Poesie scelte da «Ogni vigilia è disarmata»

di Giorgio Mannacio

Sulla recente raccolta pubblicata da Giorgio Mannacio ricordo anche le riflessioni mie (qui) e quelle di Ezio Partesana (qui). [E. A.]

SIPARIO

 
Di notizie e  di sabbia è rosso il cielo:
è il deserto che arriva in questa
vigilia disarmata
che veglia si può chiamare.
Non fanno alcun rumore le derive dei continenti .
Ha senso rinominare
l’origine, il percorso ed il destino
della rosa dei venti
se falso è il fiore?
Ne spira uno soltanto,
uno soltanto è il punto cardinale
d’ogni furore  
e d’ogni indifferenza
e a spegnere la candela un soffio basta.
 
  
CONGETTURE SULL’ANIMA
 
 
 L’anima è nelle cose,
 nel loro mutamento.
 Se fosse ferma come mai potrebbe
 seguire la ragione d’una gemma,
 incontrare uno sguardo,
 perdersi nella notte ?
 Tra l’attimo che vive e il successivo  
 apre la fenditura
 da cui s’affaccia a immaginare un mondo
 da abitare per sempre.
 Anche una piuma
 ostacola il suo cammino.
 Nessuno se ne accorge ma ha tremato
 per un istante sulla sottile spina
 che la sostiene e più non sa durare.
 
 
 

LE SPIE BAMBINE
 
 
Sciamano a nascondino, una cercando
un paravento, un’altra
il cannocchiale d’una serratura
che un’incombente immagine rovescia
nel contrario lontano.
Non ci sono per loro
cifrari indecifrabili;
ogni gesto che scorgono è seguito
per pura curiosità
perché lo sanno bene che si parla  
della loro infelicità.
 
 
 
 
 
LO SPETTRO DI CASA
 
 
 Sopra un gradino d’aria lo spettro appare.
 Così sfiorò il cartello
 scritto dalla ragazza nell’abbaino: “  
 “ Abbassate la testa “ e poi
 “ Davvero è duro calle  
 lo scendere e lo salir per  l ‘altrui scale “.
 Per qualche ragione svaria
 una lacrima sulle ciglia
 quasi la goccia
 d’una clessidra ad acqua di una remota età,
 ma l’iride la scompone a meraviglia
 nel temporale che si allontana.
 Non preparò altri avvisi:
 tutto passa, si sa.
 
 
 
 
 
SILENZIO COMUNE
 
 
 Obliquo e necessario
 Il verso delle parole ora pretende
 di rivelare, infine, la verità del tempo,
 del tempo che li vide estranei e prossimi
 consolati, per un momento, da reciproci inganni.
 Per questo osò la mano a catturare
 nella veste leggera di più leggera veste
 prima condivisione e , dopo, oblio.
 Quasi tastiera al tocco delle dita
 ebbe risposta nel leggero gesto
 simile all’altro, identico fruscio.
 
 
 

DUE RELIQUIE DELL’ANNO MILLE
 
 
                            ( ….e tra qualche settimana
.                                piscerem nel lago Tana     
 Da una canzone dei Legionari italiani in Africa: 1936)

 
 
 I.
 Ogni tramonto avverte  
 che è l’ora del giudizio universale
 ma le reliquie  
 del mille e non più mille sono pronte  
 nel mattino seguente a riapparire.
 E la furtiva luce  
 che toglie all’oscurità o rende ad essa
 il maltolto dell’esistenza
 scivola sopra l’istrice imbalsamata  
 che mai ferì qualcuno da lontano
 e fu da qualche eroe colpita a morte.
 Altri tempi? Altri luoghi certamente
 dove nascosto un altro dio dormiva
 e lo svegliò l’oltraggio
 gridato a celebrare
 sbandierate di vento e sangue.
 Correva l’anno mille
 uno dei tanti.

 II
 Tra calvari corrosi dai licheni
 il giorno sembra non passare mai:
 è la luce dell’Occidente che resiste
 oltre ogni ragione.
 Non è lontano il luogo
 dove finì la prima guerra giusta.
 Quando il demonio veste i nostri panni
 o si vince o si muore.
 Lui vorrebbe tornare,
 sedersi sull’affusto di un cannone,
 giocattolo in faccia al mare
 ma è troppo vecchio ormai per ogni viaggio
 e per la strada non ha incontrato alcuno
 che gli chiedesse:
 “ Ma chi sei, dove vai “ ?
 
 

 
 AUTUNNO SERBO
 
 
 I  
 Siamo arrivati a Nis sulla Nisava
 terra natale di Costantino il Grande
 che prima del vaticinio della Croce
 uccise il padre della propria sposa:
 c’è tempo per ordire il pentimento.
 

