L’impensabile e le cose da non dimenticare

Roma, CORONAVIRUS COVID-19: file supermercati, Colosseo, stazione Termini, strade vuote. foto Fracassi/Ag.Toiati. Nella foto: fila esterno Conad di Tor de’ Cenci Davide Fracassi/Ag.Toiati

di Donato Salzarulo

1.-Sul Corriere della Sera di oggi si può leggere un articolo molto interessante dello scrittore e fisico Paolo Giordano. Titolo: «Il nostro futuro.» (pag. 26-27). Ho già avuto modo di segnalare i suoi precedenti interventi (Corsera 26 febbraio e Corsera 9 marzo), interventi capaci di aprire gli occhi a persone come me che, di fronte all’assunzione delle note misure di emergenza, non aveva capito con chiarezza il reale pericolo del Covid-19.


In quest’articolo Giordano suggerisce di evitare la metafora della guerra, perché parlare di guerra «è una scorciatoia lessicale, un modo in più per eludere la novità assoluta, almeno per noi, di quanto sta accadendo». Questo è stato il nostro errore fin dall’inizio: «rifiutare l’impensabile, costringerlo a forza dentro categorie abituali e meno spaventose. Come confondere un distress respiratorio acuto con un’influenza stagionale. Una scelta più accorta dei termini, perfino severa è essenziale in un’epidemia, perché le parole condizionano i comportamenti e quelle imprecise rischiano di distorcerli. […]
È un mese che l’impensabile ha fatto irruzione nelle nostre vite. Proprio come il virus, così insidioso perché capace di raggiungere le ramificazioni più sottili dei polmoni, l’impensabile si manifesta già in ogni piega del nostro quotidiano. Non ci saremmo mai aspettati di aver bisogno di una giustificazione per buttare le immondizie. Non ci saremmo aspettati di regolare le nostre giornate intorno al Bollettino della Protezione civile. Non ci saremmo aspettati – noi, qui – che qualcuno potesse morire senza le persone che ama accanto. Che anche il suo funerale dovesse essere silenzioso e deserto.»
Lo scrittore ricorda come la notizia del coronavirus, conquistatasi il titolo centrale delle prime pagine dei giornali, non si sia mossa più da lì dal 22 febbraio.
«Guardando indietro si ha la sensazione di un avvicinamento rapidissimo. La teoria dei sei gradi di separazione, secondo cui le persone della terra sarebbero separate da pochissime altre in una catena di conoscenze, può essere vera o no, ma sembra che il virus si sia arrampicato sopra, come un insetto su una rete, per arrivare sino a noi. Il contagio era in Cina, poi in Italia, poi nella nostra città, poi un personaggio illustre era positivo, poi un nostro amico, poi qualcuno del nostro palazzo è finito all’ospedale. Trenta giorni. Ogni singolo passaggio, nonostante fosse plausibile, più che concreto nel calcolo probabilistico, è stato accompagnato dalla nostra incredulità. Muoversi nel dominio dell’impensabile è stato il vantaggio del virus fin dall’inizio. A forza di “figurati se” ci siamo trovati confinati in casa a stampare un modulo da esibire alle autorità per fare la spesa.»
L’incredulità, gli indugi, le esitazioni hanno un prezzo in vittime.
«I decessi in Italia hanno superato quelli in Cina. Possiamo arrovellarci sulle cause contingenti, dobbiamo farlo, ma alla base troveremo comunque la nostra difficoltà nell’accogliere l’impensabile rispetto a Paesi che hanno affrontato altre epidemie simili nel loro passato recente. A, ogni modo, arrivati a questo punto, dovremmo aver compreso che l’avanzata dell’impensabile non si concluderà oggi, né il 3 aprile né con la fine dell’isolamento domestico né con la pandemia stessa. L’impensabile ha appena iniziato ed è qui per restare a lungo. Forse sarà il tratto caratterizzante dell’epoca che ci si apre davanti.»

