Riflessioni di un impolitico

di Giorgio Mannacio

1.

Rubo il titolo ad un famoso saggio di T. Mann per svolgere alcune riflessioni che vogliono – in omaggio al titolo – prescindere da una precisa collocazione politica. Se si accantona la proposta politica dell’Anarchia non possiamo non riconoscere che l’istituzione Stato si presenta come l’unica soluzione praticata nel mondo al fine di garantire ad un certo numero di esseri umani “ un luogo vivibile “. E’ altrettanto indiscutibile che tale soluzione comporta – in termini, misura e modi diversificati – una distinzione operativa tra coloro che si occupano totalmente o prevalente di assicurare il funzionamento di quello che chiamerò da qui in poi Stato e quelli che “ vivono esclusivamente le proprie inclinazioni “. La distinzione tra Governanti o Governati mi sembra ancora – nei suoi termini generalissimi – di attualità.

2.

L’esperienza storica che è poi e in definitiva l’esperienza di ciascuno di noi nel nostro aspetto pubblico cioè politico ci mostra che ciascuno ha una propria valutazione della “ bontà “ dello Stato e dei Reggitori di esso. Per il momento possiamo accantonare la ricerca degli elementi in base ai quali decidere se uno Stato e i suoi Reggitori sono buoni o cattivi. Possiamo dire però che i criteri variano e si combinano diversamente e danno luogo a differenze originarie e – dunque – a preferenze originarie. Non si spiegherebbero altrimenti le differenti valutazioni politiche circa le “modalità del governare“. Le delusioni che – vicendevolmente – sono manifestate dai vari orientamenti politici si connettono al rilievo della mancata realizzazione da parte dello Stato delle proprie inclinazioni così come – specularmente – la soddisfazione circa il Governo riflette la convinzione che un certo Stato corrisponde ai nostri desiderata.

3.

Lo Stato ideale – quello che lascia soddisfatti TUTTI i consociati ovvero non lascia insoddisfatto NESSUNO – non esiste. Chi afferma il contrario ha l’onere della prova. I grandi movimenti utopistici – quelli cioè che delineano a priori uno stato ideale – sono i primi a rilevare con forza pari al loro entusiasmo – che il modello non si è ANCORA realizzato. A latere di queste notazioni generalissime o s e si vuole, genericissime, stanno i grandi e complessi problemi sulla specifica fisionomia degli Stati (democrazia liberale, democrazia illiberale, parlamentarismo, assemblearismo, etc. ). Sono problemi capitali che si pongono però a valle anche se – nell’interazione tra principi ed applicazione di essi – si finisce a discernere difficilmente il “ prima “ e il “ dopo “.

4.

Anche se nei fatti è difficile contestare che vi siano Stati “ migliori “ di altri, la costatazione si presta ad alcune conclusioni equivoche. Da un lato “ i massimalisti del pensiero “ possono obiettare – di fronte all’affermazione che lo Stato X è migliore dello Stato Y- che nello Stato X vi sono determinate storture che non esistono invece nello Stato Y ( lo Stato X potrebbe controbattere in senso eguale e contrario ) . Al polo opposto si pone l’atteggiamento di una acquiescenza allo “ stato immodificabile “ delle cose e all’immobilismo dell’azione politica. Ma non è questo – mi pare – il modo di affrontare la questione. La Storia produce “ fatti “ non valori, ma noi giudichiamo secondo regole che sono espressione di valori o elementi per la formazione di valori. La Politica non può fare a meno di porsi, ricercare, trovare “ valori” di riferimento. La qualificazione dell’uomo come animale politico implica GIA’ una valutazione della scelta dell’aggregazione come valore rispetto al “ disvalore “ della belva errante.

5.

