Nani, Baroni e Ballerine

di Paolo Di Marco

‘beato il paese che non ha bisogno di eroi’..

Non è uno spettacolo edificante, con personaggi alla ribalta investiti ufficialmente o autoinvestiti di responsabilità pubbliche che dicono tutto e il contrario di tutto, si affacciano alla ribalta per smentire quello che ha appena detto l’altro, e con quello anche le decisioni ufficiali appena prese…

Forse la Scienza ha preso il posto della religione, come dice qualche commentatore, ma la fa anche rimpiangere: in tempi di crisi il dogma dell’infallibilità del papa almeno dava sicurezza; ma il problema in realtà è: di quale scienza stiamo parlando?

Certo, Medicina, Biologia, Epidemiologia sono parte della Scienza, ma obbediscono a una legge ferrea: tanto più ci si allontana dalle scienze ‘dure’ come la Fisica, tanto più aumentano le incertezze, le complicazioni, i dubbi; e questi sono parte integrante della scienza, ma per esserlo a pieno titolo richiedono molta integrità, molta intelligenza, molta cultura e molto sudore, richiedono decenni di abitudine a uno stile di ricerca impegnativo (oltre che ovviamente i fondi per poterlo praticare).

In Italia di tutto questo vi sono poche tracce, qualche isola felice che si è alternata nel tempo, qualche sprazzo individuale, ma una struttura di fondo desolante, dominata nel pubblico da baroni che nulla hanno da invidiare ai primordiali Robber Barons del Medioevo1, seduti su cattedre quasi mai meritate ma ereditate o acquistate con scambi di favori, circondati da corti di servi della gleba precari e affamati, che riusciranno ad ottenere un loro orticello solo quando non avranno più la forza per coltivarlo; il tutto in edifici fatiscenti e in seminterrati male attrezzati; e nel privato da coorti pseudoindustriali di inscatolatori di prodotti altrui, che per ottenere sconti fiscali spacciano per ricerca i pochi chimici e biologi addetti alla manutenzione e al controllo degli impianti2.

C’erano stati in Italia nel dopoguerra alcuni momenti felici, come i laboratori di ricerca della Farmitalia che in quarant’anni di continuità avevano creato quadri e buone abitudini3 fino alla marginalizzazione e poi vendita degli anni ‘804; e altri centri che qua e là avevano prodotto risultati interessanti: ma una formazione come quella che accennavamo all’inizio è il frutto di uno sforzo organizzativo e finanziario che può vedere insieme pubblico e privato solo in un’ottica di lungo periodo; cosa che in Italia è sempre mancata.5 Accenniamo solo a una delle ultime iniziative, una trovata del genio di Rignano, che da capo del governo decise di finanziare precipuamente ‘centri di eccellenza’ e così destinò una cifra pari all’intero bilancio del CNR al famoso (?) Istituto Italiano di Tecnologia di Genova: 800 milioni, se non ricordo male; solo che il famoso IIT non riuscì neppure a spenderli, dovendo restituirne più di 600 a furor di popolo.6

Ed è questo quadro e questa storia che emergono nei giorni del coronavirus. Con scarse eccezioni (e mi sembra che il ‘nano’ 7Conte sia quello che ci fa la figura migliore) il quadro pubblico è desolante, non solo per le approssimazioni o sciocchezze che vengono dette pubblicamente, per le contraddizioni disorientanti, per le misure imprecise, ma anche per l’incapacità cronica di molti personaggi di stare zitti al momento giusto (in questo spicca un’eccezione che però forse è la sola non virtuosa, il ministro/a della salute).

Per orientarci in questo tragico teatro bisogna ricorrere al classico fai da te, cercando fonti e controllandone l’autorevolezza: proviamo a farlo usando come canovaccio un post recente di un medico:

  • ci sono due studi (che io sappia) sul rapporto tra casi conclamati e casi asintomatici: in uno si parla di un rapporto 1 a 108, nell’altro 1 a 100; il che non solo sposta indietro l’inizio dell’epidemia e aumenta la sua dimensione, ma cambia completamente la prospettiva delle misure di prevenzione e cura; il post citato sceglie il secondo rapporto ipotizzando per l’Italia una quantità di infettati ad oggi dell’ordine dei 10 milioni
  • per le epidemie di questo tipo c’è un modello matematico standard (SIR/SEIR) e un gruppo di ricercatori (compreso un italiano) ne ha studiato l’applicazione per questo coronavirus usando i dati già disponibili9: il risultato principale è che c’è una biforcazione tra una pandemia completamente sviluppata ed una invece controllata, e la differenza tra una strada e l’altra è legata al numero di tamponi effettuati
  • alcuni studi, tra cui uno americano ed uno italiano10 dimostrano (in via preliminare ancora) che il virus si trasmette nell’aria (non solo con gli starnuti che possono mandarlo fino a 8 metri), usando anche come vettore le polveri sottili dell’inquinamento (vedi quello padano) e le classiche polveri degli ambienti (è stato trovato nei filtri dei bocchettoni di areazione degli ospedali11: v. anche studio USA); il che significa che grazie al ricircolo dell’aria ogni ospedale diventa un centro di incubazione; quindi sono essenziali le mascherine, in primis per i lavoratori dell’ospedale, che dovrebbero anche portare tute ermetiche, e poi per tutti coloro che escono all’aperto. Questo uso delle mascherine fra l’altro sarebbe prescritto anche dal principio di precauzione.
  • i due casi positivi più analizzati12 sono Corea del Sud e Germania: la prima con una vasta campagna di controllo basata sui tamponi ha contenuto l’espansione bloccando (per ora) la pandemia; la seconda ha utilizzato tamponi e centri di cura in modo mirato, puntando a intervenire sui positivi entro la prima settimana, quando i polmoni sono ancora sani e il corpo non ha iniziato a degenerare; in questo modo ha ridotto al minimo la percentuale di morti (1,2% contro il 12% italiano); aiutata in questo anche da un’età media dei positivi pari a 49 anni (i primi grossi focolai erano sciatori provenienti dal Tirolo) contro i 62 dell’Italia
  • quello che emerge sia dall’ampiezza della popolazione asintomatica sia dagli effetti sulle diverse fasce della popolazione è un quadro complesso ma che sembra avere una forma chiara: un contagio a larghissima diffusione e alta velocità, con una mortalità specifica concentrata sulle fasce più deboli, anziani e con patologie pregresse (soprattutto debilitanti per il cuore): quindi simile all’influenza classica ma con ampiezza e ‘profondità’ maggiore.
  • Da un punto di vista formale sembrano avere ragione sia Burioni che accentua la gravità sia la direttrice del Sacco che invece la paragona all’influenza; da un punto di vista sostanziale sarebbe stato meglio se entrambi fossero rimasti zitti, fornendo analisi e consigli alle autorità centrali. Ma, nel silenzio assordante del Ministero della Sanità, le ballerine dell’ISS hanno parlato a iosa, e soprattutto a vanvera. Seguiti a ruota dall’assessore alla Sanità delle Regione lombarda13 e da Governatori vari, nonché dal geniale capo della Protezione civile: l’elenco delle sciocchezze14 (che in alcuni casi sconfinano ampiamente nel criminale dato il carico di vite umane buttate che si portano dietro) va dai tamponi ai solo sintomatici gravi (che l’esempio tedesco dimostra essere un modo di selezionare per l’ospedale i già condannati: provate a contare quanti morti ci è costata questa scelta) alle mascherine solo per i positivi tanto in aria non passa, basta un metro a Borrelli, che di fronte all’ordinanza lombarda dice ‘io tanto non la porto’15. Non parliamo della totale disorganizzazione degli approvvigionamenti: con mezzo milione di tamponi che vanno negli USA (dove il buffone in capo si vanta di fornirci qualche spicciolo di aiuto!), le mascherine che mancano e che vanno al mercato nero ma di 50 milioni di mascherine l’ordine viene bloccato dai burocrati, nonché il piano nazionale contro le pandemie, messo a punto nel 2016 e che nessuno ha letto; e via cantando. A questi personaggi da avanspettacolo senza copione dovremmo chiedere: ma dove trovi le informazioni, chi ti consiglia, sulla base di quali conoscenze valuti? E la risposta è già scritta: nei medici che non leggono articoli scientifici (però frequentano le crociere pagate dalle case farmaceutiche), nell’ordine dei biologi che elegge presidente un antivax, in una sanità pubblica ridotta al lumicino, dove già nei periodi ‘normali’ i medici in corsia hanno scordato l’ultimo anno in cui han preso le ferie16, in una cultura popolare dove medico e omeopata (magari ‘quantistico’) sono sullo stesso piano: e poi quando arriva la peste tutti in processione al dio scienza…ed eccoLI apparire in tutù.

