The Wall

di Paolo Carnevali

​The Wall (Il muro) di John Lanchester è un romanzo-favola per i nostri tempi. E’ uscito agli inizi del 2019, ma ci accompagnerà sicuramente anche nel 2020. Questo ultimo romanzo dell’autore di Capital immagina una fortezza britannica fatta da un muro di cemento armato e pattugliata da giovani coscritti. La scena è la Gran Bretagna e il tempo futuro immaginabile non sembra essere lontano, almeno come metafora.

Ogni giovane britannico è arruolato per trascorrere due anni di servizio da “difensore”, ossia deve pattugliare 10.000 km di passerelle di cemento alla ricerca di “altri” che potrebbero arrivare in qualsiasi momento dal mare. Il mare oltre il muro è appunto popolato da bande di migranti disperati: gli “altri”. Ma all’interno del paese la vita trema: il carburante scarseggia, l’energia è sempre meno, il cibo sufficiente viene coltivato con l’aiuto di droni e robot agricoli. C’è una rinuncia al futuro; e, infatti, sono sempre meno quelli che scelgono di avere figli. Quelli che ancora ne fanno sono gli “allevatori”. Joseph Kavanagh il protagonista narrante dice: “Abbiamo distrutto il mondo e non abbiamo il diritto di popolarlo”. Una frase significativa. Dal punto di vista emotivo la vita di queste sentinelle è fredda e noiosa, per non dire triste. Lanchester con questa sua narrazione ci rivela gli effetti di un controllo lento e costante, crudele e inquietante. Ed evidenzia con forza le ansie del momento: per l’innalzamento del livello dei mari, per il populismo anti-rifugiati, per la scarsità post-Brexit e per il conflitto generazionale. Egli è molto abile nello scomporre questi concetti complessi rendendoli in un linguaggio accessibile. Lanchester ha sempre apprezzato il mondo anglosassone ma ora lo rappresenta come una fortezza gelida, dove il servizio nazionale di “difensore” e una dieta alimentare a base di rape sembrano sopportate da una popolazione inglese adattatasi alla filosofia dello stoicismo. Questa sarebbe l’ultima linea di resistenza contro la minaccia dell’invasore. Il muro di cui Lanchester parla è lo stesso che ognuno di noi erige verso l’altro nella propria testa e che sembra indistruttibile. Gli “altri” avranno soltanto una scelta: o l’eutanasia o la schiavitù perenne. Questa storia è stata scritta in prosa alla maniera di J.G. Ballard, ma in essa troviamo anche un’influenza kafkiana che rimanda a Il processo e a Nella colonia penale. Il potere del muro è come un simbolo, monumentale nella sua semplicità e però rispecchia molti significati. Anche Jorge Luis Borges rimase affascinato e meravigliato che l’imperatore cinese avesse ordinato la costruzione della Grande Muraglia. In epoca moderna abbiamo poi avuto tanti muri, vere cicatrici della storia.  Anche nella musica i geniali Pink Floyd lo misero in copertina di un album memorabile. Il romanzo The Wall viene scritto in un momento in cui sulla definizione di muro è in atto un grande dibattito nazionale. Il narratore, o meglio il personaggio narrante, è un giovane dal nome kafkiano di Joseph Kavanagh: è appena arrivato davanti al muro, un mostro di cemento basso e lungo che corre per migliaia di chilometri attorno ad una nazione insulare senza nome, ma si comprende bene che è la Gran Bretagna. In The Wall Lanchester presenta la sua società come un dato di fatto ormai realizzato, senza doversi preoccupare dei dettagli della transizione che è ancora ai suoi inizi, ma è una scelta concessa ai romanzieri. Il mondo non è sempre stato così, ma a saperlo sono solo gli anziani, ancora in grado di pensare da persone responsabili. Questa loro chiarezza morale sembra però incapace di far fronte alla vera devastazione che stanno provocando i cambiamenti climatici.

John Henry Lanchester, nato il 25 febbraio 1962 ad Amburgo in Germania, è cresciuto ad Hong Kong e ha poi studiato in Inghilterra. E’ giornalista e romanziere. Vive a Londra.

