Su Silvia Romano

di Giorgio Mannacio

Contrariamente al mio modo si pensare e tradurre in scrittura le mie meditazioni sono spinto da qualcosa – che è insieme indignazione civile e insofferenza verso il disprezzo della ragione – a buttare giù queste note sull’affaire Silvia Romano. Sulla sua “conversione“ alla religione islamica si sono precipitati un po’ tutti a farne un fenomeno da esaminare in vitro secondo diverse lenti di ingrandimento o con occhiali affumicati.

  1. LENTI DI INGRANDIMENTO

1  

Lente definitoria.

Perché si parla di conversione? Chi ci dice che la Romano “ante liberazione“ fosse di religione diversa dall’islamismo? Si compie così un atto arbitrario di classificazione. Il presupposto di tale classificazione è il seguente: Silvia  Romano  DOVEVA ESSERE  cattolica. Da qui lente valutativa.

2

Lente valutativa

La Romano è una traditrice. Ma se la Romano fosse passata da La Mecca a San Pietro si sarebbe detto che ha trovato finalmente la via giusta.

3.

Lente scientifica

La collocazione della conversione in una casella scientifica parte dal banale richiamo alla cd sindrome di Stoccolma (richiamo erroneo data la diversa struttura dei fenomeni messi a confronto) al più sofisticato richiamo al condizionamento operato dalla paura del dolore e della morte. Questa lente ha il vizio fondamentale di presupporre una  catene di causa ed effetto tutta da dimostrare. Sì: è ragionevole presumere che lo stato di prigionia abbia determinato una scelta obbligata, ma qui non si tratta di un fenomeno naturale  ma di una variazione della struttura esistenziale  da valutare in tutte le sue componenti. Quale paura ha spinto Paolo sulla via di Damasco a diventare cristiano? Semmai avrebbe dovuto aver paura nel diventare tale. La lente scientifica è piena di pregiudizi.

B. OCCHIALI AFFUMICATI

1

Occhiale del politico

Tutti gli islamici sono terroristi e dunque Ashia Romano è una terrorista (“abbiamo liberato una terrorista“). Ma Ashia era impegnata in attività umanitarie, rapita da terroristi.Ha fatto o proclamato qualcosa di ostile? No. Ci vuole un bel po’ di malafede a pensare che i rapitori si siano imbarcati in una avventura di rapimento per acquisire una adepta! 

2.

Occhiale patrimoniale

Paghiamo il riscatto con le nostre tasche. E’ una specie di peso morto economico. Dunque, impicchiamola! La Sanità, la sicurezza pubblica, la Scuola, gli stipendi dei Parlamentari, dei Funzionari di vario livello sono pagati da altri che saremmo poi noi. Poiché molti di questi soggetti sono dannosi e improduttivi, impicchiamoli…

C. CECITA’

Sono indignato di fronte a tanta inciviltà, cattiveria, incultura, ignoranza. Bastava riflettere con ragionevolezza e umanità per non cadere in questo lago di fango e putridume. Ashia è viva mentre poteva essere morta. Ashia non ha fatto male ad alcuno con la sua  scelta.

D. CONCLUSIONE

In tutte le parole che si consumano su di lei – anche nelle più neutrali (ad esempio in quelle della psicologia)– v’è il sottinteso che in lei vi sia qualcosa di storto, ambiguo, poco chiaro. Le si rimprovera anche una certa “teatralità“ nel ritorno, nel mostrarsi ai suoi concittadini! Io mi sarei buttato per terra a baciare il mio suolo.

Che miseria, che barbarie l’hanno accolta. Povera Italia, poveri noi.

13 maggio 2020

9 pensieri su “Su Silvia Romano

  1. ASHIA è viva!
    GRAZIE a Giorgio Mannacio sempre chiaro, essenziale e sempre pronto a rendere giustizia.

  2. DA POLISCRITTURE FB

    Maurizio Gusso
    Primo Levi, “Dateci” // Dateci qualche cosa da distruggere, / Una corolla, un angolo di silenzio, / Un compagno di fede, un magistrato, / Una cabina telefonica, / Un giornalista, un rinnegato, / Un tifoso dell’altra squadra, / Un lampione, un tombino, una panchina. / Dateci qualcosa da sfregiare, / Un intonaco, la Gioconda, / Un parafango, una pietra tombale, / Dateci qualche cosa da stuprare, / Una ragazza timida, / Un’aiuola, noi stessi. / Non disprezzateci: siamo araldi e profeti. / Dateci qualche cosa che bruci, offenda, tagli, sfondi, sporchi, / Che ci faccia sentire che esistiamo. / Dateci un manganello o una Nagant, / Dateci una siringa o una Suzuki. / Commiserateci. / 30 aprile 1984.// (Da P. Levi, “Ad ora incerta”, Garzanti, Milano, 1984, p. 74)

    Maurizio Gusso
    Bertolt Brecht, “Nuovo coro finale dell’Opera da tre soldi” // “Sull’ingiustizia piccola non v’accanite: presto / da sé, nel proprio gelo, sarà estinta. / Meditate la tenebra e l’inverno / di questa valle percossa dal pianto. // Su, in campo, contro i grandi ladri, ora, / e tutti quanti schiantateli e subito. / Vien da loro la tenebra e l’inverno, / per loro è questa valle sempre in pianto.” // (Da Bertolt Brecht, “Poesie e canzoni”, a c. di Ruth Leiser e Franco Fortini, Einaudi, Torino, 1961, II ed., p. 164)

    Maurizio Gusso
    Francesco Guccini, “Libera nos Domine” // “Da morte nera e secca / da morte innaturale / da morte prematura / da morte industriale. // Per mano poliziotta / di pazzo o generale / diossina o colorante / da incidente stradale. // Dalle palle vaganti / d’ogni tipo e ideale / da tutti questi insieme / e da ogni altro male. // Libera nos Domine. // Da tutti gli imbecilli / di ogni razza e colore / dai sacri sanfedisti / e da quel loro odore. // Dai pazzi giacobini / e dal loro bruciore / da visionari e martiri / dell’odio e del terrore. // Da chi ti paradisa / dicendo: – È per amore, – / dai manichei che ti urlano: / – O con noi o traditore. // Libera nos Domine. // Dai poveri di spirito / e dagli intolleranti / da falsi intellettuali / giornalisti ignoranti. // Da eroi, navigatori / profeti, vati, santi / dai sicuri di sé / presuntuosi e arroganti. // Dal cinismo di molti / dalle voglie di tanti / dall’egoismo sdrucciolo / che abbiamo tutti quanti. // Libera nos Domine. // Da te, dalle tue immagini / e dalla tua paura / dai preti di ogni credo / da ogni loro impostura // Da inferni e paradisi / da una vita futura / da utopie per lenire / questa morte sicura. // Da crociati e crociate / da ogni sacra scrittura / da fedeli invasati / di ogni tipo e natura. // Libera nos domine”. // (Da F. Guccini, “Amerigo”, EMI – 3C 064-18341, 1978, A2; testo scritto in F. Guccini, “Stagioni. Tutte le canzoni”, a c. di Valentina Pattavina, Einaudi, Torino, 2000, pp. 132-133)

  3. …Giorgio Mannacio dice bene, alla fine non sappiamo nulla di questa ragazza, tranne che deve aver sofferto…e come ricompensa: la crudeltà! L’alibi invece: un velo, un nome e una tunica…oggi dovremmo vestire tutte-i allo stesso modo e domani magari cambiare nome e foggia…non una pecora, ma l’intero gregge contro il lupo

  4. Muovere delle critiche è diventato un delitto? Riflettere senza lasciarsi travolgere dalla retorica delle emozioni è diventato un delitto? Silvia Romano è stata oggetto di critiche inammissibili (insulti e non critiche, a essere corretti), di critiche discutibili ma che pongono problemi e di critiche che, a mio parere, possono essere condivise. Ma sembra che l’Italietta della retorica del Cuore faccia di tutto un fascio e non ammetta nessuna opinione critica, nessun accenno di dissidenza, come ai tempi del fascio. Non ammette nemmeno che ci si chieda perché questa reazione sgradevole che giunge all’insulto più becero sia così diffusa? Cosa c’è che non va? Dove stanno i problemi?
    Allora, senza fare direttamente riferimento al caso di Silvia Romano, proverò a fare il bastian contrario e a dire la mia opinione.
    1.
    Il comportamento dei governi italiani degli ultimi decenni manca completamente di trasparenza. Hanno sempre detto di non avere pagato riscatto ma poi ci sono molteplici indizi di come siano invece stati sempre pagati. Questo è un elemento importante sotto ogni punto di vista e i cittadini hanno diritto di conoscere la verità.
    2.
    L’Italia è il Paese che ha una politica estera, nei confronti dei rapimenti, la meno precisa e la più accomodante. Alcuni Paesi non pagano mai, a costo che i loro cittadini rapiti vengano uccisi. Altri Paesi pagano solo in certi casi, evitando per quanto possibile che i propri cittadini si trovino indifesi in zone pericolose. L’Italia non fa così, tratta segretamente e paga anche quando i rapiti si sono recati, senza nessun motivo che la propria voglia di fare del turismo esotico, in zone pericolose e sconsigliate e lo hanno fatto da sprovveduti, seguendo percorsi pericolosi e sospetti. In questo caso altri Paesi avrebbero detto: avete fatto di testa vostra, arrangiatevi. L’Italia invece paga e riporta in patria gli sprovveduti festeggiandoli quasi come eroi.
    L’inconsistenza della politica estera, anche e non solo nel caso dei rapimenti, fa sì che ogni volta che l’Italia si trova a faccia a faccia, a brutto muso diremmo, con altri Paesi, siano gli Usa o la Germania, la Francia o l’Egitto o l’India o l’Etiopia, prende regolarmente delle legnate e fa la figura di chi prega in ginocchio per avere qualcosa, e paga per averlo.
    3.
    Non ci sono statistiche, ma è diffusa l’opinione che l’Italia, con il pagamento dei riscatti, ottenga due risultati entrambi gravissimi: 1) È il Paese che più finanzia indirettamente il terrorismo mondiale, e questo non piace a nessuno e da ciò deriva un prestigio basso al modo di operare del governo italiano. 2) I cittadini italiani che si trovano in zone pericolose sono il bersaglio preferito dei rapitori, perché questi sanno che alla fine otterranno dei soldi. Gli americano e cittadini di altri Paesi sono magari odiati per altri motivi, ma gli italiani sono il business dei rapimenti preferito.
    4.
    In sostanza, l’Italia, per salvare la vita a uno dei suoi rapiti, ne mette in pericolo molti altri e, con il finanziamento dei terroristi, indirettamente ne uccide diversi altri.
    5.
    Negli ultimi vent’anni il pagamento dei riscatti è costato svariate decine di milioni di euro. Credo che i cittadini italiani abbiano il diritto di chiederne il conto e di incazzarsi ad ogni nuovo esborso, che, ripeto, nel medio e lungo termine non salva vite umane ma contribuisce ad ammazzarne molte di più.
    6.
    L’Italia ha poi un altro primato, quello di nascondere il più possibile la verità. Le indagini sui casi di rapimenti all’estero sono assai blande e reticenti. Non sono mancati, in alcuni casi, nemmeno i sospetti, sorretti da qualche indizio, che non di veri rapimenti si trattasse ma di finti rapimenti per finanziare il terrorismo da parte di complici italiani che avevano espresso simpatie nei confronti dei movimenti dai quali erano stati rapiti; simpatie precedenti e successive al viaggio per raggiungere la zona dei rapitori, al rapimento e alla successiva costosa liberazione. Anche in questi casi non si è voluto appurare la verità, cioè se i sospetti fossero del tutto infondati o se fossero fondati. La Ragion di Stato ha silenziato tutto.
    7.
    L’Italia ha anche il primato dell’ipocrisia, come nel caso Regeni. Le istituzioni fanno la voce grossa ma di fatto non cambia nulla nei rapporti con l’Egitto. E non credo che potrebbero cambiare perché interessi politici ed economici di vasta portata impediscono di andare fino in fondo in un caso che, nell’ambito geopolitico, è una piccola cosa. Impediscono però anche di riconoscere che Regeni si è recato in Egitto, per colpa sua o dei docenti che ce l’hanno inviato, da sprovveduto e che vi ha svolto un’attività del tutto legittima in Italia ma pericolosa in Egitto. La mancata valutazione del pericolo e quindi la mancata adozione di comportamenti atti a evitare guai sembra un fatto che si ripete in molti casi di uccisioni o rapimenti di cittadini italiani all’estero, ma pare che però non interessi nessuno e non produca più precise linee di comportamento del nostro ministero degli Esteri, nella fase di consiglio o sconsiglio e di preparazione del viaggio, fino all’eventuale divieto. L’ingenuità di Regeni non giustifica il suo assassinio, ma di fatto, senza dirlo, anzi negandolo a tutta voce, l’Italia ne tiene conto e scommetto che tutta la faccenda non arriverà mai ad una conclusione.
