Neutralità della scienza?

di Paolo Di Marco

6- neutralità?1

La scienza non credo sia mai stata neutrale; già i sacerdoti sumeri che il lavoro coatto dei contadini rendeva liberi di guardare e calcolare il moto degli astri dovevano rispondere alle domande pratiche su stagioni e semine, su fertilità e divinità; e se le idee di Galileo trovavano varco era anche perchè commercio, industria, finanza si trovavano a disagio nel rigido sistema di credenze e costruzioni metafisiche di troppe discipline. Quindi la libera e continua ricerca della conoscenza (non più σοφια ma φιλοσοφια) delineata da Parmenide si trovava già dagli inizi costretta tra queste due pareti, ideologia da un lato e praticità dall’altro.

Oggi il percorso si muove tra pareti diverse per ogni disciplina, ma per tutte sempre più strette. Due esempi agli estremi dello spettro: la Fisica e la Medicina.

6-1 Medicina

La Medicina è quella di più immediato interesse, ma anche quella messa peggio, e la pandemia in corso l’ha sottolineato con brutale evidenza: la privatizzazione che ha svuotato la funzione pubblica del sistema sanitario lombardo (ma anche nazionale ovviamente) rendendolo incapace di affrontare emergenze è solo il momento terminale di un percorso più generale di finalizzazione brutale e generalizzata al profitto a svantaggio della conoscenza. Non si cercano più antibiotici (da vent’anni non ne esce uno nuovo, nonostante l’apparire all’orizzonte (o meglio nelle camere di ospedale) di superbatteri resistenti) perchè un farmaco che cura con una prescrizione non conviene, a confronto con i medicinali tagliati su misura per le malattie croniche dei vecchi e dei ricchi (cuore, diabete, depressione) che garantiscono guadagni continui; e la ricerca quindi è tutta orientata lì; e non solo, è una ricerca sempre più misera, con novità flebili, esperimenti su pochi casi, dati incerti..purchè alla fine sia brevettabile. E questo in un quadro in cui il farmaco che produce profitti è il protagonista e con lui una medicalizzazione ad oltranza a scapito di prevenzione e stili di vita sani.

Da questo quadro anche un antiscientismo spesso becero e male informato, come quello sui vaccini, ma alimentato ad esempio da episodi come la conferenza di Giacarta dell’ONU: quando la dichiarazione già pronta dei responsabili della salute dei principali paesi viene all’ultimo momento bloccata dalla delegazione americana che crea una dicotomia vaccini contro prevenzione e stili di vita e forza per la medicalizzazione, imponendo i vaccini come unica risposta principe.2 D’altra parte Big Pharma come viene chiamata ormai è un oligopolio assai concentrato e impone facilmente le sue scelte. Aiutata anche dai suoi accordi e cointeressenze con le industrie alimentari (il cibo spazzatura che Nestlè vende nelle favelas brasiliane come nei suburbi neri e latini degli USA alimenta la vendita di medicine per le malattie croniche prodotte da questa alimentazione, dal cuore al diabete). E priva di controlli efficaci, non solo negli USA con lo svuotamento di EPA e FDA, ma anche in Europa, dove ad esempio la Commissione non riesce da 10 anni ad esaminare il dossier sul micidiale Teflon della DuPont, protagonista di migliaia di morti e malformazioni negli USA e lì soggetto a cause miliardarie, ma qui protetto da ombrelli giganteschi dopo l’acquisto di DuPont da parte di Bayer.3

In questo quadro difficile trovare di chi fidarsi, riuscire a districarsi tra i milioni di pubblicazioni più o meno scientifiche. Anche se non impossibile, usando sempre il criterio delle fonti e dei dati: così quando un premio Nobel come Montagnier si presenta a discettare dell’origine artificiale del virus Covid19 è facile scoprire che le sue affermazioni non sono corroborate da alcuna pubblicazione, quindi da dati controllati, al contrario del parere opposto che su Nature articola con dovizia di analisi a favore dell’origine naturale.4

O come il suo conterraneo Raoult che trionfante annuncia la sconfitta del virus (attorniato da folle esaltanti di camionisti clacsonanti e seguito a ruota dal Buffone in Capo americano) per mezzo di idrossiclorochina sulla base di un unico studio su 20 pazienti..da cui prudentemente ha tolto 5 non guariti per ‘abbellire’ i risultati..già inficiati da un periodo di osservazione totale di soli 6 giorni. 5

è possibile orientarsi, ma è sempre più difficile, ci vuole molto tempo (e spesso le cose si sanno troppo tardi) e sono troppo pochi quelli che riescono a informarsi.

6-2 Fisica

Nel suo libro ‘The Trouble with Physics’6 Lee Smolin, uno dei grandi fisici teorici di oggi, tra i fondatori della Loop Quantum Gravity, si lamenta amaramente dello stato della Fisica teorica oggi.

Due i punti centrali : la teoria delle stringhe, uno dei due principali contendenti al ruolo di teoria unificante, non è più fisica, ma un costrutto intellettuale senza alcun punto di riferimento con la realtà in quanto senza possibilità di verifiche sperimentali.

Oltre a non essere veramente unificante, in quanto, a differenza della relatività, mantiene la dipendenza da un sistema fisso riferimento: gli oggetti si muovono su uno sfondo fisso esterno. 7

Il secondo punto è che, nonostante questo, è diventata la teoria dominante anche dal punto di vista della carriera accademica: la grande maggioranza delle cattedre di Fisica Teorica negli USA, ma anche nel resto del mondo, è occupata da ‘stringhisti’, col risultato di essersi assicurata l’autoriproduzione automatica..al di là dei suoi meriti.

Nel 2006 queste e altre critiche danno vita alla ‘guerra delle stringhe’ dove la stessa filosofia della scienza viene messa in discussione insieme ai suoi criteri di vericabilità/falsificabilità.

6-3 L’ombra di Feyerabend

Il criterio popperiano di scientificità, la falsificabilità, certamente non è sufficiente a descrivere il percorso effettivo della scienza; va integrato con la descrizione delle rivoluzioni scientifiche, come fa Kuhn, anche se i meccanismi che lui mette in gioco rimangono in un ambito esterno alla scienza e ricerca stesse e quindi manca una giustificazione integrata dei cambiamenti. Lakatos riempie questo vuoto mostrando la complessità del percorso di ricerca: il ‘programma di ricerca’ ha sì un nocciolo duro, ma intorno c’è una scorza di ipotesi aggiuntive e spiegazioni ad hoc che può venir modificata senza mettere in crisi il nocciolo; salvo quando – e qui l’esperimento torna ad essere cruciale- tutto l’insieme non è più in grado di generare risposte adeguate a fenomeni nuovi. Ma, nel suo afflato libertario, la descrizione-codificazione della ricerca da parte di Feyerabend allenta questi vincoli, ‘autorizza’ percorsi che incontrano l’esperimento assai raramente o solo tangenzialmente; e allora arriviamo consequenzialmente a Dawid8 , dove visto che la teoria delle stringhe non ha rapporti con l’esperimento si costruisce una filosofia della scienza tagliata su misura, dove criterio della verità non è più l’esperimento ma l’eleganza matematica.

Ma il problema è più generale, perchè se con Feyerabend chiamiamo scienza quello che fanno i ricercatori, allora il percorso cieco della ricerca medica asservita nei laboratori solo ai tempi e alle via del profitto va bene anch’essa; o va bene la scomparsa delle scuole di Fisica degli USA, distrutte dalla frenetica corsa dei più brillanti alle cattedre più ricche, in una continua girandola che non lascia traccie durature.

Eppure anche qui, in un cammino non facile, ci sono segnali emergenti che possono indirizzarci: la teoria delle stringhe le cui basi vengono scosse da un esperimento (quello del bosone di Higgs al CERN) che non trova segni delle particelle supersimmetriche che le stringhe prevedono; lo sviluppo fuori dagli USA9 di centri di ricerca fisica che anche se con meno fondi creano vere scuole10, il crearsi col movimento sul riscaldamento globale e con la lotta alla pandemia di una spinta poderosa da un lato di interessamento dall’altra di pressione sulla scienza a uscire dalle logiche di breve periodo e di profitto immediato.

Col risultato non secondario di fornire a tutti strumenti di controllo e conoscenza maggiori.