1 come i Tasso che taglieggiavano i viandanti sulle strade della Valtellina…salvo poi coi proventi acquistare il monopolio delle Poste Austriache e con questo ricchezza e fama e un nuovo altisonante nome, Thurn und Taxis…e con loro centinaia di altri banditi anche moderni come i pupi palazzinari che coi soldi della mafia comprano reti televisive e fondano partiti

2 ricordo una pubblicità al cinema una ventina di anni fa che diceva pressapoco “ il 90% della ricerca medica in Italia è fatta dall’industria farmaceutica’: dopo una prima reazione di stizza di fronte alla frottola il ricorso alla matematica mi aveva calmato: infatti il 90% di 0 è ancora 0…quindi l’affermazione non era confutabile

3 oltre a bei risultati di ricerca, come la prima classe di antibiotici antitumorali, le antracicline

4 una analisi approfondita della ricerca farmaceutica in Italia in quegli anni si trova a mia firma nella Rivista di Lotta Continua

5 Teniamo conto che il costo di un nuovo farmaco è sull’ordine del miliardo

6 ci fu una forte protesta della benemerita dottoressa e senatrice Cattaneo, seguita da una lettera a Nature di diversi scienziati; il presidente dell’IIT ebbe il coraggio di replicare, ma la polemica fu chiusa da una lettera a Nature di uno che aveva fatto i compiti (avevo letto il bilancio dell’Istituto) e alla fine il maltolto fu restituito; ma la ricerca ahimè rimase al punto di prima

7 chiamato così benevolmente da Travaglio credo, che dice che non ha la statura di un De Gasperi però è persona seria

8 Substantial undocumented infection facilitates the rapid dissemination of novel coronavirus (SARS-CoV2) Ruiyun Li1,*, Sen Pei2,*,†, Bin Chen3,*, Yimeng Song4, Tao Zhang5, Wan Yang6, Jeffrey Shaman2,† Science 16 Mar 2020:

9 Bi-stability of SUDR+K model of epidemics and test kits applied to COVID-19 Vinko Zlatic,1 Irena Barjasic,2 Andrea Kadovic,3 Hrvoje Stefancic,4 and Andrea Gabrielli5

10 E’ stato appena ipotizzato, a seguito di varie analisi, da un gruppo di ricercatori della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) dell’Università di Bologna e di Bari che lo smog veicola il virus, e la velocità di diffusione del contagio è correlata alla concentrazione di Pm10 e Pm2.5. Nel 2016 è stata osservata una relazione simile tra la diffusione del virus respiratorio sinciziale umano nei bambini e le concentrazioni di particolato.

11 Il commento del Dott. Andrea Casa, Presidente AIISA, sulla correlazione tra inquinamento indoor e la possibile propagazione del virus causa del COVID-19 citato in Expoclima 27 Marzo 2020

12 (v. anche articolo del 4/4 del NYT sulla Germania)

13 Gallera, che grazie a queste esibizioni spericolate si è subito candidato alla Presidenza della Regione

14 ma se fosse una guerra dovremmo seguire anche le regole di guerra e predisporre gli appropriati plotoni di esecuzione, o meglio ancora seguire una pratica educativa in voga ai tempi dell’impero ottomano, citata anche da Ivo Andric

15 cioè ammutinamento e incitamento alla disobbedienza da parte del comandante in capo! v. nota precedente

16 la sola Rosi Bindi ha fatto un tardivo mea culpa per i tagli alla Sanità pubblica

11 pensieri su “Nani, Baroni e Ballerine

  1. AL VOLO/ ANCORA AGAMBEN

    Sottolineato: “mi sembra che è su questo tema che dovremmo riflettere”

    occorre chiedersi che cosa potrebbe essere un ordinamento politico fondato su di esso. Ciò è tanto più urgente, in quanto non si tratta soltanto di un’ipotesi puramente teorica, se è vero, come da più parti si comincia a dire, che l’attuale emergenza sanitaria può essere considerata come il laboratorio in cui si preparano i nuovi assetti politici e sociali che attendono l’umanità.
    Benché ci siano, come ogni volta accade, gli stolti che suggeriscono che una tale situazione si può senz’altro considerare positiva e che le nuove tecnologie digitali permettono da tempo di comunicare felicemente a distanza, io non credo che una comunità fondata sul “distanziamento sociale” sia umanamente e politicamente vivibile. In ogni caso, quale che sia la prospettiva, mi sembra che è su questo tema che dovremmo riflettere.