2.-Dopo una guerra o dopo una malattia tendiamo a dimenticare. «Adesso ci troviamo nel mezzo di una malattia planetaria. La pandemia sta passando la nostra civiltà ai raggi X ed emergono verità che svaniranno al suo termine. A meno che non decidiamo di appuntarle subito.»
La domanda centrale che, secondo Giordano, dovremmo porci è questa: «quando sarà finita, vorremo davvero replicare un mondo identico a quello di prima?» Se non vorremo replicarlo, occorre scrivere la lista di tutto ciò che non si dovrà dimenticare.
Lo scrittore compila la sua lista da confrontare con quella degli altri. È una lista basata sulla sua esperienza, una lista che va dal rispetto delle regole alla valorizzazione della competenza, dal rifiuto dell’egoismo e dell’ottusità alla necessità di un’informazione che non sia «volubile, contraddittoria, sensazionalistica, emotiva e approssimativa», dall’azzeramento del chiacchiericcio politico alla necessità di parlare non a una «moltitudine composita, con bisogni e guai differenti», ma «per lo più a un solo cittadino che padroneggia l’italiano e possiede un computer e sa usarlo», dal non doversi dimenticare di un’Europa che si è mossa in ritardo a chi ha indicato come origine della pandemia un esperimento militare segreto, invece del «nostro rapporto compromesso con l’ambiente e la natura, nella distruzione delle foreste, nella sventatezza dei nostri consumi. […]
Non voglio dimenticarmi che la pandemia ci ha trovato in larga parte tecnicamente impreparati e scientificamente digiuni.
Non voglio dimenticarmi che non sono stato eroico né stabile né lungimirante nel tenere insieme la mia famiglia.»
Una lunga lista, come si può vedere; una lista eterogenea che mette insieme comportamenti individuali e comportamenti istituzionali, sociali; una lista discutibile. Comunque, importante. Se non altro suggerisce un compito per ognuno di noi: quali sono le lezioni di questa pandemia, cosa non dovremo dimenticare. Perché superata l’emergenza, pur dovendo convivere a lungo «in un’alternanza fra normalità condizionata e allerta», «sarà il momento delle pacche sulle spalle tra la classe dirigente, dei complimenti a vicenda per la prontezza e la serietà e l’abnegazione», ecco noi non dovremmo partecipare a questo gioco, dovremmo osare riflettere «su ciò che non vorremmo ritornasse uguale, ognuno per sé e poi insieme. Io non so come si renda un capitalismo mostruoso un po’ meno mostruoso, non so come si cambi un sistema economico, non so come si possa rifondare il nostro patto con l’ambiente. Non sono nemmeno sicuro di saper modificare il mio comportamento. Ma so per certo che non si può fare nessuna di queste cose se prima non si è osato pensarle.»
E se osassimo pensare che il capitalismo proprio non va perché quello meno mostruoso è, comunque, mosso dalle stesse leggi di sistema?… E se osassimo pensare che è necessario un altro sistema economico e sociale che tenga conto degli insegnamenti delle scienze della natura (ecologia, biologia, genetica, ecc.) oltre che di quelle sociali?.. Se osassimo pensare che un’informazione più chiara, più fondata scientificamente e meno legata alle lobby e ai grandi gruppi capitalistici e finanziari, ci possa essere d’aiuto per modificare anche i nostri comportamenti individuali?….
Durante quest’emergenza, Paolo Giordano ha svolto un ruolo molto importante. Ha reso popolare il “modello SIR” e ci ha fatto capire il pericolo reale di quest’epidemia, in quest’articolo ci fa ancora capire che la sua origine si ritrova nel nostro rapporto compromesso con l’ambiente, un rapporto compromesso dovuto anche a un “capitalismo mostruoso” (vogliamo chiamarlo capitalismo neo-liberista?…Vogliamo sforzarci anche in questo campo di evitare “scorciatoie lessicali”?…), giunto al dunque, però, ho l’impressione che si barrichi dietro i “non so”. Tutti non sappiamo molte cose. Io non conoscevo il modello SIR. Ringrazio Giordano per avermelo fatto conoscere. Se il problema principale diventa quello di superare questo “capitalismo mostruoso” cominciamo col dirlo con chiarezza e vediamo quali esperti (di scienze economiche, sociali, politiche…) possono aiutarci. Cominciamo col farlo capire ai cittadini: questo capitalismo mondiale favorisce le epidemie.

3 pensieri su “L’impensabile e le cose da non dimenticare

  1. Condivido le considerazioni di Donato. Sono le stesse che anch’io ho scritto in questi anni, fino a ieri,giornata mondiale della poesia con alcuni miei versi….Dobbiamo continuare a studiare riflettere proporre alternative e mobilitarsi resistere per cambiare.

  2. In un mio post sulla mia pagina di FB del 27 febbraio scorso sul Coronavirus ho citato un articolo di Giordano e il modello SIR e ho poi letto, di Giordano, gli altri articoli che Salzarulo riassume.
    Ma ho constatato delle posizioni che non condivido e che a mio parere rispecchiano ancora una sottovalutazione della situazione mondiale e un approccio ideologico anziché pragmatico.
    Il «capitalismo mostruoso» o quello «un po’ meno mostruoso» mi pare che sia un uso lessicale che nasconde la realtà, che non è il “sistema capitalistico” in sé, ma il
    “sistema mondo umano” nel suo complesso come è configurato oggi.
    E anche «se osassimo pensare che è necessario un altro sistema economico e sociale che tenga conto degli insegnamenti delle scienze della natura (ecologia, biologia, genetica, ecc.) oltre che di quelle sociali» (Salzarulo), visto che questi insegnamenti sono assai vari e contrastanti fra di loro, probabilmente non faremmo dei grandi passi avanti.
    Temo proprio che «non si può fare nessuna di queste cose se prima non si è osato pensarle» (Giordano). Appunto. Se prima non si è osato pensarle.
    E non mi pare che Giordano e Salzarulo abbiano osato pensarle fino in fondo, fin dove è necessario pensarle.
    Giordano lo ammette chiaramente. Salzarulo invece scrive: «vediamo quali esperti (di scienze economiche, sociali, politiche…) possono aiutarci. Cominciamo col farlo capire ai cittadini: questo capitalismo mondiale favorisce le epidemie». Ma questi esperti sono in completo disaccordo e non hanno ricette, ma teorie non provate e forse nemmeno provabili in contrasto fra di loro.
    In quanto al capitalismo, ho letto tante cose contro, anche convincenti, ma niente di serio sul come e con che cosa sostituirlo. Che alternativa esiste? Mi pare, per dirla tutta, che da Marx in poi si sia capito come funzionano alcuni aspetti del capitalismo e che cosa sia in determinate fasi storiche a noi vicine. Ma se ne è poi appiattita l’analisi e la comprensione proprio su un ristretto periodo storico (non più di 250 anni), senza capire che il capitalismo esisteva anche tremila anni fa, qualunque sia il modo di chiamarlo. Certo, la percentuale di economia capitalizzata era inferiore al quasi cento per cento di oggi e le forme e i modi del suo funzionamento erano diversi, ma alla base che cosa c’era se non il risparmio, l’accumulazione, l’investimento, la crescita dei mezzi di produzione come “capitale morto” e la differenziazione sociale come distribuzione di reddito sotto forma di profitto, di salario, di rendita? Le basi del capitalismo sono antichissime e proprie, oserei dire, di quella avidità umana che parrebbe intrinseca alla natura umana. Quindi, l’unico sistema anticapitalistico davvero sarebbe un sistema privo di questa avidità, che vuol dire desiderio di maggiore benessere, di più cose personali, di maggiori comodità in casa e fuori, di macchine e motori e apparecchi elettrici di ogni tipo, di viaggi e divertimenti, di sfida continua alle frontiere in ogni campo, comprese le frontiere spaziali e le progettate conquiste economiche dei satelliti e pianeti.
    Tutti, da qualche tempo, e in particolare in questo ultimo mese di Coronavirus, si sono pronunciati contro il degrado ambientale e in questo degrado hanno visto anche una causa, diretta o indiretta, delle epidemie. Ma nessuno ha collegato il degrado (io lo faccio da anni, ma la mia pagina FB non ha un grande eco) con la sovrappopolazione, e con la necessità di diminuire drasticamente la popolazione mondiale se si vogliono ristabilire una serie di equilibri ormai rotti.
    Discorso vecchio, che a suo modo parte da Malthus, più calunniato che studiato. Anche da Marx. Più criticato per i suoi errori del tempo che per la sostanza radicale delle sue tesi. Non cito Malthus ma Aldous Huxley che in una conferenza del 9 marzo 1959 considerava folle la crescita della popolazione umana. E allora la popolazione del pianeta Terra era ancora meno della metà di quella di oggi. Huxley passava in rassegna tutti i danni prodotti dalla veloce crescita della popolazione e dalla difficoltà di porvi rimedio. Fra l’altro affermava: «Dal punto di vista tecnico e del tempo a disposizione, siamo veramente in una situazione critica. Ma occorre considerare anche il punto di vista politico. Si dovrà raggiungere un accordo mondiale, o almeno regionale, in merito ad una politica demografica comune, per avere un minimo di controllo sulla situazione. Ma, al momento, non sembra esserci alcuna possibilità di raggiungere un tale accordo. Il problema è che gli uomini politici non pensano affatto in termini biologici» [1].
    Manca una politica demografica e pare che nessuno se ne preoccupi, eppure potrebbe essere la risposta ai quesiti di oggi, molto più che la ricerca di un capitalismo meno mostruoso o di un sistema non capitalistico che non si riesce a vedere.
    L’ipocrisia e l’ideologia regnano sovrane. Papa Francesco fa un’enciclica con tante cose buone in materia di ecologia, ma non accenna alla sovrappopolazione, rimettendosi alla Provvidenza. Molti personaggi illustri e meno illustri della sinistra, anche dell’estrema sinistra, applaudono e vanno qua e là a presentare l’enciclica elogiando il papa, ma non accennano alla sovrappopolazione. Evidentemente anche la sinistra si rimette alla Provvidenza divina.
    Greta Thunberg riempie le piazze e le librerie di libri contro l’attività umana che distrugge il pianeta e tutti l’applaudono. Ma non parlano di sovrappopolazione e non dicono che, secondo tutti gli studi scientifici, l’attività umana incide sul riscaldamento in una misura che va da un minimo dello 0,7 a un massimo del 30 per cento (anche su questo punto gli esperti sono molto in disaccordo). E per il resto? Perché non parlare anche del resto? del riscaldamento come fenomeno naturale indipendente dalle attività dell’uomo?
    Tutti si scagliano contro il presidente del Brasile Bolsonaro per l’abbattimento di parte della foresta amazzonica per fare posto alla crescita di popolazione e alla fame di terre da coltivare, dimenticando che il Brasile ha una densità di popolazione di 23 abitanti per chilometro quadrato, di gran lunga inferiore a quella degli Stati europei i quali, le loro immense foreste naturali, le hanno distrutte a partire dal Settecento, e pertanto dovrebbero, prima di criticare il desiderio dei brasiliani di avere più sviluppo economico, diminuire la propria popolazione e la propria produzione industriale e ripristinare le foreste perdute. E dimenticano anche che il vero e unico motivo serio per condannare la politica di Bolsonaro non è la paura del riscaldamento globale, ma il fatto che i nuovi territori colonizzati appartengono ai popoli nativi dell’Amazzonia, che, come in tutte le tipiche frontiere del colonialismo e dell’imperialismo, continuano ad essere considerati selvaggi scomodi ed ammazzati per fare posto ai bianchi, come avviene in Cile nel confronto dei Mapuche e come è avvenuto, e in parte avviene ancora oggi, negli Usa, in Australia e dappertutto dove l’avidità dell’uomo ha messo i piedi.
    Quindi, ciò che scrive Salzarulo: «questo capitalismo mondiale favorisce le epidemie», è vero e lo hanno detto in tanti, ma non basta. È necessario essere più radicali se si vuole scalfire la superfice.
    [1] Aldous Huxley, «La condizione umana», Pavia, Casa editrice Liber Internazionale, 1995, pp. 60-61.

