La Signora

Trionfo della Morte – Palazzo Abatellis, Palermo

di Rita Simonitto

Era da un po’ di tempo che la Signora lavorava poco. Ovvero, lavorava sì, ma non di gusto. Per quanto la sua falce avesse ancora la lama ben lucida si sentiva Lei arrugginita. E soprattutto scoraggiata dal fatto che suo cugino, il Fato, si intromettesse nel suo lavoro costringendola a fare gli straordinari, operando in modo meccanico, senza doverci pensare sopra e soprattutto senza poter combattere. Certamente, come accade a tutti i dipendenti, il committente (che le era sconosciuto e a cui quindi non poteva porgere le sue rimostranze) aveva disposto così, proprio come aveva scritto il Divino Poeta “Vuolsi così colà dove si vuole ciò che si puote e più non dimandare”: quello sfrontato che si era permesso di fare una crociera nei suoi regni parlandone (e sparlandone) a suo piacimento.

Quel tipaccio non le era mai piaciuto, perché voleva sottrarsi al suo dominio e le escogitava tutte per bypassare la bastarda cogenza che la vita terrena impone a tutti. Voleva l’immortalità, lui. E ce l’aveva fatta facendola rimanere con un palmo di naso. Però, nello stesso tempo, si era anche divertita nel tendergli le sue trappole, stuzzicata nel saggiare di quanto potere avesse ancora nelle sue mani che, anche se ossute, sapevano lavorare di fino.

Adesso, invece, tutto un piattume. Per quanto cercasse di ingaggiare agenti provocatori per procurarsi un lavoro decente, che la stimolasse nel confronto con antagonisti degni del suo livello, gli esiti erano quelli di sempre. Ora nessuno lottava più se non trincerandosi dietro parole vane, inutili proclami di ‘vittoria’ ben sapendo che l’ultima parola sarebbe toccata a lei.

Di fronte a questa banale irresponsabilità che, certo, le dava comunque lavoro e faceva anche gli straordinari, davvero non c’era più gusto. Che non le piacesse il lavoro facile lo sapeva fin dalla notte dei tempi quando, per averla vinta, doveva lottare fino all’ultimo sangue e non solo in senso metaforico si intende. L’ultimo sangue dell’antagonista, ovviamente.

Anche se di lei avevano detto peste e corna, come se fosse Lei ad appiattire tutto, ciò non rispondeva affatto al vero. Lei ci teneva, forse per amor proprio, a quello che ognuno dovrebbe avere quando vuole svolgere bene il suo lavoro, a differenziare: ci teneva a confrontarsi con la differenza di età, di genere, di censo dei suoi ‘competitor’, alcuni dei quali consapevoli e altri invece viziosamente inconsapevoli.

Perché nei momenti di non lavoro forzato, la Signora non se ne stava in panciolle, anche se il suo committente sconosciuto un reddito glielo garantiva comunque.

Incredibile a dirsi, la Signora pensava, non era ‘cieca’ come appunto suo cugino, il Fato, che viveva di rendita e senza mai esporsi personalmente, anzi. Con di più le seccava moltissimo che a lui venissero tributati degli onori che lui nemmeno minimamente si era guadagnato.

Per dirla in breve, la Signora, non solo era scoraggiata ma anche arrabbiata perché piano piano stava perdendo quell’alone misto di mistero, turbamento, conflitto che la faceva sentire importante. Sentiva che l’avrebbero relegata ad una pura espressione accidentale. Non poteva permettere che finisse così. Che banalità!

Così, un bel giorno un suo informatore, anche lui stanco di riferirle sempre della solita ecatombe per guerre, incidenti che mietevano povere vittime inconsapevoli e costringendola quindi ad un superlavoro di manovalanza senza soddisfazione alcuna, le lanciò una idea: per riaffermare se stessa, la sua storia e l’importanza che lei aveva avuto e aveva nello stimolare l’immaginario dei suoi oppositori in modo tale che essi, a loro volta rendessero aguzzo il suo stesso ingegno (come in quella famosa partita a scacchi che fece con un Cavaliere degno di tale nome), avrebbe dovuto trovare delle persone motivate a combattere in quanto, dotate di storia e di memoria, non avrebbero, esse stesse, accettato di ridurre tutto quanto a strame nella nebbia della indifferenziazione. L’avrebbero sfidata e lei avrebbe risposto alla sfida, e anche se sapeva che, alla fine, avrebbe vinto sempre lei, almeno si sarebbero sparsi dei semi per successive battaglie.

L’idea le sembrò buona solo che non poteva muoversi senza il beneplacito del suo committente. Ma se stava ad aspettare lui (oltretutto trovarlo!) o se, una volta prospettatogli ciò che la stava angustiando e la soluzione che aveva in mente di portare avanti, avrebbe rischiato di sentirsi dire che le sue erano solo paturnie o, peggio che peggio, che chi comandava era lui. Punto e basta.

