4 pensieri su “Tabea Nineo

  1. Da Marcel Duchamp in poi l’arte figurativa ha subìto una indubitabile crisi, che ha portato infine al concettuale, dove i ponti sono stati del tutto recisi. Si è dovuto, successivamente, ripartire quasi da zero, volendo recuperare una tradizione artistica millenaria, per altro dura a morire; nella sua ricerca teorica Cesare Brandi evidenziò, appunto, come nel secondo ‘900 sia stato il recupero del legame fra segno e immagine a riportare tradizioni e regole dell’ arte del passato. In questo senso il disegno ha avuto un ruolo fondamentale, proprio per le sue caratteristiche di essenzialità e di libera invenzione. La sua evoluzione, nella forma e nelle tecniche, ha accompagnato tutto il successivo cammino dell’arte. La grammatica del disegno, creatrice di sintesi e di potenza evocatrice, ha funzionato come una sonda lanciata nell’inconscio, assecondando una ricerca culturale che ne è stata fortemente condizionata.
    In questo senso, ad esempio, l’opera di Paul Klee, dove nel disegno si esprime una capacità e una sintesi espressiva distinta dalla pittura, ha spinto verso un’espressione primordiale e una moderna, sofferta spiritualità, nonché verso quella dimensione di “confessione creatrice” che consente all’artista una maggiore intimità. Può accadere, a mio avviso, che un disegno, un abbozzo, uno schizzo o un’incisione possano avere un maggior valore identitario e artistico rispetto a un quadro. Nella mia attività spesso mi è capitato di preferire il disegno di un artista a una sua opera, riscontrandovi una maggiore essenzialità e un minore condizionamento tecnico-formale. Mi piace ipotizzare un paragone in campo letterario: un haiku giapponese a fronte di una elaborata poesia occidentale, mutatis mutandis.
    In questo blog viene pubblicata una rassegna diacronica dei disegni di Tabea Nineo. Osservando queste opere, per quanto mi viene consentito dalla semplice riproduzione, ho riscontrato di primo acchito le caratteristiche di cui sopra, in fieri, dove si innestano quelle istanze che vorrebbero attualizzare il messaggio di un’arte figurativa di attualità. Provo ad evidenziarne alcune caratteristiche, fermo restando che la mia esperienza mi porta a ritenere che la conoscenza diretta dell’artista (che in questo caso non ho) sia importante per capire il suo percorso e per entrare nel laboratorio tecnico, nella sua officina.
    Il ‘Narratorio grafico’ comprende disegni del periodo ’76/’86. In queste opere si riflettono temi di anni caldi di tensioni politiche e culturali, di lotte sociali; ma anche visioni oniriche e inconsce, elementi di realtà urbana e contadina, oppure singoli soggetti o persone. Nei disegni la linea è descrittiva ed espressiva al contempo, vibrante, partecipe. C’è una prevalenza del vuoto sul pieno, un uso misurato del tratteggio, qualche netto contrasto di chiaro-scuro, di luce-ombra.
    Al di là di reminiscenze Picassiane o di correnti di pittura meridionale, in certe figurazioni e nel raro uso del colore, l’artista ha una sua cifra, una propria identità che va collocata in un alveo espressionista, più che astratto-informale. In tutte le opere salta all’occhio una netta opposizione, un forte contrasto a un formalismo di tipo estetico, perentoriamente cercata; un disegno figurativo che sfugge all’accademismo e declina verso un sofferto realismo. Non indugio sulla descrizione dei singoli lavori, perché sono tanti e ciascuno meriterebbe un discorso a sé. Invito, semmai, il lettore di queste brevi note a prenderne visione, per farsene un’idea personale.
    Qualche pittore amico, nel passato, per valutare l’effettivo talento di un artista, mi suggeriva di esaminare i suoi disegni; e sono tuttora convinto che questo consiglio valga, e ancora di più, verso gli artisti contemporanei .

    1. @ Franco Casati, ringraziandolo per l’attenzione

      QUATTRO APPUNTI VELOCI

      1.
      Mi chiedo se davvero l’arte concettuale (o in generale l’astrattismo) abbia rotto tutti i ponti con la tradizione millenaria dell’arte figurativa. E anche se, dopo di essa, si è proprio dovuto “ripartire quasi da zero”. Col tempo, attenuatosi impatto anche emotivo della scoperta e mitizzazione dell’arte “moderna” (ricordo i volumi della Fabbri editori degli anni ’60), sono diventato più scettico verso i discorsi che parlavano di “tabula rasa” rispetto alla tradizione (penso al futurismo) e più attento a quelli che sottolineano la complessa dialettica continuità/discontinuità anche nelle vicende dell’arte.

      2.

      Sì, posso pensare, come tu dici, che “un disegno, un abbozzo, uno schizzo o un’incisione possano avere un maggior valore identitario e artistico rispetto a un quadro”, ma per convincermene dovrei avere degli esempi. Io tenderei a pensare che disegno e quadro siano forme diverse e forse non comparabili. Mi viene da pensare a certi miei disegni buttati giù in pochi secondi mentre su un quadro ad olio ci lavoro, magari a più riprese, per ore o anche a distanza di mesi. I ritmi di composizione mi paiono definire due modi differenti di costruire l’oggetto artistico ( e anche la percezione sarà forse diversa: come guardare un paesaggio andando a piedi o stando su un treno veloce…)

      3.
      L’essenzialità si raggiunge più col disegno e il disegno è accostabile ad un haiku? Chiedo ancora degli esempi. Che dire dei disegni di Escher? Sono accostabili a degli haiku?

      4.
      Rivendendo questi disegni, che avevo dimenticato, mi accorgo che in quel decennio ’76/’86 si riflettono “temi di anni caldi di tensioni politiche e culturali, di lotte sociali; ma anche visioni oniriche e inconsce”. E a volte l’avevo indicato anche nei titoli assegnati al momento della stesura. Ma più che una ricerca di essenzialità voluta o artisticamente consapevole, mi pare di cogliere soprattutto il modo convulso con cui allora disegnai eventi convulsi di quei tempi che mi colpivano di più proprio perché vissuti nella condizione del militante politico. Il raro uso del colore era forse dovuto proprio a quelle condizioni precarie in cui li eseguivo.

  2. Come l’arte concettuale, quella che si traduce nelle cosiddette ‘installazioni’, abbia rotto i ponti col figurativo non sono il solo a dirlo, ma è soprattutto l’evidenza; che un quadro sia una cosa diversa da un disegno è cosa ovvia. Miravo semplicemente a richiamare l’attenzione sul valore di testimonianza artistica del disegno, che viene spesso e a torto sottovalutato, e sul carattere più personale che di documento. Sembra che Abate non voglia condividere il mio apprezzamento verso i disegni di Tabea Mineo, la visione che un autore ha della propria opera spesso non coincide con quella di un critico…

  3. @ Franco Casati

    Ma no! Condivido (tant’è vero che ho pubblicato la tua riflessione anche sul Narratorio grafico di T.N.). Cercavo solo di capire meglio le questioni.

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