda quando
 era così bello uccidere
 i vecchi cacciatori
 ci pregano di non muoverci
 non sparano da dieci anni
 toccano la nostra carne
 di anatre apprendiste
 sentono con le dita
 le nostre piume il becco
 noi anatre noi uomini
 immaginiamo ancora
 che spareranno ai cinghiali.
 
 
 
 Il piccolo maestro si giustifica
 
 Se non ho gridato con voi lo sluagh-ghairm
 è stato solo per la timidezza
 della mia voce incastrata nella gola
 eppure il sole ci scaldava le vertebre
 il nemico non ci odiava abbastanza
 le sue fionde di polvere i suoi sputi
 non ci avrebbero fatto male.
 Sarebbe bastato un leggero fischio
 nell'orecchio di uno di voi
 ma io stritolavo le parole in bocca.
 In testa alla fila avevo paura;
 sono tornato a passo di gambero
 fino alla coda per somigliarvi:
 perché mi avete riconosciuto?
 Ho finto di avere convinzioni
 più resistenti delle vostre:
 erano vostre e non lo sapevate.
 Rattoppo due frasi su amore e politica
 (siete così stanchi di ascoltarle).
 La mia vita si specchia nella vostra:
 ha la stessa calvizie le parole
 vive come cani impagliati.
 Le mie idee ladre le ho rubate a voi
 e voi mi chiedete cosa penso dell'arte
 di stare al mondo e fargli la guerra:
 penso tutto ciò che pensate voi
 ma non ho il diritto di confessarlo.
 Vi chiedo il permesso di non esserci stato.
 L’impronta che lascio sulla maniglia
 per favore cancellatela voi.
 
 
 
 
 Begin, began (Venire al mondo)
 
 Dov’è la meraviglia degli assenti?
 Tu aspetti un massacro di luce
 una fila di applausi: i dottori intorno
 a leccarti il foruncolo tra le cosce
 tuo padre a soffiarti l’allegria nel seme.
 Ma non accade niente che non sia
 nascere. E la paura tua sola maestra
 che ti ringoia nella vagina.  
 In ogni tua cellula è inciso il segno  
 del sangue ingrommato nella paralisi.  
 Al di là del vetro un rumore di uomini  
 gli altri: un groppo di respiri  
 di passi intruppati sui marciapiedi
 i sudori spalmati tra le natiche
 lavoratori lavoranti lavoristi
 ti chiamano per cognome
 ti annusano la barba
 ti tolgono i calzini
 ti invitano a ballare.
 Tu resti nel fiato caldo dell’ansia
 il primo regalo di tua madre.
  
 A vent’anni era stata infermiera
 per otto giorni e ventisei minuti:
 il confine dell'ansia.  
 Non era riuscita a spurgare dal cuore
 l'agonia così banale  
 di un paziente, l'unico, l'ultimo.
 Raccontava bugie ai parenti
 che biascicavano bestemmie
 nell'insonnia del loro buio
 e strappavano le immaginette
 che tua madre gli aveva messo in tasca.
 Il moribondo morì coerentemente.
 I parenti secondo natura  
 ripararono i lembi dell'assenza.
 Lei ricuciva i volti dei santi. 

Nota

Altre poesie di Canio Mancuso su Poliscritture qui , qui e qui

4 pensieri su “L’intellettuale da asporto

  1. (un po’ di fretta, Canio, ma la sostanza c’è)
    La concentrazione grammaticale sintattica e retorica della poesia mette in chiaro qual è il taglio prospettico con cui il poeta parla nel mondo e vi si colloca. Perlomeno è questo taglio, questa intenzione, che, da non critica letteraria mi coinvolge come lettrice di poesia. La poesia mi dice come sta e come abita il mondo il poeta, come figura di sé.
    Uno scambio continuo tra il soggetto isolato, ora un/una protagonista della lirica (siamo anatra/uomini) ora il narratore di ciò che vede (: mia madre e io figlio camminiamo).
    Ma uno scambio avviene in passaggi difficili, sproporzionati, sguinci, in ombre indefinite. La cancerologa e il maestro esemplificano questa commistione/distacco e la necessità dell’uguaglianza tra le rarefatte incarnate differenze. Una condizione umana forse strappata, tra una consuetudine che non pare più all’altezza di uno sconosciuto futuro, e l’inadeguatezza personale.
    Canio si arresta alle soglie, forse meritatamente, esplorando le concrete difficoltà corporali di proiettarsi nel tempo.
    (D’altronde: I testi sono chiari: anche gli oggetti/ alla fine del gioco/ allineati lì sulla banchina/ per dirti un addio allegro.)
    Benedetta Allegria!

  2. complimenti a Mancuso. la strada appena illuminata dai ” Fiammiferi ” si è ampliata ma la struttura è sempre quella, forse si è smorzata un po’ della ironia di allora, sacrificata oggi ad un maggiore e più ampio orizzonte.
    me le stampo e rileggo con calma.
    luigi paraboschi

  3. …notevoli queste poesie di Caino Mancuso, che, con acrobatiche piroette linguistiche nel creare dubbi e visioni vuoi dilatate, vuoi rimpicciolite, nel capovolgere ruoli, nel procedere a passo di gambero, immettono nel caos della conoscenza, nella impossibilità, angosciosa, di raggiungere certezze…c’è però anche un pizzico di divertimento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *