寒 山 Han Shan

Il Poeta Folle

a cura di Enzo Giarmoleo

Han Shan è il nome del poeta eremita conosciuto in occidente come il folle illuminato, il lunatico Zen, che visse in Cina sulle Montagne selvagge di Tiantang, nella provincia di Zhejiang. Gli studiosi, che non dispongono di dati precisi, collocano il poeta tra il sesto e il nono secolo d.C, periodo della dinastia Tang. L’immagine agiografica lo rappresenta ilare, trasandato, con in mano un rotolo di pergamena.

Si dice che l’eremo selvaggio della Montagna Fredda, dove Han Shan aveva scelto di vivere e da cui prende il suo nome, non fosse distante dal monastero Kuo-ch’ing. Qui aveva due amici, che vivevano ai margini del monastero, Feng Kan addetto alla pulitura del riso e Shih-te, che lavorava nella cucina e forniva agli eremiti gli avanzi di cibo che nascondeva in tubi di bambù.

Si dice che a volte Han Shan andasse su e giù per la veranda del monastero lanciando di tanto in tanto grida gioiose, ridendo o parlando a se stesso. Se redarguito, batteva le mani, rideva fragorosamente e si dileguava. A volte si riscaldava vicino al fuoco confabulando con Shih-te, anche lui poeta fuori dalle regole, che rideva in faccia al mondo.

Si dice che Han-Shan e Shi-te fossero considerati incarnazioni dei bodhisattva Mañjuśrī e Samantabhadra, divinità importanti del pantheon buddista.(1)

Si dice che il cappello di Han Shan fosse fatto di corteccia di betulla, i suoi vestiti di stracci e le sue scarpe di legno. Sembrava un vagabondo, il suo corpo e la sua faccia apparivano sofferti.

Tutte queste ed altre informazioni si trovano nella prefazione di una raccolta di più di 300 poesie di Han Shan, scritta da Lu Jiuyin, funzionario della dinastia Tang. Il funzionario aveva cercato di contattare Han Shan che rifiutava i rapporti umani e qualsiasi forma di asservimento. Lu Jiuyin nutriva però grande stima nei confronti del poeta e perciò arruolò alcuni monaci che raccolsero le poesie che Han Shan aveva scritto sulle rocce, sulla corteccia degli alberi e sui muri, per farne una raccolta.

Certo un poeta che sghignazza nella natura selvaggia, colpisce l’attenzione del lettore e rimanda a mille interrogativi. Tuttavia questi aneddoti affascinanti potrebbero essere inventati se si pensa che dalle ricerche fatte non risulta l’esistenza di una persona che corrisponda al nome di Lu Jiuyin. Le poesie di Han Shan sono comunque l’altra fonte importante cui attingere per capire la sua personalità e la sua concezione del mondo.

La poesia di Han Shan è sicuramente legata al Buddismo introdotto in Cina nel primo secolo d. C. Qui il Buddismo ebbe un effetto rivitalizzante sulle arti in generale, ma non sulla letteratura e sulla poesia cinese. Esiste in Cina un enorme corpus di poesia buddista in lingua cinese, ma si tratta spesso di immagini poetiche retoriche. Han Shan è un’eccezione; la sua poesia, lontana dalla retorica, è permeata da sentimenti profondi ed occupa un posto importante nella letteratura cinese. Usa una lingua vernacolare invece della dizione poetico letteraria, non fa certamente parte degli ambienti ufficiali e infatti viene escluso dagli studiosi di poesia Tang a causa della sua poetica non convenzionale . (Cultural translation…Gary Snyder and Brice Marden in Dialogue with Han- Shan)

Se accettiamo la datazione di cui sopra, si suppone che Han Shan sia vissuto in una fase in cui lo Zen cinese aveva raggiunto la sua massima creatività, un periodo in cui i ferventi buddisti rifiutavano il formalismo del primo buddismo Tang e preferivano restare “credenti laici”. In questo senso è possibile che egli sia stato influenzato e abbia acquisito quella “spensierata illuminazione Zen” per cui era venerato in Giappone.

L’uso della terminologia buddista da parte di Han Shan ha portato alcuni studiosi ad una interpretazione rigida della sua poetica.

In sintesi, sebbene Han Shan parli dall’alto di una situazione di calma e illuminazione, spesso sembra profondamente coinvolto nelle ansietà e nelle apprensioni che “l’illuminazione” si suppone dovrebbe dissipare. Come dice Burton Watson, Han Shan non è sempre “blissfully content” cioè “beatamente contento”.

A volte esprime serenità ma altre volte diventa altezzoso, arrabbiato, arrogante o selvaggiamente euforico come ci suggerisce la prefazione della famosa raccolta; oppure, esprime sentimenti di solitudine, di debolezza, di fragilità, di disagio nei confronti della società da cui fugge, come emerge dalla lettura delle poesie. Egli è insieme un attendibile buddista e un essere umano vulnerabile. La sua ammissione di solitudine e disperazione, mette a disagio i commentatori Zen e in genere i critici di turno che vedono in lui il Buddista, il Taoista o il monaco Zen a seconda del monastero di appartenenza.

La fragilità, il suo lato umano e la sua determinazione fanno di Han Shan un poeta universale, senza tempo.

Potremmo definirlo il poeta della natura se ci riferiamo a quella sua capacità di diventare un tutt’uno con l’habitat, oppure un hippy ante litteram nella sua decisione di allontanarsi dalla società, un laico zen o ancora un “rivoluzionario”, un eremita ribelle. Credo che tutti questi aspetti non siano da sottovalutare ma la grandezza di Han Shan emerge dalla dialettica fra l’aspetto della ritualità e l’aspetto umano che rende visibili anche i suoi momenti euforici, le sue solitudini e le sue angosce. A volte sembra che il fine ultimo non sia l’illuminazione o scoprire la “Via”, ma il processo che porta ad essa con tutto ciò che di umano e di fragile il poeta porta con sé.

Insomma, Han Shan è un antieroe, non è perfetto e può accadere che il nostro sentire si riconosca nei versi di questo poeta di più di mille anni fa. (Georg Mertens “Poesie dalla Montagna Fredda). Le poesie, tutte senza titolo, trattano varie tematiche: il poeta da giovane, il contadino con problemi di povertà e discordie familiari; il funzionario con una carriera che si ritira sulla Montagna Fredda e tante altre. Qui ho scelto sette poesie già tradotte in inglese da Gary Snyder che evidenziano il disgusto crescente del poeta nei confronti della società, la sua ricerca per staccarsi delle “polveri del mondo”, la brevità della vita, la povertà e altre segnate da sentimenti di solitudine, distacco dall’Io e senso di impermanenza. In coda ho aggiunto una breve poesia tradotta in inglese dallo Yogi Chen quasi a voler sottolineare la dialettica tra il rituale e l’umano.

Han Shan fa il suo ingresso nella cultura occidentale anche grazie a Gary Snyder, poeta della “wilderness” (2) che nel 1950 studiava lingue orientali a Berkley. Accettando la sfida del suo prof. Chen Shih-Hsiang, comincia a tradurre un poeta allora quasi sconosciuto dal nome Han Shan, un poeta con il quale il prof. pensa che Snyder abbia una speciale affinità. Snyder traduce in inglese 24 delle 300 poesie di Han Shan. Il risultato è un incontro tra la mentalità buddista cinese Zen di Han Shan e la meditazione, il lavoro e le attività della “wilderness” di Snyder.

La poesia di Han Shan ha attirato l’attenzione di moltissimi e importanti traduttori e poeti specialmente americani: Red Pine, Robert Hendricks, Peter Lewit e Kazuaki Tanahashi, Arthur Waley e Burton Watson, per citarne alcuni. La ricerca su Han Shan potrebbe durare all’infinito. Mi limito per ora a questo scritto ricordando che le note di ogni poesia vanno ad integrare questa introduzione.

(1)Ancora oggi i bodhisattva sono tenuti in grande considerazione, sono oggetto di grande venerazione come il Gautama, il Buddha storico che, pur avendo raggiunto la liberazione, rinunciò al proprio livello, per assistere gli uomini e guidarli verso la salvezza

(2)Wilderness: natura selvaggia

Per Snyder la wilderness, non è solo quella esterna, la natura selvatica, ma soprattutto quella interiore, il selvatico dentro di noi; quella parte inconscia ma incontenibile che ci porta nell’altrove da noi, che è la vera via verso il ritorno a casa, cioè a noi stessi.

