LA NUOVA BR(ONTOLOGIA ESTETICA)

di Ennio Abate

Prologo e 7 estr-atti dall’Opera Omnia della NOE (qui) on line alla seguente pagina/link (qui).

                                                  Scrivi, mi dico, odia
                                        chi con dolcezza guida al niente 
 
                                      (da F. Fortini, Traducendo Brecht) 

Prologo

 Io, che ancora un po’ io (onestamente) resto, e
 addestrato alla luce
 (respingendo ogni splendore  
 che assalendo case e piante accechi  
 e sconnetta le ferme loro ombre)
 e ancora lotto per un mondo 
 dove lumi e ombre si saldino
 restituendo le cose a possibili sguardi umani,  
 che sentimento provo verso gli Ombreggiatori   
 agitanti detti filosofici come gagliardetti
 e fondatori d’una mezza setta NOE detta?
  
 Incendiari (forse) nel ‘68, pompieri poi 
 il risorto pensier marxista abbandonarono 
 e volti addietro i passi,
 il ritorno alla Parola Nichilizzata 
 vantano
 e in questo od altri link si specchiano
 narcisi superbi o finti agambiani 
 sproloquiando di Contemplazione e Inoperosità 
 di disattivazione, di deposizione, 
 di revocazione di tutte le vocazioni. 
  
 Venite, venite!  Ve la filtro io  
 in un setaccio d’odio amaro 
 la vostra br(ontologia). 
 

EstrAtto I

(Siamo nell’Arca di NOE. All’interno un elegante salotto. Al centro d’una schiera di poeti e poetesse in ghingheri, è seduta Madame Culasson che, sussiegosa, dice:)

 Mon ami, Stivàn Griecò, fa una poesia agorafiliaca. 
 E, per farla  - non la pipì, no, -
 occorre una grande quantità di immaginazione,  
 di ricordi, di sogni, di divagazioni, di dispersioni…   
 e il possesso d’una struttura dissipativa 
 tipica della mente creatrice,  
 di una particolarissima mente creatrice  
 di mondi e di ipermondi...  
  
 E Stivàn Griecò ce l’ha e voilà:  
 si amplia, cresce  e concresce e,
 come un palloncino, si smarrisce  
 in cerchi  
 in plenitudini sempre più ampie,  
 dispersive, discorsive. 

EstrAtto II

(Interviene – plin! plin! – suor Mestizia Sbranaleone e dice:)

 Stivàn Griecò agisce con la profondità che gli è consona  
 alla ri-configurazione dell’ “essere immaginale” in poesia,   
 Signori e signore, un inchino di fronte a questo  
 testo pulsante di una grecità mitica e sacrale. 

EstrAtto III

(Entra in scena Stivàn Griecò. È un pappagallo. È appoggiato sulla spalla di una gigantessa, formosa, felliniana, che raffigura l’Alta Metafora Métaphysique. Stivàn Griecò, da pappagallo non soltanto europeizzato ma pienamente, rotondamente, globalizzato, deve avere una voce ossequiosa e spavalda. Dice:)

 Ringrazio Madame Culasson, 
 qui a bien compris ce que je voulais dire  

(Subito dopo, la sua voce deve diventare solenne, baritonale, sacerdotale. E, ombreggiando il più possibile ogni singola parola, pronuncerà le seguenti:)

 Sono - stato – mosso - a scrivere - questo  -
 perché -molto  - di quello- che vedo - di poesia  
 intorno - a me -  è – epigonismo, - linearità  
 travestita – da - qualcos’altro.  

(A questo punto un Coro di Topolini e Topoline si aggirerà caoticamente sul palco, squittendo così:)

 Oh, terribil Destino  
 per noi poverini/e  ancor esprimentisi  
 in coatti registri d’ italian-televisivo!  

(Improvviso silenzio. Luci attenuate. Stivàn Griecò scenderà dalla spalla della Gigantessa e man mano prenderà forma umana. Avanzerà sul proscenio e, in tono disperato e possibilmente gassmaniano, declamerà così:)

 Non ho quasi visto poesia oggi,  
 in nessuna delle 7 lingue che parlo  
 e capisco bene  
 (e credetemi ho cercato tanto e ancora cerco),  
 che non fosse vaniloquio,  
 spesso non per mancanza di bravura ma per insipienza,  
 per non sapere dove si deve andare.   

(Ora luci al massimo. Si sente la sigla di Carosello e sette sorelle gemelle iniziano a cantare):

 
 Sette paia di scarpe ho consumate
 di tutto ferro per te ritrovare:
 sette verghe di ferro ho logorate
 per appoggiarmi nel fatale andare:

 sette fiasche di lacrime ho colmate,
 sette lunghi anni, di lacrime amare 

(Stivàn Griecò viene raggiunto al trotto da un Ippogrifo Globalizzato, tipo macchina teatrale ronconiana, e grida:)

 Lavorare insieme!   
 Individuazione  
 di una direzione. 

(Sullo schermo comparirà il faccione triste e annoiato di Harold Bloom, l’autore de Il Can(n)one Occidentale. Stivàn Griecò, che nel frattempo è montato sull’Ippogrifo Globalizzato – sempre squittii ammirati e impauriti in sottofondo dei Topolini e delle Topoline – comincia a volare nel Blu dipinto di Blu. Questo Blu, però, dev’essere rigorosamente un Blu giapponese per indicare che esso è superiore a qualsiasi Blu da Settimo Cielo della tradizione dantesca o nostrana. Mentre continua l’ascensione di Stivàn Griecò sull’Ippogrifo Globalizzato, lo si sente gridare:)

 VivaUtamakura [1] [che]
 nel Giappone di 8, 9, 10 secoli fa porta  
 l’immaginazione ad un punto altissimo,  
 ignoto altrove! 

EstrAtto IV

(Spunta – ovviamente dall’ombra, il Regista Cogito Linguadoxa. E in tono gongolante dice:

 Penso che la struttura che stiamo sperimentando  
 qui da qualche tempo, la forma-polittico  
 sia anch’essa una “struttura dissipativa”.  
 Ed è una novità di non poco conto  
 per la poesia europea.Sarei interessato 
 a conoscere l’opinione di tutti  
 in proposito. 

EstrAtto V

(Un lunghissimo silenzio. Zero commenti. Poi si sente in sottofondo il canto de L’Internazionale. E dalla solita ombra avanza – cappellaccio, barbuto, giacca in spalla come il lavoratore al centro del Quarto Stato di Pelizza da Volpedo – Cucio Maglio Toso, ex Amico del Popolo dei Moltinpoesia. D’un tratto il canto de L’Internazionale s’interrompe. Cucio Maglio Toso si mostra sorpreso. Dietro di lui il Popolo non c’è più. Si cominciano a sentire le note della Cavalcata delle Valchirie. Cucio Maglio Toso con voce, che dev’essere fievole e distaccata, mormora:)

 La parola è un potente mezzo di trasformazione,  
 da uno stato di coscienza all’altro.  
 Ve ne sono molti altri, naturalmente,  
 ma la parola, insieme al respiro,  
 è certo tra i mezzi che danno di più.  
 Sicuramente ne danno al creatore. 