7 pensieri su “The Wall

  1. Ho incontrato John Henry Lanchester al Poetry Cafè, molto gentilmente mi ha concesso di parlare al riguardo della lettura del suo romanzo The Wall e ringraziarlo per avermi concesso di esprimere con questo articolo per Poliscritture, la piacevole e curiosa lettura al suo lavoro. Riporto le sue parole, seguite dalla mia traduzione.

    traduzione
    < Fa freddo sul muro. Questa è la prima cosa che ti dice ogni corpo e la prima cosa che noti quando vieni mandato li, ed è la cosa di cui ti occupi continuamente quando ci sei, ed è la cosa che ricordi quando quando non ci sei più. Fa freddo sul muro. La premessa è che non direi che è il futuro, direi che è un nostro futuro, ma versione di un possibile scenario, molte tendenze attuali sono fatte scorrere avanti, le principali riguardano il clima, sui cambiamenti climatici incontrollati che si svolgono nel mondo in cui sappiamo e l'altro essendo tendenzialmente alle pareti di fortificazioni e i confini e la divisione tra le nazioni sono ciò che hanno influenzato il Regno Unito e che viene chiamato nel libro del muro, anche se in termini di geo-ingegneria, è davvero un "polder", una cosa che tiene fuori l'acqua e mantiene anche le persone fuori dal Regno Unito, una specie di stato fortezza. E' spaventoso ed irritante. Nessuna scelta.
    Suppongo che i muri siano inevitabilmente visti come simbolici, ma in realtà una delle cose che volevo fare comprendere nel libro, che per le persone il cui compito è custodirle, è farle diventare realtà. Le primarie funzioni sono pratiche. Il camion ti lascia tu e il tuo zaino siete rimasti nel freddo e nell'oscurità. Quando ti trovi sotto pressione,ti sembra che tutto cada su di te. Non ho trovato difficoltà a scrivere di un luogo futuro immaginato o proiettato, in realtà mi è piaciuto. Suppongo perché mi piace scrivere sul personaggio e vedo il luogo interessante. per la prima volta ho provato anche l'ansia, non per stanchezza o freddo, quella l'avrei superata, ma per gli "altri".
    Non era difficile immaginare una figura vestita di nero che saltellava silenziosamente sul muro, con un coltello in mano, vedere la morte e sapere che non aveva niente da perdere. Nessun avvertimento, nessuna pietà.
    I libri che hanno il maggiore impatto sono quelli che hanno semplicemente cambiato la tua percezione e quello era una cosa che avevo in mente. Credo, su cose diverse e in modi diversi. Sarei felice se la gente vedesse il mondo in modo leggermente diverso dopo averlo letto.

  2. I muri stavano crollando in tutto il mondo e ora sembrano rinascere. Lanchester parla di rifugiati, Brexit e altre paure.
    Disperati rifugiati che rischiano la vita attraversando il canale della Manica su piccole imbarcazioni nel cuore della notte, temperature estreme e politici che incitano alla paura degli altri. Queste sono le ultime notizie di un futuro verso cui stiamo andando. Le persone hanno sempre avuto paura della fine del mondo, questa è la nostra natura, quello che siamo. Anche la guerra nucleare creò sentimenti d’impotenza individuale e morte imminente.

  3. Vero!!! Se ci mettiamo a pensare che questo cambiamento globale ci sta consumando, che stiamo scomparendo poco a poco, che non pensiamo più a un domani ottimista…..

    Un muro… ci fa riflettere molto: una società fredda, senza sentimenti, come pensare ad un futuro di comprensione verso l’altro?

  4. I muri che dividono il mondo sono tanti, oltre 6000 i chilometri nel mondo negli ultimi dieci anni. L’Europa avrà presto più sbarramenti tra i suoi confini di quanti ce ne fossero durante la guerra fredda. Il mondo a cui eravamo abituati sta per diventare un vecchio ricordo. Le recensioni elettrificate tra il Botswana e Zimbabwe, quelle tra Arabia Saudita e Yemen, la barriera in Cisgiordania fino al progetto del nuovo muro di Trump tra gli Stati Uniti e il Mexico. Quando una nazione si appresta a erigere un muro, subito i Paesi confinanti la imitano: Grecia e Macedonia ha generato quello tra Macedonia e Serbia e successivamente tra Serbia e Ungheria. Tutto questo è dovuto alla paura, alla disuguaglianza economica, scontri religiosi. Speriamo che questa drammatica tendenza si inverta al più presto.
    Tim Marshall
    [tradotto P. Carnevali]

