Il caso: Golem di Paul Wegener

di Giulio Toffoli

Tonteggiando 7

Paul Wegener deve essere stato particolarmente colpito dalla pubblicazione nel 1914 del romanzo di Gustav Meyring: Il Golem. Infatti fra il 1915 e il 1920 ha realizzato tre diverse opere che hanno come soggetto il tema del Golem rivisto da diversi punti di vista.

PRIMO FILM

Il primo film è del 1915 è ha per titolo semplicemente Il Golem.

Di esso sono sopravvissuti solo 4’ degli 85’ originali.

LA SCHEDA

Titolo originale Der Golem
Lingua originale Tedesco
Paese di produzione Germania
Anno di produzione 1915
Durata 85’
Dati tecnici B/N – Rapporto 1,33: 1 – film muto
Genere Horror
Regia Paul Wegener e Henrik Galeen
Sceneggiatura Rochus Gliese
Casa di produzione Deutsche Bioschop
Attori principali Paul Wegener: Golem,Henrick Galeen: il conte, Lyda Salmonova: Jessica

LA TRAMA

Durante degli scavi nel quartiere ebraico di Praga dei lavoratori scoprono una grande statua di argilla. La portano da un antiquario che grazie alle sue competenze magiche riesce a farla tornare in vita. Si tratta del Golem, un mostro d’argilla creato magicamente dal rabbino Benjamin Yehuda Loew nel XVI secolo per difendere la sua comunità dalle persecuzioni dell’imperatore Rodolfo II.

L’antiquario, avendo miracolosamente scoperto su un libro cabalistico la formula per infondergli la vita, ne fa un suo servitore per difendere la figlia da pretendenti indesiderati. Solo che il Golem si innamora della figlia dell’antiquario e quando si rende conto della sua condizione di oggetto d’argilla e che non può essere ricambiato diventa folle e violento distruggendo ogni cosa.

Rincorre per ogni dove Jessica e i suo fidanzato e li trova su una torre, ma per impedire che la violenza del Golem colpisca il fidanzato Jessica riesce a spezzare l’amuleto che lo tiene in vita. Il Golem cade dalla torre e finisce in frantumi

L’assenza delle immagini, se non il piccolo frammento indicato, impediscono di dare una valutazione del film che ebbe un grande successo non solo in Germania ma anche nel resto d’Europa e negli USA.

SECONDO FILM

Il secondo film, in verità un cortometraggio realizzato nel 1917, aveva come titolo Der Golem und die Tanzerin (Il Golem e la danzatrice). Doveva essere una commedia che parodiava il primo film.

La trama narrava di un personaggio che dopo aver visto il film Il Golem decideva di travestirsi come il mostro per spaventare una ballerina e il suoi amici.

Di quest’opera, il primo sequel della storia non è sopravvissuto neppure un fotogramma.

TERZO FILM

Nel 1920 infine Wegener realizza un terzo film, Der Golem, wie er in die Welt kam, che costituisce una specie di prequel di quello del 1915. Come il primo anche questo film diventa un vero e proprio successo mondiale per l’epoca.

Sicuramente influenzò il regista James Whale che nel 1931 realizzò il suo Frankenstein.

Di qui poi una sequenza di film horror che non sembra esaurirsi.

LA SCHEDA

Titolo originale Der Golem, wie er in die Welt kam (trad. Golem – Come venne al mondo)
Lingua originale Tedesco
Paese di produzione Germania
Anno di produzione 1920
Durata 85’
Dati tecnici B/N – Rapporto 1,33: 1 – film muto
Genere Horror
Regia Carl Boese e Paul Wegener
Sceneggiatura Hans Poelzig e Kurt Richter
Casa di produzione Projektions-AG
Attori principali Paul Wegener: Golem, Albert Steinruch: Rabbino Loew Lyda Salmonova: Miriam la figlia del rabbino

LA TRAMA

Il grande Rabbino Benjamin Yehuda Loew osservando le congiunzioni stellari dall’osservatorio posto nel terrazzo della sua abitazione ha una premonizione: il suo popolo sarà colpito da una dura disgrazia. Allora ne va a parlare con un altro venerabile maestro. Viene infine convocata la comunità degli ebrei di Praga nella sinagoga ed essi si rivolgono a Dio battendosi il petto e chiedendo perdono.

