I memoricidi della memoria selettiva

di Lorenzo Galbiati

Nella logica della critica dialogante che Poliscritture ha sempre praticato pubblico questo intervento di Lorenzo Galbiati, pur avendo delle riserve in parte già espresse in un mio precedente confronto con lui (qui). Le approfondirò nel corso della discussione che spero si apra e sia a più voci. [E. A.]

Era il 18 gennaio del 1989 quando Il Manifesto pubblicava “La dissipazione di Israele – Lettera aperta per gli ebrei italiani” di Franco Fortini, che conteneva le seguenti riflessioni:

“1) Ogni giorno siamo informati della repressione israeliana contro la popolazione palestinese. E ogni giorno più distratti dal suo significato, come vuole chi la guida. Cresce ogni giorno un assedio che insieme alle vite, alla cultura, le abitazioni, le piantagioni e la memoria di quel popolo – nel medesimo tempo – distrugge o deforma l’onore di Israele.

2) Gli Ebrei della Diaspora sanno e sentono che un nuovo e bestiale antisemitismo è cresciuto e va rafforzandosi di giorno in giorno […]. Per i nuovi antisemiti gli ebrei della Diaspora non sono che agenti dello Stato di Israele. E questo è anche l’esito di un ventennio di politica israeliana.

L’uso che questa ha fatto della Diaspora ha rovesciato, almeno in Italia, il rapporto fra sostenitori e avversari di tale politica, in confronto al 1967.

3) Onoriamo dunque chi resiste nella ragione e continua a distinguere fra politica israeliana ed ebraismo. Va detto anzi che proprio la tradizione della sinistra italiana (da alcuni filoisraeliani sconsideratamente accusata di fomentare sentimenti razzisti) è quella che nei nostri anni ha più aiutato, quella distinzione, a mantenerla.

4) Coloro che, ebrei o amici degli ebrei, […] credono che la coscienza e la verità siano più importanti della fedeltà e della tradizione, […] ebbene parlino finché sono in tempo, […] trovino la forza di rifiutare complicità a chi quotidianamente ne bagna la terra, che contro di lui grida.

5) Credo che il significato e il valore degli uomini stia in quello che essi fanno di sé medesimi a partire dal proprio codice genetico e storico non in quel che con esso hanno ricevuto in destino. Mai come su questo punto – che rifiuta ogni “voce del sangue” e ogni valore al passato ove non siano fatti, prima, spirito e presente; si che a partire da questi siano giudicati – credo di sentirmi lontano da un punto capitale dell’ebraismo o dal quel che pare esserne manifestazione corrente.

6) La distinzione fra ebraismo e stato d’Israele, che fino a ieri ci era potuta parere una preziosa acquisizione contro i fanatismi, è stata rimessa in forse proprio dall’assenso o dal silenzio della Diaspora. […] Parlino, dunque.”*

Fortini sostiene che, tra il 1967 e il 1989, la posizione della comunità ebraica italiana verso la politica israeliana responsabile del sangue dei palestinesi è cambiata: prima la avversava e ora la sostiene, apertamente con l’assenso o implicitamente con il silenzio. Sostiene di sentirsi lontano dall’ebraismo attuale che preferisce la voce del sangue e i valori del passato rispetto alla verità e e al presente. Sostiene che la distinzione tra ebraismo e stato d’Israele è sempre meno evidente, a causa dell’assenso o del silenzio della Diaspora, e questo sta esponendo gli ebrei a un nuovo tipo di antisemitismo, dovuto ai crimini di Israele, pertanto chiede agli ebrei di parlare, di prendere parte, di rifiutare la complicità con chi bagna la terra del sangue palestinese.

Cosa è successo in questi 31 anni che ci separano dalla lettera di Fortini?

Israele ha costruito un Muro per evitare gli attentati suicidi e annettersi terra palestinese, ha eliminato la leadership di Arafat, ha costruito a grande velocità molte colonie e si è impadronito di tutta la zona intono a Gerusalemme. In Italia, e in Europa, è stato istituito il Giorno della memoria della Shoah, il quale ha permesso di alimentare sempre più l’allarme antisemitismo e, infine, la propaganda israeliana e della Diaspora, sostenuta spontaneamente da politici e intellettuali di ogni schieramento, è arrivata a convincere l’opinione pubblica che anche l’antisionismo, la critica a Israele, sia una forma di antisemitismo.

Il discorso di Fortini, in definitiva, è morto e sepolto. Quasi tutti i politici e gli intellettuali di sinistra hanno tradito e rinnegato l’invocazione fortiniana, conformandosi al sentire comune, che oggi condannerebbe quelle frasi di Fortini come antisemitismo travestito da antisionismo. Anche quei pochissimi ebrei o amici degli ebrei che ancora oggi condividono le posizioni di Fortini NON PARLANO, perché… hanno paura. E se parlano, vanno incontro a quel che è successo a Bifo.

Quattro anni fa, su Alfabeta21, Francesco Berardi (Bifo) si chiedeva cosa avrebbe detto ai suoi studenti nel Giorno della memoria. Un suo alunno senegalese, Claude, gli aveva posto quella che io considero una domanda legittima socialmente rimossa: “«Gli ebrei non sono i soli che hanno subito violenza. Perché ogni anno dobbiamo stare lì a sentire i loro pianti quando altri popoli sono stati ammazzati ugualmente e nessuno se ne preoccupa?».”

Parlandone con i suoi allievi, quasi tutti stranieri o italiani di prima generazione, Berardi notò che si domandavano: “«Perché non fanno cerimonie pubbliche dedicate allo sterminio dei rom, dei pellerossa, o allo sterminio in corso dei palestinesi? [Perché nessuno celebra] un giorno della memoria dedicato all’olocausto africano?»”

Bifo se la cavò con il politicamente corretto: “«Nel giorno della memoria si ricorda l’Olocausto ebraico perché attraverso questo sacrificio si ricordano tutti gli Olocausti sofferti dai popoli di tutta la terra».” Resta però un’ambiguità sostanziale in questa risposta – come succede sempre con gli enunciati politicamente corretti – , quella relativa alla preposizione “attraverso”.

Cosa significa infatti che ”attraverso questo sacrificio si ricordano tutti gli Olocausti”? Significa che nel Giorno della memoria gli altri stermini (preferisco non usare i termini “olocausto” o “sacrificio”, che mi sembrano impropri) non si ricordano esplicitamente perché sarebbero in qualche modo rappresentati (assimilati? fagocitati?) dalla Shoah, oppure significa che il Giorno della memoria dà il via libera al ricordo esplicito di tutti gli stermini?

Per rispondere a questa domanda, riporto quanto scrive lo storico Franco Cardini che, ai miei occhi, ha il merito di essere molto meno conformista della maggior parte degli storici e degli intellettuali di sinistra. Spiega Cardini: “Per quanto, ormai, non lo si ricordi più, quando si istituì la giornata del 27 gennaio [in Italia a partire dal 2001, NdA] affiorò immediatamente un problema molto delicato. Si stabilì con la massima concordia di assumere a data simbolica quel tragico ma anche liberatorio 27 gennaio del 1945, quando le truppe sovietiche varcarono allibite i tristi cancelli di Auschwitz. Ma alcuni pensavano – e tale era l’intenzione del promotore parlamentare, Furio Colombo – che la ricorrenza avrebbe dovuto incentrarsi sulla Shoah e radicarsi nella meditazione di quella tragedia, avvertita come unica. Altri, che furono messi prima in minoranza e poi a tacere a livello massmediale, ritenevano, invece, che della Shoah si dovesse sottolineare non tanto l’unicità quanto l’esemplarità: l’olocausto degli ebrei e delle altre vittime del nazismo, come gli zingari, pur essendo dotato di caratteri propri e peculiari, avrebbe dovuto essere occasione per ricordare tutte le vittime di tutti i massacri, i genocidi, le “pulizie” (etniche o sociali o civili che fossero), insomma tutti gli orrori di cui la storia dell’umanità è costellata. Qualcuno obiettò che ciò sarebbe equivalso a fraintendere obiettivamente la Shoah, a farne un episodio, sia pur terribile, tuttavia in qualche modo paragonabile ad altri; e, quindi, a obiettivamente minimizzarla. Tali pareri prevalsero: e, da allora, il 27 gennaio è divenuto esclusivamente giorno della memoria della Shoah.”2

Quindi, il Giorno della memoria celebra esclusivamente il ricordo della Shoah, sulla scorta della sua presunta unicità. Pertanto, quali che fossero le intenzioni di Bifo, l’affermazione secondo cui con la Shoah si ricordano tutti gli stermini va interpretata in senso restrittivo: il ricordo degli altri stermini, se c’è, deve rimanere implicito, non manifesto. In altre parole, la Shoah, per la sua unicità, è l’unico sterminio che abbiamo il dovere di ricordare. Siamo di fronte all’imposizione di una memoria selettiva. Il concetto di unicità ha vinto il confronto con quello di esemplarità.

Per la riflessione che sto svolgendo, sarà utile ricordare che il principale promotore della Giorno della memoria, Furio Colombo, è oggi un convinto sostenitore dell’equiparazione tra antisemitismo e critica di Israele. Infatti, quando nel marzo del 2019 Moni Ovadia scrisse un articolo (ritenuto “velenoso” da Moked, il “portale dell’ebraismo italiano”) sostenendo che l’antisionismo non è antisemitismo, Furio Colombo gli rispose dalle colonne del Fatto che: “Essere antisionisti vuol dire essere antisemiti. È un’altra forma di negazionismo.”3

Ma torniamo a Bifo. Nel prosieguo della sua riflessione, Berardi arriva a proclamare: “Nell’epoca moderna gli ebrei sono stati perseguitati perché portatori della Ragione senza appartenenza. Essi sono l’archetipo della figura moderna dell’intellettuale. Intellettuale è colui che non compie scelte per ragioni di appartenenza, ma per ragioni universali. […] Per questo io sono ebreo, perché non credo che la libertà stia nell’appartenenza, ma solamente nella singolarità”. Per Bifo, insomma, la cultura ebraica eccelle rispetto alle altre per la sua capacita di possedere una “Ragione senza appartenenza” (quanto meno nell’epoca moderna). Fortini, al contrario, sottolineava di sentirsi lontano “dal quel che pare esse[re la] manifestazione corrente dell’ebraismo” proprio perché questa preferisce ascoltare la voce del sangue. Personalmente, ritengo l’affermazione di Berardi pericolosa, perché afferisce al paradigma razzistico della superiorità etnica; inoltre, la considero espressione della sudditanza psicologica che negli ultimi decenni la cultura cristiana sta mostrando verso quella ebraica. Più avanti, Bifo sostiene un fatto molto interessante ossia di non aver mai scritto nulla sulle stragi di palestinesi compiute da Israele, come “il massacro di Jenin o l’orribile violenza simbolica compiuta da Sharon nel settembre del 2000 o i bombardamenti criminali dell’estate 2006” perché “avevo paura […] di essere accusato di una colpa che considero ripugnante – l’antisemitismo. So di poter essere accusato di antisemitismo a causa della convinzione […] che il sionismo […] si è evoluto come una mostruosità politica.”

Se per Berardi il sionismo è una mostruosità politica, credo che Furio Colombo, ideatore del Giorno della memoria, non si farebbe problemi a dargli dell’antisemita, e forse anche del negazionista. Lo stesso direbbe di Fortini, propugnatore della distinzione tra ebraismo e stato d’Israele; dal canto suo, credo che Fortini oggi considererebbe Colombo uno di quei filoisraeliani che sconsideratamente accusa la sinistra italiana di alimentare sentimenti razzisti.

La constatazione di Bifo secondo cui l’accusa di antisemitismo a tutt’oggi arriva quando si critica la natura di Israele (stato nato dall’ideologia nazionalistica sionista), o semplicemente si ricordano – si cerca di fare memoria – dei suoi crimini, mi sembra ormai sempre più corroborata dai fatti. La campagna volta ad accusare di antisemitismo ogni critica a Israele è palesemente alimentata, in modo quasi ostentato, da una propaganda sempre più forte delle comunità ebraiche della Diaspora (quelle stesse che Bifo considera essere, nella storia moderna, portatrici elettive di Ragione senza appartenenza), cui gli stessi intellettuali, giornalisti e politici di sinistra si mostrano sensibili, lasciandosi spontaneamente cooptare, e sto parlando delle sempre più numerose condanne, mosse da sinistra, del presunto antisemitismo strisciante che si manifesterebbe attraverso il travestimento dell’antisionismo. Su questo tema potrei citare numerosi esempi di scrittori e politici di sinistra molto zelanti nell’elargire l’onnicomprensivo capo d’imputazione dell’antisemitismo a varie opinioni antisioniste, ma mi limito a ricordare le accuse di Gad Lerner al Labour britannico pubblicate dal giornale di sinistra più venduto, da anni diventato paladino dell’equiparazione tra antisionismo e antisemitismo, il 20 novembre 2019: “Antisemitismo, quel pregiudizio firmato Corbyn”4. L’articolo di Repubblica ha un occhiello che recita: “La vicenda inglese pone una questione spinosa anche alla sinistra: è mai possibile che per sintonizzarsi con il sentimento di esclusione delle classi subalterne, sia inevitabile introiettare anche il pregiudizio antisemita e antisionista?”. Negli stessi giorni, Repubblica e Huffington Post proponevano la sopravvissuta alla Shoah Liliana Segre (89 anni), assurta dalla sinistra a simbolo della campagna contro l’antisemitismo, come presidente della Repubblica, nonostante mancassero quasi due anni e mezzo alla fine del mandato di Mattarella – e questo è un fatto mai verificatosi nella storia italiana, così come il corteo di 600 sindaci in onore di una singola persona, lei, svoltosi il 10 dicembre a Milano.

La trasformazione dell’antisemitismo in accusa a chi critica a Israele è strettamente connessa alla celebrazione del Giorno della memoria, che è diventato, anno dopo anno, una ricorrenza in difesa dello stato ebraico poiché ricordando la Shoah e l’antisemitismo, il passo che porta a scorgere nell’antisionismo la forma di antisemitismo latente più pericolosa è ormai acquisito da un decennio; infatti, a dare ufficialità a questa interpretazione ci ha pensato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano quasi 15 anni fa, il 25 gennaio del 2007, quando ha dichiarato: “No all’antisemitismo ‘anche quando esso si travesta da antisionismo [che] significa negazione della fonte ispiratrice dello stato ebraico, delle ragioni della sua nascita, ieri, e della sua sicurezza oggi, al di là dei governi che si alternano nella guida di Israele’”5.

(Lo stesso concetto Giorgio Napolitano l’ha ripetuto nove anni dopo, nella lettera che ha indirizzato alla giornata di riflessione indetta dal Foglio – giornale che ha lanciato nel 2019 la raccolta firme per fare entrare Israele in Europa – per sostenere che Israele rappresenta un modello per l’Europa contro il terrorismo: il sito ufficiale delle comunità ebraiche mosaico-cem.it ne ha dato ampio risalto, titolando: “Napolitano: ‘L’antisionismo è il nuovo antisemitismo’”6).

Si noterà la data della dichiarazione di Napolitano: 25 gennaio, e non 27 gennaio, ma chi si stupisce? Nessuno, del resto non è forse vero che in via ufficiosa ormai il Giorno della memoria è diventato la settimana della memoria? Infatti, già settimana scorsa (il 22 gennaio) Mattarella si è recato in Israele per inaugurare l’inizio della celebrazione della memoria della Shoah. Dal canto suo, Matteo Salvini, dopo aver capito che l’affare Segre, montato dalla sinistra, portava popolarità, alla fine del 2019 ha promosso un incontro con lei, poi, a gennaio, avvicinandosi il Giorno della memoria, prima ha organizzato un incontro a Roma sull’antisemitismo con l’ambasciatore israeliano, in cui si è auto-eletto difensore di Israele e ha promesso di portare in Parlamento il documento sull’antisemitismo dell’Alleanza Internazionale della Memoria dell’Olocausto (che estende l’antisemitismo a ogni sorta di giudizio su Israele: non si potrebbe più, per legge, giudicarlo stato colonialista, per esempio)7, poi ha dichiarato che vuole proporre una legge che renda illegale il boicottaggio di Israele, e infine all’approssimarsi del 27 gennaio ha sostenuto che, se diventasse presidente del Consiglio, sposterebbe l’ambasciata italiana in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, seguendo l’esempio di Trump.

Non sono coincidenze. Ogni anno, a gennaio, l’Italia diventa sempre più israeliana. Ma solo a gennaio?

Nel 2019 ho monitorato, per quanto ho potuto, i principali canali televisivi e i quotidiani più venduti, e ho notato che si è fatta memoria della Shoah, in modo più o meno intenso o frequente, ogni mese dell’anno, tranne forse agosto. Al di là del mese di gennaio, dove se ne è parlato per almeno tre settimane, i picchi di intensità si sono avuti tra marzo e aprile (quando Israele uccise i civili palestinesi al confine con Gaza, e Ovadia e Colombo dicono la loro in proposito), poi a maggio, complice il salone del libro di Torino e una scuola di Palermo, e infine da settembre a dicembre in modo pressoché quotidiano, complice il caso Segre.

Ricordo brevemente questi fatti – del resto stiamo parlando di memoria.

ll salone del libro si è aperto con l’espulsione della piccola casa editrice Altaforte, vicina a Casa Pound, che aveva regolarmente affittato uno stand, a causa dell’aut aut (lo si è appreso dalle parole di Chiamparino8) posto dal museo dell’Olocausto e da Halina Birenbaum: o noi o Altaforte. Il Salone ha scelto loro, e nell’anno in cui era dedicato a… Primo Levi, ha lasciato il discorso di apertura a… Halina Birenbaum, israeliana, sopravvissuta alla Shoah.

Personalmente, avrei voluto leggere, da parte di qualche intellettuale di sinistra, una frase del tipo: “Siamo sicuri che è un salone italiano del libro e non una mostra israeliana sulla Shoah?”

A Palermo, invece, il 16 maggio, arriva la Digos in un istituto tecnico e una professoressa viene sospesa perché 5 mesi prima, per il Giorno della memoria, in un lavoro di gruppo, dei ragazzi adolescenti avevano prodotto un video dove si comparavano i decreti sicurezza di Salvini con le leggi razziali del 1938. Scoppiano le polemiche sul paragonare le morti dei migranti in mare con la Shoah.9 Salvini, cavalcando le notizie dei media, dopo alcuni giorni si reca a Palermo e costringe la professoressa a farsi fotografare con lui.

Liliana Segre, sconosciuta ai più fino a due anni fa, ossia prima della nomina a senatrice a vita, da settembre è diventata un caso nazionale (e internazionale) per il solo fatto di aver proposto una commissione sul razzismo (dove l’antisemitismo era l’unica forma di razzismo esplicitata) non votata dalle opposizioni, e per aver ricevuto, come succede a tutti i politici con una certa notorietà che sono sui social network, minacce anonime. Da quel momento, il Corriere, il Fatto e Repubblica, oltre a tutte le tivù della Rai, di Mediaset e La7, hanno parlato di lei e della Shoah pressoché ogni giorno per almeno tre mesi, stigmatizzando i consigli comunali che non votavano a favore delle innumerevoli proposte di farla cittadina onoraria.

Essere sopravvissuti alla Shoah è diventato un valore, un merito in sé degno della massima considerazione. Essere sopravvissuti agli altri genocidi, no. Essere sopravvissuti alle carceri e alla torture libiche, no. La Shoah è unica… anzi, è l’unica che conta. Il resto non conta nulla.

Questo è il contesto degli ultimi anni, perciò non può stupire che quando Bifo decide di non tacere più, e dichiara:

“Si avvicina il 27 gennaio, che sarà anche quest’anno il giorno della memoria. Come potrò parlarne agli studenti della mia scuola? Non c’è più Claude, ma ci sono altri ragazzi africani e arabi e slavi ai quali non potrò parlare dell’immane violenza che colpì il popolo ebraico negli anni Quaranta senza riferirmi all’immane violenza che colpisce oggi il popolo palestinese […]. Se tacessi questo riferimento apparirei loro un ipocrita, perché sanno quel che sta accadendo”, il suo discorso troverà posto nel rapporto annuale dell’Osservatorio italiano sull’antisemitismo:

“Il noto esponente della sinistra extraparlamentare Franco Bifo Berardi ha colto l‘occasione del 27 gennaio, Giorno della Memoria, per diffondere sui massmedia digitali la sua lettera aperta ‘Che dirò ai miei studenti nel giorno della memoria?’ dove, dopo aver sottolineato di «essere ebreo per letture e formazione culturale» e di avere esitato per anni a scrivere certe cose per timore di venire accusato di antisemitismo, espone meccanicamente i principali topoi della propaganda antisionista, ovvero: sionismo assassino, razzista e predatore; equiparazione tra Israele e Germania nazista; Shoah = Nakba; Shoah che monopolizza gli altri genocidi; terrorismo islamista globale causato dal sionismo.”10 Al di là della sintesi grossolana di questo giudizio sullo scritto di Berardi, avrete notato che quelli che vengono considerato i topoi della propaganda antisionista sono presenti, quasi tutti, anche nella lettera di Fortini: sionismo assassino e razzista; terrorismo islamista (palestinese) causato dal sionismo. Fortini, lo ripeto, oggi sarebbe considerato un antisemita travestito da antisionista.

Berardi ha il merito, ai miei occhi, di essere recidivo. L’anno seguente (2017), allestisce la mostra “Auschwitz on the beach” per il centro culturale tedesco “Documenta14” della città di Kassel, con lo scopo di sensibilizzare sul dramma dei viaggi di profughi nel Mediterraneo (e delle carceri libiche), una delle tante piccole Auschwitz che si ripetono ogni anno (si direbbe che i ragazzi di Palermo, due anni dopo, abbiano preso spunto dalla sua idea), e viene sommerso da quelle che l’Osservatorio sull’antisemitismo chiama “un’ondata di critiche, incluse quelle del capo della comunità ebraica di Monaco”, che hanno l’effetto di annullare la sua mostra-spettacolo. L’Osservatorio aggiunge che “in risposta al numero di reclami e accuse che abbiamo ricevuto nelle ultime settimane, abbiamo deciso di annullare la programmata esibizione di Franco ‘Bifo’ Berardi. Rispettiamo coloro che si sentono attaccati dal componimento di Franco ‘Bifo’ Berardi. Non vogliamo aggiungere dolore alla loro sofferenza”11. A quanto pare, il dolore per la Shoah, un ricordo vecchio di 75 anni, impedisce di sentire il dolore presente delle famiglie dei migranti morti oggi. Di nuovo, le pretese unicità ed esclusività del dramma passato della Shoah impediscono di ricordare gli altri drammi, in questo caso di condannare una strage di innocenti che avviene nel presente, sotto i nostri occhi, quasi ogni giorno. La memoria selettiva della Shoah compie ogni giorno tanti memoricidi. Berardi dichiara: “E’ la bigotteria di gente che ha ripetuto molte volte ‘mai più Auschwitz’ e tuttavia non tollera che qualcuno gli faccia presente che in realtà Auschwitz sta accadendo di nuovo sotto i nostri occhi e con la nostra complicità”12.