    8.
    L’Italia è piena di onlus del tutto impreparate e prive di mezzi che inviano italiani a svolgere attività assistenziali in zone pericolose senza nessun paracadute di salvezza. L’Italia lascia fare, non ha elaborato norme precise per questo settore. Quando si tratta di attività che si svolgono nell’ambito delle organizzazioni cattoliche, la Chiesa dà una maggiore preparazione ai suoi “missionari” i quali, fra l’altro, affrontano il rischio con maggiore consapevolezza. Molte onlus non lo fanno. Quella che ha inviato Silvia Romano in Africa è una piccolissima onlus, retta dalla moglie di un parlamentare, ha un bilancio annuale di solo 55.000 euro circa, nessuna assicurazione ecc. Credo che Silvia Romano fosse l’unica persona sul campo di questa onlus. I punti dubbi sono tanti. Alcuni giornali hanno persino affermato che questa onlus non sarebbe regolarmente iscritta nel registro delle onlus. Comunque sia la situazione, ci troviamo di fronte a un ennesimo caso di sprovvedutezza e di business sulla pelle degli altri. Sebbene il bilancio sia piccolo, il denaro proviene comunque per la maggior parte da offerte volontarie (donazioni liberali, come si dice in gergo giuridico), e il guaio è che non si sa bene come venga utilizzato. Sembra che a Silvia sia stato pagato solo il viaggio in Kenya e che poi non abbia avuto altro supporto tecnico, economico e logistico. Tant’è che ora la famiglia di Silvia ha lanciato dure accuse contro l’onlus e questa ha risposto minacciando denunce, che è quel che si fa sempre.
    9.
    Che si tratti di turismo o di lavoro di assistenza o di altro, si ha spesso l’impressione, per non dire la certezza, di trovarsi di fronte a persone ingenue, sprovvedute, che seguono senza adeguata preparazione e riflessione un loro desiderio, che si tratti dell’intenzione di aiutare gli altri o di quella di fare una vacanza esotica ed emozionante o semplicemente insolita. Persone, spesso, con una spiccata personalità e autonomia ma gestita con insufficiente senso di responsabilità, per sé e per gli altri. A volte si è trattato invece di lavoratori impegnati in aziende con appalti all’estero; ma anche in questi casi il rapimento è stato conseguenza di leggerezze, come andarsene in giro o percorrere strade senza rispettare i protocolli di sicurezza che pure, in teoria e in questi casi, sarebbero obbligatori.
    Allora, mi chiedo, l’italiano che vive a fatica con mille euro al mese e non può andare in vacanza da nessuna parte non ha il diritto di incazzarsi quando si spendono dieci milioni di euro per riportare casa questi cittadini paragonabili a sciatori di alta quota che sciano fuori pista e senza la dovuta preparazione e attrezzatura, per soddisfare il loro spirito di avventura?
    10.
    Ma c’è poi, per me, un argomento ancora più importante di cui tenere conto. L’attività caritatevole e assistenziale di molte organizzazioni italiane e straniere in Africa e in altri continenti è a mio parere una tipica attività imperialista: lo definirei l’imperialismo della cultura, della religione, del buon cuore. Ma ha sempre fatto danni come le altre forme di imperialismo (politico, economico). Credo che i rapporti internazionali migliorerebbero se si cessasse con questa attività caritatevole che apparentemente salva delle persone (alimentazione, ospedali ecc.), ma di fatto distribuisce assistenza che diventa un fattore di distorsione e di corruzione sotto molteplici aspetti e che, in definitiva, fa più male che bene.
    Questi Paesi, Kenya compreso, avrebbero tutto da guadagnare se tutte le opere di carità cattoliche, protestanti, anglicane, islamiche, private ecc. venissero ritirate, restituendo al Paese piena autonomia e responsabilità, e magari sostituite con rapporti politici e commerciali più equi e con l’assegnazione di un cospicuo numero di borse di studio per la formazione nelle università europee di medici, di tecnici specializzati, di ingegneri ecc., con il patto che alla fine degli studi tornino a lavorare, per almeno un periodo di dieci anni, nel Paese di cui sono cittadini. Non come ora, che avviene che le poche borse di studio formano specialisti che spesso, anziché tornare in patria, restano a lavorare nel Paese in cui hanno studiato per cui quelle borse di studio non recano nessun vantaggio al Paese di origine.
    11.
    Ecco come il caso Silvia Romano riporta alla ribalta molteplici problemi che l’appello al buon cuore non risolve, né li risolve l’indignazione morale, né la volontà di far tacere chiunque abbia qualche dubbio. Il crimine di “lesa maestà” per me non deve esistere, nemmeno quando la “maestà” a cui ci si inginocchia è la soddisfazione di salvare una vita umana e il corale festeggiamento da tifoseria che ne segue e con il quale si vorrebbe coprire tutto.