Analisi delle poesie

1

Gli uomini chiedono il sentiero per la Montagna Fredda                                                                        Non c’è una Via diretta per la Montagna Fredda                                                  In estate il ghiaccio non si scioglie
Il sole nascente è offuscato dalle nebbie                                    Come ce l’ho fatta ad arrivare qui?
Il mio cuore non è uguale al tuo
Se il tuo cuore fosse come il mio  
Capiresti e saresti già qui  

Montagna fredda è il luogo d’elezione, la metafora del cammino verso la conoscenza di se stessi, la comprensione del proprio io. Come dice anche Arthur Waley, “la Montagna Fredda” nelle poesie di Han Shan è anche il nome di uno stato della mente oltre che un luogo. Ed è in questo senso che il “tesoro nascosto” non sia da cercare fuori di noi ma “at home” cioè dentro di noi. Il cammino descritto è irto di ostacoli.

Il poeta, in un tono lieve quasi a non sconvolgere l’equilibrio della natura in un momento significativo e di equilibrio, dice: “Il sole nascente è offuscato dalle nebbie “, poi rivela che “Il mio cuore non è uguale al tuo” “Se il tuo cuore fosse come il mio” / “Capiresti e saresti proprio qui”. Han Shan, da un incipit impersonale del primo verso cioè “gli uomini” (“men “), incapaci di trovare la Montagna Fredda, che non si separerebbero dal gruppo, non avrebbero il tempo per una riflessione per capire che la Via è in loro stessi, passa ad un piano personale, “Se il tuo cuore… ”, per una comunicazione più diretta, come se offrisse un saggio consiglio, sussurrato, in contrasto con l’aggressività imperante.

2

 Arrampicandosi per il sentiero della Montagna Fredda,
 la Via della Montagna Fredda continua senza fine
 La lunga gola soffocata da pietrisco e rocce
 Il fiume ampio e l’erba soffusa nella bruma  
 Il muschio è scivoloso anche se non ha piovuto
 Il pino canta ma non c’è vento.  
 Chi può spezzare i legami del mondo
 E sedersi con me tra le nuvole bianche? 

Il poeta della Montagna Fredda ci invita ad andare a sederci tra le nuvole e continuare il nostro viaggio lungo la strada senza fine, che porta alla strada dell’autocoscienza. Il poeta non si presenta come il tradizionale maestro Zen profondamente illuminato e permanentemente sufficiente a se stesso, esprime invece il suo sentimento di solitudine, di debolezza e fragilità. E’ l’esempio di un laico illuminato! Il tema si legge con altre parole nei versi di Han Shan tradotti da Burton Watson :

 “In the wilderness, mountain and seas are all right,
 But I wish I had a companion in my search for the way”  
 “I mari e le montagne vanno bene nella wilderness
 Ma vorrei non essere solo nella mia ricerca” 

L’ammissione della solitudine in molti versi è stato un punto dolente per i commentatori Zen. Ma è proprio questa qualità non-Zen che fa di Han Shan un grande poeta. (R. Kennedy “Zen Spirit…)

3

In un intrigo di strapiombi ho scelto un posto
Solo rotte per uccelli, nessun sentiero per me
Cosa c’è oltre il mio cortile?
Nuvole bianche aggrappate a rocce indistinte
Ho vissuto qui – quanti anni -
Ho visto primavere, inverni susseguirsi all’infinito                                                                   Vai a raccontare  a chi possiede argenteria e carrozze  
A cosa serve tutto quel danaro e quel rumore? 

Dopo tanti anni la Montagna Fredda e Han Shan si modellano a vicenda, c’è un rapporto simbiotico con la natura. Il luogo del romitaggio è lontano dalla società dei compromessi e della corruzione. Tutto concorda con la domanda degli ultimi versi “A cosa serve tutta quella roba e quel rumore”. “Noise” è un “rumore” come un tarlo contro la “quietitudine” sottovalutata. Come se volesse evitare il “rumore” sguaiato di una società da cui lui è fuggito, che impedisce la riflessione e dove si antepone il rumore assordante alla quiete possibile. (rif. Ch’u Yuan vissuto tra il 340 e il 278 AC. che combatteva contro la corruzione della sua epoca. Altro rif. ad una poesia di Tao Hung-ching (456-536) famoso anche per la sua decisione di viver come eremita.)

4

 Da ridere il sentiero che porta al posto di Han Shan  
 Non c’è segno di carro o di cavallo.
 Valli convergenti- difficile seguire i loro meandri
 magma di rocce – incredibilmente aspre
 Migliaia di fili d’erba curvi sotto la rugiada
 Una collina di pini vibra nel vento
 Ed ora che ho perso anche la scorciatoia per tornare a casa
 Il corpo chiede all’ombra, come fai a tenere il passo? 

