“I fannulloni nella valle fertile” di Albert Cossery

Centro Sociale il Giardino, venerdì 31 gennaio 2020

di Angelo Australi e Alessandro Franci

ANGELO AUSTRALI

Ora ci conosciamo, molti di voi hanno partecipato alle precedenti iniziative… Questa è la quarta conferenza delle otto previste dal progetto di invito alla lettura La casa degli Strani, promosso dal Giardino Associazione e dal Circolo Letterario Semmelweis, e realizzato grazie al contributo del Comune di Figline e Incisa Valdarno.Una proposta di incontri/lettura, è bene ricordarlo, ideata in supporto alla pubblicazione di un almanacco di racconti edito da Aska Edizioni, che sta riscuotendo un vero interesse.

Oggi, io e Alessandro Franci, converseremo sul romanzo di Albert Cossery, I fannulloni nella valle fertile.

Che sappia è il terzo romanzo di Albert Cossery uscito in Italia. E’ stato pubblicato nel 2016 dall’Editore Einaudi, nella traduzione di Giuseppe A. Samonà. Gli altri suoi libri tradotti nella nostra lingua sono il romanzo Mendicanti e orgogliosi, pubblicato nelle Edizioni E/O, e la raccolta di racconti Uomini dimenticati da Dio, pubblicato da Rizzoli, entrambi usciti nello stesso anno in cui muore lo scrittore, il 2008.

Albert Cossery nasce al Cairo nel 1913 da una famiglia di religione greco-ortodossa; suo padre possedeva delle terre nel delta del Nilo e questa rendita gli permetteva di vivere in un certo benessere. Cossery studia alla scuola francese del Cairo. Nei primi anni Quaranta pubblicherà i suoi primi romanzi scritti in francese. Nel 1941 esce la raccolta di racconti Uomini dimenticati da Dio, che Lawrence Durrell, vivendo allora in Egitto, apprezzerà molto.

Anche Henry Miller ne resterà entusiasta, tanto da farlo tradurre negli Stati Uniti. Subito dopo la guerra, nel 1945, Cossery si trasferisce a Parigi dove fa amicizia con altri scrittori: Albert Camus, Raymond Queneau, Boris Vian, Jean Genet.

All’inizio della sua vita parigina risiede in un paio di appartamenti, ma nel 1955, libero dal possedere una casa, si trasferisce all’Hotel La Louisiane, dove abiterà ininterrottamente fino alla morte, avvenuta nel 2008. Unico mutamento, dopo quarantasette anni (nel 2002), è il trasferimento dalla camera 55 alla 78 dello stesso hotel. Già da questo episodio si capisce quanto lo scrittore sia refrattario e seguire una certa frenesia modernista che si respirava collettivamente nel dopoguerra e soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta, quando, in piena epoca di boom economico, un consumismo imperante costringeva a vivere freneticamente ogni momento della propria vita attraverso il lavoro e l’acquisto di beni.

Questo strano dandy corteggiato dalle donne e assiduo frequentatore dei Caffè di Montmartre, completamente indifferente al richiamo del successo letterario, in oltre sessant’anni pubblicherà solo una raccolta di racconti e sei romanzi: quasi uno ogni dieci anni. Scrittore molto parsimonioso, capace di scrivere poche righe alla settimana, spesso irrideva quelli che scrivono tutti i giorni, che si prendono sul serio, che sono orgogliosi di quello che fanno, che sono contenti di se stessi (quanto ci vedo, in questa affermazione, gli scrittori dalle trame risolte dei noir o i neo-divulgatori “giornalisti scrittori” di oggi). Prendo un aneddoto dalla prefazione al libro dello stesso traduttore, Giuseppe A. Samonà: Una sua antica amante – ne aveva avute molte – lo incontra per la strada, gli riassume gli eventi dei quarant’anni trascorsi: tre figli, due divorzi, quattro traslochi…; poi lo interroga su cosa abbia fatto lui: «Oh! Per me, niente è cambiato… – risponde Cossery – faccio sempre la siesta nel letto dov’ero sdraiato quando mi hai lasciato». Cossery è proprio uno strano eccentrico che accogliamo a cuore aperto nella nostra “Casa”.

Tutti i suoi romanzi sono ambientati nell’Egitto della sua giovinezza, gli anni Trenta del secolo scorso, e nascono da una singolare predilezione per il mondo degli emarginati, dei mendicanti, degli straccioni. I personaggi si muovono come dei fantasmi in una realtà che diventa fantastica, irreale, pietosa e comica al tempo stesso, assurdamente grottesca. La trama di Mendicanti e orgogliosi, per esempio, è incentrata sulla storia di uno strano tipo di professore universitario che abbandona l’insegnamento per diventare un indigente nella Cairo degli anni Trenta. Nel libro il filosofo, insieme ad un suo nuovo compagno, anche lui mendicante per scelta, esalta a modello morale la teoria del non far nulla, descrivendo la follia e la miseria in cui vivono con spirito burlesco e ironico.

I fannulloni nella valle fertile, scritto a Parigi nel 1948, è l’unico suo romanzo non ambientato nei quartieri popolari del Cairo dove vivono gli emarginati, i derelitti, le persone sole che soffrono la fame e la miseria. HAFEZ, capofamiglia di una strana e improbabile galleria di personaggi che si avvicinano molto agli attori comici del cinema muto, vive fuori dalla città, al margine periferico dove la campagna sembra legarsi ancora a tutte le sue lente cadenze quotidiane, ed è una famiglia benestante, borghese, quella che ci appare davanti, anche se sembra impegnarsi a realizzare nella realtà una certa teorizzazione del non fare, dell’inattività. La trama del romanzo di cui parliamo oggi è fortemente segnata da riferimenti autobiografici.

Ma poi ci torniamo sulla trama, adesso Alessandro, mi sembra opportuno contestualizzare la situazione di questo scrittore così particolare, rispetto all’ambiente parigino del dopoguerra dove sceglie di vivere.

ALESSANDRO FRANCI

Sì, è così… Quando Albert Cossery si trasferisce a Parigi, la guerra si è conclusa da poco, l’Europa intera è sotto l’effetto devastante del conflitto e tesa a ripristinare o reinventare un ordine politico, sociale e civile, nell’ottica di nuove formule democratiche e di un futuro sviluppo di convivenza pacifica.

In questo contesto, per certi versi ancora caotico e in divenire, la capitale francese assume un ruolo di rilievo, soprattutto per la coesistenza viva di avanguardie, di movimenti e intellettuali attenti alle nuove istanze di rinascita culturale.

Queste non sono certo le motivazioni che spingono Cossery verso la Francia; è invece, si può dire, per lui una destinazione più che naturale, a partire (ma non soltanto per questa ragione) dall’educazione ricevuta sin dai suoi primi anni di studi al Cairo.

L’aria parigina è agitata da nuovi fermenti grazie a intellettuali quali ad esempio: Albert Camus, Raymond Queneau, Jacques Lacan, Raymond Aron e altri.

Di fatto Cossery, come già detto, non è a Parigi con motivazioni legate a una sua eventuale carriera letteraria, benché ci arrivi già con un contratto editoriale, almeno per la riedizione dei suoi due volumi precedenti (“Gli uomini dimenticati da Dio” e “La casa della morte sicura”) ma è a Parigi con una coscienza diversa dalla sua precedente visita di qualche anno precedente: è nella capitale francese per viverci.

Nello stesso anno in cui viene pubblicato I fannulloni nella valle fertile, va in scena a teatro la pièce Le mani sporche di Sartre che, volendo, nel contesto più circoscritto, per quanto ci riguarda almeno, va probabilmente nella direzione opposta a quella che i personaggi della “valle fertile”, sembrano percorrere: loro certamente non si “sporcano le mani” come invece il messaggio sartriano suggerisce, ma anzi, casomai tendono all’inazione e alla non risposta che, poi, sembra quasi ricalcare, con le doverose distinzioni, l’esperienza nella vita reale del loro creatore. Tuttavia Cossery è un assiduo frequentatore degli stessi ambienti, o per meglio dire, luoghi, o ancor meglio locali, frequentati dall’intellighenzia parigina. Almeno in un primo momento, cioè fino a quando tali frequentazioni non diventeranno anche una “moda”, un costume, quasi una sorta di pellegrinaggio turistico; i ritrovi sono i tavolini della brasserie Lipp oppure Les Deux Magots di San –Germain-des-Près. Qui oltre a Sartre e Simone de Beauvoir, era possibile incontrare Boris Vian, Albert Camus, Jaque Prevert, Roger Vadim, Alberto Giacometti. Oppure un altro ritrovo, distinto in qualche maniera per scelte diverse da parte dei frequentatori, era quello di San Benuît, al quale facevano capo Edgar Morin, Marguerite Duras, George Bataille, Roland Barthes; intellettuali più vicini al Partito Comunista.