EstrAtto VI

( Il Regista Cogito Linguadoxa s’accosta a Cucio Maglio Toso. Poi con larghi gesti generosi – avvicinatevi, avvicinatevi! – invita i Topolini e le Topoline ad accostarsi in modo da ricevere anche loro un applauso giustamente democratico. E rivolto a Cucio Maglio Toso dichiarerà:)

 Siamo entrambi impegnati,  
 nella folle e vana ricerca del nulla  
 che ci accomuna nella costruzione  
 de-costruzione della nuova poesia,  
 ma siamo in buona compagnia,  
 c’è Madame Culasson
 di madre lingua francese,  
 ci sono i nuovi arrivati  
 nella nuova ontologia estetica:  
 Marina Petragrillo,   
 e Francesco Paolo Puntini Sospensivi  
 ai quali diamo il benvenuto,  
 ci sono i vecchi amici dell’Ombra  
 con i quali abbiamo intrapreso
 questo viaggio forfettario:  
 Giuseppe Stalìelà, Gino Ragù col segno +, 
 Cucio Maglio Toso, Francesca Perdono, 
 Mestizia Sbranaleone, Mauro Tiernallotto,  
 Alfonso Capisaldi, Sabino Caroincompagnia etc.   

(Si spengono all’improvviso tutte le luci per dare l’impressione che il Nulla imperi in pensieri, opere ed omissioni. E si sente solo la voce del Regista che dice:)

 Come si fa a catturare il nulla? Semplice,  
 rinunciando a volerlo catturare,  
 facendo un passo indietro rispetto al linguaggio,  
 facendo un passo indietro rispetto all’io plenipotenziario… 

EstrAtto VII

(La scena è ormai vuota. Per terra non c’è il Nulla, ma ci sono coriandoli, bicchieri e piatti di plastica. Come dopo una festicciola tra amici. Entra in divisa da spazzino, Karl della Gens Livia e borbotta perplesso:)

 Si tratta di riflettere sulla capacità 
 palingenetica  e soteriologica 
 di tale atto creativo,  
 di dargli valore integrativo  
 fra le diverse procedure noetiche,  
 con la creazione di nuove mitologie.  

(Per pochi secondi si vedono due – il Regista Cogito Linguadoxa e Totonne Sagredò, l’antidiscepolo riottoso della NOE – che si azzuffano discutendo animatamente del dogma metaforico. In fondo alla sala compare con fare titubante Gino Ragù col segno +, ma non c’è più nessuno che vuole ascoltare l’“Autoconfessione sulla [sua] poesia”. Timidamente una certa Paola NonLorenzetti si accosta a una delle finestre dell’ Arca di NOE, guarda fuori e poi, con aria rassegnata, appiccica con lo scotch un foglietto con una sua poesia, sperando che domani qualcuno gliela commenterà. E’ notte. Che si spera buona sia per i suonatori che per gli ombreggiatori. All’alba si vedrà di tutto questo cosa resterà.


Nota [1]https://www.swissinfo.ch/ita/dalla-parola-all-immagine-per-solleticare-l-eros/3107372

3 pensieri su “LA NUOVA BR(ONTOLOGIA ESTETICA)

  1. Ringrazio per l’amorosa pièce. Per fortuna stiamo tutti bene.
    Oggi all’almanacco hanno distribuito i pacchi alimentari. E a fine mese un congruo reddito di cittadinanza. Bollette pagate.
    Libri ve ne sono in biblioteca, senza che li si debba comprare. E al bar del paese, per un caffè ti danno da leggere la Gazzetta.
    Fa ridere ogni cosa che fa ridere, senza distinzione.

    Lucio Mayoor Tosi (Cucio).

  2. UNA PRECISAZIONE

    Lo stato della discussione critica sulla poesia è oggi deprimente. Sui social poi è fatuo e spesso persino nocivo. Molti, in apparenza saggiamente, se ne tengono alla larga. O consigliano di pensare alle “cose serie” e a non sprecarsi in “polemicuzze”. Non ci riesco. E anzi in questa mia volontà di non rinunciare alla critica ci vedo ancora del buono. Perché credo di fare qualcosa di complementare a quello della ricerca non polemica, riflessiva, contemplativa, mirata ad uno scopo “superiore”: costruire spazi per esprimere un *noi costruttivo* accanto agli spazi per un *io non narcisistico*.