  5. …riguardo alla vicenda di Silvia Romano, distinguerei tutto quanto puo’ precedere il fatto: impegno della volontaria in Kenia, il rapimento e la sua liberazione, si pensa tramite riscatto…e il dopo, cioè il ritorno in Italia della ragazza, con un nuovo nome e abiti di tradizione araba…Se qualche ragione puo’ esserci nel discorso di Luciano Aguzzi, in particolare quando fa riferimento alla sempre attuale presenza neocolonialista di sfruttamento in in Africa da parte delle grandi potenze europee e non, come pure alla non sempre trasparente attività di soccorso legata alle ong e ad alcune istituzioni, non c’è alcuna ragione accertata per credere che Silvia Romano operasse con intenti meno che onesti, percio’ trovo aberrante rivolgerle accuse da lenti deformanti, come sostiene Giorgio Mannacio…Riguardo all’eventuale riscatto pagato, la vita di ogni persona conta al massimo, altrimenti avalliamo anche la possibilità di selezionare chi salvare, come per i malati di coronavirus, le cui vittime sacrificate hanno pagato per errori pregressi…Prendiamocela con chi sta piu’ in alto

  6. La contestualizzazione critica della vicenda di Silvia Romano mi pare legittima. A patto che non si riduca ancora una volta allo schema tra “cattivisti/realisti” e “buonisti/utopisti”. Purtroppo è difficile inquadrare oggi un singolo caso in una cornice teoricamente solida in modo da smussare le forzature (sia in senso politico che etico).

    Aggiungo qui, a complicare il quadro, un intervento di Pierluigi Fagan, letto ieri su FB (https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10221088113928080&set=a.1148876517679&type=3&theater), che sottolinea anche i rischi di un uso del caso Silvia Romano per distrarre l’opinione pubblica da problemi altrettanto e più gravi dal punto di vista sociale e politico. Sarebbe importante relazionare particolare e generale, ma anche se non ci riuscissimo, tener presente le difficoltà di pensare insieme sia i singoli casi sia la complessità del mondo può correggere gli schematismi propagandistici.

    ——————————————————————————————————————-
    Pierluigi Fagan
    Ieri alle 09:21 ·
    MA IL WHO NON CI AVEVA AVVERTITI! Tra qualche mese staremo qui a commentare il disastro economico e sociale nel quale ci troveremo e qualcuno darà la colpa a chi non ci ha avvertito per tempo. Ma come al solito, si tratterà di pura presa per i fondelli, “per tempo” è oggi e già oggi sappiamo perfettamente come andranno le cose. Anzi non da oggi, noi ne abbiamo parlato qui già più di un mese fa. Di cosa? Del fatto che per mesi non avremo domanda a sufficienza per sostenere l’offerta.

    A parte il fatto che la “normalità” materiale non sappiamo quando mai tornerà stante che ieri abbiamo parlato di prospettive ancora lunghe per la diffusione del virus e stante che lo stesso WHO (13.05 Mike Ryan, capo del programma emergenze sanitarie WHO) avanza l’ipotesi possa diventare endemico, molto più tempo impiegherà la normalità psichica. La normalità psichica impiega molto più tempo ad esser recuperata perché la paura consiglia di rimanere all’erta anche dopo lo scampato pericolo. A volte impiega anni come nelle patologie da stress post-traumatico.

    La “domanda” è la nostra propensione a spendere soldi per comprare cose. Sul piano materiale è data dai soldi che guadagniamo e dall’ammontare di quelli che abbiamo in banca, più un fattore decisivo: l’aspettativa. Se le nostre aspettative sono buone, spenderemo anche più di quanto abbiamo, l’indebitamento si basa su questo. Ora, sul guadagno mensile, molti hanno ed avranno difficoltà per vari motivi che potete ben immaginare. Alle difficoltà dirette, si sommano quelle indirette, “cosa succederà a mio figlia/a?” o altri verso i quali si sentono responsabilità e vincoli. Il deposito bancario già è ritenuto una garanzia in tempi normali, in tempi turbolenti diventa inattingibile perché aumenta il “non si sa mai”. Le aspettative, dato il quadro noto su gli sviluppi dell’epidemia, consigliano prudenza estrema.

    La “domanda” non è una fatto da ragionieri, prescinde il calcolo razionale stante che già il calcolo razionale sconsiglia avventure. Nella “società dei consumi” è una attitudine psichica e sociale e questo traino al consumo rimarrà paralizzato per mesi e mesi.

    Infatti, già da tempo (all. 1) c’è chi ha parlato ad esempio di “carmageddon”, il collasso dell’industria automobilistica dove già numerose navi portacontainer erano bloccate al largo delle coste californiane, impossibilitate a scaricare le merci perché i parcheggi di terra sono pieni, poiché i concessionari non vendono. Solo un imbecille 4×4 può credere che i concessionari non vendono perché la gente è chiusa a casa in lockdown e quando riavrà “la libertà” tornerà tutto come prima. Da cui il pigolare “riapriamo!” “riapriamo!” col quale i lungimiranti hanno pensato di svicolare il problema.

    Così oggi (all.2) scopriamo che Volkswagen interromperà alcune linee di produzione anche utilizzando orario di lavoro limitato (all. 3), per eccesso di produzione. E già tutti sanno che questo varrà anche per l’intero circuito del petrolio e per decine e decine si produzioni industriali di prodotti ma anche nei servizi che non superano la linea della necessità, ponendosi come “acquisti rimandabili”, a quando non si sa. Tutti questi ictus della domanda si ribalteranno sull’offerta e porteranno ulteriori shock su i redditi da lavoro che diminuiranno ulteriormente la domanda. Ovvio.

    Si è allora detto ormai da quasi due mesi, che tocca letteralmente inondare il bacino sociale di denaro. Non solo e non tanto perché il consumo risponde alle leggi della ragioneria sebbene avere in tasca quattrini aiuti senz’altro, quanto perché seda l’ansia, l’ansia che fa nera l’aspettativa che blocca i consumi. Tra l’altro, sappiamo da decenni che i consumi sono per lo più voluttuari, compressi, stimolati ormai come si fa con gli elettrodi piantati nei cervelli dei topolini di Pavlov, cosa ci si aspetta che in “tempi di morte e dolore” la gente perpetui l’idiozia come criceti impazziti? Il consumismo è una bolla, quando la realtà buca la bolla con la paura, per un bel po’ la festa è finita.

    E dov’è questo denaro a pioggia, dagli elicotteri o distribuito dalle provvidenziali mani del dio del denaro come la manna per gli affamati israeliti del deserto? Non c’è (all.4). O dove sono piani di investimenti pubblici europei per far passare il denaro tramite lavoro? Non ci sono. E dove sono i progetti di denaro complementare almeno per tener botta con l’aspirina per la polmonite, ma insomma meglio che niente? Nei cassetti. E dov’è la ridistribuzione del lavorare meno ma tutti? Boh! Ma neanche uno straccio di tassa su i patrimoni per sversare un po’ dal troppo al troppo poco? Maddai! Ma almeno un “prestito forzoso”? Seee vabbe’.

    Intrattenetevi con Silvia Romano o con le colpe dei cinesi, litigate su i morti con ed i morti per, terrorizzatevi con le agghiaccianti previsioni sul futuro distopico in cui Bill Gates controllerà anche quando andate in bagno, anche l’acconciatura della Botteri ha il suo appeal, soprattutto perdete tempo. Il tempo è denaro e ogni giorno che passa perdete denaro, fiducia, aspettativa, tenore di vita, potere sociale, sicurezza e tranquillità. Poi quando vi sveglierete nel peggiore dei mondi possibili, arriverà qualcuno a piagnucolare: “…. ma, ma il WHO non ci aveva avvertiti, è colpa dei cinesi, le cavallette, non è stata colpa mia!”.

  7. @ A tutti
    Come risulta dalla “ forma “ del mio testo non ho inteso se non esprimere una sorta di indignazione per la barbarie e la stupidità demagogica che si è manifestata “ utilizzando “ il caso Silvia Romano. Ho palato di lenti deformanti calzate in occasione di questo episodio, con espressione che segnala senza equivoci la mia deliberata volontà di non affrontare temi generali che a volte (ma certo non nel caso di Aguzzi)sono alibi per scolorire azioni deprecabili nel campo etico. Era ed è chiaro che non intendevo spostare il discorso su problemi generali di politica estera e/o interna. Rappresentanti del popolo italiano gridano “ impiccatela “ ed altri parlano – a proposito del riscatto – di soldi degli Italiani. C’ è qualcosa di più ignobile e e idiota di queste esternazioni? La critica agli errori, approssimazioni, ipocrisie etc della politica italiana non ha bisogno di lenti deformanti ed è situazione sotto gli occhi di tutti. Appartiene alla critica che non ho mai messo in discussione.
    Giorgio Mannacio

  8. SEGNALAZIONE

    STREGHE PER SEMPRE. LA PUNIZIONE DELLE DONNE AI TEMPI DI SILVIA ROMANO
    di Nicoletta Vallorani

    http://www.leparoleelecose.it/?p=38368#comment-429160

    Stralcio:

    In principio, la storia era personale: un puntiglio soggettivo condiviso ai tempi dei social.

    Nel maggio del 2019, partendo da un pezzo pubblicato proprio su Le parole e le cose (“Negli interstizi della storia”), mi sono incaponita a destinare un post ogni venerdì al sequestro di Silvia Romano. Era una piccola impresa individuale, e qualcuno mi ha seguita. La vedevo anche come una opportunità. A prescindere dall’obbiettiva urgenza di una vicenda che sembrava coinvolgerci tutti, volevo un’occasione per dialogare su due questioni fondamentali, nodi dolenti che nascono dal fatto specifico, ma che lo trascendono, a volte sfuggendo drammaticamente di mano, come stanno dimostrando, a me pare, i fatti. Ora come allora, nel fulmineo rapimento di una volontaria – una persona ben specifica, con passioni, sogni, ingenuità ideali del tutto suoi – si annidava la possibilità di riflettere su due questioni collettive, che, nel tempo lungo di questo sequestro, sono diventate sempre più importanti e angolose.

    La prima è la responsabilità della comunità: quasi tutti i miei post facevano riferimento a questo, con una chiave specifica, che poi spiegherò. La sintesi semplificata del nostro dolore stava nel fatto che una comunità allargata e, dentro essa, in cerchi concentrici, le comunità sempre più piccole degli affetti più intimi di Silvia, pativano una lacerazione e non sapevano – nel tempo lungo di cui sopra – se prepararsi a un lutto o coltivare una speranza. Mi pareva, mentre scrivevo i miei post, che dovessimo essere uniti e mostrare empatia. E ricordare che la volontaria rapita era un membro della nostra comunità, e dunque valeva la pena di spendersi.

    La seconda questione è, invece, che significa indossare un corpo di donna: perché di una giovane donna parliamo, e di come essa appariva e appare. La sua immagine, intrappolata in due circostanze difficili da leggere (sequestro e liberazione), diventa un corpo-segno che è stato letto a vanvera, prima e dopo, come un crittogramma senza codice.

  9. Concordo appieno con l’ultimo e argomentato intervento di L. Aguzzi (15.5, 17.36) e quindi non entrerò nel merito dei rispettivi punti.
    Solo una cosa mi preme sottolineare e cioè che i concetti di ‘carità cristiana”, della massima libertà nell’assecondare anche giusti principi come quelli di esplorare, di fare esperienze entusiasmanti, di aiutare senza che sia necessaria una preventiva preparazione ha oscurato in pieno il concetto di responsabilità sociale. Come giustamente rileva Aguzzi, lo sciatore che per dare seguito alla sua ebbrezza della sfida alla montagna mette poi a repentaglio (come è accaduto più e più volte) la vita di validi e provetti scialpimisti, sacrificatisi per mettere in salvo delle persone irresponsabili, non è un messaggio che può passare così disinvoltamente. Se c’è sempre qualcun altro che poi pagherà per la tua intolleranza ad accettare un minimo di regole sociali non è un buon messaggio educativo.
    Ricapitolando, la libertà, la generosità sono doti, qualità preziose di cui è giusto vantarne l’importanza ma che, nello stesso tempo, come tutte le cose preziose, vanno protette, tutelate e non possono essere barattate per effimere soddisfazioni personali (d’altronde, anche nelle Sacre Scritture si raccomanda di non dare le perle ai porci, e la stessa parabola del Buon Seminatore ci insegna che non tutto va elargito a spaglio. Per attecchire, i semi hanno bisogno di un terreno fertile, che sa anche rispondere alle cure.)
    Questo ci permette di riflettere su ciò che potrebbe succedere dopo, non solo a me, ma anche ad altri i quali poi dovranno farsi carico della mia sbadataggine: questa è l’essenza dello spirito della cooperazione sociale che fa sì che l’individuo sappia rinunciare a volte all’ irrefrenabile desiderio di dare seguito ai propri impulsi, siano essi volti a fin di bene o, ancor peggio, a fini malvagi.
    Gli imprevisti ci sono sempre, non possiamo conoscere tutto ma nemmeno possiamo provocarli in una sfida onnipotente.
    Ritornando dunque alla problematica di Silvia Romano, il punto di osservazione qui non può concentrarsi su dettagli che andrebbero valutati in altra sede, ovvero quella politica (anche se latitante) o di intelligence (giocoforza tacitata) e nemmeno sforzarsi di capire se la sua conversione è più o meno libera o forzata, bensì sul fatto che il personaggio Silvia fa passare dei pericolosi messaggi di cedere alla gioiosità di chi si muove sconsideratamente: tanto poi c’è sempre qualcuno che pagherà il conto (e non certo chi è in alto!).

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