In conclusione, mi verrebbe da dire: un po’ ingenuo, Bifo, a credere di poter parlare dei crimini israeliani contro i palestinesi proprio il Giorno della memoria. Un po’ ingenuo se crede di poter intitolare la sua mostra “Auschwitz on the beach”: non ha ancora capito che Auschwitz non tollera paragoni? Non ha ancora capito che la Shoah è stata sacralizzata, e ora rappresenta un unicum nella storia? L’unico fatto che si ha il dovere di ricordare?

Ma a me piace l’ingenuità di Bifo, il suo non-conformismo. Ha avuto il coraggio di parlare, di sfidare l’accusa imperante di antisemitismo e la sacralizzazione dell’unicità della Shoah.

Da parte mia, dopo aver visto gli effetti di vent’anni di celebrazione del Giorno della memoria, sono d’accordo con Franco Cardini che considera la Shoah un genocidio esemplare piuttosto che unico, del resto nessuno nega che rappresenti, nella storia moderna, un unicum per pianificazione e numero dei morti in pochi anni, ma è altrettanto vero che ogni genocidio abbia caratteristiche “uniche” e alcuni hanno segnato dei record non superati dalla Shoah: lo sterminio dei nativi americani, nel 1500, è dell’ordine di grandezza di varie decine di milioni. E, onde evitare che la celebrazione del Giorno della memoria rappresenti di fatto il memoricidio degli altri genocidi, sostengo la proposta di Cardini di istituire, al posto dell’attuale Giorno della memoria, una Giornata per ricordare tutti i genocidi avvenuti sulla terra.13

Chi fosse interessato, può approfondire qui: http://www.francocardini.it/minima-cardiniana-258-3/ .

Sono inoltre convinto che, se le comunità ebraiche raccogliessero il grido di Fortini a parlare per condannare le politiche di Israele, invece di essere complici della sua propaganda, e se i politici, i giornalisti e gli intellettuali iniziassero a smitizzare e a desacralizzare la Shoah, evitando la sovraesposizione mediatica sensazionalistica di ogni notizia che la ricordi e di ogni singolo episodio anonimo antisemita, diminuirebbe il nuovo antisemitismo, che è strettamente collegato alla combinazione del colpevole silenzio/assenso sui crimini di Israele con l’eccessiva esposizione e riverenza verso il ricordo della Shoah e dei suoi sopravvissuti.

Fonti:

* http://www.ospiteingrato.unisi.it/lettera-agli-ebrei-italiani/

1) https://www.alfabeta2.it/2016/01/24/memoria-bifo/

2) http://www.francocardini.it/minima-cardiniana-231-2/

3) http://moked.it/blog/2019/03/31

4) https://rep.repubblica.it/pwa/commento/2019/11/20/news/antisemitismo_quel_pregiudizio_firmato_corbyn-241526286/ /tensione-al-confine/

5) https://www.repubblica.it/2006/12/sezioni/politica/napolitano/shoah/shoah.html

6) https://www.mosaico-cem.it/attualita-e-news/personaggi-e-storie-attualita-e-news/giorgio-napolitano-2

7) https://www.agi.it/politica/evento_salvini_contro_antisemitismo_segre-6895624/news/2020-01-16/

8) https://www.corriere.it/cultura/salone-del-libro-torino/notizie/chiamparino-presidente-regione-piemonte-birenbaum-altaforte-salvini-salone-b0f505ac-7290-11e9-861b-d938f88a2d19.shtml

9) https://www.lapresse.it/cronaca/palermo_in_video_studenti_dl_sicurezza_accostato_a_leggi_razziali_prof_sospesa-1459536/news/2019-05-16/

10) http://www.cdec.it/public/Rapporto_antisemitismo_Italia_2016.pdf

11) https://www.osservatorioantisemitismo.it/articoli/annullata-rappresentazione-che-banalizza-la-shoah/

12) https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/09/04/auschwitz-beach-germania-cancellata-la-performance-di-bifo-che-paragona-crisi-dei-migranti-e-olocausto-bigotti/3832784/

13) http://www.francocardini.it/minima-cardiniana-258-3/

33 pensieri su “I memoricidi della memoria selettiva

  1. APPUNTO 1

    Ma è davvero possibile citare Fortini assieme a Bifo e Cardini? E le differenti impostazioni del loRo pensiero (marxista, anarchico, cattolico) sono secondarie?

  2. APPUNTO 2

    “Il discorso di Fortini, in definitiva, è morto e sepolto”.

    Ma è importante capire e dire cos’altro è morto con quel suo discorso se si vuol capire perché “anche quei pochissimi ebrei e amici degli ebrei che ancora oggi condividono le posizioni di Fortini NON PARLANO”…

  3. APPUNTO 3

    “NON PARLANO”…

    Ma davvero solo per paura o per la paura di essere accusati di antisemitismo?
    E perché scartare l’ipotesi che le cose giuste da dire sono già state dette, che non si tratta più solo di parlare ma il fare (politico) è bloccato e che parlare per parlare non aiuta a sbloccare quella situazione?

  4. APPUNTO 4

    Perché soltanto il sionismo sarebbe una “mostruosità storica”?
    Non lo sono altrettanto se non di più tutti i nazionalismi oggi in fase di recrudescenza?

  5. APPUNTO 5

    Fortini “propugnatore della distinzione tra ebraismo e Stato d’Israele”?

    Non mi pare. E comunque altra era la sua preoccupazione maggiore se sempre in quel 1989 scriveva:”Quel che sorprende, e alla fine, indigna é che a destra come a sinistra, tra i “falchi” come fra le “colombe”, fra gli israeliani come fra i palestinesi, la controversia non sia mai preceduta da un accenno alle strutture della produzione, al sistema economico e ai rapporti di classe. Il discorso politico porta sul conflitto nazionale o etnico o religioso, riguarda la guerra e la pace, le possibilità di convivenza, il potere dei gruppi di pressione dell’estremismo religipso israeliano o islamico, i rapporti internazionali.”
    (da Fortini, UN LUOGO SACRO in EXTREMA RATIO, pag. 42, Garzanti 1990)

    Questa “preoccupazione” è assente dai discorsi di Galbiati, Bifo e Cardini.

  6. APPUNTO 6

    “Lo scorso ventennio di regresso non rende più possibile il richiamo a strumenti che furono onote del passato, ragione e scienza, azione trasformatore e demolizione delle costruzioni difensive ideologiche. In questo senso, quel che ho scritto or ora sulla rimozione delle radici socioeconomiche, che avverti così bene in terra di Israele, non ha senso se non riconosce che l’usura di certi strumenti di interpretazione del mondo non è solo una dichiarazione ideologica.”

    (Da Fortini, idem, pag.44)

    Il che spiega forse meglio della paura di essere accusati di antisemitismo almeno una parte del SILENZIO DEGLI INTELLETTUALI…

  7. APPUNTO 7

    Prima di gridare allo scandalo quando gli ebrei o lo stesso Stato di Israele parlano di antisemitismo in maniera esagerata o strumentale o per distrarre dalle violenze che esercitano in maniera sicuramente asimmetrica nei confronti dei palestinesi bisogna riconoscere che l’antisemitismo – strisciante e mascherato anche da antisionismo – è fenomeni reale e alimentabile.

    1. Quel “Prima” con cui inizi il discorso non posso farlo mio, e ti spiego perché.

      Ennio, l’antisemitismo esiste, come ogni tipo di razzismo, ma a mio parere è relegato all’estrema destra ed è diverso da quello del passato. Detto questo, per quel che vedo io, considero la stragrande maggior parte delle accuse di antisemitismo pura propaganda, ossia accuse infondate e perciò una forma di razzismo esse stesse.

      Considero la campagna volta a far passare l’antisionismo (ma in realtà bastano le critiche a Israele come stato) come antisemitismo una forma di razzismo odiosa. Di cui si stanno rendendo colpevoli le comunità ebraiche, dove a mio parere proprio per questo il razzismo dilaga. Chi considera razzista le persone che criticano certi aspetti di un popolo o di uno stato, per me è un razzista, e una persona pericolosa, perché la libertà di critica verso le istituzioni o gruppi di appartenenza è la base della democrazia.
      Quindi, se tu mi dici: ma ci sono anche antisemiti travestiti da antisionisti. Io non li ho mai incrociati, e ti assicuro che di tali accuse ne ho sentite a centinaia, ma ammettiamo che ce ne sia uno su cento. Ebbene, a me sembra molto più grave una campagna volta a far passare per razzisti TUTTI quei cento che il fatto che tra loro ci sia un vero razzista.

      Allo stesso modo, se Salvini considera i migranti una massa di terroristi, stupratori, criminali vari, per me questo è razzismo. Ora, io dovrei PRIMA, come chiedi tu, ammettere che in effetti, per la legge dei grandi numeri, c’è qualche criminale tra i migranti? E’ ovvio che qualcuno ci sarà, se i numeri sono alti, ma non mi interessa: ritengo molto più grave e razzista colpevolizzare tutti i migranti. Allo stesso modo, ritengo molto più grave e razzista far passare l’antisionismo in blocco come antisemitismo, perciò mi muoverò per denunciare questo tipo di razzismo, questo sì diffuso tra ebrei e politici di destra (ma ormai sempre più diffuso anche a sinistra), e non per fare una caccia alle streghe per trovare quei pochi antisemiti presenti tra gli antisionisti.

  8. Appunto 8

    L’unicità della Shoa è oggetto di controversia fra gli storici. Fortini era tra quelli che la contestano. Ma con argomentazioni storiche e ragionamenti politici.
    Bisogna evitare una sorta di macabra e grottesca gara a chi ha subito il genocidio più atroce o aritmeticamente più numeroso.

    1. APPUNTO 9

      “La trasformazione dell’antisemitismo in accusa a chi critica a Israele è strettamente connessa alla celebrazione del Giorno della memoria, che è diventato, anno dopo anno, una ricorrenza in difesa dello stato ebraico “.

      E per evitare che lo Stato d’Israele si appropri o strumentalizzi questa Giornata che come ogni simbolo può essere tirata verso il basso o verso l’alto, bisognerebbe abolirla e sostituire con una più “universale”, come propone Cardini?
      Rimanendo sempre nell’ideologia del vittimismo?
      Mi chiedo quale miseria progettuale occulti questo accanimento sui Simboli.
      La Giornata della Memoria ha davvero aiutato a ricordare lo sterminio degli ebrei?
      La Giornata del Primo Maggio ha limitato lo sfruttamento dei lavoratori?

    2. Sul punto dell’unicità ho già espresso la mia alla fine dell’articolo. La Shoah si caratterizza proprio per il numero di morti in pochi anni, è quello che fa orrore, più la pianificazione. Il problema dei numeri non mi sembra irrilevante. Per essere un vero genocidio, ci devono essere i numeri. Peraltro, solo per la Shoah c’è la legge sul negazionismo (forse in Francia anche per quello armeno): se metti in dubbio i 6 milioni rischi il carcere, anche se, che io sappia, non c’è nessun elenco accurato con i nomi dei morti nei lager, e chi lo chiede viene appunto accusato di negazionismo.

      Storici come Cardini e Hobsbawn dicono o fanno implicitamente capire che 6 milioni forse son un tantino troppi, ma dicono che anche se fossero 5 non cambierebbe nulla. Il che dovrebbe far scattare la domanda: quando uno storico diventa negazionista, quando dice che sono 4 milioni? 3? Quanti? E perché questo problema vale solo per la Shoah?

