Il viaggio di mamma Krause verso la felicità di Phil Jutzi

di Giulio Toffoli

Tonteggiando 8

LA SCHEDA

Titolo originale Mutter Krausens Fahrt ins Gluck
Lingua originale Tedesco
Paese di produzione Germania
Anno di produzione 1929
Durata 121’
Dati tecnici B/N – Rapporto 1,33: 1 – film muto
Genere Drammatico
Regia e riprese Phil Jutzi
Casa di produzione Prometheus-Film- Verleih-Vertriebs-GmbH
Attori principali Alexandra Schmitt: Mutter Krause, Holmes Zimmermann: Paul

LA TRAMA

Mutter Krausens Fahrt ins Gluck, narra una storia di povertà e sofferenza nella periferia di Berlino in un contesto umano che vede il mondo operaio e quello sottoproletario, costituito da marginali della più varia realtà, convivere in una inesausta lotta per la sopravvivenza. La dignità del lavoro si confonde con l’umiliazione della disoccupazione, della marginalità e infine con la realtà di chi per campare si abitua ad usare i mezzi della piccola criminalità.

E’ questo il contesto che si trovano a vivere mamma Krausen, i suoi figli Paul ed Erna e gli altri conviventi, un mezzo delinquente, che vive di espedienti, la sua compagna, una prostituta e la giovanissima figlia. In sei si dividono due misere stanzette. Mamma Krausen e i figli vivono nella cucina che è anche camera da letto e gli altri nell’altra stanza.

In questo clima tendenzialmente claustrofobico, con al centro il tavolo dove dividono la colazione e la cena, si sviluppa la vita di mamma Krausen, che cerca disperatamente di difendere la dignità della famiglia, e le due storie parallele dei due figli.

Paul è un disoccupato, tendenzialmente nullafacente, con l’unico desiderio di svagarsi e ubriacarsi nelle birrerie del quartiere. Per far ciò non esita a rubare i denari che la madre è riuscita faticosamente a racimolare con la sua attività di giornalaia. Lasciandosi poi tentare dall’inquilino che lo porta sulla via della piccola criminalità.

Non meno difficile è la vicenda di Erna che è costretta, nella convivenza forzata a causa del piccolo ambiente in cui vivono, a subire le attenzioni dell’inquilino. La giovane cerca costantemente di difendersi dalle sue avances e riesce a trovare una via di fuga innamorandosi di un serio e dinamico operaio che si palesa marxista e militante della sinistra comunista. I due passano momenti felici e il loro rapporto sembra consolidarsi.

La situazione però precipita quando mamma Krausen scopre che il figlio ha dissipato tutti i suoi denari. Cerca di ripianare la situazione rivendendo ad un Monte dei pegni gli ultimi oggetti di un qualche valore che gli sono rimasti, ma la situazione resta difficile.

E’ in questo clima tutt’altro che sereno che l’inquilino e la donna con cui convive decidono di organizzare una grande festa di matrimonio. Si tratta di una lunga scena di quasi 10’ che vuole mostrare uno spaccato del mondo popolare della Berlino di fine anni ’20. Tutti gli invitati mangiano con gran voracità, bevono, ridono e ballano senza freni. Nell’ebbrezza generale si verifica un incidente fra l’inquilino e Max, infatti l’inquilino millanta di essere stato l’amante della giovane. Max allora abbandona la festa, disperato e offeso. Non sa che fare e si rivolge a un compagno che lo convince che probabilmente la colpa non è da addebitare alla donna ma alle strategie messe in opera dall’inquilino.

Mamma Krausen non ha però sanato la sua situazione economica e le mancano 20 marchi, li chiede alla prostituta ma né lei né il suo uomo loro possono fare nulla, sono poveri quanto e più di lei. Forse solo Erna potrebbe facilmente recuperare la cifra vendendosi a un ricco borghese.

Quando però si trova a casa dell’uomo, pur attratta dalla cifra che le viene fatta frusciare sotto il naso, resiste e alla fine fugge. Corre a casa di Max e scopre che è a una manifestazione. Si reca sul luogo, lo trova e assieme a lui partecipa alla manifestazione che si svolge al suono di Bandiera rossa.

Tornati a casa i due giovani si chiariscono e consolidano il loro rapporto. Sicuri uno dell’altra la sera vanno a casa, prendono mamma Krausen e la portano ad una festa popolare. Tutti sono felici tranne mamma Krausen che torna presto a casa. Non sa nulla di suo figlio e la preoccupa la situazione della famiglia che non è sanata.