    Ecco il perché negli ultimi giorni ho pubblicato in successione il post su cosa è la NOE e la parodia della Nuova br(ontologia estetica). Accanimento contro ex-amici che hanno fatto altre scelte di poetica e di politica? No. Critica meditata dal mio punto di vista.

    E qui devo una spiegazione “storica” della pubblicazione di questi due post.
    Chiusa da tempo l’esperienza del Laboratorio Moltinpoesia (2006-2012), ignorate le raccolte di poesia che sono riuscito a pubblicare, fallito il mio tentativo di delineare una prospettiva di *poesia esodante*, sono rimasto – contro ogni mio desiderio – un io/noi isolato, ma non rassegnato alla solitudine. E stavolta ho detto pubblicamente quel che penso de L’Ombra delle Parola.
    Ho a lungo rimandato questa presa di posizione, a causa della brutta conclusione – per la precisione il 17 settembre 2013 (https://moltinpoesia.wordpress.com/2013/09/17/discussioneancora-sulla-poesia-di-eugenio-de-signoribus/ ) – del breve periodo di collaborazione con Giorgio Linguaglossa.
    Mi ero seriamente confrontato con alcuni suoi libri e, pur guardingo verso le sue ambivalenze (molto più forti delle mie) nei confronti dei poeti “di successo”, avevo ospitato tutte le sue proposte sul blog Moltinpoesia. Sperando – qui mi sono sbagliato – che il confronto potesse giovare ad entrambi e a chi seguiva le discussioni e produrre un chiarimento su quale poesia oggi sia da pensare e fare.
    Mai avrei pensato che la rottura di quella incerta collaborazione – risultata poi ambigua e strumentale, ma da parte sua non da parte mia -, potesse avvenire per una mia critica alla sua liquidazione della poesia di Eugenio De Signoribus. O che la mia critica potesse essere considerata diffamatoria (!) del suo lavoro di critico. O che potesse essere essere seguita dal suo abbandono del lavoro intrapreso con Moltinpoesia e una fulminea fondazione con altri poeti e critici, prevalentemente romani, di quella che oggi si definisce Rivista Letteraria Internazionale.

    Non ho voluto per diversi anni intervenire sul lavoro dell’Ombra della Parola e sulla teorizzazione della NOE. L’ho fatto adesso e secondo la mia coscienza, perché certo che la mia critica è oggi depurata da qualsiasi risentimento o voglia di rivalsa per quanto accaduto allora.

  3. Aggiunta (del lato in ombra de L’Ombra delle Parole)

    AL VOLO
    (dalla bacheca FB di Maria G Meriggi)

    La filmmaker ternana Greca Campus ha intitolato un film su queste vicende Lotta senza classe. Qui sta il punto. Da un lato, i rapporti di potere: da almeno due o tre generazioni, le lotte collettive non la spuntano contro il potere invisibile e ferreo del capitale finanziario e della globalizzazione, e le trasformazioni nel modo di produzione sottraggono le basi materiali dell’identità di classe. Dall’altro, l’offensiva ideologica: la classe non esiste, l’unica solidarietà è la beneficenza, non esiste la società ma solo gli individui (Mrs. Thatcher), bisogna farsi “imprenditori di se stessi” come dicevano negli anni’80, il “merito” individuale è la sola misura dell’umanità, la classe retrocede a folla.
    E’ la lezione che ripete ancora il liberalismo clintoniano e renziano e che culmina con “uno vale uno” dei cinque stelle (con la patetica parodia Pd del “tu vali tu”).
    E’ diventato senso comune, peraltro falso e bugiardo, perché in una società sempre più diseguale è sempre meno vero che uno è uguale a uno. Uno significa semplicemente sei solo, siamo davvero una folla solitaria, in cui sono molto flebili e sempre meno convinte le voci che provano a ricordarci che
    noi insieme valiamo più della somma dei nostri uno.
    Un tempo lo sapevamo.

    ( DA https://ilmanifesto.it/dalle-lotte-operaie-fallite-alla-folla-solitaria-di-terni/)

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