The Dreamers. Klaus Herding e Gustave Courbet (1819-1877)

di Paolo Emilio Antognoli

Qualche giorno fa nella quarantena un amico ha mostrato sui social l’immagine fotografica di Place de Vendôme, la colonna abbattuta dai comunardi parigini nel 1871. Il post recitava ironicamente: «Dite a Gustave Courbet che ancora deve pagare la prima rata del danno che ha fatto a Place Vendôme. È stato lui a buttare giù la Colonna. Lo sanno tutti».

Lo scriveva senza rammarico e si può anzi ritenere con una segreta simpatia. Courbet, in ogni caso, la combinò davvero grossa quella volta. Condannato a ripagare i danni, riparò in Svizzera, dove morì a soli 58 anni, due anni prima dell’amnistia. Tutto sommato gli andò bene, considerando che Adolphe Thiers durante la repressione, non si fece scrupoli a massacrare i comunardi a decine di migliaia nella semaine sanglante e successivamente.

André-Adolphe-Eugène Disdéri, Corpi di militanti della Commune di Parigi, 1871

Questa menzione del Courbet comunardo, ribelle, scapigliato, mi ha dato l’occasione di ricordare un grande storico dell’arte, un maestro e un amico improvvisamente scomparso: Klaus Herding (München 1939 – Frankfurt am Main 2018).1

La mancata traduzione dei suoi scritti in lingua italiana (ad eccezione di alcuni casi che riguardano Pierre Puget) costituisce una grave lacuna che ha privato gli studi di un punto di vista del tutto originale.

Ho conosciuto Herding a Francoforte sul Meno nel corso degli anni Novanta. Mi invitò a un gruppo di studio che vedeva impegnato l’Istituto Sigmund Freud e il dipartimento di Kunstgeschichte, allora ad Hausen, fuori città, su una riva della Nidda.2 Il gruppo di ricerca si occupava dello studio dell’energia psichica nelle arti. Herding ne era il fondatore e il carismatico coordinatore.

All’epoca mi occupavo della pittura, di Jacques-Louis David e di psicanalisi. Seguivo Enrico Castelnuovo e Francesco Orlando. Avevo dedicato molto tempo a scrivere una lettura freudiana del Marat à son dernier soupir. Orlando non ne voleva sapere, le arti visive, sosteneva, non erano un campo di sua competenza.

Allora mi avvicinai a Herding e iniziai a leggere quanto aveva scritto: una bibliografia di grandissimo interesse. Oltre che specialista di Pierre Puget – probabilmente argomento della sua dissertazione – Herding è stato tra i più grandi specialisti di Courbet, al quale ha dedicato una quarantina di pubblicazioni, oltre che mostre di grande rilievo.

Acquistai il poderoso Courbet und Deutschland, il catalogo della più grande mostra tedesca dedicata a Courbet, del 1978-1979.3 Inoltre, su una bancarella di Bockenheim, trovai il suo libro su realismo.4 Poi, mi regalò, qualche tempo, dopo il suo scritto sul Leonardo di Freud.5

Herding fu tra i primi storici dell’arte a seguire sistematicamente sentieri non molto battuti: la caricatura, l’imagerie popolare, il disegno, le ambiguità stilistiche, la presenza di Courbet in Germania – dove trovò una felice accoglienza fra gli artisti.6

Nel 1979 a Francoforte, organizza con Klaus Gallwitz l’importante convegno: Das Courbet-Colloquium, presso lo Städel, a cui prese parte, fra i molti invitati, anche lo storico dell’arte inglese Timothy J. Clark (1943).7

A questa data Courbet non sembrava riscuotere grande interesse in Italia, esposto alla fine degli anni Sessanta, a Villa Medici. Tra gli studiosi nella bibliografia del catalogo risulta soltanto un articolo di Dario Durbè, allora impegnato in un lavoro di riscoperta dei macchiaioli.8

Herding a quel tempo, dai capelli un po’ lunghi, mi ricordava pure molto vagamente l’attore inglese Richard Harris quando recitava un imperatore filosofo romano, le stesse chiome scapigliate e ribelli della contestazione, seppure innevate, dell’ormai lontano Sessantotto. Almeno ai miei occhi, manteneva a suo modo una sostanziale fedeltà agli ideali civili di quegli anni. Non a caso il suo ultimo intervento nel convegno su Courbet, nel ’78, si intitolava Soyons réalistes, demondons l’impossible.

Herding tuttavia nutriva già da allora una serie di insoddisfazioni sui modi ancora rigidi e fissi della ricezione di Courbet. Innanzitutto non riusciva a soddisfarlo la definizione di realista. Che significava? Era veramente esaustivo? Così inizia a questionarne il concetto. La stessa definizione di realismo, irta di spine, viene allargata e diversamente articolata come istanza eterogenea e contraddittoria. Courbet vuole dire la verità senza dissimulazioni. Vuole affermare una verità che non appare evidente e che si forma nella convinzione dell’autore. Anche Enrico Crispolti, forte dello studio di Guttuso, parallelamente, parlava di “realismo di affermazione”.

Courbet desidera condurre lo spettatore verso una nuova percezione di ciò che egli ritiene veritiero, liberato dalla menzogna. C’è perciò un’istanza idealista: l’idea di una verità che si afferma nella mente dell’autore, la quale nega una realtà che gli appare menzognera, ad esempio la pittura accademica, certa retorica del tempo. Vuole svincolarsi dalla falsa realtà sociale. È dunque una sorta di negazione freudiana. Un affermare negando.9

Ma non si limita a questo, porgendo un ulteriore aspetto di Courbet, rovesciando la moneta del realismo, Herding scopre un Courbet incerto, pensieroso, sognatore.

Non c’è soltanto l’egotico, il narciso, l’artista poseur, sanguigno, bon vivant, né solo il comunardo, il ribelle, l’amico social-critico di Proudhon, o lo spaccone, l’arrogante.10

Sotto le mille versioni che l’artista tendeva a offrire di sé, trasgredendo e forzando le opinioni come i generi in pittura, si ritrovano anche le passioni, le fantasie, le utopie, le incertezze, la pensierosità, i desideri, gli aspetti romantici e surreali.

Herding ha riportato alla luce il volto in ombra del pianeta Courbet. Ha principalmente scoperto come Courbet fosse guidato dall’idea romantica che l’arte e la sua pittura volessero salvare il mondo. E ha scritto a proposito: “Se Courbet dicesse – la frase notoria – che non poteva dipingere gli angeli perché non li aveva mai visti, potresti rispondere in questo modo: Courbet non aveva bisogno di dipingere gli angeli perché per lui la realtà era già miracolosa”.

Courbet A Dream of Modern Art, catalogo della mostra (eng.)

Courbet. Ein Traum von der Moderne, fu l’ultima mostra di Herding sull’artista. Riuscii a visitarla durante una mia breve permanenza alla Schirn Kunsthalle di Francoforte nel 2010. Vi sarei tornato solo sei-sette anni più tardi per incontrarlo. Aveva individuato nell’artista questa inclinazione alla rêverie e alla meditazione ed adesso queste riflessioni si concretizzavano.

Le problematiche del sogno, della meditazione, dell’incoscienza in Courbet sono state oggetto della mostra e della sua memorabile pubblicazione.11 La retrospettiva, che raccoglieva un centinaio di opere, disponeva in uno stato di fluttuazione, sintonizzando lo spettatore sull’altro Courbet, rispetto alla vulgata. Vi rimasi un intero pomeriggio.

Occorre chiarire subito che Herding non era affatto incline allo psicologismo o ad approcci superficiali. Le sue posizioni avevano alle spalle anni di studio e di verifiche metodologiche anche interdisciplinari. Scriveva:

Gli storici dell'arte giustamente tendono ad essere sospettosi di una
storia dell'arte guidata dalla psicologia, timorosi di una
psicobiografia superficiale dell'artista o di una visione che
trascura il contesto storico. Ma grazie a un gruppo di ricerca di
studiosi che si occupa dell'espressione delle energie psichiche
nell'arte, che ho fondato e presieduto per nove anni, mi sento immune
agli evidenti pericoli di interiorizzazione che hanno dominato alcune
correnti fuorvianti della storia dell'arte negli anni '20 e '50.12
Recenti ricerche neurofisiologiche che hanno suggerito che le azioni neurali sono seguite da reazioni emotive. Ho appreso da neuroscienziati come Antonio Damasio che quando si analizzano le facoltà emotive umane
c'è bisogno sia di autoriflessione che di considerare i conflitti
dell'altro.13

Herding entra fra le incrinature del monumento novecentesco eretto fino ad allora a Courbet.

Crea metodi e strumenti e una sorta di sonda con la quale indagarlo – ad esempio l’introspezione o l’assorbimento.14 Scruta fra le ambiguità, il confondersi dei generi (figura e paesaggio, cose e ambienti)… Alla fine giunge a ribaltare il tavolo del realismo. Abbatte il monumento.

I paesaggi di Courbet, ad esempio, le rocce, le foreste, i dossi, i castelli arroccati raccontano stati interiori. Courbet trasforma la visione in uno stato sognante, che non significa trance o abbandono al sogno, ma testimonia l’emergere di un continente soggettivo che si afferma prepotentemente con un desiderio insopprimibile di libertà. A volte usa verticali e orizzontali per costruire paesaggi con castelli, come luoghi che oppongono resistenza al potere centrale.

Die Mädchen an der Seine, im Sommer, 1856/57 (Foto: dpa).

https://www.n-tv.de/reise/Schirn-zeigt-Courbet-als-Traeumer-article1716461.html

Indimenticabile la sua lettura delle Les Demoiselles des bords de la Seine, in cui il paesaggio si fà liquido e psichico come in un film di Tarkovsky. Le ragazze giacciono nella calura in dormiveglia come estensione dei loro abiti cittadini, la cui compostezza borghese adesso si abbandona alla natura, in cui il bouquet di fiori si scompone, quasi liquefatto, in cui uno strato d’erba viene ribassato per lasciare spazio all’acqua ferma scintillante dove galleggia una barca vicino al viso pensieroso di una ragazza, e la pesantezza del fogliame, umido, ombroso, dionisiaco, che grava sopra di loro, in cui i pensieri e le abitudini borghesi ritornano natura, in cui le cose fuoriescono dalla loro strette definizioni. Diventa allora desiderio e sogno ad occhi aperti.

Gustave Courbet, Les Demoiselles des bords de la Seine, 1856-1857, Petit Palais, Paris.

Gustave Courbet in der Frankfurter Schirn | Kultur.21

1 http://www.klausherding-forum.de/

2 Psychische Energien bildender Kunst. Kunstgeschichtliches Institut, Frankfurter Johann Wolfgang Goethe-Universität, Frankfurt am Main. Cfr. Henry Keazor, Psychische Energien bildender Kunst. Festschrift Klaus Herding, DuMont Buchverlag, 2002

3 Klaus Herding e Werner Hoffmann (a cura di), Courbet und Deutschland, catalogo della mostra tedesca, Kunsthalle di Amburgo e Städelschen Kunstinstitut di Francoforte, DuMont, Köln 1978-1979.

4 Klaus Herding, Realismus als widerspruch. De Wircklichkeit in Courbets Malerei, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1978.

5 K. Herding, Freuds Leonardo – Eine Auseinandersetzung mit psychoanalytischen Theorien der Gegenwart, Carl Friedrich von Siemens Stiftung, München 1998.

6 Herding è stato, appunto, fra i primi ad occuparsi dei disegni di Courbet. Nel 1984 cura la mostra che si tenne a Baden-Baden e a Zurigo: K. Herding u. K. Schmidt, Les Voyages secrets de Monsieur Courbet. Unbekannte Reiseskizzen aus Baden, Spa und Biarritz, catalogo della mostra, Baden-Baden Staatl Kunsthalle u. Zürich 1984.

7 Cfr. Timothy J. Clark, Immagine del popolo. Gustave Courbet e la rivoluzione del ’48, Einaudi, Torino 1978. (traduzione italiana del libro: Id., Image of the People: Gustave Courbet and the 1848 Revolution, University of California Press, Berkeley 1973. Cfr. recensione del libro: Rosa Maria Manzionna: Timothy J. Clark, Immagine del popolo. Gustave Courbet e la Rivoluzione del ’48, in “Lares”, Vol. 46, No. 3 (Luglio-Settembre 1980), pp. 398-400. Clark a partire da un suo studio sul Burlington magazine del ’69 (A Bourgeois Dance of the Death) e prima ancora Meyer Shapiro, Courbet and Popular Imagery. An Essay on Realism and Naivetè, in “Journal od the Warburg and Courtald Institute”, 4, 1940-41, p. 170-171, erano tra i pochi a interessarsi di questi aspetti dell’artista.

8 Mi riferisco alla bibliografia menzionata nel catalogo. La fortuna italiana di Courbet ovviamente è molto più vasta. Purtroppo, in quarantena, mi trovo impossibilitato a recuperare lo studio di Giuseppe Di Natale, Courbet in Italia: una storia novecentesca, I, “Paragone arte”, Anno LXIX – Terza serie – Numero 139-140 (819-821) maggio-luglio 2018, che prosegue nel numero successivo. Su Dario Durbé, a cura di, I Macchiaioli, catalogo della mostra (Forte di Belvedere, Firenze, 23 maggio – 22 luglio 1976), Centro Di, Firenze 1976.

9 Cfr. Klaus Herding, Le réalisme comme contradiction, Les éditions du Sekoya, coll. Les cahier de l’Ethropöle, Musée Courbet, Ornans 2013.

10 Come si definisce nel titolo del libro di Petra ten-Doesschate Chu, The Most Arrogant Man in France: Gustave Courbet and the Nineteenth-Century Media Culture, Princeton University Press 2007

11 Klaus Herding e Max Hollein (a cura di), Courbet, Ein Traum von der Moderne, catalogo della mostra, Schirn Kunsthalle Frankfurt a.M., 15 ottobre 2010 – 30 gennaio 2011, Hatje Cantz, Ostfildern 2010.