  5. Le tematiche che affronta “The wall” non sembrano essere lontane dal racconto di umiliazioni e violenze sulla rotta balcanica. Le violenze della polizia croata (anche su un giovane in carrozzella), il freddo, l’indifferenza e la complicità delle istituzioni, lo scambio d’informazioni con altre associazioni, l’incontro con gruppi di migranti che tentano il passaggio del confine, la consapevolezza che un profugo non può essere felice. La cura dei piedi feriti dalle bastonate,la consegna di scarpe derubate e di sacchi a pelo. Questo è uno dei tanti racconti di noi volontari in Bosnia.
    Siamo testimoni di esempi di comportamento “arbitrario” della security che ritiene giusto punire.
    Si allarga la tragica platea di chi è costretto ad andare via dal proprio Paese. E la situazione è desolante perché affonda dentro il fango di ciò che appare una mancanza di progettualità da parte di chi istituzionalmente dovrebbe occuparsene. Sembra tutto delegato alle polizie e cominciano a farsi avanti anche organizzazioni private paramilitari. Le organizzazioni ufficiali presenti gestiscono l’esistente in termini di semplice sopravvivenza, infatti i migranti soffrono, si ammalano e muoiono. Tutto questo finisce con l’umiliare, avvilire e stancare una sotto-umanità. E se poi ci scappa il morto, pazienza!
    Quelle persone che riescono a passare, divengono un serbatoio di mano d’opera a costi minimi, servi, schiavi. Un punto che va evidenziato, dato che il criterio economico, politico e culturale dello sfruttamento è alla base delle nostre società.
    Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi (volontari)

    1. “Si allarga la tragica platea di chi è costretto ad andare via dal proprio Paese”.(Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi).

      Quasi tragici i fenomeni di cui ci arrivano gli echi. Ma ancora più tragiche paiono le cause. Si legga questo stralcio da una riflessione molto più generale d ello studioso Anselm Jappe:

      “negli ultimi 40 anni, i processi di razionalizzazione, la sostituzione del lavoro vivente attraverso le nuove tecnologie è avvenuto ad un ritmo molto più veloce di quelli che sono stati i processi di compensazione. L’utilizzo del lavoro vivente, del lavoro che produce capitale, si sta riducendo a livello globale, così come si sta riducendo la massa assoluta di valore e, alla fine, la massa di profitto. La redditività reale viene in gran parte rimpiazzata per mezzo della simulazione, soprattutto nella sfera finanziaria. La crescita della finanza globale – o di quello che Marx chiamava «capitale fittizio» – è stata una risposta alla sempre maggiore mancanza di redditività. Una delle conseguenze è stata quella per cui la società del lavoro ha da offrire sempre meno posti di lavoro. E, infine, l’intero ordine sociale sta andando letteralmente in pezzi.
      L’altro grande limite, quello esterno, è quello ecologico, l’esaurimento delle risorse naturali. L’accumulazione di valore e di capitale è un’accumulazione senza limiti di ricchezza astratta, dal momento che essa non mira a niente di concreto, ma solamente alla quantità astratta. Ma ciò che è valore astratto deve realizzare – materializzare – sé stesso come qualcosa di concreto, e deve realizzare, almeno in parte, qualcosa di materiale (dal momento che la produzione non può essere limitata ai servizi o alle comunicazioni, come qualcuno oggi vorrebbe farci credere parlando di una «società dei servizi» o di «capitalismo cognitivo»). È questo il motivo per cui la logica del valore conduce inevitabilmente alla devastazione delle risorse naturali.”

      ( da Karl Marx sul populismo contemporaneo – di Anselm Jappe – segnalato da Franco Senia su FB
      https://francosenia.blogspot.com/2020/01/i-limiti-dello-spettacolo.html?spref=fb&fbclid=IwAR1Oy5VxP02Wq4uTUncyrrfVwxEnc3_ih_RmcjPcu79aT-fu0SfLDhkNi3A)

  6. Ciao Paolo,
    sono sempre a New York e non so se questo anno potremo vederci….
    Ho letto questo romanzo, immagino che tu lo abbia ricordato come consiglio di lettura non tanto per la qualità letteraria, ma come fenomeno mediatico: romanzi come The Wall o pellicole, credo che almeno fanno pensare sui problemi esposti. Da sempre la storia si alimenta di paure. La convenzione del capro e dei complottisti è una formidabile arma politica per dividere la società tra amici e nemici. Spesso non sappiamo nemmeno quali sono i veri nemici, i non integrabili per intenderci. Qui abbiamo il presidente Trump che in quanto alla politica dei muri…..
    Un caro saluto, scusa il mio italiano.
    Joseph

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