Così decise di muoversi in autonomia. Quello voleva e quello avrebbe ottenuto. Voleva rimettersi gloriosamente a cavallo, rivedersi nel suo Trionfo ma non quello rappresentato dal pittore olandese Pieter Bruegel, bensì in quell’affresco di autore anonimo presente a Palermo a Palazzo Abatellis. A dirla proprio tutta, in ognuna delle due rappresentazioni si figurava come un suo vincere facile che era quello che lei non voleva. Voleva invece battagliare. Ma non trovandosi davanti ad una massa inerme bensì davanti a qualcuno che le tenesse testa. Perché solo così avrebbe ripreso il rispetto che il suo ruolo comportava.

Si mosse, si consultò, brigò ma purtroppo nessuno riusciva a comprendere il dramma che la tormentava: oltretutto, per definizione (voce sparsa da chissà chi) lei, di drammi, non ne doveva avere. E poi la sua domanda sembrava ‘astorica’, in un mondo (come lo chiamavano?) globalizzato, per cui lei stessa si sarebbe dovuta globalizzare. Annullare ogni specifico.

Ma un giorno si presentò al suo cospetto un ‘vettore’ appartenente alla famiglia dei microrganismi: era un virus, anche lui in cerca di occupare una scena per non confondersi nella indifferenziazione. Certo, le sue motivazioni, pur simili, differivano da quelle della Signora. Lui voleva solo espandersi per potersi nutrire, crescere e moltiplicarsi, lei voleva riaffermare la sua importanza, essere presa sul serio, perché se non sei preso sul serio, non esisti. Lui era ambizioso e per ciò non guardava in faccia nessuno. Lei, a differenza delle dicerie, voleva invece guardare in faccia i competitor, era il suo stile e, pur sapendo che avrebbe vinto, voleva giocare la sua partita.

Era una occasione quella che le si presentava, certo poco sicura in quanto affidarsi agli ambiziosi si sa da dove si parte ma non si sa dove si arriva.

Ma la Signora aveva fretta di concludere, stilò il contratto dopo essersi fatta spiegare come il virus si sarebbe mosso, assicurandole lui che le avrebbe fornito materiale con cui Lei avrebbe potuto cimentarsi secondo i suoi desideri. Si trattava soprattutto di soggetti che avendo avuto una storia anche difficile alle spalle, avevano imparato a valutare il peso che Lei aveva nei processi evolutivi, e a sfidarla cimentandosi con Lei nei momenti di difficile scelta.

Mancò un particolare, anzi, due, nella piattaforma che i due contraenti sottoscrissero.

Uno di natura psicologica e l’altro di natura operativa. Su quello di natura psicologica è presto detto: si fa molta fatica a rinunciare al proprio benessere se non a fronte di comprovate necessità. E il secondo, strettamente collegato con il primo, ha a che vedere con la fiducia che viene data a colui che stabilisce che si tratta veramente di situazioni di necessità e di emergenza e pertanto viene sollecitata la responsabilità e la capacità di reagire. Ma in quel malaugurato contesto non si trovò nessuno atto a ricoprire quel posto fondamentale.

A ciò si aggiunse un terzo particolare. Ossia che il virus omise un passaggio fondamentale e cioè che quei soggetti che avrebbero potuto rappresentare dei competitor agguerriti per la Signora, non solo si erano un po’ lasciati andare come i valorosi guerrieri cartaginesi di Annibale negli ozi di Capua. Ma che l’azione del virus si sarebbe orientata su quella funzione fondamentale che è il respiro: e se non hai ossigeno ogni altra funzione vitale viene ad essere compromessa, ivi quella che contempla la battaglia. In modo fazioso si omise di segnalare che quelle figure storiche, fattorialmente, erano le più esposte a questo vigliacco assalto portato avanti dal virus.

Ma tanto a lui, che cosa gliene importava!

In questo mondo in cui imperversa il “embrassons tous” senza alcuna distanza perché sentita come discriminatoria, il suo pasto era comunque assicurato.

E la Signora, scornata, riprese il suo lavoro massacrante a ritmo pieno.


Conegliano, 22.03.2020

1 pensiero su “La Signora

  1. …i personaggi chiave di questo racconto di Rita sono da una parte quelli assoluti e immortali, come “la Signora”, “il Committente”, “il Fato” e in qualche modo anche l’ambizioso “Virus”, che giocano una partita tra di loro o signorilmente non la giocano, come il Fato, forse perchè molto sicuro di sè…dall’altra “I competitor”, vale a dire gli esseri umani oggetto del contendere…La Signora ne esce “scornata”, diventando la valletta del Virus, per il quale svolge il massacrante lavoro di manovalanza…Dal loro conto, poveri competitor se la potevano cavare meglio, lottando con piu’ efficacia, ma se togli a loro il respiro, il gioco (da vigliacchi) è fatto! Mia riflessione: se i competitor fossero uniti e solidali, investendo piu’ risorse nella ricerca scientifica, nell’assistenza sanitaria, qualche punto lo avrebbero potuto segnatrlo a loro favore…ma anche li’, nel loro mondo, ci sono le Signore, i Committenti, il Fato…in formato minore si intende…Allora gli dei si sono antromorfizzati o viceversa? Leggevo che anche la realizzazione di un vaccino anti-virus potrebbe, da parte della potenza che per primo se ne impossessi, diventare un’arma discriminatoria di potere…Grazie Rita

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