    (https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-distanziamento-sociale)

  2. Condivido quasi totalmente l’articolo e mi limito a osservazioni in margine:
    1) Paolo Di Marco scrive: «Forse la Scienza ha preso il posto della religione, come dice qualche commentatore, ma la fa anche rimpiangere». Io toglierei il forse, perché la scienza, come dicono diversi studi di antropologia culturale, di sociologia e sul pensiero umano in rapporto all’efficacia evolutiva, è l’erede diretto della religione, in senso stretto e non metaforico. David Hume polemizzò contro lo spirito religioso dicendo che nasce dal “timore” e dalla “speranza” e ha un effetto consolatorio. Ma “timore” e “speranza” di che cosa? Di due cose e in due fronti diversi: uno è verso l’aldiquà, cioè verso la nostra vita quotidiana, l’altro è verso l’aldilà, cioè verso la prospettiva escatologica che la teologia cattolica riassume negli “ultimissimi”: domande sulla morte, sulla sopravvivenza dell’anima e sulla vita eterna, sul giudizio universale. La religione primitiva è molto più preoccupata dell’aldiquà e ha sviluppato le pratiche di magia e di “medicina” tese a modificare o comunque influenzare e guidare i processi della natura per ottenere risultati concreti: guarigioni, buoni raccolti, eventi favorevoli di ogni tipo. Questo aspetto della religione non è ancora morto, ma col tempo è andato via via diminuendo man mano che le stesse pratiche sono diventate territorio della scienza. Ora, in sostanza, sono rimaste solo forme residuali, come la preghiera e la speranza che un Dio intervenga. Quando si sta male ci si rivolge agli operatori (ai “sacerdoti”) scientifici, non a quelli religiosi. E caso mai qualcuno si rivolge a quelli religiosi solo quando perde la speranza in quelli scientifici.
    Di conseguenza la religione, in quanto alla sua efficacia nelle cose dell’aldiquà, ha perso ogni potere, come possiamo verificare anche in queste settimane di emergenza, dove restano aperti edicole, sali e tabacchi, supermercati e qualcos’altro, ma le chiese sono chiuse. Però il ricorso alla religione per le cose dell’aldiquà non è finito, ma si è rifugiato in una più ambigua, generica e sfuggente pratica del sacro, che riemerge in tanti modi e spesso fuori dalle religioni istituzionalizzate; e riemerge anche in pratiche mediche e sanitarie “new age” o simili, in cui si mescola con scuole di medicina alternativa, di yoga, di salute e benessere di vario tipo, e persino di dietologia e di psicoterapia, di ambientalismo e di animalismo vegetariano e vegano.
    Non è un caso che le posizioni ideologiche e pseudoreligiose di queste correnti culturali abbiano pubblicato centinaia di articoli e post in blog e social di sottovalutazione del pericolo del Covid-19 e denuncia di un pericolo reale che starebbe nell’anima del nostro sistema di vita. Detto genericamente, non è nemmeno sbagliato, ma sono poi sbagliatissime le implicazione che se ne fanno conseguire nella pratica.
    2) Paolo Di Marco giustamente scrive: «alcuni studi, tra cui uno americano ed uno italiano dimostrano (in via preliminare ancora) che il virus si trasmette nell’aria (non solo con gli starnuti che possono mandarlo fino a 8 metri), usando anche come vettore le polveri sottili dell’inquinamento (vedi quello padano) e le classiche polveri degli ambienti (è stato trovato nei filtri dei bocchettoni di areazione degli ospedali: v. anche studio USA); il che significa che grazie al ricircolo dell’aria ogni ospedale diventa un centro di incubazione». Proprio sulla “trasmissione aerea del virus” ho dovuto polemizzare aspramente, in una pagina Facebook di un gruppo, contro gli imbecilli che, appoggiandosi anche a un documento dell’OMS, sostengono che il virus non si trasmette per via aerea, ma solo tramite le “goccioline” più pesanti (superiori ai 5 micron) degli starnuti e colpi di tosse. Per cui ne traggono la conclusione che basta restare alla distanza di un metro uno dall’altro e si può fare tutto, compresa la ginnastica di gruppo in palestra, polemizzando contro i divieti. Se l’errore del documento OMS è in qualche modo scusabile perché riferisce di una ricerca parziale e si rivolge agli operatori sanitari mettendo l’accento sul fatto che, comunque, in ambiente chiuso e ambiente ospedaliero la trasmissione aerea viene facilitata e diventa pericolosa anche per le “goccioline” inferiori ai 5 micrometri; non è scusabile quando si generalizza il contenuto come fosse un risultato scientifico già dimostrato e approvato da tutti e lo si usa per abbassare la guardia e il livello di pericolo. Tuttavia resta il fatto che anche l’OMS si è mossa e si muove come un elefante con riflessi rallentati e commette errori che derivano probabilmente dalle incertezze diffuse e dalle esigenze di equilibri diplomatici estranei alla verità scientifica e alle esigenze sanitarie dei popoli.
    3) In alcuni articoli ho letto – ma non so in che misura sia vero perché non me ne intendo in particolare – che il sistema sanitario della Corea del Sud, che in questa occasione sembra avere funzionato abbastanza bene, è molto più privatizzato di quello italiano, per cui il male, o il bene, non starebbe nell’avere più o meno sanità pubblica e più o meno sanità privata, ma piuttosto nell’avere o non avere una buona gestione integrata e coordinata di entrambi i settori, in modo che il pubblico e il privato diano ognuno il meglio nello svolgere una funzione che è comunque sempre di utilità pubblica. In Italia, al contrario, abbiamo invece una cattiva gestione sia del pubblico sia del privato e la mancanza di coordinamento e integrazione. Sarebbe questo il problema più grosso e non il carattere giuridico della proprietà pubblica o privata delle aziende che operano nella sanità. Non per nulla, in Italia, fra le parole che più si ripetono in rapporto all’epidemia attuale, vi è la lamentela verso la burocrazia e l’incertezza normativa che appesantisce e rende tutto più difficile.

    1. @ Aguzzi

      ” «Forse la Scienza ha preso il posto della religione, come dice qualche commentatore, ma la fa anche rimpiangere». Io toglierei il forse, perché la scienza, come dicono diversi studi di antropologia culturale, di sociologia e sul pensiero umano in rapporto all’efficacia evolutiva, è l’erede diretto della religione, in senso stretto e non metaforico.”