      Sui siti ebraici e a volte su facebook, molti ebrei, non si limitano a dire 6 milioni di morti, ma calcolano anche, con algoritmi sul tasso di natalità, quanti ebrei in più ci sarebbero oggi se quei 6 milioni avessero potuto vivere. Conto che non fanno quando si parla loro dei palestinesi uccisi Israele: in quel caso ti mostrano i dati demografici degli ultimi 40 anni, che vedono i palestinesi in crescita, visto il loro elevatissimo tasso di natalità. Ma proprio per questo tasso elevato, oggi i palestinesi che ci sarebbero senza le stragi di Israele sarebbero tantissimi. E però il loro non si può considerare un genocidio, se non al rallentatore, centellinato, diluito nel tempo. Meglio allora parlare di pulizia etnica, dato che le stragi fanno parte di una strategia volta a farli fuggire o “concentrare” su dei fazzoletti di terra sempre più piccoli, per liberare la terra buona (quella fertile, con l’acqua vicino) ai coloni oppure per conquistare demograficamente tutta Gerusalemme. E’ a tutti gli effetti una pulizia etnica volta alla creazione di bantustan in stile Sud Africa. Quei fazzoletti di terra pieni zeppi di palestinesi non potranno essere annessi da Israele, perché la demografia del paese cambierebbe: gli ebrei rischierebbero di non essere maggioranza, perciò avranno una semiautonomia (Israele li controllerà militarmente ed economicamente decidendo le merci da far entrare, l’acqua, l’elettricità), ma senza diventare stato, questa è la strategia.
      Più o meno come Gaza, carceri a cielo aperto autogestite.

  9. Vorrei rispondere a qualcuno dei tuoi appunti, Ennio.

    APPUNTO 1:
    Non vedo perché non sia possibile mettere insieme ragionamenti di persone con differente cultura/ideologia: su un preciso tema possono benissimo convergere o integrarsi.
    Io del resto per formazione non saprei dire a chi sono più vicino tra Fortini, Berardi o Cardini. Potrei dire che forse il mio pensiero sia la sintesi del loro. Considera che inizialmente volevo citare anche Sergio Romano, che è un laico moderato (sarebbe stata una quarta impostazione di pensiero), ma che a mio parere sulla questione ebraismo/memoria credo abbia scritto le cose più coraggiose.
    Il fatto che debba cercare fuori dalla sinistra per esplicitare una critica a Israele, al Giorno della memoria ecc. a mio avviso testimonia la crisi della sinistra.

    E qui si arriva all’APPUNTO 2: Cosa è morto o sta morendo nella sinistra?
    L’elenco che potrei fare è lungo.
    Su Israele è morta la capacità di fare militanza, per esempio con il boicottaggio, che è molto più diffuso di quanto sembri ma lo si lascia fare alle associazioni, alle onlus ecc. dove magari ci sono dei politici di sinistra che però non ne parlano in tivù.

    E questo si collega all’APPUNTO3.
    Sì, i politici hanno paura di parlare del boicottaggio verso Israele in tivù perché subito vengono paragonati ai fascisti che marchiano i negozi ebraici. Essendo l’unica strategia di cui Israele ha veramente paura, la sua propaganda anti-boicottaggio ha assunto toni sempre più virulenti.
    Di recente, Israele ha proibito ai suoi parlamentari di fare viaggi all’estero retribuiti se organizzati da associazioni che praticano il boicottaggio, tra cui la Jewish Voice For Peace, e sta cercando di renderlo illegale in Europa comparandolo alle leggi razziali del 1938.
    Per il resto, il non parlare, da cosa dipende?
    Da tanti fattori, certo, non solo dalla paura di sentirsi dare dell’antisemita.
    Ma prima di tutto, secondo me, dipende dal fatto che anche a sinistra è uscito il razzismo, per cui Israele è dei nostri e gli altri fanno parte degli arabi terroristi che ci invadono con i barconi. Operai, sottoproletari, gente della Cgil dell’Emilia e della Toscana che son passati dal Pci o da Lotta Continua alla Lega sosterranno Israele oggi, mentre forse trenta-quaranta anni fa erano per l’Intifada. Perciò è chiaro che sempre meno persone parlano: se parlano è per condannare gli arabi e l’Islam. E’ avvenuta una israelizzazione come conseguenza della fascistizzazione del pensiero.

    Sull’APPUNTO5
    E’ Fortini a distinguere tra Israele ed ebraismo, lo dice espressamente, e critica la Diaspora che cerca di annullarla:
    “La distinzione fra ebraismo e stato d’Israele, che fino a ieri ci era potuta parere una preziosa acquisizione contro i fanatismi, è stata rimessa in forse proprio dall’assenso o dal silenzio della Diaspora.”

  10. Tornando sull’APPUNTO3.

    Non credo proprio che a sinistra si parli poco per condannare Israele perché si è già detto tutto. Non succede mai così. Sennò perché ci sarebbe la pubblicità e la propaganda? Berlusconi e Salvini hanno creato il loro consenso ripetendo sempre le stesse tre o quattro cose stantìe. Nel Giorno della Memoria ogni anno si rifà lo stesso discorso sui lager che tutti sanno a… memoria: quel che cambia è da riferire a Israele, che ogni anno si spinge più avanti nel colonizzare culturalmente l’Europa per poi trarne alleanze politiche, militari, commerciali, imporre leggi come quella contro il negazionismo, e prossimamente contro l’antisionismo e il boicottaggio.

    Quindi ripetere aiuta, eccome, ad alimentare una precisa propaganda strumentale. La sinistra non parla quasi più perché non ha più la capacità di creare una visione alternativa al pensiero unico dominante, all’alleanza con gli Usa, alla Nato, e il fatto stesso di stare in Europa ha bloccato sia politicamente sia economicamente la possibilità di fare un discorso per il futuro che sia al di fuori degli schemi della politica europea e della legge finanziaria (che i governi di centrosinistra si facevano dettare dall’Europa).

    Poi è anche vero che dopo un tot anni, si arriva alla saturazione, e finisce un ciclo. Vale per ogni propaganda politica. Pensa a Berlusconi, ormai nessuno crede più al pericolo comunista, fa sorridere quando lo dice ancora. Anche Salvini, diamogli altri 5-10 anni poi la sua retorica sui barconi provocherà rifiuto.

    Della Shoah ormai si parla sempre, non solo a gennaio, e sempre più spesso, e siamo a 20 anni dal primo Giorno della Memoria. Gli insofferenti sono sempre di più, e se politicamente non si avverte questo sentire e si cerca al contrario di combatterlo imponendo ancora più leggi e occasioni per ricordarla, la reazione sarà sempre più fuori dai canali istituzionali.

    So che non concordi con me su questo, ma io parlando con persone di sinistra, tra cui molti prof di storia che organizzano il Giorno della memoria, quando poi si parla degli ebrei in libertà… beh, insomma, l’insofferenza per il fatto che loro vogliono sempre ricordare il crimine subito (che equivale a farti sentire in colpa) mentre su di loro o Israele non si può mai dire nulla, esce. Qui non posso farti esempi.

    Ti racconto invece questo fatto, avvenuto poco prima di Natale. Ero a pranzo a casa di due donne della medio-alta borghesia di Milano, si occupano di viaggi e moda, abitano in corso Garibaldi, conoscono i personaggi milanesi più noti. Sono nate in provincia, e perciò ancora più schiette e pragmatiche dei milanesi, han votato Craxi, poi Berlusconi, poi Renzi, ora forse Meloni. Vediamo alla tivù le notizie sulla Segre, e una di loro sbotta: “Basta, non se ne può più. Io vorrei sapere: ma cosa faceva la Segre prima? Lavorava? Dove? Com’è che oggi va sempre in giro e la cercano tutti? Dove era prima? Non se ne può più di sentire parlare di lei e di Auschwitz, l’ho detto anche alla mia amica ebrea, ma lei non capisce che così alla fine passano per rompiballe.” Queste donne per intenderci quando torno a casa, dato che non abitano in centro, mi dicono di stare attento a tutti quegli arabi o marocchini del mio quartiere, che sono il vero pericolo, e vogliono pure una moschea. Voglio dire, dovrebbe essere chiaro quali sono oggi la borghesia e il proletariato.

  11. …come mi confondono questi discorsi…è come se, pur avendo due occhi, non riusciamo più a tenerli aperti tutti e due: a turno ne chiudiamo uno, negando quello che vede l’altro. Quando anzi, potendo, si dovrebbe attivare il terzo occhio. La Giornata della Memoria per me è importante perchè 75 anni non sono molti per la Storia, ci sono ancora i sopravvissuti, i parenti…in più non si è estinto il motore assurdo del razzismo antisemita, come non pensare alla formazione di gruppi neo-nazisti, al dilagare di messaggi antisemiti sui social, a fatti come quello recente di Mondovì…La minaccia e la paura sono di oggi. Ma neanche si può negare gli altri olocausti: nel Mediterraneo di chi fugge da guerre e miseria, e anche questo è di oggi, verso i Palestinesi per opera del sionismo nazionalista, in America Latina e in America Anglosassone di ieri e di oggi…Forse ce ne vorrebbero tante di Giornate della Memoria, senza negarne alcuna..

  12. APPUNTO 3.1.

    Ancora sul “NON PARLANO”

    Non c’è dubbio che in quel gennaio 1989 nella sua “Lettera agli ebrei” su “il manifesto” Fortini invitasse a parlare. Lo fa anche in “UN LUOGO SACRO”:

    “Per me stare dalla parte dei palestinesi, quindi contro la politica militare del governo israeliano, e chiedere pronunce *di parte* immediatamente prima che *di pace*, vuol dire ricordare ai miei connazionali – non dunque solo agli ebrei, anzi e soprattutto non a costoro ma a chi, nella sinistra italiana, è loro amico – che esistono cause (di giustizia o di solidarietà, di lotta anticolonialista o antimperialista internazionale; e ognuno scelga fra queste quella che meglio gli si confà) per le quali può essere necessario rompere i legami più cari e ardui; ossia scegliere che cosa mettere al primo posto: la fedeltà a una patria, a un’etnia, a una cultura, a una tradizione religiosa o familiare, ai propri morti oppure *altro”. (pag. 58)

    Ma sapeva anche tacere e aspettare:

    “Più leggo ormai da vent’anni il complicatissimo, e sovrabbondante (e spesso mistificatore) discorso degli ebrei su se stessi (e dei non ebrei sulla questione ebraica) con le loro mille correnti, più ho evitato di dire la mia, dopo *I cani del Sinai* (1967).

    Di più. Non mi pare irriverente chiedersi che effetti hanno avuto quelle sue prese di posizioni, visto che anche Galbiati è costretto ad ammettere che “in questi 31 anni che ci separano dalla lettera di Fortini” le cose sono andate in modi del tutto opposti a quelli da lui auspicati e ci ritroviamo in una cornice storica e geopolitica del tutto mutata (a svantaggio delle forze che premono per rapporti sociali più solidali).

    Non voglio giustificare il silenzio dei pavidi o degli opportunisti che si muovono a seconda del vento che tira, ma ritengo una buona scelta non parlare a vuoto, non ridurre le parole a chiacchiera. Meglio informarsi di più, pensare di più, cercare le *parole che servano* a sbloccare una situazione che mi pare POLITICAMENTE BLOCCATA.
    Non si può andare avanti a ripetere le stesse cose “giuste” se risultano inefficaci. (Tantomeno prendere a modello le tecniche manipolatorie di Berlusconi e Salvini riducendo la questione a mera tecnica pubblicitaria da società dello spettacolo).
    Né ridursi a rimproverare gli altri ( la sinistra, ammesso che ci sia ancora qualcosa raffigurabile con questo concetto) perché non parlano.