Una caratteristica comune a tutti i campi della scienza e della sua evoluzione è l’accettazione e la comprensione della complessità dei fenomeni. Grazie anche all’avanzamento degli strumenti matematici (ed informatici) non si ha più paura ad affontarla, a tenerne conto nei modelli senza rifugiarsi in semplificazioni una volta necessarie ma spesso ingannevoli; il caos non è più un orribile buio vorticante dietro la parete ma una porta verso mondi interessanti e curiosi che coesistono da sempre con noi.11

E con l’accettazione della complessità si fa strada, per ora timidamente, la tendenza a ricostruire l’unità del sapere uscendo da un’atomizzazione così spinta da aver sterilizzato larghi settori di ricerca. E sarebbe bello se in fondo a questo cammino si potesse intravedere anche il recupero a tempo pieno della filosofia, non solo di quella della scienza, per aiutare nella ricerca di un criterio di ‘verità’ che rimane irrinunciabile.12

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Note

1 nell’immagine , a fianco di un’immagine arcaizzante, l’attrattore di Lorentz che descrive l’andamento dei cicli metereologici (col famoso ‘effetto farfalla’: una piccolissima variazione delle condizioni iniziali può portare a grandi cambiamenti finali)

2 ONU-OMS-Dichiarazione della Conferenza di Jakarta, 2017

3 Chissà se dopo che è uscito nelle sale il film sull’argomento la algida Commissione se ne occuperà

4 Andersen, K.G., Rambaut, A., Lipkin, W.I. et al. The proximal origin of SARS-CoV-2. Nat Med 26, 450–452 (2020). https://doi.org/10.1038/s41591-020-0820-9

5 v. articolo su NYTimes di S. Sayan del 12/5/2020

6 Lee Smolin, L’universo senza stringhe. Fortuna di una teoria e turbamenti della scienza. Le Scienze 2009

7 a sinistra una rappresentazione di uno spazio di Yau-Calabi che racchiude le dimensioni invisibili delle stringhe, a destra una ‘galleria di tarlo’ (wormhole) che fa parte della descrizione senza singolarità della cosmologia della LQG

8 R. Dawid, String Theory and the Scientific Method’, Cambridge 2013

9 ma non solo ovviamente, pensiamo al Perimeter Institute il cui scopo istituzionale è la promozione di ricerca libera e critica; è vero che è in Canada, ma con fondi USA…

10 riprendendo un esempio poco noto fuori da una ristretta comunità: il finanziamento da parte dello stato sovietico di un istituto di ricerca lautamente finanziato, che raccoglieva i fisici più brillanti senza obblighi nè pratici nè didattici, col risultato di un predomimio teorico durato vent’anni (anche se ufficialmente ignorato, ne parla a porte ormai chiuse Kip Thorne).

11 ci si riferisce alle immagini in blu poste prima di queste note [E. A.]

12 ritornando a Parmenide e alla sua ricerca continua, saltando così anche il congelamento Platonico della conoscenza (non a caso oggi il termine filosofia ci ricorda più la sofia e si è perso il filo, il cammino): riprendiamo qui forse infedelmente un commento di Cerri nella sia introduzione e traduzione di Parmenide

5 pensieri su “Neutralità della scienza?

  1. NB. Nel testo mancano i rimandi alle note.
    ***
    L’articolo di Paolo Di Marco mi pare condivisibile ma io, per maggiore chiarezza analitica, preferirei tenere distinti i diversi piani del discorso. Il termine “scienza” può significare diverse cose e la qualifica di “neutralità” e “non neutralità” non si applica allo stesso modo ai diversi significati.
    1)
    Scienza è innanzitutto l’insieme dei risultati del sapere scientifico. Qui abbiamo il massimo livello di neutralità possibile perché una teoria, una volta dimostrata vera (o che almeno sembri vera e che funzioni entro un certo ambito di fenomeni), si emancipa dalle influenze ideologiche che accompagnano ogni attività umana e diventa usufruibile da qualunque posizione politica. Ciò avviene soprattutto nel campo delle scienze esatte e in quello della matematica, mentre nelle altre scienze è più problematico il raggiungimento di una teoria priva di componenti ideologiche e quindi di una teoria che tutti possono usare indifferentemente dalle posizioni politiche.
    2)
    Scienza è poi un termine che si usa anche per le attività di ricerca e nell’ambito dell’organizzazione accademica, industriale e artigianale dei ricercatori. In questo caso mi pare che non si possa parlare in nessun modo di neutralità. Il complesso di risorse umane e di mezzi che si applica alla ricerca scientifica è soggetto a tutte le influenze ideologiche (e anche di interessi di carriera e economici personali o aziendali) come qualsiasi altro complesso di risorse (letterario, filosofico, tecnologico ecc.).
    3)
    Scienza, inoltre, è un termine che si usa anche nell’ambito della riflessione sul lavoro e sui risultati di 1) e 2), sia come analisi analitica nei diversi campi della “filosofia della scienza”, fatta dagli stessi scienziati – ricercatori o fatta da altri che scienziati e ricercatori in senso stretto non sono, sia nel campo della conoscenza, sia in quello del metodo come problemi posti dall’attività scientifica e dai suoi risultati. Qui siamo nell’ambito della filosofia e non c’è nessuna neutralità a priori che valga. Come in altre discipline filosofiche, si avrà maggiore neutralità se il filosofi è lui stesso più libero da ogni tipo di condizionamento (mai libero al cento per cento, ma un diverso livello di libertà, diciamo, dal 70% al 30%, fa molta differenza); se invece non è libero, ma è al servizio di qualche particolare posizione o interesse, la sua riflessione non avrà nessuna neutralità.
    Conta poi il metodo con cui il filosofo lavora: può seguire un metodo rigoroso che Parmenide indicava come via della verità e sforzarsi con cura di evitare le fallacie del ragionamento, e innanzitutto di cadere in contraddizione. L’applicazione di una metodologia rigorosa alla riflessione filosofica non garantisce del tutto la neutralità, ma permette di eliminare i condizionamenti di cui si è consapevoli e di ridurre quelli più nascosti di cui non si è consapevoli. Se si segue invece la via dell’opinione, già di per sé si sceglie, fin dalla partenza, di essere condizionati. Soprattutto condizionati da se stessi portandosi dietro, nel proprio lavoro di riflessione, la propria storia autobiografica. E condizionati da tutti i condizionamenti che di quella storia facessero parte. Questa è la via dell’opinione o di quelle «ineptias» da evitare di cui parla Cicerone, termine che alcuni traducono con inezie e altri con chiacchiere. Con le chiacchiere non si è mai neutrali.
    4) Infine vi è un altro aspetto in cui la non neutralità ha buon gioco, ed è quello dell’utilizzazione tecnologica, industriale e sociale dei risultati della scienza. Se io posso affrontare un problema applicando due diversi risultati e prodotti scientifici (prodotto in senso materiale, come ad esempio una scatola di medicinali, ma anche in senso non materiale, come ad esempio una procedura anziché un’altra), ognuno in sé valido entro l’ambito nel quale è stato sperimentato, scegliendo non il più adatto ma quello che più mi fa comodo per motivi estranei alla soluzione del problema, certamente la mia scelta non è neutra ed è una scelta “politica” e comunque opportunista.
    5) A quanto detto sopra va poi aggiunto il peso delle tradizioni locali o nazionali. Alcune ricerche sociologiche hanno dimostrato che la propensione a risolvere i problemi varia, nell’uso dei mezzi, a secondo della cultura complessiva in cui si vive. In particolare, nel campo della medicina, un paziente può dover affrontare un iter terapeutico molto diverso se l’affronta a Roma o a Mosca o a New York. Negli Stati Uniti, ad esempio, vi è una maggiore propensione alle terapie chirurgiche rispetto all’Europa, dove si preferiscono quelle farmaceutiche, se possibile.
    Ma siamo sempre nell’ambito del lavoro scientifico e non in quello del sapere scientifico “puro”, inteso in se stesso come complesso di risultati sperimentati.
    Le inevitabili distorsioni della non neutralità affettano in maniera più o meno massiccia proprio gli aspetti del “lavoro”, sia per avere risultati sia per applicarli. Il lavoro coinvolge chi ci lavora, cioè l’uomo in tutte i suoi aspetti e non solo lo scienziato. Non può pertanto essere neutro. C’è sempre una questione di competenze, di rigore, di onestà, di libertà. Meno si è competenti, liberi e onesti e più si sarà soggetti ai condizionamenti.

  2. Molte delle precisazioni sono preziose; io sottolinerei ancora che anche risultati rigorosi non sono spesso scevri di distorsioni (gli inglesi direbbero ‘bias’): basti pensare a Ticho Brahe, che nonostante le analisi Copernicane si attaccava disperatamente all’idea della Terra come centro fisso dell’Universo; o più vicino a noi alla stessa Teoria delle Stringhe (in molte delle sue versioni) che si fa un baffo dell’elemento centrale della Relatività Generale, la mancanza di un sistema di riferimento esterno.
    Ma forse l’elemento più importante non è la neutralità ma la verificabilità: che meccanismi abbiamo a disposizione per controllare i risultati, per verificarne la coerenza sia con le premesse sia con l’osservazione; e questo è in fondo il senso di tutto il discorso svolto nelle tre puntate.