Nello stesso tempo l’imperatore di Asburgo Rodolfo II rende pubblico un decreto in cui impone alla comunità ebraica di abbandonare Praga.

Loew nel tentativo di trovare una soluzione che salvi la sua gente legge in un vecchio libro una profezia che afferma che sarà il Golem, una statua di argilla con dei poteri superumani, a salvare la comunità. Allora Loew si reca in cantina e qui inizia a costruire una statua di argilla.

Un ambasciatore giunto alle porte del ghetto è trattenuto e gli viene chiesto di recarsi dal rabbino Loew.

L’ambasciatore, mentre consegna il testo del decreto imperiale, viene fulminato dalla bellezza della figlia del rabbino essendone seduta stante ricambiato.

Loew, letto il documento, chiede di essere ricevuto in una udienza imperiale. Ottenuto l’assenso si reca al palazzo di Rodolfo II accompagnato dal Golem che ha preso vita grazie a una misteriosa formula che solo Loew conosce e che gli ha impresso nel petto con un sigillo.

Nel palazzo imperiale Loew è ben conosciuto per le sue arti magiche e l’arrivo assieme a lui del Golem genera una forte attenzione; in particolare le donne sono attratte dalle dimensioni di questa statua vivente.

Loew di fronte all’imperatore si mette all’opera e riesce, usando tutte le sue conoscenze, a richiamare in vita immagini del suo popolo in viaggio, finché dalla massa esce una figura diversamente interpretata dai critici, sia esso l’Ebreo errante o un sovrano babilonese, che lancia una maledizione contro l’imperatore e fa sprofondare il palazzo.

L’edificio va in frantumi e solo grazie alla forza del Golem Rodolfo II e la sua corte hanno salva la vita.

Di fronte a tanta dimostrazione di potenza l’imperatore concede il perdono alla comunità ebraica di Praga e Loew può tornare nel ghetto dove è accolto da trionfatore.

Il rabbino sa però che l’essere che ha chiamato in vita non ha solo delle doti positive e vorrebbe distruggerlo ma è impedito da una ambasciata che lo convoca, per un rito di ringraziamento, in sinagoga e allora semplicemente gli toglie il sigillo che lo tiene in vita.

L’assistente di Loew, che ha scoperto la tresca fra l’ambasciatore e Miriam, la figlia di Loew, decide di ridar vita al Golem convinto che possa vendicarlo, infatti il Golem uccide l’ambasciatore ma nel contempo si innamora della donna. Non ricambiato è preso da una furia selvaggia e tutto distrugge rapendo anche la ragazza. Deve però abbandonarla perché è inseguito.

Uscito dal ghetto si imbatte in una comitiva di bambini che lo attraggono. Alcuni si ritirano spaventati ma una bambina lo guarda con attenzione lui la prende in braccio, lei gli offre una mela e intanto furtivamente toglie il sigillo al Golem cade a terra senza vita.

La comunità degli ebrei di Praga accorre, prende il Golem e lo riporta dentro i confini del ghetto.

PERCHE’ RIVEDERLO OGGI?

E’ davvero difficile guardare e leggere questo film senza pensare a ciò che è successo all’intera comunità ebraica europea dal 1933 in poi.

Il film fin dalle sue prime scene offre una interpretazione della comunità di Praga con delle caratteristiche che la astraggono ampiamente da una dimensione storica, sia pure quella del XVII secolo, trasferendola in un contesto che sembra del tutto simile a quello di un fantasy.

L’idea stessa che i rabbini siano detentori di una saggezza arcana, magica, capace di portare in vita forze demoniache tramite l’uso di un sapere portentoso, cabalistico, alchemico, astrologico di cui sarebbero indiscussi maestri non può che creare una qualche impressione amara.

Vedere Benjamin Yehuda Loew che maneggia libroni con segni misteriosi, che richiama in vita immagini e personaggi di una storia arcaica fino a riuscire ad infrangere il confine fra memoria e realtà può benissimo essere interpretato come un gioco dell’immaginazione gestito con grande abilità, per le possibilità tecniche dell’epoca, usando forme che richiamano gli scenari della cinematografia “espressionista”. Infatti come non essere affascinati vedendo uno scenario costituito da edifici del tutto privi delle normali caratteristiche, case sghimbesce, con guglie gotiche, un ghetto che sembra simile a una città di gnomi o folletti, percorso da stradine che sono quasi dei sentieri, con le case che sembrano veri e propri antri, con scale che si avvolgono su se stesse, con cantine che sembrano delle impenetrabili segrete e con terrazze che si palesano come osservatori stellari.