    Il macigno che è cascato addosso al “formicaio” della sinistra rovinandolo e disperdendo o adulterando le sue energie organizzate non viene demolito dal parlare. Specie se le parole non rendono conto di questo macigno e descrivono sempre e soltanto macigni precedenti.

    Esiste per me una *qualità* del parlare, una sua etica e una sua (almeno relativa) “oggettività politica” o capacità di approssimarsi alla “realtà” (complessa e non riducile a “fatti”).
    Se manca, meglio tacere che strepitare a vuoto. Il che non significa non scegliere, non aiutare quelli che riteniamo nostri compagni di lotta o potenziali alleati.
    Ma senza farsi illusioni. (Io – lo ripeto – con tutto il rispetto per quelli, che propongono il boicottaggio a Israele in termini politici non ambivalenti, non credo che esso faccia paura alla Stato israeliano o s’iscriva in una strategia politica convincente).

    Infine, mi piace ricordare che Fortini senta, sì, “un po’ più di altri (ma appena un poco) qualche dovere di parola” sulla questione del conflitto tra Israele e palestinesi ma vigilava severamente sulla sua stessa spinta a parlare. Fino a dubitarne anche:

    “Ma non è forse, quello che domando [agli altri]una passione per la scelta in quanto tale invece che per i suoi contenuti? Non è forse privilegiare quel che è più difficile in luogo di quel che è più necessario o utile? Mi pare di sentire la risata di Brecht. Non sono forse molto meno interessato alla sorte reale dei ragazzi palestinesi e dei soldati israeliani di quanto sia desideroso di costringermi, e di costringere, ad un atteggiamento di sfida e di oscuramente desiderata sconfitta, di “eroismo” e di antagonismo?” ( Idem, pagg. 59-60)

    1. Sì Ennio, io posso capire che tu voglia invocare un silenzio – non dei pavidi – con una sua eticità o senso politico.
      Però cercherei di considerarlo una tua posizione soggettiva, del resto sul tema ebraismo/sionismo/antisemitismo vedi una situazione molto diversa rispetto alle varie persone della sinistra radicale (più nonviolenti e attivisti israeliani e palestinesi) come me che si danno da fare per testimoniare l’ingiustizia delle politiche di Israele e della propaganda sull’antisemitismo.

      A me sembra paradossale considerare il silenzio sui crimini di Israele una possibilità quando proprio per la Shoah avrò sentito centinaia di volte (anche due sere fa a Propaganda, letto da Marco Damilano) delle persone leggere quel pezzo di Brecht che finisce con: Infine vennero a prendere me e non c’era rimasto nessuno a protestare.
      Per il dramma degli ebrei si incolpano gli europei che stettero zitti al tempo dei lager, e poi per il dramma dei palestinesi, dovuto ai crimini dello stato ebraico, si dovrebbe cercare in Europa un’eticità del silenzio?
      Mi sembra una beffa per i palestinesi e un bel favore ai sionisti.

      Ovviamente, nessuno è obbligato a parlare se non crede di aver qualcosa di interessante da dire, però io contesto quando gli intellettuali invocano il silenzio (peraltro solo verso i crimini di Israele) perché tanto si ripetono gli stessi fatti. Eh no!
      Come scrissi nel mio articolo mandato a Raimo,
      http://www.minimaetmoralia.it/wp/e-possibile-difendere-gaza-per-gli-intellettuali-italiani-e-possibile-parlare-di-israele-senza-essere-tacciati-di-antisemitismo/
      la storia non è immobile: la distruzione della nazione palestinese, il progredire della colonizzazione israeliana hanno mutato irreversibilmente ogni discorso sulla possibilità di uno stato palestinese, e se un intellettuale non lo vede, ok, dica che è ignorante in materia, ma non dica che non serve parlare perché tutto è sempre uguale in Palestina e si ripeterebbero le stesse cose, descrivendolo.

      Se gli intellettuali parlano solo se hanno trovato una narrazione originale, significa che stanno facendo esercizi di stile, non gli intellettuali veri, che incidono sulla società. Pasolini, Fortini e Sciascia su molti temi ripetevano più o meno lo stesso discorso, e non si preoccupavano di questo, si preoccupavano di partecipare alla vita politica, di lasciare un segno.

      Oggi tutti possiamo dire la nostra opinione, per lo meno in rete, ovvio poi che solo alcuni hanno vero potere mediatico (specie se vanno in tivù) e quindi possono lasciare un segno. Ma proprio per questo, proprio perché secondo me chi ha potere mediatico a sinistra usa un linguaggio e una comunicazione obsoleti che non fanno breccia, o addirittura sbaglia i termini del discorso, si concentra su temi di retroguardia o di destra, io nel mio piccolo sento di dover parlare, e se possibile di arrivare a qualcuno di questi megafoni della sinistra.

      Il boicottaggio. E’ una scommessa, non si può dire quale sarà la sua efficacia nel medio-lungo periodo. Ma una cosa è certa: è l’unica strategia di cui Israele ha timore. E anche quando era in atto verso il Sud Africa, ben pochi pensavano sarebbe stato decisivo per far crollare quel regime.
      In questo articolo del 2016, https://zeitun.info/2016/05/11/solo-il-boicottaggio-puo-cambiare-israele/

      Gideon Levy scrive:
      “In un articolo uscito il 28 aprile il direttore di Haaretz, Aluf Benn, invitava a non essere troppo ottimisti sull’efficacia di un boicottaggio contro Israele per la sua occupazione dei territori palestinesi. Sono d’accordo con Benn, ma in ogni caso non possiamo non riconoscere che la strategia Bds (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) è l’unico modo per cambiare le cose, l’ultima speranza per ottenere il cambiamento che anche Benn desidera. È l’unico mezzo per impedire a Israele di proseguire con i suoi crimini. L’alternativa è lo spargimento di sangue, che nessuno desidera. […]
      Il declino economico che ne risulterebbe potrebbe arrivare presto, e non sarebbe necessariamente graduale. Nel Sudafrica dell’apartheid a un certo punto gli imprenditori sono andati dal governo e hanno detto: “Ora basta, non si può andare avanti così”. Anche in Israele potrebbe succedere qualcosa di simile. E questo mi dà speranza, perché non vedo nessuna alternativa.”

      Oppure su questo rapporto dettagliato del 2018 si nota:
      • Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, il BDS ha costituito un importante fattore della caduta del 46% degli investimenti stranieri diretti in Israele nel 2014
      • La multinazionale francese Veolia ha venduto le attività in Israele
      • La multinazionale della sicurezza G4S ha annunciato piani di vendita della filiale israeliana
      • Migliaia di artisti appoggiano il boicottaggio culturale
      • Associazioni accademiche negli Stati Uniti, Canada, Irlanda, Sudafrica e Regno Unito hanno votato per il sostegno al BDS.
      • Chiese statunitensi, compresa la Chiesa Presbiteriana, la Chiesa Unita di Cristo e le Chiese Metodiste Unite (UMC), come anche parecchi gruppi di quaccheri, hanno deciso di disinvestire dalle imprese israeliane ed internazionali indicate dal movimento BDS
      • Fondi pensionistici governativi in Svezia, Norvegia, Nuova Zelanda e Lussemburgo, ed investitori come George Soros, la Fondazione Bill Gates, il potente fondo pensionistico del settore pubblico TIAA-CREF negli Stati Uniti, il gigante olandese della previdenza PGGM hanno disinvestito dalle imprese indicate dal movimento BDS ecc.

      In definitiva, il governo israeliano ha stanziato parecchi miliardi per fare una campagna anti-BDS: non lo farebbe se la considerasse un’attività irrilevante.
      Ovviamente, l’arma che la propaganda usa contro il BDS è sempre l’accusa di antisemitismo. Corbyn per esempio ha parlato espressamente della campagna BDS, e gli è costato.

      Il punto è sempre quello: se i partiti di sinistra europei avessero coraggio, una campagna di boicottaggio commerciale/militare/culturale della sinistra europea cambierebbe radicalmente la situazione in Israele e in Palestina. Ma è proprio per questo che lsraele deve insistere con la Shoah, le accuse di antisemitismo a ogni posizione antisionista: finché fa sentire in colpa l’Europa ricordando le leggi razziali e la Shoah ed estendendo la campagna dell’antisemitismo, otterrà la sottomissione a livello politico ufficiale. Finché qualcuno non si ribellerà. Io mi sono ribellato, ma non sono un politico.

      1. @ Galbiati

        “A me sembra paradossale considerare il silenzio sui crimini di Israele una possibilità”.

        Non travisare la mia posizione. Non chiedo né “il silenzio sui crimini” né “esercizi di stile”. Chiedo parole pesate e misurate sulla realtà e capacità *politica* delle forze in campo.

  13. Salti di tempo e di spazio.

    Un luogo comune non diventa da sé intelligente senza avere ragione. E per avere ragione non basta essere dalla parte giusta, essere gli oppressi al posto degli oppressori. La ripetizione aiuta, certo, perché il tempo per lo studio è per quasi tutti un raro evento e in più eroso dalla comunicazione, ma i ministri della propaganda sono morti e oramai il lavoro sporco lo facciamo noi.
    La prima parte è semplice: Usare parole grosse e far rizzare i capelli in testa a chi è seduto in casa o appena uscito dal supermercato. “Genocidio”, “Crimine” e “Orrore” vanno bene per riscaldare i cuori, ma anche “Sterminio”, “Tortura” e “Prigione” servono quando si tratta di attirare l’attenzione e svoltare a destra.
    Il lavoro a frasi fatte è più complicato, perché la sintassi bisogna pur impararla e qualche trabocchetto nasconde sempre. Opporsi a un governo pubblico reazionario, per esempio, non è la stessa cosa che augurarsi la scomparsa della fonte giuridica che quei rappresentanti ha eletto, vale a dire gli uomini e le donne che in quel posto vivono e cercano di fare del loro meglio. Così come santificare i morti non equivale a dire che la politica che a morire li ha mandati fosse una buona cosa.
    Ma è in terra ideologica che le giumente partoriscono più spesso, e se gli poni davanti un bastone screziato partoriranno solo vitelli dal pelo a macchie. Se si cerca di ricordare quanti furono i fratelli Cervi ci sarà sempre qualcuno che si lamenterà del silenzio, che oramai è sempre e solo “assordante”, sulle malefatte dei partigiani istriani, e se organizzassimo un convegno sullo sfruttamento dei lavoratori portuali, verremo rimproverati di non parlare piuttosto delle condizioni del personale paramedico nei grandi ospedali del Nord.
    Non è questione di poco conto. Se io chiamo “bambino” ogni essere umano ucciso che non avesse ancora compiuto i diciotto anni è perché sono convinto che quella parola susciti maggiori emozioni rispetto a “ragazzo” o “adolescente”; non è una scelta lessicale di chiarezza ma di propaganda. E quando i compagni chiamano a raccolta i dissidenti di una parte, non accorgersi che dall’altra non c’è nessuno equivale a mettere i “nostri” in uno stato di minorità permanente. Abbiamo sì o no letto cosa scrisse Kant sull’Illuminismo?
    I meccanismi sono, poveri noi, sempre gli stessi: condensazione e spostamento. Il nemico è crudele per essenza (perché è un arabo mentitore o un ebreo eletto), e di tutti i nemici, sul lavoro, a scuola, in città, ne facciamo uno solo, onnipotente e che minaccia il nostro annientamento, ed eroi noi che resistiamo. Non è necessario sapere chi produce cosa e dove e come, basti sapere (con un bel video, naturalmente) che questi sono i deboli e quelli i forti, e che noi ci schieriamo compatti dalla parte dei deboli.
    Resta il lamento sulla sorte degli oracoli, ma solo a patto di non pensare – e studiare – come loro; sono buoni per un articolo, e tanto deve bastare. Ho letto gente che in cento parole sapeva riassumere una trama e in uno slogan la lotta di classe. Adesso, in tarda età, scopro che ci sono giovani che hanno bisogno di un libro intero per esternare la loro insoddisfazione. Che augurare loro? Spero che diventi più profonda e più astuta, distante, disperata.