      Ma se si toglie quel “forse” si finisce per ridurre tutta la scienza ( e non dunque una sua parte) a religione. Salta la distinzione moderna tra scienza e magia. (Ricordo il saggio di Dal Pra, credo nella Enciclopedia Einaudi… devo controllare). Né l’eredità (che significa continuità, certamente) significa assenza di novità (discontinuità).
      Di Marco non mi pare concordi. E neppure io. Finora ho sempre difeso quella distinzione lucacciana (Cfr. https://moltinpoesia.blogspot.com/2012/04/discussione-ennio-abate-e-cosi-facile.html#more; http://moltinpoesia.blogspot.com/2012/03/qui-ennio-abate-i-m-oltinpoesia.html).
      E’ arrivato il tempo di ricredermi? Non lo credo.

  3. In tema…

    SEGNALAZIONE
    Quaranta dì, quaranta nott
    Silvia Ballestra

    https://www.doppiozero.com/materiali/quaranta-di-quaranta-nott

    Stralcio:

    4 aprile – Dall’inizio di questa storia, c’è la figura del medico star. Un essere nuovo (ma non troppo, in realtà) che ha fatto la sua comparsa negli studi televisivi e che da allora non li ha mai abbandonati. Sono scienziati, medici, professori universitari, che all’improvviso si ritrovano investiti di un immenso potere. Tutti pendiamo dalle loro labbra, tutti aspettiamo indicazioni, speranze, un cenno che ancora non abbiamo colto. Qualcuno di loro, a volte, mi sembra ubriaco. Non saprei se di alcol o di luci della ribalta, possono essere benissimo entrambe le cose. Di qualcuno cerco il curriculum. Mi incuriosiscono. Ci tornerò, così come tornerò sui giornali che stanno perdendo autorevolezza alla velocità della luce. Non tutti, ma i principali sì.

    Di notte, quando qui tutti sono andati a dormire, comincio a cercare in rete notizie su curve, numeri, sull’andamento all’estero. Ci metto più o meno un’ora a fare tutto il giro dei siti, Il sole, il manifesto, Avvenire, Le Monde, il Guardian, le tv. Certo, lo so, non è la cosa più sana da fare di notte. A mezzanotte e venti arrivo a Vita, il giornale del terzo settore. Sulla scia della notizia dell’emendamento paraculo di Salvini che vuole salvare i suoi (dirigenti di ospedali piazzati dalla Lega e responsabili politici della sanità lombarda), leggo della denuncia dell’associazione case di riposo lombarde che racconta che Fontana e Gallera hanno autorizzato con una delibera dell’8 marzo l’invio dei pazienti Covid nelle case di riposo. “Come accendere un cerino in un pagliaio”, dicono. È una notizia di un’enormità spaventosa. Che in Lombardia stesse succedendo qualcosa di abnorme lo sapevamo da giorni, però, ecco, vedere nero su bianco queste ulteriori notizie, fa impressione, tanta. Fa paura.

  4. @ Ennio
    Non cavillare, come spesso ti capita, su cose chiarissime. La scienza è erede di quella parte della religione che si occupava dell’aldiquà. Certo che fra un erede e ciò di cui è erede c’è anche discontinuità. Un figlio non è mai uguale al padre e sono vite diverse in epoche diverse.
    Ma la scienza è erede della religione, e della magia che nasce all’interno della religione, perché ne eredita le finalità pratiche di intervento sulla natura e ne occupa il territorio di azione (mentale, sociale, ideologico, disciplinare nel campo degli studi ecc.).
    Non vi è contrapposizione fra pensiero irrazionale e pensiero razionale, come spesso si ripete, ma piuttosto contrapposizione fra un pensiero che ai suoi tempi era razionale in relazione a un modo di concepire il mondo e la vita e che poi diventa irrazionale quando quel complesso di credenze cambia. La contrapposizione non sta nella diversità di atteggiamenti iniziali, ma nella diversità di efficacia verificata a posteriori. Certo, se oggi uno che ha la polmonite rifiutasse di affidarsi alle cure della medicina moderna per affidarsi alla preghiera o a pratiche magiche, sarebbe “superstizioso” (anche nel senso ciceroniano del termine, creato proprio da Cicerone) e irrazionale, ma non lo sarebbe stato secoli fa, quando non si conosceva nulla della malattia e non si avevano cure “razionali” nel senso moderno.
    Del resto il passaggio da dottrine razionali a dottrine irrazionali è capitato tante volte anche alla scienza, quando certe dottrine si sono rivelate erronee e sono state abbandonate e il proseguimento del loro uso è diventata credenza irrazionale e di superstizione. E quante dottrine e pratiche oggi considerate scientifiche in senso stretto diventeranno avanzi irrazionali del passato fra qualche decennio o qualche secolo?
    Il passaggio dalla magia alla scienza non è avvenuto una volta per tutte, ma avviene continuamente.
    Anche la contrapposizione fra pensiero non critico e pensiero critico è errata, se applicato alla magia. Ci sono molte vie che il pensiero critico può percorrere in relazione alle diverse circostanze storiche e certamente il pensiero magico, coltivato da tanti filosofi, medici, scienziati fino agli inizi dell’Ottocento, è a suo modo una forma di pensiero critico. Da non confondere, ovviamente, la magia studiata seriamente e con finalità pratiche e conoscitive con quella da baraccone dei cartomanti e degli indovini delle fiere paesane. Ricordo che anche Newton e Goethe, fra i tanti, coltivarono il pensiero magico (astrologia, alchimia e altro). Erano forse cervelli acritici, irrazionali, superstiziosi?
    Completamente diverso è invece il rapporto fra poesia e scienza, a cui rimandi col link da te segnalato. Perché la poesia non ha finalità pratiche e operative dirette alla natura delle cose e degli uomini e la sua importanza cognitiva è del tutto diversa e davvero irrazionale, non nel senso che non abbia una sua razionalità ma in quello che non si affida alla razionalità ma all’intuizione, al sentimento e a un sentire e vivere pensieri ed emozioni in forma più diretta e non mediata da un metodo di controllo logico e/o sperimentale.
    Quando la poesia si fa veicolo di dottrine magiche o scientifiche, come di informazioni storiche o sociali o altro, non sono mai questi contenuti a qualificarla e a certificarne il valore, ma il tessuto formale e il sentire poetico che lo anima. Il contenuto esplicito di dottrine e informazioni rimane legato alle circostanze del tempo e sostanzialmente è l’occasione ma non il vero contenuto della poesia.
    Pertanto, mentre vi è analogia fra i procedimenti cognitivi della magia e della scienza, non ve n’è altrettanta fra quelli della poesia e della scienza. Sempre, però, tenendo presente che parliamo di menti umane le quali hanno comunque modalità di funzionamento comuni a tutti i processi cognitivi e pertanto in una certa misura questi si mescolano ed operano in sinergia. Ne consegue che la “mentalità poetica” in qualche misura non è estranea alla scienza né la “mentalità scientifica” alla poesia. Ma questa “qualche misura” non basta a fare della poesia una specie di scienza né a fare della scienza una specie di poesia. Le distinzioni restano evidenti.