Non di meno come non essere stupiti vedendo la gente che si muove per le vie del ghetto non solo con i tradizionali caffetani ma anche con cappelli a punta che fanno, per naturale associazione di idee, pensare a maghi o stregoni.

E che dire della scena della sinagoga con questi individui che sembrano quasi fantasmi o spettri impegnati in riti che ci sono del tutto alieni.

Insomma uno sfondo, costituito da scene preparate con grande genialità che potrebbe affascinare se non fosse che è difficile dimenticare che nell’Europa e negli USA dopo la fine della Grande Guerra e ancora più fortemente nella Germania di Weimar era presente un profondo sentire antisemita che si nutriva proprio di questi elementi. Come non avere l’amara impressione che anche questo film possa aver favorito il consolidarsi di una tragica idea che il mondo ebraico fosse una pericolosa alterità che andava con ogni possibile strumento estirpata.

In questo senso l’interpretazione offerta da Kracauer appare davvero sfuocata. Si pensi, fra l’altro, che il suo lavoro fu pubblicato nel 1946, alla fine della seconda guerra mondiale quando dello sterminio degli ebrei ormai nessuno poteva essere all’oscuro e ancor più Kracauer e i suoi amici.

Questo prequel, attenzione che per quel che si può comprendere è ben diverso da quello del 1915 che era del tutto calato nella realtà sociale della Germania dell’epoca, non rappresenta un elemento progressivo ma piuttosto un pericoloso strumento che poteva ulteriormente consolidare nell’animo di chi già aveva dei chiari pregiudizi l’idea che quella ebraica fosse una cultura estranea a quella europea e sostanzialmente pericolosa.

Di fronte a ciò ben poco poteva fare il Golem che era e restava un gigante con i piedi di argilla. Infatti gli ebrei non riusciranno a trovare, nel decennio che va dal 1935 al 1945, alcuna forza bruta capace di impedire che si compisse il terribile destino che li attendeva. Tanto meno un Golem.

L’INTERPRETAZIONE DI KRACAUER

Kracauer afferma che: “L’animo tedesco, ossessionato dall’alternativa tra domino tirannico e caos degli istinti e minacciato di sfacelo da ambo le parti, si dibatteva fra gli elementi ostili come la nave fantasma di Nosferatu”. In questo quadro Il Golem viene visto come l’unico tentativo di un adattamento psicologico in senso: “progressista degli anni dell’immediato dopoguerra … tendeva a dare potere esecutivo al pensiero razionale, in modo che questo potesse dissipare le oscure inibizioni e gli impulsi incontrollati da cui era posseduto l’animo collettivo. Se il tentativo di far trionfare la ragione fosse riuscito, la ragione avrebbe smascherato il carattere illusorio della torturante alternativa fra tirannia e caos e avrebbe fatto piazza pulita delle tradizionali tendenze autoritarie che ostruivano il cammino della vera emancipazione.”

Uno dei pochi casi in cui questa possibilità si era palesata era proprio il secondo Golem di Wegener.

Aggiunge Kracauer: “Gli scenari di questa versione ampliata, del vecchio film prebellico erano stati allestiti dal professor Pölzing”.

Poi dopo una breve sintesi della trama aggiunge: “… il rabbino convoca con arti magiche una processione di personaggi biblici, fra cui Assuero che sconfina nel regno della realtà mettendosi a distruggere il palazzo imperiale … l’imperatore accetta di ritirare l’ordine di espulsione … il Golem impedisce che i muri crollino”.

E conclude: “Qui la ragione si serve della forza bruta come strumento per liberare gli oppressi. Ma invece di seguire questo motivo, il film si concentra sull’emancipazione del Golem dal suo padrone e si invischia sempre più in mezze verità”. (S. Kracauer, Cinema tedesco, Mondadori, 1977, pag. 110 – 116)

Il prossimo film di cui vi suggerisco la visione, la cui scheda uscirà il 16 dicembre, è:

Il viaggio di mamma Krause verso la felicità (1929) di Phil Jutzi.