Proprio quella sera l’inquilino, Paul e un altro, che fa da palo, cercano di rapinare il Monte dei pegni, quello dove mamma Krausen aveva lasciato i suoi ultimi averi. Il colpo va male e arriva la polizia. L’inquilino viene catturato in flagranza e Paul viene arrestato a casa davanti agli occhi della mamma.

Mamma Krausen vede così crollare il mondo che aveva disperatamente cercato di difendere. In casa non c’è più nessuno se non lei e la figlia della prostituta. In modo diverso per l’una come per l’altra non si prospetta un futuro felice e allora mamma Krausen decide di “partire verso la gioia”, liberandosi di una vita che è diventata un fardello insopportabile, insomma suicidandosi.

La mattina dopo Erna e Max vanno a casa da mamma Krausen ma ormai non c’è più nulla da fare.

L’ultima scena riprende con camera fissa le gambe dei manifestanti che a loro modo vanno verso “la felicità”.

PERCHE’ RIVEDERLO OGGI?

Phil Jutzi (1894-1945?) esponente di punta del cinema di sinistra radicale degli anni della Repubblica di Weimar è stato cameramen e regista con all’attivo una ampia serie di documentari e almeno tre opere di aperta denuncia sociale: Nostro pane quotidiano (1929), Il viaggio di mamma Krausen verso la felicità (1929) e Berlin Alexanderplatz (1931) che ne fanno uno degli autori di spicco della Nuova Oggettività.

Questi film sono stati realizzati da collettivi di artisti raccolti intorno alla Prometheus-Film, una associazione culturale e casa di produzione vicina al Partito Comunista Tedesco (KPD).

Quali le caratteristiche che rendono ancora oggi degno di attenzione questo film?

Due sono gli elementi che meritano di essere sottolineati.

Il primo è l’uso di una serie di riprese documentarie che ci offrono un’interessante spaccato della realtà umana della Berlino popolare della fine degli anni ’20. Si pensi ai primi 5’minuti del film che sono una specie di piccolo documentario nel film, poi le riprese dei lavori stradali, delle giostre, della birreria e della gente che va a svagarsi in riva ai fiumi intorno a Berlino. Poi come dimenticare quel pezzo da antologia costituito dalla manifestazione a cui partecipa Max. Una manifestazione politica che sembra una parata militare, con la banda in testa, con i mutilati, memoria della guerra, e con la massa dei militanti inquadrati in modo preciso, rigorosamente costituita da soli maschi, tanto che Erna sembra far fatica ad essere accettata.

Il secondo elemento è invece costituito dalla trama del racconto, dalla difficile convivenza fra due diversi mondi, o forse per essere più precisi fra più diversi mondi che si incontrano, si toccano e fanno fatica a trovare un linguaggio comune.

Con l’esperienza storica che oggi abbiamo accumulato sulle nostre spalle sembra difficile poter sostenere che esista un semplice e lineare conflitto fra la quella che il film sembra definire la “nostra morale”, quella socialista chiara nei suoi postulati, e l’altra morale.

Credo sia lecito chiedersi: quale altra morale? Quella di mamma Krausen, quella dell’inquilino, quella della prostituta, quella del figlio, quella degli individui che frequentano le birrerie?

Possono queste diverse soggettività essere riunite, con una evidente semplificazione, come espressione di una morale piccolo-borghese?

Vedendo questo film mi sembra ci si possa una volta di più conto rendere della rigidità formalistica che ha segnato a lungo certi modelli della cultura che si volevano alternativi a quelli dominanti ed in fondo ne erano ampiamente subordinati.

Se guardiamo con attenzione critica la figura di Max e ci domandiamo perché sia offeso ci rendiamo conto che la motivazione è perché l’inquilino ha attentato alla purezza della “sua” donna. Pare naturale oggi choedersi, con alle spalle l’esperienza del femminismo, se si può parlare di una “sua” donna.

Similmente il dramma di mamma Krausen può essere ridotto a una semplice incapacità di acquisire una diversa coscienza? La domanda che pare ovvia è: quale coscienza, quali norme avrebbe dovuto far sue? In fondo mamma Krausen non fa altro che cercare di proteggere i suoi figli. Sbaglia?