  14. SEGNALAZIONE

    Ciò che resta del Giorno della Memoria nell’età dell’indistinzione
    di Claudio Vercelli
    https://ilmanifesto.it/cio-che-resta-del-giorno-della-memoria-nelleta-dellindistinzione/?fbclid=IwAR139ymE1aJzgvzT_wEvJCxHVe4cwqpMuptWILmdI-ridH5mIKwiwmRbWGM

    Stralcio:

    Non di meno è da tempo che si va denunciando l’eccesso di sovraccarico di aspettative che intorno al calendario civile si è andato determinandosi. Al Giorno della Memoria, infatti, sono attribuite funzioni che non dovrebbe avere, in una sorta – invece – di ruolo di surrogazione e di supplenza rispetto ad altre realtà, narrazioni, agenzie e funzioni, del tutto assenti o comunque carenti. Soprattutto, ha riempito uno spazio che andava svuotandosi, quello dell’identificazione delle radici dei legami di cittadinanza. Tuttavia, non può in alcun modo sostituirsi efficacemente a ciò che non c’è, oppure che non riesce più a darsi una ragione sua propria. La questione di una giusta proporzione deve quindi confrontarsi sia con il mutamento socioculturale che attraversa le nostre società, dove al pluralismo si accompagnano anche quelle sempre più difficili coesistenze tra origini distinte (a partire dagli esiti dei processi immigratori), sia con la crisi delle forme di socialità così come di partecipazione collettiva.

  15. Sfuggire al piano della chiacchiera propagandistica che usa con supponenza e sciocca disinvoltura parole che dovrebbero bruciare la lingua mentre le si pronuncia. Imparare dagli scrittori che la “cosa” terribile che abbiamo imparato a chiamare ‘Shoah’ hanno tentato di *sentirla*, di *accostarla*. Sebald, ad esempio…[E. A.]

    SEGNALAZIONE
    Sebald. Anatomia della memoria
    di Roberto Gilodi
    https://www.doppiozero.com/ascolta/sebald-anatomia-della-memoria?fbclid=IwAR2nSDQBZebOFLz1dcIi6yexPYBZ8UytFgwqa5302R1JXza14jkaeYaq4scD

    Stralcio:

    Dalla conversazione con Silverblatt emerge assai bene come la vera ossessione di Sebald sia la necessità etica di narrare le atrocità dello sterminio e l’impossibilità di farlo. “Ho sempre sentito come necessario scrivere la storia della persecuzione, del vilipendio delle minoranze, del tentativo, a cui ci si è avvicinati molto, di eradicare un intero popolo. Ed ero allo stesso tempo consapevole, nel perseguire queste idee, di come sia praticamente impossibile farlo; perché secondo me scrivere dei campi di concentramento è quasi impossibile. (…) Quindi l’unico modo per affrontare queste cose è farlo, secondo me, in modo obliquo, tangenzialmente, attraverso dei riferimenti, piuttosto che in un confronto diretto”.
    L’universo narrativo di Sebald è tutto racchiuso in questa tangenza da cui escono, come fantasmi del passato, in modo imprevedibile e spesso incerto, quasi come in sogno, i frammenti di vite e di mondi che il conformismo edulcorante di una nazione proiettata verso il futuro, come la Germania del dopoguerra, ha lasciato in ombra. L’accusa agli scrittori tedeschi, che Sebald ha espresso senza mezzi termini in varie occasioni attirandosi molti nemici in patria, è stata di assecondare in modo solerte questo colpevole oblio di massa che non rende giustizia ai milioni di morti e alla loro immane sofferenza.

  16. SEGNALAZIONE

    MEMORIA DELLA SHOAH. MENO RETORICA SU AUSCHWITZ

    Donatella Di Cesare, intervistata da Wlodek Goldkorn
    https://francescomacri.wordpress.com/2020/01/22/memoria-della-shoah-meno-retorica-su-auschwitz/?fbclid=IwAR3EEa89yKc3S1PGKPchVB3o8JqWRS8gcZEnwR_iS_axSwbYYrdAdQW5_A4

    Stralcio:

    Cominciamo questa nostra conversazione con alcune domande e l’indicazione di alcuni problemi riguardanti i modi e le conseguenze del fatto che un luogo maledetto ma assai concreto si trasformò in un simbolo. Il primo. Dal momento che fu l’Onu, un’organizzazione di Stati nazione sovrani a istituire la ricorrenza del 27 gennaio, la memoria della Shoah è diventata anch’essa affare di Stato, vicenda da presidenti, primi ministri, Parlamenti. E così, nei prossimi giorni avremo almeno due momenti solenni. Ad Auschwitz arriveranno i monarchi di Olanda, Spagna, Svezia e presidenti e premier di svariati Paesi. Ma prima, il 23 gennaio, a Gerusalemme ci saranno oltre quaranta fra capi di Stato e di governo. A prendere la parola saranno i rappresentanti delle quattro potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale, oltre a quelli di Germania e Israele. Il presidente polacco Andrzej Duda ha annunciato che non verrà alla cerimonia israeliana dato che vi parlerà Putin e non lui. Infatti fra i russi e i polacchi c’è un conflitto sulle cause di quella guerra. E non è una discussione fra storici, ma fra autorità politiche delle rispettive nazioni. Che senso ha tutto questo? Che senso ha che politici dicano «mai più» e poi vendano armi che uccidono, facciano guerre, neghino i diritti ai rifugiati?

    Donatella Di Cesare.
    Non mi sorprende che gli Stati vogliano occupare la memoria, prenderne quasi possesso, rivendicando Auschwitz, il luogo stesso e il simbolo. È un feticismo della memoria, che emerge nelle commemorazioni sempre più trite e banali. Si sbandiera la pietà della memoria, mentre viene meno il compito di ricordare. Il risultato paradossale è l’amnesia collettiva. Ne parleremo forse in seguito. Questa gara fra gli Stati avviene anche perché nella nostra cultura la figura del vinto è stata sostituita da quella della vittima. E la vittima è ormai la figura fondativa. Sono ovviamente gli Stati europei ad avanzare questa pretesa vittimaria. Oggi in particolare i polacchi. Ma perfino la Germania, nel passato, è stata tentata, più volte, dal ruolo della vittima.

  17. 23 gennaio, Gideon Levy (Ha’aretz):

    Estratti:

    “È molto importante ricordare il passato; non meno importante è essere consapevoli del presente senza chiudere gli occhi. Le decine di capi di stato arrivati ieri in Israele possono ricordare il passato, ma hanno una visione appannata del presente. Nel loro silenzio, nel loro disprezzo della realtà, mentre si allineano incondizionatamente a fianco di Israele, non solo tradiscono il loro ruolo ma tradiscono anche la memoria del passato in nome del quale sono venuti qui. Essere ospiti di Israele senza menzionare i suoi crimini; commemorare l’Olocausto ignorando la sua lezione; visitare Gerusalemme senza recarsi nel ghetto di Gaza nel Giorno della Memoria – a stento si può immaginare un’ipocrisia più grande.
    È una buona cosa che re, presidenti e altri notabili arrivino qui a onorare questo giorno di rimembranze. È deplorevole che essi ignorino quello che le vittime dell’Olocausto stanno infliggendo a un’altra nazione…..

    L’Olocausto è stato davvero il più grande crimine di sempre contro l’umanità, ma esso non fu l’unico. Però gli Ebrei e lo Stato di Israele ben sanno come santificarne la memoria e come usarla per i propri scopi…..

    Non si deve dimenticare l’Olocausto, ovviamente. Non si deve neanche offuscare il fatto che esso fu diretto contro il popolo ebraico. Ma proprio per questa ragione non si deve ignorare la condotta delle vittime nei confronti delle vittime secondarie dell’Olocausto degli Ebrei, il popolo palestinese. Senza l’Olocausto non avrebbe perso la propria terra, non sarebbe oggi imprigionato in un gigantesco campo di concentramento a Gaza o costretto a vivere sotto una brutale occupazione militare in Cisgiordania.
    Quando oggi essi recitano ad nauseam “mai più”, si dovrebbe onestamente guardare a sud e a est, a pochi chilometri di distanza dalla Sala Commemorativa di Yad Vashem. Non c’è olocausto lì, solo apartheid. Nessuno sterminio, ma una sistematica brutalizzazione di una nazione. Non Auschwitz, ma Gaza. Come si può ignorare questo nel Giorno della Memoria? Come non gridare “mai più!” a Gaza? Com’è possibile non farlo?…

    Da qui https://frammentivocalimo.blogspot.com/2020/01/andate-gaza-e-piangete-mai-piu-di.html

  18. “Come non gridare “mai più!” a Gaza? Com’è possibile non farlo?(Gideon Levy)

    Sull’ipocrisia dei capi di Stati si può concordare. Ma sul difficile passaggio dal gridare al ragionare all’azione politica per sbloccare la situazione cosa dice/diciamo?

    1. Intanto, i capi di stato o di governo europei potrebbero smetterla di andare a prostrarsi al museo dell’Olocausto di Gerusalemme appena vengono eletti (sembra quasi ricevano una investitura).

      Poi il discorso sarebbe semplice a dirsi e a farsi ma al momento irrealistico per mancanza di volontà politica: l’Europa dovrebbe decidersi a bloccare le sue alleanze militari e commerciali con Israele e a produrre sanzioni fino a che Israele non smette di colonizzare i territori occupati e Gerusalemme est e non inizia uno smantellamento delle colonie e il rispettare una agenda di impegni concordati con i palestinesi e gli stati arabi (i quali hanno già fatto a Israele una loro proposta).

      Israele senza l’Europa sarebbe isolatissimo e non potrebbe andare avanti a fare quel che sta facendo.

  19. Anche lo storico Enzo Traverso, recensendo “I guardiani della memoria” di Valentina Pisanty insiste come tanti ormai sullo svuotamento della Giornata della Memoria.

    SEGNALAZIONE

    Lessico per una giornata
    di Enzo Traverso
    https://ilmanifesto.it/una-giornata-da-dimenticare/?fbclid=IwAR1D2Oj-JKehvVq-vd12wXXy9-egyJ0ZFQ4o8xUDYMuImuH2QAiTN5OWKRQ

    Stralcio:

    Edificata come culto del ricordo fine a sé stesso e impermeabile a quanto avviene nel mondo circostante, la memoria dell’Olocausto non serve a nulla, neppure a proteggere gli ebrei, una minoranza che da settant’anni non subisce più discriminazioni ma viene sovraesposta e rischia di trasformarsi nel capro espiatorio del risentimento suscitato dalle politiche neocoloniali dell’Occidente. Questa memoria è unanime perché non infastidisce nessuno, soprattutto non disturba i principali responsabili del nuovo razzismo. Se il ricordo di chi fu perseguitato e offeso venisse usato per denunciare le esclusioni del presente, questo unanimismo svanirebbe. I giovani «stranieri» che sono nati, cresciuti e hanno studiato in Italia, ai quali oggi non viene riconosciuta la cittadinanza, devono osservare perplessi il fervore con il quale, nel paese in cui vivono, si commemorano le leggi razziali del 1938 che negavano i diritti agli israeliti. Se l’esclusione degli ebrei avvenuta ottant’anni fa continua a suscitare tanta indignazione, perché negare la cittadinanza alle centinaia di migliaia di persone che ne sono escluse oggi?
    Di fronte a questi paradossi, si ha voglia di rimpiangere un’epoca nella quale gli stati europei non commemoravano l’Olocausto, un evento che nessun ebreo si sarebbe sognato di considerare «un capitolo glorioso» della sua storia. Occulto, silenzioso, fatto di un dolore lancinante ma pudicamente nascosto, il ricordo della Shoah svolse un ruolo importante, durante la guerra d’Algeria, per ispirare la lotta contro il colonialismo, mentre Auschwitz era spesso invocato da chi, come Sartre e Marcuse, condannava i crimini di guerra americani in Vietnam. È ad Auschwitz che Günther Anders, un esule dalla Germania nazista, voleva riunire il tribunale Russell. Priva di guardiani, la memoria della Shoah non possedeva un linguaggio codificato e veniva custodita da ben poche istituzioni, ma la sua efficacia politica era probabilmente maggiore e il suo profilo etico ben più universale.