Come si diceva una volta:

“Buona visione”.

1 pensiero su “Il caso: Golem di Paul Wegener

  1. DA DETLEV VON LILIENCRON

    Per tranquillizzarsi
    si disse che solo in sogno, senza arti magiche
    così alla buona (è grave!)
    qualche Golem pure lui s’era costruito
    non d’argilla, non di legno
    ma fissando a lungo la nera materia fantastica
    ora su una lavagna
    ora su un muro o uno scarabocchio.

    E quello
    militaresco e preciso, lo l’aveva servito.
    E, nel tempo delle lotte, era andata quasi bene.
    Nessuna fatica in apparenza a passare da dentro a fuori.

    Nella stanza oscura Golem preparava solerte
    oli d’odio e proiettili micidiali.
    Lui, socchiudendo gli occhi, li pensava
    e li lanciava su ideologizzati bersagli.

    Poi fu chiaro che molti nemici da lui avvicinati
    erano inermi quanto lui.
    Sempre più lungo si fece il tempo della solitudine.
    Golem odiò lui e gli si rivoltò
    lo assaltò alle spalle, gli impedì i movimenti
    lo circondò di poliziotti, travestì le donne da megere
    e i bambini da piagnucolosi malati
    lo spinse in mezzo ai cimiteri
    usò tutta la sfrontata familiarità che gli aveva concesso
    per dominarlo.

    Adesso era questo nemico interno il più intrattabile.

    Il mito del Golem l’ho sfiorato in questa poesia. Devo averla scritta agli inizi degli anni Novanta, quando comprai «Poesia tedesca del Novecento», a cura di Anna Chiarloni e Ursula Isselstein, Einaudi, Torino 1990. Lo spunto mi venne dal testo tradotto in italiano – non conosco il tedesco – della poesia «Il Golem» di Detlev von Liliencron [*] a pag. 38. E vi inserii suggestioni legate alla mia militanza politica degli anni Settanta.

    Al direttore romano di una rivista di poesia, a cui la mandai nel 2002 insieme ad altre, non erano piaciute queste mie esercitazioni poetiche; e gli avevo replicato polemicamente così:

    “Un’ultima osservazione sul senso delle “poesie da”. Se non avessi citato le mie fonti, forse i suoi dubbi (e spero curiosità) non si sarebbero manifestati. Lei avrebbe letto quelle poesie come “mie” e le avrebbe apprezzate o bocciate. L’esplicitazione delle fonti le fa porre un problema di “originalità” ( se non di “proprietà”: «ma quanto è suo e quanto del poeta di riferimento?»). Problema che assilla (a volte positivamente, a volte pedantescamente) critici e filologi. Potrei chiederle di confrontare testo-fonte e testo da me prodotto. Potrei ricordarle tutta la grande tradizione degli umanisti e dei manieristi. E le citazioni mascherate o palesi che poeti e scrittori hanno fatto dei testi letti e amati. M’interessa qui rilevare una sola cosa: copiare, tradurre, mescolare il proprio linguaggio (che è poi anche pensiero, sentimenti, e forse corpo, ecc.) con quelli altrui – viventi o trapassati – a me pare preferibile alla ricerca di una identità o originalità, che spesso finiscono per essere statuarie e quasi catatoniche”.

    APPENDICE

    Detlev von Liliencron
    di Marino Freschi

    Der Golern
    Prag, das alte sagenreiche,
    Barg schon viele Menschenweisheit,
    Barg schon viele Menschentorheit,
    Auch den hohen Rabbi Löw.

    Rabbi Löw war sehr zu Hause
    In den Künsten, Wissenschaften,
    Und besonders in der schwarzen,
    In der schweren Kabbala.

    So erschuf er einen Golem,
    Einen holzgeschnitzten Menschen,
    Tat belebend in den Mund ihrn
    Einen Zauberspruch: den Schem.

    Unverdrossen, als sein Diener,
    Muß der Golem fegen, kochen,
    Kinder wiegen, Fenster putzen,
    Stiefel wichsen und so fort.

    Nur am Sabbath darf er rasten;
    Nahm ihm dann der hohe Rabbi
    Aus dem Mund den Zauberzettel,
    Stand er stockstill augenblicks.