12 Per una rassegna su questi argomenti: David Freedberg, Empathy, Motion and Emotion, in Klaus Herding e Antje Krause-Wahl (a cura di), Wie sich Gefühle, Ausdruck verschaffen: Emotionen in Nahsicht, Taunusstein, 2007, pp. 17–52.

13 Antonio R. Damasio, Looking for Spinoza: Joy, Sorrow, and the Feeling Brain, New York 2003; Id., The Feeling of What Happens: Body and Emotion in the Making of Consciousness, New York 1999; Id., Descartes’ Error: Emotion, Reason, and the Human Brain, New York 1994.

14 L’introspezione viene intesa come esame di sé ed espressione di sé attraverso un’opera.

Si sviluppa nel corso del XV secolo, portando alla rappresentazione della melanconia. Viene intesa da Dürer come esplorazione artistica di sé. Durante l’Illuminismo diventa una patologia e viene legata da Kant alla percezione dei fantasmi; ma estesa alle arti diventa anche un regno autonomo in cui viene prodotto un propio modo di percezione o appunto di introspezione. In seguito Ernst Kris, nel suo Psychoanalytic Explorations in Art, New York, 1952, usa il termine “introspezione” nel contesto dell’inspirazione, che si avvicina all’immaginazione di Schopenhauer come organo di autopercezione. Cfr. Eberhard Th. Haas, Transzendenzverlust und Melancholie: Depression und Sucht im Schatten der Aufklärung, Giessen, 2006. Cfr. anche Klaus Herding and Bernhard Stumpfhaus, eds., Pathos, Affekt, Gefühl: Die Emotionen in den Künsten, Berlin 2004. Il concetto di “absoption” deriva da Michael Fried, Absorption and Theatricality, Chicago, 1980. Per “absorption” si intende l’assorbimento, la concentrazione: l’essere assorto nei pensieri (l’immersione in un processo mentale legato all’immaginazione, alla riflessione o all’attenzione, da essere o parere indifferente al mondo circostante). Si distingue dal concetto di introspezione che comprende il conflitto dell’artista con il suo status, la sua visione del mondo e la visione che si ha di lui. Occorre fare però attenzione a non confondere con il concetto di “assimilazione”, che può sovrapporsi al termine “assimilation” (rendere simile a sé) che compare in un noto articolo di E. H. Gombrich in cui distingue “imitation” da “assimilation”.

4 pensieri su “The Dreamers. Klaus Herding e Gustave Courbet (1819-1877)

  1. Senz’altro proficua la riproposizione di questo studio critico su Courbet il quale, in Italia, resta ancora uno dei ‘modelli’ più gettonati nell’ambito del figurativo, per la sua carica di innovazione e originalità, dopo avere interessato la pittura italiana del Primo Novecento più di quanto se ne fosse accorta la critica.

  2. …mi ha colpito il dipinto di G. Coubet “Signorine ai bordi della Senna” e trovo che in questo caso calzi bene, al riguardo, la definizione di “realismo di affermazione” coniata dal critico Kaus Herding. L’impressione, mia, è di trovarmi non davanti alla raffigurazione di due signorine ma di due bambole, molto ben agghindate: abiti, dai colori caldi e chiari, svolazzanti, di organza, di seta, con trine, ricami, ma i visi pallidi e gli occhi, dallo sguardo vacuo, non del tutto chiusi né aperti, come a volte succede a meccanismi non perfetti, le pose molli delle braccia…Nonostante gli ornamenti: cappellini, un grande bouquet di fiori campestri, le due figure sembrano uscite dal salotto di un’anziana signora e dalla camera di bambini “in punta di piedi”, cose inanimate, quasi abbandonate e fuori luogo. Quindi una descrizione realistica che forse ci trasmette il senso di una stonatura, di una rigidità quasi mortale, se le due figure vengono poi rapportate allo sfondo naturale di un fiume vivo dalla rapida corrente, di un prato e di un albero frondoso

    1. La sua impressione è molto calzante. Difatti, nel video, purtroppo in tedesco, si trova l’immagine satirica di Nadar dove al posto delle due signorine ci sono due manichini. In linea di massima Herding vi leggeva anche una sorta di rilassamento sognante della condizione cittadina costrittiva quasi una liquefazione della sovrastruttura borghese…

  3. L’espressione di noia e stanchezza de Les Demoiselles des bords de la Seine serve come elemento di contrasto per evidenziare la vivezza della natura e la vivacità degli abiti eleganti. Non dimentichiamo che Courbet è l’autore del dipinto ‘L’origine du monde’, una esaltazione della forza naturale e sacrale della donna, lo stesso tema affrontato con il medesimo intento da Giovanni Segantini ne ‘Le due madri’.

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