  20. Di fronte a questa notizia che ne è della nostra discussione?

    SEGNALAZIONE

    https://www.cdt.ch/mondo/abu-mazen-replica-a-trump-gerusalemme-non-e-in-vendita-CJ2281664
    Abu Mazen replica a Trump: «Gerusalemme non è in vendita»

    MEDIO ORIENTE Il presidente palestinese respinge il piano di pace dei due Stati annunciato oggi dal presidente americano

    abu-mazen-replica-a-trump-gerusalemme-non-e-in-vendita-CJ2281664
    Di
    ats
    28 gennaio 2020 , 21:02
    Mondo
    



    «Gerusalemme non è in vendita, e i nostri diritti non si barattano». Lo ha detto il presidente palestinese Abu Mazen respingendo il piano di pace annunciato oggi dal presidente americano Donald Trump. «Il complotto non passerà», ha aggiunto Abu Mazen, secondo quanto riferito dalla agenzia Wafa.

    «La leadership palestinese sostiene le masse palestinesi che protestano e chi si oppongono all’«Accordo del secolo». Esso non passerà. Questi sono momenti decisivi». Abu Mazen ha rilasciato queste dichiarazioni al termine di una consultazione politica straordinaria tenuta nella Muqata di Ramallah.
    Intanto alla periferia della città proseguono gli scontri fra centinaia di dimostranti e reparti dell’esercito israeliano schierati in prossimità del vicino insediamento ebraico di Beit El. Fonti locali affermano che ci sarebbe una decina di feriti.
    Domenica il voto sull’annessione di colonie e Giordano
    Il premier israeliano Benyamin Netanyahu chiederà domenica al suo governo di votare sull’estensione della legge israeliana nella valle del Giordano, nel nord del Mar Morto e nelle colonie ebraiche della Cisgiordania. Lo ha riferito nel frattempo la televisione pubblica israeliana Kan.

    1. Lo stato che Trump ha proposto ai palestinesi è un falso stato: senza Gerusalemme est, senza la valle del Giordano (che ha l’acqua), senza esercito e separato al suo interno dalle tante colonie israeliane, che rimarrebbero al loro posto, e sarebbero collegate a Israele con tante strade per soli ebrei.

      Sarebbe una specie di grande enclave dentro Israele, una enclave che a sua volta avrebbe all’interno tanti piccole enclavi: le colonie israeliane.
      I fedeli islamici dovrebbero chiedere il permesso di entrare in Israele per andare a pregare alla spianata delle moschee.

      Senza Gerusalemme est, senza una striscia d’acqua del Giordano, non sarebbe uno stato vitale economicamente, inoltre che umiliazione enorme che, oltre a non avere Gerusalemme est, si dovrebbe tenere, al suo interno, le colonie israeliane.

      Israele uno stato così può anche approvarlo: non ha esercito, non ha Gerusalemme, conserva le colonie, non ha autonomia militare ed economica e idrica: dipende a tutti gli effetti da Israele. Sarebbe una specie di ufficializzazione dell’apartheid, una situazione simile alle riserve indiane interne agli Usa. E a Israele va bene dare un po’ di autonomia ai palestinesi senza annetterli, perché deve conservare l’ebraicità, e annettendo tutti i palestinesi i musulmani diventerebbero a breve più degli ebrei.

      Quindi, nulla di nuovo: la diplomazia, specie quella americana, non serve a niente. Gerusalemme potrebbe rinunciare alle colonie e a Gerusalemme est solo se messo spalle al muro con un programma forte di sanzioni e boicottaggio da parte dell’Europa.

  21. Franco Cardini, da me contattato, ha voluto pubblicare l’articolo sul suo sito.

    David Nieri (editore de La Vela) e curatore del sito, ha inserito questo discorso introduttivo:

    Pubblichiamo questo articolo con grande piacere perché siamo perfettamente d’accordo. Ribadiamo il principio che l’accettazione preconcetta, o acritica, o ipocrita, di tutte le scelte dello Stato Ebraico e dei suoi governi non ci trova d’accordo. Lo stato d’Israele è una realtà effettiva della vita internazionale, costituisce un esempio obiettivamente altissimo di volontà morale e di abnegazione, è un modello statuale storicamente parlando molto interessante e un laboratorio d’idee, d’innovazioni e di cultura. Ma la politica che sta facendo da anni nei confronti dei palestinesi è ingiusta, sbagliata e – ne siamo convinti – a lungo andare deleteria per esso stesso. Ciò riguarda il governo israeliano e una parte della sua classe politica e della sua opinione pubblica. Non riguarda il sionismo, né come ideologia né come movimento. Non riguarda gli ebrei di oggi, in particolare gli ebrei della diaspora, ai quali ci si limita a chiedere un atteggiamento critico e prudente che – salvaguardando la solidarietà con Israele – contribuisca alla soluzione di un fatto che costituisce oggi un vulnus contro la giustizia e l’umanità. Bisogna tener presente che l’antisemitismo di oggi sarà una piaga repellente, ma non costituisce un pericolo politico reale. Quali centri politici e sociali di rilievo lo sostengono esplicitamente (se qualcuno lo fa implicitamente e segretamente, ebbene: fuori nomi e indirizzi)? Quali centri cinematografici o televisivi propongono temi sistematicamente e intenzionalmente antisemiti? Quali Università pubbliche o private promuovono politica culturale antisemita? Quali istituti o enti di ricerca scientifica l’appoggiano? Quali periodici scientifici o divulgativi seguono un programma antisemita? Di quali quotidiani, cartacei oppure on-line, dispongono gli antisemiti? Quali partiti in Europa e fuori sono antisemiti? Qual è il loro nome, la loro dislocazione, la loro entità, il loro peso politico? Quali personalità dell’arte e della cultura in tutto il mondo si dichiarano antisemiti, o producono opere, che siano antisemite obiettivamente, non che possano essere dichiarate o sospettate tali sulla base di argomentazioni più o meno sospette o aprioristiche o di ipotesi complottistiche? Gli “antiantisemiti” seri e coscienti rispondano dettagliatamente e puntualmente a queste domande. Se non lo faranno, sarà lecito sospettare della loro buonafede o della loro preparazione. E sia chiaro che oggi uno dei principali puntelli e dei principali alibi delle paraideologie antisemite e di chi le sostiene è la situazione palestinese: è essa che conferisce all’antisemitismo, magari camuffato da antisionismo – ma non sono la stessa cosa – una specie di surrettizia rispettabilità, risolta essa, pressoché i residui dell’antisemitismo si dissolverebbero come neve al sole o quasi.

    http://www.francocardini.it/page/2/

  22. @ Galbiati

    Purtroppo sul blog di Franco Cardini, che ha voluto riprendere il tuo intervento ( e mi pare ovvio, visto l’accordo totale di vedute tra voi), non è possibile commentare. Avrei volentieri allargato il confronto a lui e ai suoi collaboratori sottoponendo alla loro attenzione , ad es., i miei 9 Appunti e chiedendo cosa ne pensano.

    Quanto scrive Nieri nella sua introduzione – “Bisogna tener presente che l’antisemitismo di oggi sarà una piaga repellente, ma non costituisce un pericolo politico reale”;  “Quali centri politici e sociali di rilievo lo sostengono esplicitamente (“se qualcuno lo fa implicitamente e segretamente, ebbene: fuori nomi e indirizzi)? Etc.”- a me pare una banalizzazione o eccessiva semplificazione del fenomeno secolare – persistente e cangiante tra l’altro – dell’antisemitismo. E anche un esempio di quella “incapacità di pensare ai razzismi, ed in particolare all’antisemitismo, come ad un instrumentum regni di cui la politica, ma più spesso la società civile (la “gente”) in rapporto alla politica medesima, fanno ricorso nei momenti in cui devono dare risposta a problemi sistemici (crisi economiche, trasformazione nella propria interna costituzione materiale, crisi delle vecchie classi sociali e quant’altro) esulando dal rinviare alle prassi ordinarie” (Vercelli).

    Inoltre, mi chiedo quale persona politicamente pensante non rifiuti “l’accettazione preconcetta, o acritica, o ipocrita, di tutte le scelte dello Stato Ebraico e dei suoi governi”. 

    Faccio, infine, notare che quella di Nieri è una posizione piattamente statalista: nulla obietta contro la formazione storica degli Stati ( e non solo dello Stato d’Israele) e si limita a criticare esclusivamente “la politica che [lo Stato di Israele] sta facendo da anni nei confronti dei palestinesi“, la quale riguarderebbe soltanto “il governo israeliano e una parte della sua classe politica e della sua opinione pubblica”. Quasi il conflitto Israele-palestinesi fosse una questione tra due litiganti locali. (E l’Europa? E gli Usa? E le altre potenze arabe? Ecc.). Come se il “vulnus contro la giustizia e l’umanità” lo commettesse solo lo Stato di Israele e tutti gli altri Stati stessero lì a governare – saggi , giusti e umanissimi – i loro popoli .

  23. Contro domande.

    1) Quali sono i nazionalismi buoni, che appoggiamo e sosteniamo, e quelli cattivi che meritano di essere combattuti?
    2) L’interpretazione e la critica storica sono determinate dalla scelta di un luogo e di un tempo, e questa scelta è spesso cruciale, o ognuno può ritagliare il segmento del quale intende discutere?
    3) La logica del nemico del mio nemico che diventa mia amico è valida sempre e comunque o ci sono dei limiti oltre i quali sarebbe meglio non andare?
    4) La propaganda, l’impiego di parole e concetti al fine di indignare e non di comprendere, è buona quando la fanno coloro dalla cui parte ci schieriamo e cattiva quando sono i nostri avversari ad usarla, o è politicamente comunque un errore?
    5) Quando riteniamo che sia lecita la lotta armata, eticamente lecita?
    6) Chi guida una battaglia persa sarà ritenuto politicamente responsabile delle sue scelte o la sconfitta verrà attribuita solo alla crudeltà del nemico e alla sproporzione delle forze in campo?
    7) Attaccare un nemico significa volere la sua eliminazione?
    8) E infine: è ancora necessaria un’analisi delle contraddizioni sociali e delle classi per comprendere un conflitto o oramai la geopolitica spiega tutto?

    1. Torno a scrivere sul sito, perché l’argomento diventa troppo approfondito per un social; e provo a dire la mia su queste domande.
      1) – Il termine “nazionalismo” indica comunque una politica di superiorità (e quindi spesso di sopraffazione) di un popolo su un altro; non a caso adesso ne hanno riverniciato la filosofia di base col nuovo termine “sovranismo”.
      Personalmente mi riconosco nel “Bio-regionalismo”, una filosofia in apparenza molto buona: considerare l’identità di un luogo sulla base dei suoi “abitanti”, umani e non sullo stesso piano. Ma anche qui il rischio che gli umani di una Bio-regione si sentano superiori agli altri, c’è: è il livello di consapevolezza raggiunto da chi applica queste filosofie (come tornerò a dire riguardo ad altri punti), a fare la differenza.