Cossery in questa Parigi che rinasce, sembra trovarsi nel suo ruolo e nel suo ambiente e le sue frequentazioni sono quotidiane e vastissime. Ha molti amici e da tutti è apprezzato e cercato; la sua compagnia è gradevole, sa stare bene nel suo ambiente, nella “sua” Parigi. Non si corica prima delle due o le tre di notte e non si alza prima di mezzogiorno, scrive con molta parsimonia, qualche riga a settimana, la sua produzione, come sappiamo, non è così vasta.

Si vede con Henry Miller, Albert Camus, Raymond Queneau, Tristan Tzara, Juliette Greco, Monique Chaoumette (con la quale è stato sposato per un breve periodo) Marcello Mastroianni, George Moustaki. Poi ci sono le donne, molte, e anche una sorta di vita più contemplativa, meditativa, al Jardins du Luxenbourg magari seduto su una panchina; osserva, lì come ai tavolini, guarda, vede passeggiare persone e forse personaggi. Dal 1955, dopo i primi 10 anni vissuti in appartamenti diversi, vivrà all’hotel La Louisiane, sulla Rive Gauche in prossimità dei “suoi” caffè.

LETTURA DELL’INCIPIT

(da pag 3 a pag 8, in parte)

ANGELO AUSTRALI

Come accennavo poc’anzi, I fannulloni nella valle fertile è il suo primo libro scritto e pubblicato in Francia, nel 1948. Narra le vicende di una famiglia composta da un padre vedovo, tre figli, uno zio, una cameriera che ha l’obbligo di restare in cucina per non disturbare il riposo degli uomini. La famiglia vive senza far niente grazie ad una rendita terriera del padre, in una decadente casa che si trova alla periferia del Cairo. L’unica occupazione di questa strampalata congrega di uomini è quella di dormire; pare che il figlio maggiore, il mitico GALAL, non si muova dal suo letto, se non per mangiare, da ben sette anni. La loro ossessiva smania di dormire è addirittura contagiosa per chi li frequenta. La monotona, abitudinaria, assenza di qualsiasi forma di attività fisica, se non quella di spostarsi per casa, perseguita dal nucleo familiare come una dottrina esistenziale, verrà stravolta quando l’anziano padre deciderà di sposarsi e SERAG, il figlio minore, comunicherà ai fratelli la folle decisione di volersi recare in città per cercarsi un lavoro.

ALESSANDRO FRANCI

Quella dei fannulloni nella valle fertile è una famiglia che lotta contro il lavoro, o meglio, che vede il lavoro come una vera e propria condanna; ovviamente nessuno di questi singolari personaggi lavora. La loro principale attività, se così la possiamo definire, è dormire e, su questa precisa convinzione, perché si tratta quasi di una teoria filosofica, non transigono; non tollerano di essere disturbati da alcunché. I componenti di questa squinternata famiglia sono un padre vedovo e i suoi tre figli, più il fratello del padre.

ANGELO AUSTRALI

È un romanzo fortemente ironico, ha la forza corrosiva del non prendersi mai sul serio. L’aria stralunata dei personaggi, dietro la maschera del comico, nasconde in realtà una sorta di esagerazione filosofica che a suo modo ci suggerisce una poetica della liberazione. Non è un caso che il libro, alla sua uscita, fu segnalato come ‘sovversivo’ dal governo egiziano.

Ma entriamo nei personaggi, … ti va di descriverceli un po?

ALESSANDRO FRANCI

… Sono state date precise disposizioni alla domestica HODA affinché svolga le sue attività silenziosamente, oltre a quelle relative all’orario, cioè che non dovrà arrivare troppo presto al mattino.