    Einmal hat er es vergessen,
    Einmal, was ist da geschehen:
    Rasend wurde, dwatsch der Golem,
    Ein Berserker ward der Kerl.

    Bäume reißìt er aus der Erde,
    Hauser wuppt er in die Wolken,
    Schleudert Menschen in die Lüfte,
    Stülpt den Hradschin auf den Kopf.

    Schon im Anzug war der Sabbath,
    Alle Arbeit muß nun ruhen.
    Alles flüchtet, schreit und zetert
    Nach dem hohen Rabbi Löw.

    Der erscheint; packt eben, eben
    Noch den Tollhans am Schlafittchen,
    Ist mit ihm bald oben, unten,
    Bald auf Bergen, bald im Tal:

    Wie ein Bändiger, der dem Pferde,
    Das sich bäumt und wirft und schüttelt,
    Einen Kappzaum legen möchte
    Und nun mit ihm tanzen muß.

    Hopsa, hopsa, was für Sprünge!
    Aber endlich glückts, er würgt ihn,
    Zerrt den Schem ihm aus den Zähnen –
    Und zerschmettert liegt der Kerl.

    Nicht noch einmal hat der Rabbi
    Einen Golem sich geschnitzelt,
    Jede Lust war ihm vergangen:
    Allzu k1ug ist leicht zu dumm.

    Il Golem || Praga, antica e leggendaria, già nascondeva | molta umana
    saggezza | già nascondeva molta umana follia, | e insieme anche l’alto
    Rabbino Löw. || Rabbi Löw era molto esperto | nelle arti e nelle scien-
    ze | e specie in quella nera, | nell’ ardua cabbala. || Cosi creò un golem, |
    un uomo di legno intagliato; | gli rese vivente nella bocca | una formula
    magica: lo schem. || Instancabile, come servitore | il golem deve spaz-
    zare, cucinare, | cullare bambini, pulire le finestre, | lucidare gli stivali
    e così via. | Può riposare solo di sabato; | allorché l’alto Rabbi gli toglieva | dalla
    bocca il foglietto magico, | restava immediatamente immoto. || Una
    volta lo dimenticò. | Una volta successe: | E crac il golem s’infuriò, | di-
    venendo un energumeno. || Divelle gli alberi da terra, | slancia case
    nelle nuvole, | scaglia uomini in aria, i capovolge il Hradschin. || Il sa-
    bato stava già iniziando, | ogni lavoro deve ora riposare, | tutto fugge,
    grida e si lamenta | verso l’alto Rabbi Löw. || Ed ecco che appare: af-
    ferra subito subito | l’ammattito al colletto, | è con lui ora su, ora giù,
    | ora sui monti, ora sul piano. || Come un domatore che al cavallo, | che
    s’inalbera e si scrolla e si scuote, | vorrebbe mettere le briglie | e ora
    deve ballare con lui. !! Oplà, oplà, che salti! | Ma alla fine gli riesce, lo strangola, | gli strappa lo schem* dai denti | e quello giace li a pezzi. || Il rabbino non si è mai più | intagliato un golem: || gli era passata ogni voglia. | Troppo ìntelligente è facilmente troppo stupido.

    *’schem’, parola che vivifica

     Detlev von Liliencron. – Poeta tedesco (Kiel 1844 – Alt-Rahlstedt, Amburgo, 1909). Ufficiale nell’esercito prussiano (1863), partecipò alle campagne del 1866 e del 1870-71, restando in entrambe ferito. Lasciata la vita militare, cercò fortuna in America, ma ritornò presto in patria, dove assunse l’ufficio di soprintendente alle dighe nell’isola di Pellworm. Aveva frattanto iniziato la sua attività letteraria con impressioni di guerra (Adjutantenritte und andere Gedichte, 1883), che ebbero il favore della nascente scuola naturalistica. Compose in seguito liriche, notevoli per schiettezza e vivacità (Gedichte, 1889; Neue Gedichte, 1893; Kampf und Spiele, 1897; ecc.), racconti e novelle (Eine Sommerschlacht, 1886; Unter flatternden Fahnen, 1888; Krieg und Frieden, 1891; Kriegsnovellen, 1895, ecc.), molte delle quali ispirate alla guerra. Meno felice è l’ampio poema autobiografico Poggfred (1896), riecheggiante il Don Giovanni di Byron. [da Treccani on line]

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