Fra molti traduttori di Han Shan, solo Snyder usa la parola “laughable” (“da ridere”) riferita a sentiero, che non è solo semplicemente “wonderful!” (meraviglioso), “delightful” (delizioso) o “fun” (divertente), come dicono altri. La parola esprime la difficoltà di restare umani in questo viaggio, in cui si riconosce la follia di seguire “senza aria e senza rete” un sentiero che non mostra alcun punto di riferimento, né segni di carro, né orme di cavallo o altro. Si potrebbe citare Snyder che nella “Pratica del selvaggio” dice: nessuna esperienza è paragonabile a quella di abbandonare il sentiero e dirigersi verso una parte nuova del territorio per provare la sensazione del ritorno a “casa”, quest’ultima intesa come totalità del nostro ambiente, una visione simbiotica di essere nello stesso tempo ”a casa” e “nella strada” distruggendo l’assoluto antagonismo tra natura e cultura. “Fuori dal sentiero” è un altro modo per chiamare la “Via” . (Confronta anche la definizione di Wilderness nell’introduzione.)

E’ visibile la determinazione e l’umanità nonostante le difficoltà del cammino. In un’altra poesia il poeta si rende inaccessibile agli amici, alla famiglia e alla società sentendone la perdita, ma ne spiega i motivi : per “dormire vicino ai ruscelli e purificarsi le orecchie”. Nel verso finale “il corpo chiede all’ombra cosa fare” esprime una dualità, c’è una disconnessione – il poeta si sente fuori dal corpo, e quindi lontano dalla cosiddetta civiltà – che si risolve nel fuggire dalla comunità cosiddetta “normale”. C’è un tocco di ironia nel poeta che chiede all’ombra come fa a tenere il passo.

Aforismi simili a “Da ridere il sentiero per la Montagna Fredda” oppure “Il sentiero continua all’infinito” sono metafore che non solo ci parlano degli ostacoli che i viaggiatori devono superare, ma soprattutto dicono che essi devono dimenticare l’esistenza precedente. La Via verso l’illuminazione può essere inafferrabile ma soprattutto “Non c’è via diretta“. Se aggiungiamo il verso: “Non ricordo la strada che mi ha portato qui ”/ “ho perso la scorciatoia…”, viene in mente Thoreau, che raccomanda di ritornare ad una relazione primitiva con la terra. ( Gary Snyder and the Pacific Rim by Timoty Grey).

Nel verso “non c’è segno di carro e di cavallo”, si sente l’eco del grande Tao Qian (365-427), il più grande poeta tra le dinastie Han e Sui. Esaltava la vita a contatto con la natura lontano dai centri del potere e dalla carriera ufficiale. Nelle sue poesie Drinking Wine” cosi scrive:

“Ho costruito la mia capanna accanto ad una strada trafficata / eppure non sento alcun rumore di carri e cavalli che passano” (“I built my hut beside a traveled road / yet hear no noise of passing carts and horses, trad. J. R. Hightower) oppure nella versione di Arthur Waley: “Ho costruito la mia capanna in un zona popolata /Eppure vicino a me non sento alcun rumore di cavalli o carri / Vuoi saper come sia possibile? / Un cuore che è distante crea una wilderness intorno” (“I built my hut in a zone of human habitation / Yet near me there sounds no noise of horse or coach./ Would you know how this is possible? / A heart that is distant creates a wilderness round it.”)

5

Non sopporto il canto di questi uccelli                                                  Andrò a riposare nella mia capanna di paglia                                                          I fiori di ciliegio sono rosso scarlatto                                                   I rami del salice crescono vaporosi                                                            Il sole del mattino segue le vette bluastre                                           Le nuvole luminose bagnano gli stagni verdi                       Qualcuno sa che sono fuori dalle polveri del mondo                        E che mi arrampico sul pendio sud della Montagna Fredda? 

Il tono fa pensare ad una ricerca di tranquillità, come se dicesse che non si farà rovinare la giornata da questi uccellini chiacchieroni. Gli uccelli forse ricordano ad Han Shan la famiglia e gli amici lontani. Si rivolge a tutti nel mondo, non con l’atteggiamento sicuro e autoritario di un appartenente al clero (Zen Spirit R. Kennedy), ma fa ancora un appello, laico, umile che non aspetta ricompense o riconoscimenti: “Chi è che sa che sono fuori dalle polveri del mondo e che mi arrampico…”.

Nelle frasi “the cherry flowers are scarlet /The willow shoots up feathery/ manca un’indicazione di tempo. Non dice “the cherry is flowering “, e non include nessun avverbio di tempo come “now”, “yesterday” o “monthly”, per specificare l’evento. Le azioni sono sospese e apparentemente costanti da far sembrare che il poema esista indipendentemente dal tempo.

(Cultural Translation through Poetry and Painting … by Ladaea Melton)

6

C’ è un insetto nudo sulla Montagna Fredda
Il corpo bianco e la testa nera 
Ha in mano due rotoli di pergamena 
Uno è la Via e uno il suo Potere    
La sua capanna non ha né pentole nè forno
Fa una lunga passeggiata con la camicia                                                        e il pantalone di traverso 
Ma ha sempre con sé la spada della saggezza:
Vuole tagliare il desideri senza senso 

Si descrive come un verme nudo. Il tono è autoironico e sfuma i confini tra uomo e insetto disilludendo il possesso di un ego superiore. (Gary Snyder and cultural translation- Akademial Kiado). Preciso che Snyder usa il termine “Potere” al posto di “Virtù”, quest’ultimo di solito abbinato a “Via” secondo i dettami del Buddismo. Si può dire che ambedue richiamano “alla spada della saggezza”. Gli ultimi due versi sono elementi della predicazione buddista. Un verme che vuole distruggere la brama intrinseca degli uomini, purificarli dal desiderio egotico.

In questa poesia e in quelle seguenti ci sono elementi autobiografici simili a quelli della famosa prefazione della raccolta di poesie di Han Shan.

7

 Quando gli uomini vedono Han-shan  
 Dicono tutti che è pazzo
 Non ha proprio un bell’aspetto
 Vestito di stracci e pelli.
 Essi non capiscono quello che dico
 Ed io non parlo il loro linguaggio.
 Posso solo dire a chi incontro 
 "Cerca di raggiungere la Montagna Fredda" 

Han Shan, un picchiatello, uno strano agli occhi della gente. La Montagna Fredda qui diventa la metafora del mal di vivere, della difficoltà di comunicare, il luogo dove rifugiarsi fuggendo dalla società ufficiale che ti respinge con i suoi canoni, le difficoltà delle interrelazioni…

Poesia breve tradotta dallo Yogi Chen

Han Shan è un tutt’uno con la natura. Non c’è differenza tra oggetto e soggetto. La breve poesia ricorda la leggerezza di alcune terzine e poesie brevi o versi di poeti europei venati da un orientalismo cosciente o inconsapevole. Le gru, le nuvole sembrano essere quel che resta del mondo e il pensiero del poeta “s’annega”, l’io naufraga dolcemente. (La composizione fa ricordare alcune pagine di “Come libellule fra il vento e la quiete” di P. Lagazzi)

 Sono qui sulla vetta
 Il sole fa brillare la sua luce
 Guardo il cielo limpido
 La gru, le nuvole, amiche in volo! 

Note sulla traduzione

Secondo Snyder “il traduttore che desidera entrare nel territorio creativo deve fare un salto immaginativo nella mente e nel mondo del poeta e nessun dizionario potrà facilitarne il compito…” Dice ancora Snyder: ”Mentre traducevo Han Shan,ho avuto spesso un potente senso di percepire l’aura di significati non verbali e vivere attraverso la mente creativa del poeta. Inoltre ho vissuto molto tempo in montagna, mi sento a casa, nella terra archetipa di Han Shan”.

Una delle particolarità di Gary Snyder nel tradurre è che non usa molte parole, riuscendo spesso a mantenere la cadenza delle poesie di Han Shan. (R. Henricks, The poetry of Han Shan by Chun jian Xue).

Un altro aspetto molto importante nelle traduzioni di Snyder sta nella sua capacità di saper mantenere le cose e l’azione strettamente connesse, come nella cultura cinese; Snyder presenta il paesaggio e il parlante come sospesi in un presente perpetuo, cosicché l’azione stessa diventa una condizione in cui le azioni sono sospese (nota alla poesia n. 5).

Per le mie versioni italiane, ho cercato di tradurre rispettando il testo inglese di Snyder e di mantenere uno stile colloquiale.

I testi originali inglesi di G. Snyder sono facilmente rintracciabili on line.

2 pensieri su “寒 山 Han Shan

  1. …Enzo Giarmoleo ha voluto farci conoscere un poeta, Han Shan, praticamente sconosciuto in Italia ma di grande valore e apprezzato sia in Oriente (Cina dove nacque, e Giappone) sia in Paesi dell’Occidente soprattutto da parte di scrittori, come Gary Sneyder e lo stesso Giarmoleo, che praticano e scrivono secondo i principi dell'”Ecologia Profonda”, avendo trovato in questo lontano autore molte affinità nel voler valorizzare e, per quanto riguarda i tempi recenti, riscoprire e dare voce alla “natura selvatica” intorno a noi…Le poesie selezionate, tradotte in inglese da G. S. e quindi in italiano da E.G., ci avvicinano ad una realtà lontana, terribile e misteriosa viste le mediazioni, soprattutto quella temporale indefinita, che le hanno fatto giungere fino a noi…Il poeta “folle” Han Shan, secondo l’agiografia che ci è giunta, ma soprattutto dal contenuto delle sue poesie, ci appare come un uomo dalle scelte radicali e assolute, che lo spingono ad identificarsi infine nella “Montagna Fredda”, un luogo, noi diremmo inospitale, dove trova la “sua casa” e “la sua strada”, lontano dalle “polveri del mondo”, secondo la tradizione del buddismo zen, ma con un’umanità e un’autenticità che travalica i rigidi principi di una religione …La poesia numero quattro è quella che più, secondo me, riassume l’animo del poeta: ammirazione e timore verso la Montagna Fredda sono evidenti dalla descrizione potente del paesaggio selvaggio : “Fa ridere il sentiero che porta al posto di Han Shan / Non c’è segno di carro e di cavallo…” per concludere con due versi ironici ma anche terribili: ” …Ed ora che ho perso anche la scorciatoia per tornare a casa/ Il corpo chiede all’ombra, come fai a tenere il passo?”, forse a ribadire che la sua scelta di isolamento gli è costato un grande combattimento interiore…sì, come dice bene E. G. , un poeta che giganteggia per la sua solitudine e determinazione nel denunciare una società da cui si è allontanato e nello stesso tempo è stato bandito, un sorta di “rivoluzionario” della sua epoca…

  2. Moravia ha scritto che nessuna fede religiosa sembra attenuare la malinconia della poesia cinese classica ,per trovare temi e accenti simili bisogna forse risalire all’epoca in cui il mondo occidentale è stato unificato in un solo organismo politico culturale, l’impero romano, fuori dal quale si riteneva che non ci fossero che la barbarie e il nulla. La leggiadra mestizia che informa la poesia dell’età augustea richiama a quella dei poeti dell’epoca Tang.
    E che dire allora dell’oggi in questo nostro mondo super globalizzato ,emerso dalle rovine della seconda guerra mondiale, che sembra non avere alternative?
    La poesia cinese esprime il senso dell’impermanenza delle cose umane di contro alla permanenza della natura…Han Shan, tradotto da Snyder,sembra però innestare in questo clima un gesto di ribellione: “Vai a raccontare a chi possiede argenteria e carrozze a cosa serve tutto quel danaro e quel rumore?
    Notevole che negli anni ‘60 la “beat generation” raccolga e viva sulla propria pelle il gran rifiuto.
    Marcuse nell’Uomo a una dimensione di una decina d’anni dopo, sistematizza in un certo senso queste pulsioni, il fatto di non dover dire no in concreto , ma solo “en bloc”, sprigiona energie di movimento e dinamismo…ma per affermare una deficienza di tutto il sistema a livello sentimentale, ci si mette nella condizione di non poter puntualizzare più le lacune immanenti al sistema stesso.
    Naturalmente il problema, del resto, evidenziato anche da Enzo Giarmoleo, rimane sempre aperto: fatta la tara dei problemi di traduzione dei caratteri cinesi veri e propri emblemi a più dimensioni nel caso di Snyder abbiamo il marchio personalissimo di un’esperienza umana che in qualche modo rigenera rielaborandoli e conferendo loro uno slancio vitale , i versi del poeta antico.
    Si rimane in dubbio se Snyder scambi la rivolta esistenzialista del lunatico Han Shan contro la mortalità, la fragilità umana di contro alla natura, tema consueto nella poesia cinese, per ribellione al sistema ,alla società, alla politica.
    La semplice virtù della vita naturale contrapposta alla vita artificiale?
    Rifiuto in blocco o continua intromissione delle cose del governo?
    Confucio non aveva dubbi:
    “Disse kung il maestro: ho passato giorni interi senza cibo , notti intere senza sonno per la mia meditazione, e questa era,in realtà ,inutile. Sarebbe stato meglio se avessi studiato qualche cosa in particolare”.

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