Fra i tre fratelli, GALAL, il maggiore, sembra essere il più ostinato nel mettere in pratica quello che, comunque, tutti i componenti della famiglia svolgono diligentemente; nell’intero vicinato addirittura si è sparsa la voce che dorma almeno da sette anni. Questa sua tenacia è tale che non riusciva a prendere sonno se qualcuno era ancora sveglio nella casa; lui, infatti, è quello che impone a HODA gli orari per iniziare le pulizie e le dà precise istruzioni perché siano effettuate nel massimo silenzio. C’è da dire però che, fra tutti, GALAL è anche colui, sempre avvolto dall’assopimento, che più facilmente è possibile accontentare o, al contrario, difficile da coinvolgere, tanto che non riesce a dare nessun aiuto neppure al padre, quando vorrebbe da lui un consiglio.

Il figlio più giovane SERAG, che poi è il protagonista del romanzo, sembra voler uscire dal torpore e dall’ozio nel quale è avvolta la vita familiare. È piuttosto curioso l’approccio con cui tenta di rompere la tradizione, in quanto, l’aver sentito dire che gli uomini lavorassero, gli provocava il dubbio che, forse, tutto sommato potessero essere tutte storie. Quei pochi lavori che aveva visto svolgere con i suoi occhi, li aveva sempre ritenuti di poco conto, lavori futili che non avevano nulla di quello che, per lui, vagamente, doveva essere un lavoro vero e proprio. Addirittura cercherà di incontrare nuovamente quel ragazzino che, nelle pagine iniziali del romanzo da te lette, gli spiega il suo di lavori, cioè quello di cacciatore di uccelli. Vorrebbe incontrarlo ancora per approfondire l’argomento ritenendo il parere di un ragazzino che si arrangia come può, particolarmente interessante per fugare i suoi dubbi.

Anche il negozio di ABU ZEID, che di professione fa il venditore di noccioline e ceci è una meta frequentata da SERAG. ABU ZEID è un tipo indolente, sempre sulla soglia del suo negozio. Ha un aspetto “singolarmente sudicio”, è sdentato, bavoso, con barba irsuta e tinta malamente. Spesso SERAG lo visita, dato che, tutto sommato, lo incuriosisce dal momento che lavora, e queste attenzioni non dispiacciono all’uomo, il quale chiede consigli e si intrattiene volentieri con il giovane.

RAFIK, il mediano fra i tre, invece, si può dire che sia “ideologicamente” tra i più convinti nell’applicare la pratica del sonno. Questo equilibrio che si regge unicamente nel sopore domestico, visto come un modus vivendi ideale, sembra essere parzialmente infranto, o almeno incrinato, proprio da SERAG che, apparentemente sembra essere il più intraprendente dei fratelli; anzi questo aspetto è suggerito proprio da Cossery, visto che il romanzo inizia con SERAG che si reca in una località, peraltro non molto distante dalla propria abitazione, dove è in costruzione una fabbrica. SERAG sogna, a modo suo, probabilmente neppure con molta convinzione, di poter un giorno lavorare proprio in quella fabbrica che, comunque, da tempo è un cantiere abbandonato.

Va aggiunto che il sogno di SERAG, se pur vago, mette lo scompiglio in famiglia, dal momento che, essendo la condizione retta sul filo dell’inazione, dell’indolenza e del vero rifiuto di qualsiasi forma di lavoro, porterebbe a una vera e propria catastrofe. È principalmente RAFIK il più indignato, tanto che per avvalorare le sue convinzioni, chiama in causa persino Dio: “Dio sta coi pigri. Mica coi vampiri del lavoro”, aggiungendo al monito, anche un’interpretazione “politica” circa le curiosità che animano il fratello minore.

Oltre alle “strane” curiosità che SERAG nutre per il lavoro, un altro evento potrebbe portare inutili novità all’interno della famiglia. Si tratta della volontà del vecchio HAFEZ, il padre, il quale vorrebbe risposarsi. HAFEZ ha un volto spigoloso, baffi abbondanti e ingialliti per il fumo, e un’ernia enorme. È un uomo tormentato dall’inquietudine circa il matrimonio. Un desiderio di una nuova giovinezza e anche di una certa autorevolezza che vede affievolirsi. Le sue sono sempre riflessioni elementari senza alcuna passione. La particolarità più evidente che in qualche modo lo caratterizza è quella di contraddire chiunque; evidentemente questo pessimo carattere con l’età viene meno e, certamente, con un altro matrimonio è convinto di rispolverare la sua ormai diminuita autorità.