  5. @ Luciano [Aguzzi]

    Non capisco perché cavillerei con le mie obiezioni tese ad approfondire un problema tutto sommato aperto e irrisolto.
    Io ho parlato di «distinzione moderna tra scienza e magia» e non di contrapposizione. (E neppure ho tirato in balle la «contrapposizione fra pensiero irrazionale e pensiero razionale» o la «contrapposizione fra pensiero non critico e pensiero critico» ).
    Quindi gran parte delle tue precisazioni le condivido. A patto che non siano indirizzate a me ma a quanti effettivamente – o per dogmatismo o per unilateralità – fanno quelle contrapposizioni.

    Comunque, sono andato a rileggermi proprio il saggio di Dal Pra che ricordavo vagamente; e, ricollegandomi ad una polemica con lo storico Brunelli Mantelli avuta su FB, ho scritto un post che qualche riferimento può avere con questo di Paolo Di Marco e le tue riflessioni. Perciò lo copio:

    COINCIDENZE

    A proposito della permanenza di “superstizioni” o mentalità” arcaiche” liquidate con troppo sprezzo e sufficienza o dai progressisti acritici o dagli spregiatori delle “masse” o del “popolo bue”, mi è capitato oggi di rileggere (per una risposta che devo ad un amico sul rapporto scienza/religione) la voce ‘astrologia’ di Mario Dal Pra nella vecchia Enciclopedia Einaudi (1977).
    Riporto questo stralcio a riprova di quanto i vecchi maestri sapevano guardare più lontano di quelli d’oggi quando si trattava di capire le “superstizioni” o un “supposto istinto della credulità che sembra contrastare da sempre il trionfo della conoscenza e della ragione nella storia” in “quegli strati che sono stati toccati solo indirettamente dalla rivoluzione borghese e dagli sviluppi del capitalismLe cosiddette “supeo e che si collocano in una zona intermedia tra le vecchie strutture arcaiche e la nuova organizzazione del lavoro e della produzione”. (E
    con riferimenti possibili anche alla discussione che c’è stata su questo post:
    https://www.facebook.com/groups/1632439070340925/permalink/2695864540665034/):

    [Le cosiddette superstizioni (l’astrologia che è il tema trattato da Dal Pra) ma anche – aggiungo io – i resti di vecchie concezioni politiche sconfitte (anarchiche, socialiste, comuniste), oggi trattate come “superstizioni” da chi la sa lunga forniscono] “all’individuo disperso ed atomizzato un suo minimo di consistenza, un abbozzo di significato. Non è con le invettive illuministiche che si possono modificare queste situazioni storiche concrete; esse sono caratterizzate da un senso molto limitato dell’iniziativa e della libertà umana,sospesa su una incertezza fondamentale di fronte al futuro e più orientata a ricondursi ad una dimensione immediatamente naturale che ad appellarsi ad un coerente piano di svolgimento dell’uomo. […]. Molto coerentemente e conservativamente gli uomini e i gruppi si tengono stretti ai resti del passato
    finché non trovano forme di organizzazione della loro vita mentale e attiva più adeguate e universali.

    ( Mario Dal Pra, Astrologia, Enc. Einaudi, Vol. 1,pagg. 1070-1071)

    P.s.
    Avevo linkato i due miei vecchi articoli di “Moltinposia” non per aprire una discussione sul tema del rapporto poesia e scienza ma per richiamare la mia adesione alla «distinzione lucacciana» tra religione e scienza, che difendevo anche nel 2012:

    1.
    Concedere insomma alla poesia, in quanto «libera dal metodo scientifico », un «acutissimo senso indagatore e rivelatore di un più profondo livello di vita/esistenza del cosmo»  o comunque una superiorità[2] mi pare  solo un pregiudizio “da poeti”, un atto di fede ideologico. Sono posizioni acritiche del tutto immemori del valore che il sapere scientifico si è conquistato almeno fino  al «compromesso» con la religione di cui parlava Lukács (e che recentemente ho avuto modo di ricordare qui in un dialoghetto su questo blog). E, anche se lei è così onesto da distinguere religione e scienza,[3] da difendere il metodo scientifico[4] e da prendere le distanze dai minestroni oggi di moda,[5] le ritrovo anche nel suo discorso

    (https://moltinpoesia.blogspot.com/2012/04/discussione-ennio-abate-e-cosi-facile.html#more )

    2.
    Poeta invisibile –   Ma il tuo Lukács non sapeva che il bisogno religioso è spontaneo, che la religione non è riducibile a «oppio dei popoli», che poeti e poetesse, che tu presenti come pretini e suorine della poesia, sono una maggioranza e producono buona, spesso ottima poesia?

    Samizdat – Altrochè! Lui era il primo a dire che gli uomini (e quindi anche i poeti) si formano  una «concezione del mondo» religiosa spontaneamente, nella stessa vita quotidiana, e non solo per imbeccate dall’alto. Homo religiosus e homo cotidianus si somigliano, sono parenti stretti. Entrambi – dice – vorrebbero escludere il caso  dalla vita reale. Quando un lutto, un disastro ci colpisce, è raro che non ci facciamo domande del tipo «Perché mi è dovuto capitare questo?», «Perché devo soffrire così?», «Perché egli è dovuto morire così presto?». L’uomo religioso (alias l’uomo  immerso nella vita quotidiana per Lukács), a differenza dell’uomo scientifico, non vuole accettare «un mondo che  non è né sensato né insensato ma indifferente rispetto al senso».

    Poeta invisibile – E che c’è di male in questo sforzo della religione di dare un senso alla vita? Vorresti  che gli uomini restassero dei bruti in preda a terrore e angoscia o che i poeti balbettassero come bambini impauriti?

