Per Pierino Manni

di Romano Luperini

Ho conosciuto Pierino nel 1980, quando ho vinto la cattedra di ordinario all’università e mi sono trovato sbalestrato in quella di Lecce. 17 ore di treno e altrettante al ritorno tutte le settimane, salvo accorgermi poi che ero uno dei pochi ordinari a insegnare e i più se ne stavano tranquillamente a casa facendo lavorare gli assistenti al loro posto. In due anni per esempio non ho avuto mai modo di conoscere il titolare dell’insegnamento di Letteratura italiana che pure veniva da Roma e non da Siena come il sottoscritto. D’altronde la disorganizzazione era totale e la Facoltà di Lettere dell’università di Lecce allora era piuttosto un luogo dove esibire un potere locale che una istituzione addetta alla istruzione superiore. Ricordo lo stupore dei colleghi e dei segretari quando chiesi una macchina da scrivere nel mio ufficio per lavorare. Cercai di rimediare organizzando un libero seminario di letteratura contemporanea a cui potevano partecipare tutti gli interessati, anche se non erano studenti universitari. Così conobbi Annagrazia Doria e poi il marito, Pierino. Entrambi insegnanti, avevano deciso di svolgere la loro funzione all’interno del carcere minorile di Lecce, in modo da unire impegno civile e culturale (costante intreccio del loro modo di intendere la vita). Diventammo amici. Cenavo spesso da loro che mi allettavano comprando i dolci più squisiti della città che poi io e il loro figlio, allora all’incirca dodicenne, divoravamo con grande diletto. Poi cominciai ad andare a dormire a casa loro, usufruendo della loro generosità e ospitalità.

Pierino allora era in quella parte dello PSIUP che si riconosceva nel Manifesto. Ricordo di avere incontrato Pintor a casa sua. Più avanti, con altre liste sempre di estrema sinistra, Pierino entrò a far parte del consiglio regionale della Puglia. Ma più che altro era un punto di riferimento per tutti i compagni, al di là di ogni schieramento politico. Il suo carattere allegro e misurato, pieno di vita e di iniziative ma anche tranquillo e pacato nel ragionamento lo rendevano una figura di saggio arguto e avveduto, su cui si poteva sempre fare affidamento. Era anche notevolissimo scrittore, inventivo, originale, vagamente gaddiano nel linguaggio sempre sorprendente, sia che scrivesse una guida semiseria della Puglia sia che si impegnasse in racconti ispirati alla storia o alla vita quotidiana pugliese.

Il secondo anno venni richiamato da Siena, ma preferii continuare anche a Lecce il corso che vi avevo già cominciato. Il lunedi e il martedì insegnavo a Siena, il mercoledì e il giovedì a Lecce, il venerdì mi fermavo a Roma nella direzione di DP di cui facevo parte. Fu allora che Pierino mi parlò della sua intenzione di fondare un periodico di cultura, l’Immaginazione e poi, qualche mese dopo, addirittura una casa editrice, che provvisoriamente pensava di installare nel garage e nello studio di casa. Mi chiese di collaborare al primo e di dirigere una collana per la seconda. Facemmo vari progetti, organizzammo convegni (cui parteciparono, ricordo, Leonetti, Ferretti, Giuliani, Pagliarani), uno dei quali, anni dopo, ebbe particolare successo: quello contro i poeti innamorati e l’orfismo allora trionfante; e finalmente anche la rivista cominciò a uscire, grazie pure all’aiuto e alla collaborazione che ci dette Maria Corti, che a Lecce aveva insegnato anni prima. La rivista e la casa editrice ebbero un successo insperato e vari giornali, ricordo, li presentarono come il prodotto di “due leccesi milanesi” (per capacità operative e organizzative).

Mano a mano che gli anni passavano la frequentazione fra noi divenne di necessità più sporadica, ma la mia collaborazione alla rivista e alla casa editrice restò inalterata. Finché Pierino si ammalò e fu ricoverato a lungo alle Molinette di Torino per un difficilissimo intervento di trapianto del fegato. Lo andai a trovare alle Molinette. Non era più ricoverato, aveva affittato un piccolo appartamento davanti all’ospedale dove abitava con la moglie, in modo da poter seguire le cure mediche senza essere degente. Era più pallido e magro, ma al solito non mancava di buon umore e di ottimismo, sostenendo che si sentiva benissimo. La moglie lo guardava, sorrideva e un poco scuoteva la testa.

Ho visto Pierino per l’ultima volta due anni fa. Aveva organizzato la presentazione di un mio libro. Ma aveva la febbre tutti giorni. Nondimeno dopo la presentazione e la cena mi portò nella sua nuova casa a San Cesareo. Eravamo soli, perché Annagrazia era andata a un festival della piccola editoria. Ma lui era troppo stanco e io troppo triste a vederlo così sofferente e ci scambiammo solo poche parole. Un pudore invincibile ci tratteneva e paralizzava. Non faceva parte delle nostre abitudini dirci quello che sentivamo, quando le parole avrebbero rivelato solo la nostra debolezza. Così tacemmo, lui in una stanza, io da solo nel letto matrimoniale in una altra. La mattina dopo volle accompagnarmi in auto all’aeroporto di Brindisi. E anche nell’auto quel silenzio, quel non dire la paura che ci stringeva il cuore: che non ci saremmo visti più.

6 pensieri su “Per Pierino Manni

  1. Non l’ho conosciuto e mi dispiace. Però mi sembra di potermi fare un’idea di come era e di quello che faceva. Perché, un poco, conosco il Sud.

  2. Ah, il Sud! La terra del rimorso… Voglio affiancare al ricordo scritto da Romano Luperini le parole che la compagna e inseparabile collaboratrice di Piero Manni, Anna Grazia D’Oria, scrisse per ricordare Franco Fortini morto nel 1994. Uscirono insieme ad altre testimonianze in un libretto che pubblicammo nel 1996. In esse c’è l’ammirazione piena di affetto e stima per Fortini ma ci sono anche notizie sulle attività culturali intraprese dalla loro casa editrice.

    …CHIESE UNA CIMA DI CICORIA CRUDA, DI QUELLE A SPICCHI, A FORMA DI CUORE, DA PORTARE ALLA MOGLIE…
    di Anna Grazia D’Oria