 II
 Lo spavaldo incarnato delle donne
 che ballano sulle corde dei violini
 abolisce il confine, ma si deve
 un obolo alla Storia.  Ecco là in fondo
 la Fortezza Ottomana a sentinella.
 
 
 III
 I piccoli turisti si rincorrono
 senza inciampare mai
 tra ruderi museali o clandestini.
 Incastonati stanno insieme, adesso,
 teschi di vinti e teschi di vincitori.
 
 
 IV
 A volte basta, in questa terra , un sasso  
 per lapidare un alfabeto. I segni
 di Cirillo sembrano graffi
 nella Slavonia. In altro polo, poi,
 fiammeggiano le foglie di salmodie d’Oriente.
 
 
 V
 Eguale per tutti i morti ben nascosti
 e che non hanno alcuna preferenza
 la memoria si affida alla custodia
 di querce da cerimonia e alla  sparuta schiera
 dei vignati pigiati da chi resta.
 
 
 VI
 E’ questa la vendemmiata epifania
 del miracolo vero e inverso
 e mai che il sangue si tramuti in vino
 nell’implacata economia palese
 dell’universo.
 
 
 
 
 BATTESIMO PROFANO
 
 
 Agli occhi del risveglio si offerse il mare
 e l’aurora di ciò che arriva, liquida madreperla
 senza un’increspatura, senza un battito d’ali
 che turbasse per un momento la sua innocenza.
 Prima i piedi stranieri al cammino sull’acqua;
 dopo il sesso, disincantato dalla propria apparenza ,
 ma il cuore gli pulsava come se un primo amore
 stesse per aspettarlo non si sa dove e quando.
 Trafisse la superficie  con il capo ribelle,
 non vide se non la docile, finita trasparenza  
 e sabbia accarezzata  da striature di luce,
 nessun abitatore intralciò la discesa.
 Per un’antica legge il suo corpo disteso
 si spinse in alto verso la leggerezza,
 gli angoli si smussarono lungo l’arco del cielo.
 Al largo, nell’abbandono, ridisegnò nuotando  
 una rosa dei venti spogliata d’ogni sua spina :
 ne colse in nome, a caso, e lo portò lontano.
 
 
 
 
 RUDERI E SCRITTURE
 
 
 I
 False colombe ed altri uccelli ignari
 hanno spolpato i morti fino all’osso,
 i morti dell’altra riva.
 Soltanto il nome univa
 nella città vincente ferocia e gentilezza.
 L’isocronia del pendolo governa
 le loro oscillazioni a misurare il vento,
 lo zefiro dei poeti e degli amanti
 e dei traghettatori
 che sgombrano le macerie e fanno  posto
 a nuovi santi e vecchi imperatori.
  

 II
 Sacre e profane
 conducono le scritture a un parallelo oblio
 circa il tempo ed i luoghi di queste meraviglie.
 Statue, colonne, rilucenti altane:
 ci passi in mezzo e tutto si dismaga.
 Anche delle ragioni  
 tra loro contrapposte è incerto l nome.
 Le variopinte immagini  
 sospendono sulla strage ogni giudizio
 e le splendenti pagine
 tornano ad incensare ogni bellezza in sogno.
   
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

1 pensiero su “Poesie scelte da «Ogni vigilia è disarmata»

  1. La lettura di Ezio Partesana di questo libro di Giorgio Mannacio giustamente coglie il profondo tema del congedo dalla vita, ma del congedo segnala che si scrive in vita “se tutto fosse perfetto – e cioè compiuto, concluso, ma anche estinto – non avremmo versi”. Versi-bestiole che sgattaiolano, e versi di trasparente materia scrittoria che fermano il giudizio.
    A me però non pare che “quell’ascesa” non si possa imparare: se non mancano la fede e la speranza. Non che io possa con certezza attribuire al poeta la fede e la speranza: però ne scrive!
    Della fenditura nel continuo dove l’anima si affaccia e *immagina* (non *pensa*!) l’eterno. Le parole: istante, tremore, sottile (=la fenditura, la fede, la speranza, la durata), stelo-spina.
    Una fede che spia, bambina, fa scambio tra vicino e lontano, semplice come la curiosità, senza cifrari da decifrare.
    Fede nel vento-soffio dello Spirito: “Ne spira uno soltanto/uno soltanto è il punto cardinale/d’ogni furore /e d’ogni indifferenza/e a spegnere la candela un soffio basta.”
    La morte sarà Un battesimo profano: risveglio, aurora, senza nessun turbamento, i piedi stranieri camminano miracolosamente sull’acqua, luce e trasparenza, discesa e ascesa, leggerezza, arco (del cielo) e sfera (della rosa dei venti).
    “come se un primo amore/ stesse per aspettarlo non si sa dove e quando”

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