    1. Infatti, ho scritto «teoria, una volta dimostrata vera (o che almeno sembri vera e che funzioni entro un certo ambito di fenomeni)», proprio pensando che la “verità” di una teoria è da ritenere sempre provvisoria e fino a prova contraria (falsificazione). Nel caso di Ticho Brahe hanno giocato a suo sfavore i condizionamenti della tradizione e della cultura del tempo che lo hanno ancorato a dei punti fermi, che in seguito sono stati superati e passati al rango di pregiudizi.
      La Teoria delle stringhe, per quel che ne capisco, è solo una costruzione matematica e quindi non ha altri problemi che quelli della sua coerenza interna. Non ha nessuna verifica sperimentale. La matematica, come e più della filosofia, può fornire idee e suggerimenti ma non sostituire la fisica, cioè il rapporto sperimentale con i fenomeni.
      Sono d’accordo che la verificabilità è più importante relativamente alle teorie, mentre la neutralità è un problema che riguarda più il complesso del lavoro scientifico che la scienza in senso stretto. Non abbiamo altri mezzi per controllare i risultati che la capacità del lavoro scientifico di autocorreggersi col tempo e con l’accumulo di risultati di diversa provenienza. Uno scienziato può elaborare una teoria ma la scienza è una costruzione collettiva con tutte le dinamiche proprie del lavoro collettivo. E in questo suo aspetto il potere politico ed economico ha buon gioco per intervenire e condizionare gli indirizzi di ricerca, l’uso degli investimenti, le priorità da perseguire, le carriere dei ricercatori ecc.

  3. “un costrutto intellettuale senza alcun punto di riferimento con la realtà in quanto senza possibilità di verifiche sperimentali”

    “dove criterio della verità non è più l’esperimento ma l’eleganza matematica”

    “un criterio di ‘verità’ che rimane irrinunciabile”.

    Non penso sia possibile affermare senza “dolore” certa posizione.
    Ma penso anche che quel dolore abbia un preciso punto di origine, sollevato il quale la pena cessa.

    Finché si fa corrispondere il vero al pronunciamento della scienza non potrà però accadere.
    Finché non si riconosce l’autoreferenzialità della scienza si resta aperti alla malattia dello scientista.

  4. Molti elementi dell’attualità rimandano ai problemi che qui sottolineavo; ché il virus e la sua gestione e indigestione hanno esaltato sia il ruolo della scienza sia i guai del suo metodo:
    – ultimissimo: il direttore scientifico del beato san Raffaele (chi conosce la liturgia cittadina sa di quali beatitudini si parla..alcune infelicemente confinate ai domiciliari, anche se con la lingua ancora assai lunga) afferma che il virus è praticamente scomparso, documentazione in arrivo su prestigiose riviste; ma spiega nel frattempo perchè: mutazione debilitante. Peccato questa sia solo un’illazione senza prove.
    Più convincente la spiegazione del biologo Bucci, che evidenzia uno dei tanti casi di errore statistico colla metafora della piramide: in cima i casi più gravi, con maggior carica virale, in fondo i leggeri e gli asintomatici, con carica virale decine di volte minore; all’inizio della pandemia si analizzava (coi tamponi) la cima, ora si analizza la base.
    Ma c’è anche forse una morale, dato che, sempre usando la statistica, l’errore del san Raffaele è improbabile sia disinteressato, data l’urgenza dei privati a tornare a malattie/affari più redditizie
    – un altro errore statistico interessante riguarda l’efficacia dei tamponi e dei test sierologici: data una popolazione con un tasso di contagiati del 5% (com’è il livello probabile in Italia e in molti altri paesi) e dati dei test con un’efficacia del 90% (il restante sono falsi positivi o falsi negativi) la probabilità effettiva che un tampone fatto a una persona qualunque dia un risultato corretto è 1/3; il motivo si chiama ‘deformazione (bias)’ del campione, e dipende dall’alto numero relativo di falsi positivi/negativi
    – ne ho già parlato in altro articolo (vuoto, pieno,….) ma continuano a rilanciare la cosa (l’ultima la mia farmacista): il virus viene da un laboratorio; ho già detto che l’affermazione al proposito di Montagnier non è corroborata da prove, non essendoci pubblicazioni, al contrario della tesi opposta apparso in un ben documentato articolo su Nature; ma avendola lanciata anche Trump la cosa si è amplificata: peccato che il buffone in capo si dia la zappa sui piedi, dato che il laboratorio di esperimenti batteriologici avanzati di Wuhan è stato messo in piedi dai francesi, ma poi questi ne sono stati bruscamente scacciati dai nuovi padroni, gli americani (come documenta un articolo sul Manifesto della settimana scorsa)

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