Anche in questo caso sarà RAFIK a ridestarsi dal sonno per mettere in guardia il padre sui possibili disastri che si scatenerebbero, se un’altra persona si aggiungesse alla famiglia. È pur vero che precedentemente a questo “pericolo” che si presenta all’orizzonte, era stato proprio il padre a scongiurare RAFIK circa le sue intenzioni, che tutto sommato erano le stesse. RAFIK, infatti, aveva lasciato, qualche tempo prima, la propria fidanzata, che invece avrebbe voluto sposare. La fidanzata, una prostituta di nome IMTISSAL, peraltro descritta quale amica degli studenti, dalle “forme traboccanti” e di una “sensualità primitiva”, RAFIK l’amava veramente e sarebbe andato fino in fondo se non si fosse fatto convincere dal padre, più o meno, con le stesse motivazioni che ora lui esponeva per scongiurare lo stesso pericolo, questa volta causato dal vecchio HAFEZ. Alla fine RAFIK, all’epoca, aveva dato ragione al padre ed era ripiombato nel dormiveglia.

Però, evidentemente, questo paventato matrimonio del padre, aveva causato un vero allarme, visto che pure lo zio MUSTAFA’, praticamente un parassita che da tempo viveva in casa del fratello, avendo dilapidato tutti i propri averi, aveva iniziato a preoccuparsi, chiedendosi cosa mai sarebbe potuto succedere se in casa fosse entrata una donna.

Tuttavia la natura di questa famiglia era sempre in bilico tra rari risvegli e lunghi sonni ed è facile intuire come la volontà di apportare cambiamenti, finisse in breve tempo in un sonno rigenerante. Addirittura, sul finale del romanzo, quando cioè il figlio minore si deciderà finalmente ad andare in città per realizzare i suoi desideri, si vedrà costretto, preso dalla stanchezza, a farsi un pisolino. Era accompagnato da HODA, innamorata fin dall’inizio di lui, ma anche lei, evidentemente rassegnata alla natura sonnolenta di SERAG, acconsentirà a quella sosta dopo pochi passi da casa, che li vedrà di lì a poco teneramente addormentati sul ciglio della strada.

ANGELO AUSTRALI

Nel romanzo sembra che tutto giri intorno a due momenti/eventi, anzi non eventi, visto che nonostante i buoni propositi qualsiasi progetto dei personaggi non arriva mai a realizzarsi:

SERAG che si ostina a voler conoscere il lavoro, mentre il padre HAFEZ si vuole risposare.

Alleati di SERAG sono ANTAR, il ragazzino che abbiamo incontrato nell’incipit appena letto, e che ritroveremo nel finale perché gli dovrà indicare la strada per raggiungere la città. ABU ZEID, il venditore di noccioline che gli comprerà i libri, procurandogli il denaro necessario alla fuga. HODA, la servetta innamorata di lui.

Alleati di HAFEZ sono la grossa mezzana HAGA ZORA e lo zio MUSTAFA’.

Gli altri due fratelli vivono in una loro convinzione: GALAL non vuole essere disturbato nel suo ozio, mentre RAFIK deve assolutamente impedire alla mezzana di parlare con il padre, per evitare così che il matrimonio crei scompiglio alle loro abitudini.

RAFIK ha poi un rimorso che lo perseguita, ed è forse l’unico al quale la scelta consapevole di vivere nell’ozio è costata il doloroso abbandono della prostituta IMTISSAL della quale era innamorato, e anche lei lo amava.

Alla domanda perché scrive, Cossery rispondeva: “…perché qualcuno che mi ha appena letto decida di non andare a lavorare domani”.

La denuncia del lavoro come ipocrisia e asservimento è uno dei temi che ricorre in tutte le opere di Cossery, ma nei I fannulloni nella valle fertile trova la sua manifestazione totale. Si tratta di una vera e propria presa di posizione filosofica di inattività, direi quasi isolamento da monaco eremita, dove la scelta di non fare diventa gesto destituente, sottrae l’individuo al meccanismo del dominio consumistico/produttivo. Naturalmente questa alternativa di vita non può che essere individuale. E’ sempre stato così, nell’arte e nella vita.

Ci sono due punti nel libro dai quali affiora questa sua idea di cosa dovrebbe essere la letteratura. Guarda caso entrambi riguardano il giovane artista MIMI’. Vorrei leggerli. Nel primo il giovane artista parla con SERAG, nel secondo con RAFIK, di cui è anche innamorato. Qui è detto in modo ironico quale sia, o dovrebbe essere, il punto di vista non solo dell’arte, ma anche della letteratura, secondo me.

Primo dialogo, tra SERAG e MIMI’:

  • Dipingi sempre?
  • Sì, disse Mimì. Credo di esser riuscito a fare qualche quadro straordinario. Me li vogliono anche comprare; ma io non tengo a venderli.
  • Ti offrono molti soldi? domandò Serag.
  • Certo, disse Mimì. Ma me ne infischio dei soldi. Dipingo unicamente per amore dell’arte.
  • E’ molto bello, disse Serag. Devi essere felice.
  • Solo l’arte m’interessa, disse Mimì. E’ per questo che m’interesso tanto alla tua famiglia. Nel vostro genere anche voi siete artisti.
  • Non capisco, disse Serag. Non siamo artisti, ti sbagli. Non facciamo assolutamente nulla.
  • E’ proprio questo, disse Mimì. Quest’ozio strano è, secondo me, un’arte suprema e raffinata.
  • Sei molto gentile, disse Serag. Ma ti sbagli, ti assicuro. Noi non siamo artisti.

Secondo dialogo, tra RAFIK e MIMI’:

  • Ah! Mi piace quel tipo!
  • Quale tipo
  • Tuo fratello Galal. Dormire per sette anni! Che artista!
  • Trovi che sia un artista?
  • Certo. E’ quel che cerco di spiegare agli imbecilli di questo quartiere. Vi prendono per fannulloni.
  • Ma è la verità. Perché contraddirli?
  • Sono degli asini, te lo dico io. Non capiscono tutta la bellezza che c’è in questa pigrizia. Siete una famiglia straordinaria. E tu, Rafik, sei l’unico uomo intelligente del mondo.
  • Credi?
  • Non mi sono mai ingannato sul tuo conto. E non ho mai capito perché tu mi detestassi. Non ti accorgi che noi due insieme potremmo rivoluzionare il quartiere?
  • Visto che conosci la mia filosofia di vita, devi sapere che non amo il rumore e che ci tengo troppo alla mia tranquillità.
  • E’ di una rivoluzione morale che voglio parlare. Insegneremo a quegli ignoranti, agli uomini sposati, cos’è la vera saggezza. Io, con la mia pittura, esprimo il nulla. E’ un peccato che tu non scriva: Ma è anche vero che sei un esempio vivente. Questo basta:

Quanta ironia!!!

Nella scelta del sonno c’è dietro tutta una teoria. Non si tratta di una rassegnazione di comodo che può giustificare uno status quo, mi sembra piuttosto molto più vicina a quella del Bartleby, lo scrivano di Melville, e il suo metodo di distruzione totale, che va proprio oltre la stessa idea di negazione quando pronuncia quel suo “Preferirei di no.”

Non a caso questo strano racconto di Melville (strano per l’epoca in cui è stato scritto) veniva riscoperto proprio nel dopoguerra come una risposta critica allo sviluppo capitalistico della società occidentale. Anche in Italia se ne parlava molto, nel dopoguerra, c’è una corrispondenza di lettere tra Franco Fortini e Vittorio Sereni che risulta illuminante in questo senso.

ALESSANDRO FRANCI

MIMI’, è un altro stravagante personaggio della storia. È un omosessuale, non si sa fino a quanto convinto di questo, soprattutto perché, essendo lui un artista, benché per sua ammissione, è convinto che come tale è indubbiamente omosessuale, in quanto un artista non può essere altrimenti. Dice di dipingere il niente, ma nessuno ha mai visto i suoi quadri. Cossery ce lo descrive come un giovane efebo vestito con estrema ricercatezza e dalle maniere dubbie e raffinate. Ha le sopracciglia depilate e gli occhi sono anneriti dal Kohl; camminava in un modo “prezioso” ancheggiando. MIMI’ è uno studente della scuola di belle arti ed è convinto che la pittura sia il suo destino. Naturalmente questo stravagante personaggio, in certo qual modo, ammira l’altrettanto stravagante famiglia dei fannulloni della valle fertile.

ANGELO AUSTRALI

La lingua di Cossery fa affiorare l’arabo all’interno del francese. Questo procedimento investe soprattutto i dialoghi. Mentre la lingua della narrazione è un francese classico, nei dialoghi viene attuato un vero calco linguistico, tutto giocato sui meccanismi tipici dell’assurdo, e diventa fortemente innovativo.