    Samizdat – E infatti Lukács riconosce i meriti della religione. Per lui il passaggio dalla magia alla religione ha permesso agli uomini di provare i primi sentimenti morali ed ha ispirato tensioni eroiche e atti di abnegazione. Ricorda il Foscolo de I sepolcri: Dal dí che nozze e tribunali ed are/diero alle umane belve esser pietose/di se stesse e d’altrui. Ma tra magia e religione s’è inserito un terzo incomodo: la scienza. Ed essa ci ha svelato che la fede in una visione del mondo rivelata dalla divinità, pur placando per i credenti l’angoscia di fronte alla morte o  dando un senso persino al dolore, non ha una base nella realtà.

    (http://moltinpoesia.blogspot.com/2012/03/qui-ennio-abate-i-m-oltinpoesia.html )

  6. @ Ennio
    Detto bonariamente, cavilli, perché spingi avanti le dicotomie dell’Albero di Porfirio anche quando non c’è disaccordo reale ma solo, al massimo, una differente e casuale formulazione, costringendo l’interlocutore a ripetersi cambiando solo la forma della sua esposizione. Ma che alla fine, su alcune cose, chiaritisi anche oltre il necessario, si sia d’accordo, va benissimo.

    1. @ Luciano

      Di bonarietà in queste tue repliche non ce ne vedo tanta ma imparo sempre volentieri da chi la sa più lunga di me e mi costringe a studiare!

  7. A un certo punto dell’articolo accenno “ma di che scienza parliamo…” e forse conviene approfondire; ché certo oggi i medici appaiono svolgere un ruolo salvifico e per ciò proprio trascendentale e ‘religioso’; ma insieme appartengono anche ad una zona ‘grigia’ e ‘tecnica’ della scienza, di una scienza la cui enorme portata eversiva culturale é da quasi nessuno intravista (e penso alla gravità quantistica e alla scomparsa di spazio e tempo ad esempio, ma altri campi sono altrettanto eversivi) e in nessun modo fa parte delle immagini correnti del mondo.
    E giusto è che la poesia intervenga nel dibattito, in quanto portatrice anche di una lingua diversa, non succube delle narrazioni ideologicamente filtrate che hanno ridotto a mostri i mondi che oggi vengono percepiti.

  8. Penso che sia giusto ricopiare dalla pagina FB di Luciano Aguzzi questo pezzo del suo “Diario dei giorni del Coronavirus ” che ha a che fare con la nostra discussione. Aggiungo che sarebbe anche importante e opportuna una rilettura di “Non c’è più religione” di Michele Ranchettiche intervistai nel gennaio 2005 (http://www.backupoli.altervista.org/article.php3?id_article=7&var_recherche=michele+ranchetti).

    SEGNALAZIONE

    *
    Luciano Aguzzi, Diario dei giorni del Coronavirus [11]
    sabato 11 aprile 2020 ore 20,30