Nella “ miseria ed orrore “ dei fatti della Storia – che sembrano ripetersi – occorre, a mio giudizio, rifondare un sistema di “ valori “ che siano verificabili nella loro praticabilità. Non c’è Politica degna di tale nome senza un minimo (si fa per dire) di Etica. Anche questo richiamo è in certo senso relativo ma di una “ relatività buona “. Mi spiego con un esempio concreto. Chi potrebbe pensare – oggi –ad una “ condanna “ dell’omosessualità? Certo anche chi condanna ancora può farlo e ritenerlo giusto ma con quali credenziali? Lo “ spirito dei tempi “ cioè “ il mero fatto “ di essere assuefatti non basta se non è accompagnato da una indagine critica circa il passato.Il progresso esiste ma solo come processo che s’avvicina a principi buoni in sé e si può definire tale solo se elimina le ombre e le sostituisce con la luce. Ma i campi di indagine seno sempre più numerosi. Ancora una volta si fanno i conti con la definizione ( valutazione ) di cosa sono le ombre.

6.

Trovo – nella nostra cultura politica ed etica – una certa ritrosia di affrontare questi temi nella prospettiva di una rifondazione dei Principi. O forse non me ne sono accorto : è senza dubbio possibile. Mi sono imbattuto in alcuni scritti di Dworkin ( un giurista nordamericano di cui Feltrinelli ha pubblicato alcuni scritti : vd. Giustizia per i ricci; La democrazia possibile) che si è messo coraggiosamente ( intendo : non quello che si ha con le belve feroci ma il coraggio dell’intelligenza e dell’impegno e scontando una serie di incomprensioni nell’ambiente in cui vive ) su questa strada. La sua ricerca si sviluppa – come è proprio di quel tipo di cultura ( spesso da occidentali non abbastanza apprezzata ) – secondo l’analisi di casi limite, di esperienze esistenziali esemplari etc tutte illuminate però – ed è questo per me il pregio maggiore – dalle luce di una rivisitazione dei Principi dell’uguaglianza e della libertà , rigorosamente ridefiniti e rimeditati.

7.

Se a queste lacune o presunte tali, cosa si deve aggiungere per rendere ancora più misera la condizione italiana ? L’incompetenza, la falsità, l’ipocrisia, l’egoismo, la prevaricazione, una forma non tanto strisciante di squadrismo. Chi ne ha più ne metta.

1 pensiero su “Riflessioni di un impolitico

  1. Caro Mannacio,
    finalmente Ti sento vivo, non tanto per quello che scrivi, tanto perché sei ricettivo al massimo grado.
    Scrivi:
    Governanti o/(e) Governati
    Sarei più crudo, alla De Sade:

    carnefici e vittime…
    stato reale delle cose (da millenni) sotto diverse forme.
    ——————————
    Prova n.° 2
    (estorsione)

    Io so come gli addii cantano la mia schiena scudisciata e le palpebre,
    – che i saluti non sono terrestri banderuole cadute in pozze di miserie,
    – che legioni d’ossa premortali avanzano con passi inamidati e gelidi sparati,
    ma cisterne di lacrime votive non cedono liquidi cristalli alle visioni!

    Da un tugurio in Via della Distruzione io saprò orgoglioso
    dire alle tortuose trame di un credo perverso e inquisitorio,
    e come il suo nero vuoto è la nemesi di un supplizio intollerante
    che traduce il dolore in vana supplica, o dolce confessione.

    Il mio cammino è un mosaico di acrostici ferini tra malati terminali
    che le carità scambiano per pestifere croci numinose risanate dai miracoli.
    Lo sciame dei commiati ripete una terrifica rinascita risorta e consacrata,
    come la minaccia di una infettata fede è l’armonia di una musica abortita!

    Saprò ancora disputare – in fiamme! – con l’insensato universo analogico
    di un Torquemada, che a me oppone l’insipida sapienza capovolta
    di una iena riciclata e il suo bavoso rimasticare il mio mistico midollo –
    ma tu, Sant’uomo, resti sempre un boia che fa schifo alla sua stessa merda!

    antonio sagredo

    Vermicino, 13 febbraio 2007

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