      2) – A questo dovrebbe rispondere uno storico di professione, non un semplice appassionato come me.

      3) – Di limiti ce ne sarebbero e molti: di natura etica e altri motivati dalle circostanze. Di sicuro è un argomento di discussione che non si può schematizzare.

      4) – Sarebbe un errore. La differenza la fa se, con quella propaganda, mi rapporto a persone dotate di sufficiente senso critico, o a masse scarsamente pensanti: nel primo caso impostarla in quel modo sarebbe semplicemente controproducente. Se invece – come in democrazia – abbiamo bisogno dei grandi numeri (e di conseguenza la qualità non sarà un fattore importante), eticamente sarà un errore, ma produrrà il risultato che cerco: Salvini (ultimo di una lunga lista, sia “a destra” che “a sinistra” – virgolette dovute) docet.

      5) – Quando non è rimasto altro da fare. Però la faccenda è un tantino più complessa.
      La guerra è uno dei molti metodi che abbiamo a disposizione per risolvere un problema; e però dovrebbe essere appunto l’extrema ratio, solo che col livello di consapevolezza presente nella maggioranza degli umani, viene vista nel migliore dei casi come un male necessario. Soprattutto, quando si analizza una serie di fatti che hanno portato a una guerra, si scopre che ci sono state diverse occasioni, nelle quali si poteva evitare; e che queste occasioni sono state perse non solo per la “cattiveria” del nemico, ma anche per errori (se non per la malafede) della parte che “aveva ragione”.
      In quest’ottica ritengo esemplare ciò che accadde con la serie di eventi che portarono alla “Resistenza”: andando indietro nel tempo si trovano “snodi” che non furono sfruttati per esempio perché farlo avrebbe significato, per certe forze politiche, perdere potere e dare strada a forze “più a sinistra” di loro.
      Alla fine la situazione precipitò, permettendo alla “minoranza sana” del Paese di prendere le armi: unica opzione rimasta. E tenendo presente che se Mussolini fosse stato abbastanza intelligente da far rimanere l’Italia neutrale, quell’opzione non ci sarebbe mai stata e lui sarebbe morto nel suo letto, come Franco.

      6) – Se lo studio storico sarà svolto in maniera più obiettiva possibile, ci si sforzerà di valutare in maniera bilanciata tutte queste componenti.

      7) – Assolutamente no. La Storia è piena di esempi nei quali l’obiettivo di una guerra era limitato e non prevedeva l’eliminazione totale del nemico. Anche perché il “nemico”, in caso di sconfitta, diventa utilissimo come forza-lavoro: quindi tentare di sterminarlo è semplicemente stupido.

      8) – La “contrapposizione ecc.” è uno degli elementi che possono portare a una guerra; raramente ne è il motivo scatenante o principale, più spesso viene utilizzato dalle forze al potere sulla base di considerazioni economiche, geo-politiche, ecc.

  24. DA POLISCRITTURE SU FB

    Alberto Rizzi

    Penso che davvero non ci siano “centri politici e sociali di rilievo… ecc. ecc.” (se ci limitiamo a parlare della società occidentale), semplicemente perché l’antisemitismo al momento non è trendy: come è precisato anche in seguito, l’antisemitismo è stato sostenuto molto spesso a livello di governo e se si ripresentasse l’occasione…
    Al momento chi si dichiara apertamente antisemita fa parte di gruppuscoli di scarsa importanza, è vero: ma sono proprio quelle piccole entità che forniscono poi la manovalanza a chi governa, per svolgerne i lavori sporchi. Probabilmente la diga che impedisce un ritorno in grande stile dell’antisemitismo è si basa sul complesso di colpa che, dopo la II Guerra Mondiale, è maturato nei confronti del popolo ebraico: ma stiamo andando verso una società (ri)fondata su basi irrazionali, quindi le persone continueranno ad essere manipolabili né più né meno che in democrazia; visto che i poteri che la stanno riplasmando, sono gli stessi che l’hanno governata negli ultimi secoli.
    Senza dire che chi è razzista lo è sempre: e chi oggi se la prende con i Rom – poniamo – domani potrà essere “convertito” a prendersela con gli Ebrei, o con chiunque altro possa servire come capro espiatorio in determinate circostanze.
    Quello però che mi dà più fastidio è che si faccia differenza tra l’attuale governo israeliano e le teorie del Sionismo: il governo israeliano ne è, fin dalla fondazione di Israele, la diretta espressione politica: chi ha dei dubbi, vada a vedere quali sono le radici storiche del “Likud”, attuale Partito al potere.

    Maurizio Bosco @ Ennio Abate

    Quella di Vercelli è la solita solfa (circonvoluta) sull’antisemitisno che si nasconderebbe sotto ogni cosa e sarebbe fatto affiorare, periodicamente, per risolvere “problemi sistemici”.
    Che ci sia un’accettazione acritica delle posizioni dello stato di Israele (di quello stiamo parlando) appare in tutta evidenza, non solo se si prova ad interloquire con la stragrande maggioranza dei membri delle comunità ebraiche fuori da Israele, ma soprattutto nella tacita connivenza o l’automatica alzata di scudi dei filo-sionisti, diffusamente presenti nel mondo culturale e dell’informazione.
    Per quanto attiene le responsabilità degli altri stati (e popoli? ), osservo che scontata la generale sudditanza politico- ideologica, in particolare dei paesi filo-atlantici, alla narrazione/propaganda israeliana, vanno ricordate le decine di risoluzioni ONU che hanno condannato, nel tempo specifiche condotte dello stato sionista e che sono state bellamente ignorate da quello che, evidentemente, considera se stesso uno “stato” d’eccezione. La comunità internazionale (ripeto: ampiamente connivente), non potrebbe certo imporre la propria autorità su uno stato sovrano, che è ritenuto appartenere all’asse del bene, trattandosi, come si suol dire, della “più grande democrazia del medio oriente.

    Lorenzo Galbiati Maurizio Bosco

    concordo su tutto. Poi farò aggiunte

    Ennio Abate @ Bosco

    Le “solfe” (o l'”accettazione acritica”) sono almeno due non una sola. E bisogna vederle e contrastarle ( ammesso che sia ancora possibile, cosa di cui un po’ dispero) entrambe. Tu e Galbiate vedete – tra l’altro esasperandola – solo la prima solfa: “la generale sudditanza politico- ideologica, in particolare dei paesi filo-atlantici, alla narrazione/propaganda israeliana”. E agitate strumentalmente “le decine di risoluzioni ONU che hanno condannato, nel tempo specifiche condotte dello stato sionista e che sono state bellamente ignorate” . Ma è “solfa” anche la vostra.
    Bisognerebbe uscirne.

    Ennio Abate DA POLISCRITTURE SITO

    Ezio Partesana4 Febbraio 2020 alle 10:07

    Contro domande.
    1) Quali sono i nazionalismi buoni, che appoggiamo e sosteniamo, e quelli cattivi che meritano di essere combattuti?
    2) L’interpretazione e la critica storica sono determinate dalla scelta di un luogo e di un tempo, e questa scelta è spesso cruciale, o ognuno può ritagliare il segmento del quale intende discutere?
    3) La logica del nemico del mio nemico che diventa mia amico è valida sempre e comunque o ci sono dei limiti oltre i quali sarebbe meglio non andare?
    4) La propaganda, l’impiego di parole e concetti al fine di indignare e non di comprendere, è buona quando la fanno coloro dalla cui parte ci schieriamo e cattiva quando sono i nostri avversari ad usarla, o è politicamente comunque un errore?
    5) Quando riteniamo che sia lecita la lotta armata, eticamente lecita?
    6) Chi guida una battaglia persa sarà ritenuto politicamente responsabile delle sue scelte o la sconfitta verrà attribuita solo alla crudeltà del nemico e alla sproporzione delle forze in campo?
    7) Attaccare un nemico significa volere la sua eliminazione?
    8) E infine: è ancora necessaria un’analisi delle contraddizioni sociali e delle classi per comprendere un conflitto o oramai la geopolitica spiega tutto?

    Maurizio Bosco

    Concedersi un tempo infinito per comprendere è un lusso (o un rischio) che può permettersi solo chi non è tenuto al rischio etico di affrontare il momento di decidere. Se noi guardiamo alla contrapposizione tra sopravvivenza del sionismo e sopravvivenza dell’identità palestinese come a due blocchi unitari (né sarebbe possibile fare altrimenti, non potendo dir nulla di ciò che attiene ai singoli individui, come sempre in politica) dovremmo considerare che nessuno dei due possa concedersi di soffermarsi attorno a simili domande, attorno a cui, pure, ognuno di noi potrebbe in astratto argomentare.

    Ennio Abate Maurizio Bosco

    “Concedersi un tempo infinito per comprendere è un lusso (o un rischio) che può permettersi solo chi non è tenuto al rischio etico di affrontare il momento di decidere.” (Bosco)
    Questo messaggio sarebbe rivolto a me o a quelli che vorrebbero pensare uscendo dala “solita solfa”?
    Tu ed altri ( chi per favore e con quali esiti?) avete affrontato il “rischio etico” e deciso ( cosa)?

    Maurizio Bosco Ennio Abate

    il messaggio non è indirizzato a nessuno in particolare. Se leggeraI con attenzione, ti accorgerai che ho scritto che il rischio e la responsabilità della “scelta” è in capo agli israeliani ed ai palestinesi, che sono le parti in causa. Per quanto riguarda gli osservatori come noi, ognuno giudicherà da sé quale sia la condotta, tra quelle delle due parti, più legittima o giustificata. Per il resto, confermo di non credere che con una “discussione” come questa si possa venire a capo della questione. Tra tutte le “solfe”, da cui ognuno di coloro che si impegnano per una causa cerca di sottrarsi, quella del “né, né” riuscirà sempre a trovare valide argomentazioni per sospendere il giudizio.

    Ennio Abate Maurizio Bosco

    Mai pensato che una nostra “discussione” abbia influenza anche minima sulle “parti in causa” (sia quelle che agiscono in modi visibili sia quelle che lo fanno in modi mascherati, etc.).
    E, anche a pensarci come semplici osservatori, fin dall’inizio di questo intervento, che ho ospitato su Poliscritture, ma anche in precedenti occasioni ( e non sto ancora a mettere link), ho messo in guardia dall’enfasi del “bisogna dire ciò che penso” che pervade fin troppo i commenti di Lorenzo Galbiati. Certo, anche il “né, né” fa parte delle “solfe” o delle propagande o della tentazione di voler “avere ragione” sull’interlocutore con stratagemmi discorsivi retorici. A me però preme uscire (se ci si riesce…) da tutto ciò. E, fino a prova contraria, presuppongo tale intenzione in tutti gli eventuali interlocutori.
    Il valore, minimo e non garantito, di qualsiasi confronto sta eventualmente nelle prove che gli interlocutori sapranno dare di puntare alla ricerca della verità, portando solidi argomenti, dati di fatto da considerare con più attenzione e rigore critico, etc. E comportarsi così a me non pare un “sospendere il giudizio” per viltà, calcolo o opportunismo ma atto indispensabile proprio per costruire un giudizio il più possibile ben fondato. Ammesso sempre che ci sia dato il tempo e le svolte improvvise della storia non spazzino via in un attimo questi nostri minimi tentativi.

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