    La religione in quarantena.
    *
    Sono usciti molti articoli sul fatto che in occasione di questa pandemia la Chiesa, anzi le Chiese, sembrano state messe all’angolo. Le chiese chiuse, e se qualche sacerdote tenta di dire messa a un qualche pubblico lo fa clandestinamente e viene rimproverato dai vescovi che lo richiamano al rispetto delle norme dettate dal governo. Nei secoli scorsi, e da almeno diecimila anni e più, le pratiche religiose hanno svolto un ruolo ben diverso nell’affrontare le epidemie e i disastri di qualunque altro tipo. C’è tutta una tradizione di messe, di preghiere, di canti, di processioni, di riti liturgici vari volti a preservare le comunità dalla peste, dalle malattie, dalla siccità, dal terremoto e così via. Tutte le religioni organizzate moderne hanno libri interi di preghiere, che nei secoli scorsi tutti i fedeli avevano fra le mani, che servivano per affrontare, singolarmente o collettivamente, ogni situazione avversa.
    Una lunga sequenza liturgica in versi latini cominciava in questo modo:
    *
    A peste, fame, et bello, libera nos Domine!
    A flagello terrae motus, libera nos Domine!
    Te rogamus. Audi nos Domine
    *
    (Dalla peste, dalla fame, dalla guerra, liberaci o Signore!
    Dal flagello del terremoto, liberaci o Signore!
    Te preghiamo. Ascoltaci, o Signore).
    *
    Questa è una “rogazione” (preghiera e insieme atto di penitenza) cattolica, ma ce ne sono di analoghe in ogni parte del mondo e per millenni indietro. Perché, dunque, ora, di fronte al Coronavirus, la religione praticamente tace, si adatta alla “distanza sociale” e si limita a trasmettere poche cose per televisione? E lo fa anche in Vaticano, dove, trattandosi di un altro Stato, non c’è l’obbligo di osservare alla lettera i decreti del governo italiano. Molti affermano che il processo di progressiva laicizzazione della vita ha allontanato il popolo dalle pratiche religiose, ha ridotto la fede a qualcosa di privato e di incerto e la partecipazione alle pratiche religiose ormai appartiene a una minoranza, anche in tempi normali e di chiese aperte.
    Sono realtà vere ma che non bastano a giustificare il fatto che anche i preti siano convinti che è meglio tenere le chiese chiuse. È successo qualcosa di più profondo che va ricostruito partendo dalla funzione stessa della religione nell’ambito della vita sociale e delle singole persone.
    Che cosa vuol dire avere la fede? o perdere la fede? Fede in che cosa?
    Una volta si credeva che i contenuti della religione fossero verità: esiste Dio come esiste il sole, la Madonna come esiste la regina, i peccatori vanno all’Inferno e le brave persone in Paradiso, come è vero che c’è chi va in carcere e chi vive felice. Tutto il contenuto organico del messaggio religioso era creduto da quasi tutti come verità indiscussa e indiscutibile, com’è vero che il sole asciuga e la pioggia bagna.
    Ma quali erano, in concreto e in riassunto, ridotti all’osso, i contenuti della fede? Fin dalla filosofia greca antica c’è una corrente di pensiero scettico nei confronti della religione, che afferma che le religioni sono create dall’uomo, che Dio non esiste o che seppure esiste non si occupa degli uomini; afferma che la religione è illusione che nasce da un bisogno di cercare consolazione e conforto di fronte alle avversità della vita. Sarebbero la paura e la speranza i due moti dell’animo che portano a credere nel potere delle religioni.
    Ma paura e speranza di che cosa?
    Ecco che così il pensiero si avvicina alle sue radici. Tutti gli esseri viventi cercano, ognuno a modo suo, con la sua natura e la sua struttura nervosa, di vivere meglio, di appagare le necessità della vita e di sfuggire ai mali. Al livello superiore della scala evolutiva, al livello dell’homo sapiens, questo bisogno produce specifiche pratiche e una cultura proprio, fatta di un insieme di credenze, di riti, di liturgie che tendono a garantire, o almeno a facilitare, all’uomo, in certe forme e condizioni, la soddisfazione dei suoi bisogni e desideri. Che ciò sia solo frutto di una evoluzione naturale e culturale o che vi sia la mano di Dio che l’ha aiutata anche con la rivelazione e la provvidenza, è un tema di discussione da sempre.
    Queste pratiche si rivolgono sia al mondo in cui viviamo sia a una proiezione in un altro mondo e quindi alla fede in una sopravvivenza oltre la tomba. Nel primo caso si tratta di pratiche che tendono a influenzare la natura perché questa sia benigna all’uomo. Cioè a guarire le malattie, a prevenire gli eventi infausti (peste, terremoto, guerra ecc.), a meritare il favore divino in modo che la provvidenza vegli su di noi. Dall’interno del sentimento del sacro e delle pratiche religiose nascono la magia, l’astrologia, l’alchimia. Insomma, se c’è un’epidemia, i cristiani hanno una preghiera per chiedere a Dio che l’allontani, e così, in forme rituali diverse, fanno gli ebrei, i mussulmani e i fedeli di tante altre religioni. A un livello considerato più primitivo magari si svolge una danza o un particolare rito eseguito dallo “stregone” della tribù, dallo sciamano. Ogni problema ha, in questo universo di pratiche religiose e magiche, una sua specifica risposta.
    In questo campo rivolto alla salute e al benessere delle persone e della società la religione e la magia avevano una funzione analoga a quella che oggi ha la scienza: intervenire nei comportamenti della natura per modificarli a favore dell’uomo e della società. Che cos’è, infatti, una preghiera rivolta a Dio perché un malato guarisca se non una richiesta che la natura modifichi il suo corso a favore dell’ammalato? E che cos’è una pratica di magia per ottenere lo stesso scopo se non un tentativo di cambiare il corso della natura? Che ci si rivolga a Dio come operatore di tutto ciò che succede, o all’intermediazione della Madonna e dei santi, o direttamente agli spiriti della natura, lo scopo è sempre pratico.
    Via via, con lo sviluppa della scienza e della tecnologia, tutto questo territorio della religione rivolta al benessere in questa terra è stato occupato dalla scienza. I sacerdoti sono stati sostituiti dai tecnici e dagli esperti dei diversi rami scientifici. Un malato non si rivolge a Dio ma al medico e, nel caso che si rivolga anche a Dio, la preghiera diventa marginale rispetto alla cura medica, una semplice pratica augurale, una semplice speranza che in qualche modo faccia bene.
    È così che pian piano, con una forte accelerazione negli ultimi cento anni, alla religione è rimasto solo il terreno dell’aldilà, la risposta alle domande che la teologia cattolica riassume nei “novissimi”, cioè in quelle “cose estreme” che seguono la “fine dei giorni” e fissano il destino ultraterreno delle anime. Si tratta della morte, del giudizio di Dio, della condanna all’inferno o della chiamata in paradiso, della resurrezione a nuova vita.
    Questa visione escatologica ha sempre costituito la parte fondante delle religioni che aggiungeva, alle credenza dell’operatività in questa terra, la credenza della sua operatività ai fini della conquista del paradiso, somma aspirazione di ogni credente e somma felicità finale e definitiva di ogni persona. Ma ormai il cattolicesimo, pur continuando a mantenere ferme tutte le credenze verso l’oltretomba, di fatto non ne fa più il centro della propria predicazione e della propria giustificazione, come tramite fra l’uomo e Dio. Tutti i riferimenti all’inferno e al paradiso sono diventati, nella pratica religiosa più diffusa e corrente, puramente rituali e ripetitivi e hanno perso la grinta di un tempo, come se nemmeno i sacerdoti ci credessero davvero.
    Anche nel settore della carità la Chiesa ha perso terreno. Agisce largamente e con molte organizzazioni, ma mentre un tempo era l’unica istituzione che agiva in questo campo e le associazioni private (le “confraternite”), come i potenti, che svolgevano una simile opera di carità, la svolgevano in nome della stessa religione e sotto l’approvazione e spesso il controllo della Chiesa, oggi ci sono molteplici organizzazioni, anche non religiose e anche atee e contrarie alla religione, che fanno concorrenza alla Chiesa sul fronte dell’aiuto ai bisognosi, ai poveri e agli ammalati.
    Del resto, gran parte di ciò che un tempo era compito della carità, oggi è diventato diritto e se n’è assunto il compito direttamente lo Stato e l’insieme degli enti statuali e locali come Regioni e Comuni. Di conseguenza la presenza della Chiesa, su tutti i fronti in cui un tempo aveva detenuto il monopolio, oggi deve operare nell’ambito di ciò che possiamo chiamare mercato aperto con forte concorrenza.
    Gli stessi cattolici, persino quelli praticanti e che vanno tutte le domeniche in chiesa a seguir messa e a fare la comunione, non hanno più la fede di una volta. Fede è soprattutto fiducia, che deriva dall’autorevolezza della fonte, che ciò in cui si crede sia verità. Ma la fonte oggi è più incerta e meno autorevole, e sulla stessa fonte principale Dio e Cristo, ci sono dubbi. Quanti cattolici anche ferventi praticanti, confessano: «Spero che sia così, ma non ne sono sicuro». Quella speranza che una volta la fede rendeva certezza, oggi rimane speranza incerta.
    Così depotenziata, sebbene ancora forte perché il bisogno del sacro è ancora forte nelle persone, la Chiesa ha fatto proprio tutto un tratto del comportamento dei laici. Per esempio, quello di tirarsi indietro di fronte alle competenze degli esperti e di chiudere le chiese senza nemmeno provare a cercare una diversa soluzione. Oggi la Chiesa sa che non può né deve competere con la scienza, non deve competere con il potere politico se non su pochissime questioni; del resto fatica a competere su quello sociale della carità e su quello propriamente filosofico e teologico del destino ultimo dell’uomo, dopo la morte.
    Di fronte al coronavirus la Chiesa ha accettato di entrare in quarantena, di piegarsi alla scienza e alla politica. E anche per quel che riguarda la preghiera individuale e collettiva (ma a “distanza sociale”, uniti di fronte a un televisore stando ognuno a casa propria), il numero, il carattere e il tono delle preghiere è ben diverso rispetto a quello dei secoli scorsi. È più contenuto, più discreto, più timido. Proprio di chi, viene voglia di dire, crede meno alla sua efficacia.
    Se ciò sia un bene o un male non sono in grado di dirlo, ma dal punto di vista religioso dovrebbe essere un male e si dovrebbe cercare di reagire in modo più efficace. Da un punto di vista avverso alle religioni (materialismo, ateismo) dovrebbe essere un bene, ma non è certo nemmeno questo, visto che serpeggia poi in altre forme un forte bisogno di sacro e di vie d’uscita dall’alienazione del mondo moderno.
    *
    Ad ogni modo, comunque la pensiate, vi giunga il mio augurio di Buona Pasqua e di veloce resurrezione personale e sociale dal letargo indotto dal Covid-19.
    Foto: 1) Como, il Duomo vuoto. 2) El Greco, La Resurrezione di Cristo. 3) Preghiera: Libera nos Domine.