ALESSANDRO FRANCI

Tuttavia la natura di questa famiglia era sempre in bilico tra rari risvegli e lunghi sonni ed è facile intuire come la volontà di apportare cambiamenti, finisse in breve tempo in un sonno rigenerante. Addirittura, sul finale del romanzo, quando cioè il figlio minore si deciderà finalmente ad andare in città per realizzare i suoi desideri, si vedrà costretto, preso dalla stanchezza, a farsi un pisolino. Era accompagnato da HODA, innamorata fin dall’inizio di lui, ma anche lei, evidentemente rassegnata alla natura sonnolenta di SERAG, acconsentirà a quella sosta dopo pochi passi da casa, che li vedrà di lì a poco teneramente addormentati sul ciglio della strada.

ANGELO AUSTRALI

Sappiamo dalla sua biografia che sua madre era analfabeta, ma appassionata di cinema. È componendo storie a partire dai film visti con la madre che Cossery bambino comincia a scrivere e a scoprire questa passione.

Infatti nelle descrizioni, ma soprattutto nei dialoghi, trovo nella sua scrittura qualcosa di molto vicino al ritmo cinematografico. Non parlo di una sceneggiatura, ma proprio nel fatto che Cossery ci fornisce un tono formale che descrive strutturando ogni singolo fotogramma come anche un’immagine da guardare. Guardare mentalmente, certo. Ma sempre da fissare a livello di emozione immaginativa.

Cossery è un uomo alla ricerca di una risposta che non sia quella dettata dalla vena drammatica occidentale per cui: una cosa per essere degna debba essere per forza disperata. Viveva a Parigi, completamente calato nella nostra cultura europea, ma è come se guardandola da esule, in un certo senso, potesse fornirci una radiografia interna, un’immagine agli infrarossi, capace di scovare qualsiasi bubbone a cui è soggetto il corpo molliccio di una società schizofrenica e produttiva, capace di andare sulla luna, ma anche di costruire la bomba atomica, di far scoppiare due guerre mondiali nell’arco di un ventennio e nonostante tutto, di continuare a spingere sul pulsante dell’acceleratore dei contesti conflittuali, in nome di un illimitato benessere consumistico da perseguire continuando a produrre, e a produrre ancora di più.

Questa “Strana”, singolare figura di scrittore, con la sua caparbia determinazione di limitare lo sforzo d’azione per non subire lo sfruttamento del lavoro, nel suo rifiuto individuale, non aggressivo anche se pur sempre radicale, in un momento storico come il nostro ha sicuramente qualcosa da insegnarci, e cioè che una forma di libertà si può raggiungere anche con una resistenza da opporre al sistema di una società globalizzata che produce, lavora, consuma e al contempo accresce il divario tra ricchi e poveri, distribuendo nel pianeta una disperazione sempre più estrema. In fondo cos’è cambiato sul versante del sistema tecnologico, se ci pensiamo bene? Fino agli anni in cui Cossery ha scritto I fannulloni nella valle fertile – ma non solo, si può dire che è stato così fino ai primi anni Ottanta del Novecento – le macchine venivano realizzate per sostituirsi agli arti del corpo umano nel lavoro, mentre oggi la tecnologia informatica porta a sostituire l’uomo nella forma del pensare.

La tecnologia svolge sempre un ruolo sostitutivo, resta un facilitatore, che si tratti di braccia, gambe, o di cervello. Ecco perché un libro come questo diventa importante anche se visto con lo sguardo di una contemporaneità dove si ha paura di tutto, e i diritti sono urlati senza che siano destinati a trovare soluzioni. Non è l’immagine buona o cattiva che danno di sé i personaggi in quel rifiuto del dinamismo moderno, ma un’intensità progettuale facile da ricordare per chi legge il libro, perché questa teorizzazione del non fare, questa illusione di immobilità descritta con linguaggio vivido e preciso, può essere salutare se non altro per abbassare i toni di una conflittualità oggi sconcertante.

4 pensieri su ““I fannulloni nella valle fertile” di Albert Cossery

  1. …che simpatia questi fannulloni di Albert Cossery: nel sonno sembrano assorbire il tempo, come acqua sporca, per poi restituirlo depurato

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