    Fortini venne nel Salento nel 1985, a fine novembre.
    Tenne di mattina un incontro con gli studenti di Lecce, in una grande sala gremita. Poi, di sera, a Casarano, piccolo centro più a sud, in un cinema parlò e dialogò con un pubblico vario: intellettuali e contadini intervennero al dibattito stimolati dai suoi discorsi; Romano Luperini si trovò a coordinare un’assemblea che si confrontava su temi non specificamente di letteratura. Anche a Fortini questo piacque. Era contento, in auto, percorrendo le nostre lunghe strade diritte, di guardare gli ulivi così diversi da quelli liguri e si informava di tutto: società, cultura, economia.
    A cena si entusiasmò per i cibi della cucina tradizionale salentina, chiese una cima di cicoria cruda, di quelle a spicchi, a forma di cuore, da portare alla moglie.
    Allora io conoscevo Ruth soltanto perché compariva citata sui libri come traduttrice di molti autori e poi attraverso le poesie di Fortini, una soprattutto, bellissima, a lei dedicata. Fortini disse che con Ruth sarebbero tornati insieme, da turisti, in Puglia. Egli era stato già conquistato da Trani, dalla cattedrale sul mare che aveva visto in un tramonto rosso fuoco: ne aveva parlato innamorato a Piero Manni e a me ad Ameglia, sulla Bocca di Magra, nella sua casa estiva arrampicata nel verde dove riceveva per lunghi colloqui gli amici vecchi e giovani.
    Ci incontravamo spesso anche a Siena durante i Convegni e la sua compagnia a cena dopo era piacevolissima. Lo sappiamo tutti che era un gran parlatore. Una volta, tornando verso la Certosa di Pontignano, c’era anche Roberto Bugliani, ci stupì un istrice enorme che ci attraversò la strada.
    Sì, era un conversatore instancabile e automaticamente, chi gli stava vicino, diventava un ascoltatore rapito da quello che diceva e diventava discepolo.
    Seguiva “l’immaginazione” e la nostra produzione editoriale con interesse: dava consigli, accondiscendeva alle mie richieste di testi per la rivista, e spesso era lui stesso a telefonare:- Vi mando…
    Ed è stato nostro autore. Due suoi libri sono nel catalogo della Piero Manni: Diario tedesco, che seguì scrupolosamente e umilmente come sapeva fare quando voleva, e poi l’ultimo, che non ha visto, Trentasei moderni. Breve secondo Novecento, che nasce da sue conversazioni alla Radio Svizzera italiana.
    L’idea era di stampare quest’ultimo nelle edizioni curate da Attilio Lolini, nei “Quaderni di Barbablù”. Ma Fortini ebbe resistenze a pubblicare un libro di così immediato impatto contemporaneo, poi la collana stessa tacque. Fortini ci ripensò. Lo preparò per la Piero Manni. Ordinato e costruito, compreso il titolo così come è e il testo, fu argomento di conversazione nelle telefonate che si concedeva nella pause della malattia e del dolore. Quindici giorni prima di morire disse:- Non ho più dubbi sulla pubblicazione. Il testo è pronto e completo e lo spedisco subito.
    Fortini morì. Il manoscritto non arrivò. Quando mi venne il coraggio raccontai il fatto a Ruth. Lei guardò fra le carte e nei cassetti e nel computer coinvolgendo anche altre persone nella ricerca. Le speranze erano ormai perdute. Un giorno, dopo qualche mese, lei telefonò: il testo era venuto fuori, nel computer. Così adesso è libro, ed è un altro tassello del pensiero di Fortini, con i suoi giudizi su autori e temi della cultura militante, con la sua visione della funzione della letteratura.
    Ma Fortini non c’è più. Quando i grandi se ne vanno lasciano un vuoto che non può essere colmato. La società rimane priva del loro aiuto. Restano gli scritti per le nuove generazioni. A me, a tanti, rimane anche il ricordo di aver conosciuto l’uomo, il maestro. Non è poco, anche se non basta.

    (da “Se tu vorrai sapere…” TESTIMONIANZE PER FRANCO FORTINI, dicembre 1996,
    COLOGNO MONZESE)

  3. Apprendo con molto dolore della scomparsa di questo meritevole e coraggioso editore del Sud.
    Gli avevo proposto la pubblicazione di un mio libro, peraltro accettata, ma la cui prosecuzione editoriale ho dovuto temporaneamente sospendere per sopraggiunti miei importanti problemi di salute.
    Trovai in lui una gentilezza squisita non solo nel capire la situazione in cui mi stavo trovando, ma anche nel mettermi parte di suoi problemi di salute analoghi e facendomi gli auguri per affrontare e superare i miei. Poi i nostri destini si separarono ma mi rimase molto impressa la capacità di Piero Manni di saper coniugare una visione commerciale di ampia portata ad una componente personale, partecipativa, che andava ben oltre quella che caratterizza la specialità della gente del Sud.
    Credo che la sua perdita segnerà molto l’esperienza culturale di quel Salento che gli stava così tanto nel cuore.
    Un solidale abbraccio ai suoi famigliari e ai suoi collaboratori.
    Rita Simonitto

  4. Il particolare sui dolci “divorati” a casa Manni I(i mitici dolci leccesi) raccontato da Romano Luperini nel suo commosso ricordo di Piero, mi ha riportato alla mente un episodio che forse sarebbe rimasto prigoniero dell’oblio. Vari anni fa, io e Piero ci trovavamo a Parigi e una mattina decidemmo di andare a fare colazione in un café. Io rimasi subito colpito dal défilé di paste e dolci che quasi con arroganza (non ho mai visto un popolo che se la tira coi dolci più dei francesi) il café esibiva dietro le sue vetrine. Piero invece guardò il tutto con un certo disincanto e mi disse che il bar dove di solito andava a far colazione a Lecce era molto più rifornito di quello.
    Ciao, Piero. RIP.

  5. Un bellissimo lacerto di vita. Ripenso con nostalgia a un Salento che non c’è più. A Manni. E a Luperini, che in tempi andati mi incoraggiò sulle strade della critica e della poesia.

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