Non di meno il mondo del sottoproletariato, incarnato dall’inquilino e dalla prostituta, è semplicemente quella palude melmosa che deve essere spietatamente annientata o presenta, almeno in alcuni attimi, delle forme di dignità nei confronti delle quali non si può semplicemente assumere il tono dei liquidatori.

Insomma nel film sembra vi sia una chiara contrapposizione fra una morale basata sulla miseria del quotidiano, sulle sue piccole regole, sui suoi compromessi e, diciamolo, anche sulle sue falsità e una morale basata sull’emancipazione; quali ne siano poi i postulati e come si articolino nella concreta realtà quotidiana, dominata dal primato del capitale, è davvero difficile capirlo.

In questo senso mi sembra si debba capovolgere il giudizio di Kracauer.

Jutzi non aveva la possibilità di fornire un decalogo della nuova moralità, né d’altronde nella “patria del socialismo” si erano articolati modelli che potessero essere proposti come ragionevolmente alternativi. Anche nell’Unione Sovietica, dopo una breve primavera, era riemersa la tragica logica dell’autoritarismo e del recupero di una morale molto vicina a quella tradizionale.

In questo senso la proposta registica di Jutzi sembra ancora oggi ragionevole e particolarmente degna di attenzione. Il regista non compie una scelta. Guarda con occhio distaccato, e in qualche modo di pietoso rispetto, la scelta della mamma Krausen, la sua decisione di porre fine alla sua esistenza, mentre proprio negli ultimi fotogrammi ci ricorda che probabilmente esiste un’altra morale, basata sulla solidarietà, sulla comprensione degli altri, sul rifiuto della sopraffazione.

Una morale difficile da gestire e le cui norme non sono per nulla certe ma che è terreno su cui vale la pena di cercare di marciare insieme.

L’INTERPRETAZIONE DI KRACAUER

Secondo Kracauer Il viaggio di mamma Krausen verso la felicità o se si vuole meglio La partenza di mamma Krausen verso la felicità rappresenta il film più riuscito di una serie di prodotti che fra il 1928 e il 1929, in una specie di ultimo sussulto, affrontano temi di natura sociale non privi di un qualche risvolto politico. Di questi film ne tre vengono segnalati: Questa è la vita di Carl Junghans, Al di là della strada di Leo Mittler e soprattutto questo Viaggio di mamma Krausen… di Piel Jutzi su soggetto di Heinrich Zille, che muore poco dopo aver ultimato la sceneggiatura.

“Nell’ultimo film di Zille – afferma Kracauer – nessuna illusione … indebolisce il verismo dell’ambiente della Berlino Nord, creato con l’aiuto di numerose riprese documentarie”.

Dopo una sintetica analisi della trama aggiunge: “…quest’ultimo film di Zille non sarebbe più di un dramma di istinto aggiornato se non contenesse un motivo nuovo per lo schermo tedesco. Il motivo affiora nella relazione fra Max e Erna. Max, un giovane operaio con coscienza di classe e innamorato di Erna, quando scopre la sua relazione con l’inquilino, l’abbandona furente. Ma poi un compagno più preparato riesce a convincerlo che la colpa è del seduttore più che di Erna e che lui, Max, si sta comportando in modo tipicamente borghese. Convertito alla morale sessuale socialista, Max torna pentito da Erna. La sua conversione tende a fare di mamma Krausen l’eroina piccolo-borghese di una pseudo-tragedia. Altri due episodi … accrescono il significato di questa storia d’amore. Uno di questi episodi mette in satira la festa per le nozze dell’inquilino con la prostituta; l’altro descrive una manifestazione operaia alla maniera potente di Pudovkin. Il problema è di vedere se il concetto di felicità di Max predomini su quello di mamma Krausen.

Dal rilievo del suicidio della donna, si può trarre un’unica conclusione: più che sostenere i postulati e le speranze socialiste il film si accontenta di registrarli con malinconia”.

L’analisi si conclude con questa affermazione perentoria: “le tendenze rivoluzionarie che vi si manifestano sono atteggiamenti secondari anziché impulsi primari … uno spirito che non si preoccupa granché dell’emancipazione, uno spirito sempre pronto ad abbandonare la sua posizione d’avanguardia per ritirarsi in una non impegnativa neutralità” (Kracauer, Cinema tedesco, Mondadori 1977, pag. 205-206).

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