  3. DA POLISCRITTURE SU FB

    Riporto anche le veloci obiezioni arrivate all’articolo di Donato dallo storico Brunello Mantelli:

    Brunello Mantelli
    L’eterno bisogno di dar la colpa a qualcuno di individuabile. Il “capitalismo mostruoso” nuovo Satana nell’età della desacralizzazione.

    Ennio Abate
    Non mi pare. L’aggettivo ‘mostruoso’ va letto nell’insieme della frase: “E se osassimo pensare che il capitalismo proprio non va perché quello meno mostruoso è, comunque, mosso dalle stesse leggi di sistema?… E se osassimo pensare che è necessario un altro sistema economico e sociale che tenga conto degli insegnamenti delle scienze della natura (ecologia, biologia, genetica, ecc.) oltre che di quelle sociali?”.
    Riprende un modo di dire più popolare (una volta, a sinistra) e in fondo lo corregge: “è, comunque, mosso dalle stesse leggi di sistema”.

    Brunello Mantelli
    E se mio nonno avesse avuto le ruote????

    Ennio Abate
    Cioè il capitalismo ( il nonno, che nonno era e senza ruote?) è insuperabile?

    Brunello Mantelli
    Per nulla. Ma verrà superato “da dentro”, non “da fuori”. E senza nostalgie tardo-rousseauiane per presunte “valli verdi di una volta”.

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