  9. Leggo questa osservazione di Paolo Di Marco: «una scienza la cui enorme portata eversiva culturale è da quasi nessuno intravista (e penso alla gravità quantistica e alla scomparsa di spazio e tempo ad esempio, ma altri campi sono altrettanto eversivi) e in nessun modo fa parte delle immagini correnti del mondo».
    Mi pare che sia il problema sempre più evidente della contro fattualità della visione scientifica rispetto al modo di vedere più ingenuo e a prima vista più realistico. La scienza (come hanno già fatto in passato la filosofia, la teologia, la letteratura) ci porta, negli “estremi” della conoscenza non coperti dal realismo ingenuo, ad affrontare i limiti assoluti della conoscenza stessa, o meglio, della conoscenza scientifica fondata sull’esperienza e sull’esperimento. Cosa potrebbe dire la «scomparsa di spazio e tempo», che negherebbe le intuizioni a priori della sensibilità di Kant? Possiamo immaginare, con un esercizio mentale, alcune alternative:
    1) Lo spazio e tempo della fisica di Einstein e come si è di seguito precisata, non sono altro che spazio e tempo “relativi” al nostro universo, ma non assoluti. A loro volta compresi, contenuti in qualche modo in una dimensione spazio-temporale assoluta, nella quale il concetto di infinito resta l’incomprensibile limite e il paradosso che è sempre stato. Le categorie kantiane della sensibilità riacquisterebbero senso.
    2) L’universo in cui viviamo è solo apparenza. Ci appare come realtà perché noi ne facciamo parte, ma se potessimo vederlo da un “di fuori” totale lo vedremmo in modo completamente diverso e, appunto, come apparenza. Ogni volta che la conoscenza e il pensiero, magari anche quello poetico e quello religioso, si sforzano di immaginare i confini estremi, colgono / intuiscono qualcosa di questa visione dal “di fuori” e restano smarriti, perché avvertono che non si tratta di “verità” non ancora conosciute, ma di “verità” non conoscibili, al di fuori della logica che è alla nostra portata, forme di una logica che è per noi tutto un paradosso.
    3) Verrebbe così voglia di dare ragione a George Berkeley (1685-1753) che pressappoco sosteneva che la realtà è un’immagine mentale di Dio. Naturalmente, aggiornandolo. La realtà sarebbe una specie di prodotto di un software, puramente virtuale. Resterebbe però poi il problema di immaginare chi è il programmatore e qual è l’hardware su cui gira il programma, quale rapporto c’è fra programmatore e hardware e in che dimensione spaziotemporale sono collocati. E qui si ricomincia da capo con le tante cose da sempre incomprensibili. Infatti, tutte le dottrine religiose e filosofiche, come le esposizioni in libri e film di fantascienza che hanno adottato lo stratagemma della realtà come creazione virtuale (qualcosa c’è anche in “Matrix”, film del 1999, che a sua volta si richiama a film e libri di almeno quarant’anni prima), cadono poi in banali contraddizioni perché fondano la realtà virtuale su una realtà non virtuale (ad esempio: Dio, i veri padroni di Matrix, l’hacker che scopre il retroscena ecc.), senza spiegare minimamente che cosa sia e come possa esistere questa realtà non virtuale. Nella terminologia della critica cinematografica dovremmo parlare di buchi di sceneggiatura, di salti logici non spiegati, di regia che bara e inganna lo spettatore.
    E certamente, chi vuol capire a fondo deve rimuovere via via tutti gli inganni che l’esperienza gli presenta come realtà e verità, fino a scoprire, forse (era il personaggio di un vecchio libro di fantascienza), che egli stesso è un inganno e che per scoprire l’ingannatore dovrebbe uscire da se stesso, annullandosi. Ma così facendo, semplicemente, smetterebbe di esistere e non potrebbe scoprire più niente.
    Forse ci sono buchi di sceneggiatura e regia assolutamente incolmabili in qualunque modo si ragioni: come scienziati, come filosofi, come teologi, come poeti, come romanzieri, come cineasti. E siamo costretti ad accettarli perché non riusciamo a vedere nessuna forma alternativa di spettacolo e tanto meno la possibilità di sottrarci ai suoi inganni.
    La «portata eversiva culturale» è davvero enorme, come dice Di Marco, ma in un certo senso rimane sterile finché resta al di fuori della nostra portare, del nostro “realismo fattuale”, nel quale può entrare solo, o soprattutto, come prodotto tecnologico che incida sulla nostra vita quotidiana. E per prodotto tecnologico intendo anche le idee che da scientifiche diventano comuni passando per l’ideologia, la propaganda, la pubblicità, lo spettacolo. Ma il loro peso diventerà tanto maggiore se si concretizzerà anche in forme solide. Il cellulare in tasca a tutti i cittadini del mondo è stato più eversivo dei cellulari solo immaginati nei romanzi di cento anni prima. E quando avremo un cellulare quantistico la cui potenza rispetto agli attuali sarà moltiplicato per milioni di volte, avremo fatto un altro passo eversivo culturale notevole.
    Ma c’è da chiedersi: eversione di quale cultura e verso quale altra cultura? Si tratterebbe solo di una cultura che moltiplica i poteri delle facoltà umane (come il famoso martello che prolunga il potere della mano), o anche di cultura che modifica il senso e la direzione del pensiero umano in tema di etica e di socialità?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *