Theodor W. Adorno: «Aspetti del nuovo radicalismo di destra»

LETTURE IN QUARANTENA (4)

di Donato Salzarulo

1.-Un dono giusto al momento giusto

Per il mio compleanno Elisa, la nipote dott.ssa in filosofia, mi ha regalato un libretto di Theodor W. Adorno. Titolo: «Aspetti del nuovo radicalismo di destra» (Marsilio, 2020, pp.90).

Il dono è capitato a fagiolo, proprio nei giorni in cui l’amico Ennio, da tenace polemista, mi ha coinvolto nel dibattito seguito al deplorevole episodio della signora, vicesindaco colognese, col volto coperto da una mascherina nera e la scritta mussoliniana “Boia chi molla!”.

Nessuno, tra coloro che hanno stigmatizzato il gesto, singolo o forza politica, ha pensato ad un’imminente marcia su Roma; innegabile, però, che la pagliacciata fascista si colloca in un contesto sociale e culturale in cui il radicalismo di destra marcia quotidianamente nelle coscienze degli italiani. Infatti, stando ai sondaggi di Pagnoncelli, a fine maggio 2020, Fratelli d’Italia si vede attribuire il 16,2% dei voti e la Lega il 24,3%. Totale: 40,5%. Mica male.

Allora mi sono immerso volentieri tra le pagine del libretto a caccia di spunti per comprendere, pur con tutte le differenze del caso, la nostra situazione.

2.-Il testo è la registrazione di una conferenza

Il testo è la registrazione di una conferenza che l’illustre esponente della Scuola di Francoforte tenne il 6 aprile 1967 all’Unione degli studenti socialisti dell’Austria. Pensieri, quindi, che risalgono a più di mezzo secolo fa, in un contesto politico e sociale molto diverso da quello odierno, alla vigilia del Sessantotto. Adorno ha visto nascere nel 1964 il Partito nazionaldemocratico di Germania ed ha assistito a dei successi iniziali in alcuni parlamenti regionali e alle elezioni federali del 1965.

Volker Weiss, lo storico e pubblicista che firma la postfazione, evidenzia l’atteggiamento ambivalente del filosofo nei confronti di registrazioni e trascrizioni. La verità della parola orale, a differenza di quella scritta, è la sua intrinseca transitorietà. Trattarla diversamente è renderla «uno strumento per far prestare giuramento al relatore.» (pag. 64). Come dicevano i latini, “verba volant, scripta manent”.

Il parere di Weiss è che, al di là della fugacità della forma orale, il contenuto del discorso non è per nulla effimero: «La validità dell’analisi continua a colpire ed è possibile leggerla come un commento agli sviluppi della situazione attuale.» (pag. 63). Il libretto, infatti, è stato venduto in 70 mila copie ed è da mesi in cima alle classifiche dei bestseller in Germania.

3.-Le premesse sociali del fascismo

All’inizio della sua esposizione, Adorno richiama la tesi già illustrata in un’altra sua conferenza del 1959 intitolata «Che cosa significa elaborazione del passato»; è la tesi relativa alle premesse sociali del fascismo, premesse che continuano a sussistere e che il filosofo individua soprattutto nella «tendenza del capitale alla concentrazione, dominante oggi come allora.» (pag. 14).

Questa tendenza rende sempre possibile «il declassamento di strati sociali che dal punto di vista della loro coscienza di classe soggettiva risultano del tutto borghesi, i quali intendono mantenere i loro privilegi e il loro status sociale e, ove possibile, rafforzarli». (pag. 14)

I movimenti fascisti non sono congiunturali perché il loro rapporto con «l’economia è un rapporto strutturale.» (pag.219)

Inutile dire che in mezzo secolo questa tendenza del capitale a concentrarsi non ha fatto che rafforzarsi. Secondo le Nazioni Unite, oggi le imprese multinazionali sono 82.000 per un totale di 810.000 filiali. Impiegano complessivamente 80 milioni di persone, pari al 4% della forza lavoro mondiale, e il valore netto della loro produzione ammonta al 25% del prodotto lordo mondiale. Esse controllano, inoltre, due terzi di tutto il commercio mondiale di beni e servizi.

Nella lista delle prime 100 economie del mondo, 38 sono imprese multinazionali. Tanto per fare degli esempi: la Wal-Mart compare al 24° posto con un fatturato superiore al prodotto interno lordo di Taiwan; la Exxon si colloca al 31° posto prima della Thailandia; la Chevron occupa il 49° posto prima della Repubblica ceca.

La tendenza alla concentrazione si è sviluppata anche tra di loro, così alcune di queste imprese controllano da sole interi settori produttivi.

Esse influenzano attivamente i vari Stati e centri decisionali e dal 1995, con l’istituzione del WTO, ossia l’Organizzazione Mondiale del Commercio, hanno sostenuto con forza il processo di globalizzazione dell’economia. Siccome, quasi il 90% delle 100 maggiori imprese multinazionali provengono da USA, Giappone e Unione Europea, la globalizzazione ha avuto un’impronta prevalentemente nord-americana e occidentale. L’intento, abbastanza riuscito, anche se negli ultimi anni contrastato da tendenze protezioniste, nazionaliste e sovraniste, era quello di trasformare il mondo in un “villaggio” con un mercato unico, un unico spazio produttivo e un’unica piazza finanziaria.

Venendo al nostro Paese, secondo l’Istat nel 2017 le imprese a controllo estero sono 14.994, le quali occupano quasi 1,4 milioni di addetti e fatturano oltre 572 miliardi di euro. Il peso percentuale maggiore, in termini di fatturato, riguarda le multinazionali che si occupano di informazione e comunicazione (oltre un terzo del settore). La loro crescita si registra soprattutto nei servizi, in particolare nei settori commercio e noleggio, agenzie di viaggio e servizi di supporto alle imprese. Le controllate italiane all’estero sono 23.727.

Un così vasto processo di concentrazione, divisione e delocalizzazione del lavoro tra le varie parti del mondo, come drammaticamente abbiamo scoperto in questi giorni di pandemia con le mascherine non più prodotte in Italia, ha avuto come conseguenza il declassamento di tante attività: si pensi al ruolo di Amazon, azienda di commercio on line che, da iniziale libreria, oggi vende di tutto e si pensi al rischio di declassamento che corrono tanti piccoli negozi. Così come tutti ricordiamo le battaglie dei tassisti contro Uber…L’Ikea quante falegnamerie ha fatto chiudere?  E la produzione in serie di abiti, quante sartorie?…

Un fatto è certo: i declassamenti potenziali sono il risultato degli apparati stessi del sistema capitalistico e delle sue modalità di sviluppo. Ma non sempre chi li subisce ragiona così.

Scrive Adorno: «Questi gruppi hanno sempre la tendenza a odiare il socialismo o ciò che loro chiamano il socialismo, ossia danno la colpa del proprio declassamento potenziale non agli apparati che lo producono, ma a coloro che si sono contrapposti in chiave critica al sistema nel quale avevano potuto godere di quello status.» (pag.14)

Dal 1967 ad oggi anche la situazione del socialismo è completamente modificata, ma questa osservazione mi colpisce perché penso alle difficoltà che oggi incontrano nel fronteggiare la crisi sociale i vari partiti del socialismo europeo. Ancor di più quelle formazioni politiche che ereditano in qualche modo il pensiero marxiano. È come se la destra radicale che, comunque, non mette in discussione il paradigma liberista (si pensi alla Lega), riuscisse a giocare la sua partita sia al governo che all’opposizione.

In questa sorta di abbozzo delle condizioni storiche e sociali del fascismo Adorno evoca anche lo «spettro della disoccupazione tecnologica». Esso «continua ad aggirarsi tanto che, nell’epoca dell’automazione […] anche gli esseri umani che si trovano all’interno del processo produttivo in realtà si sentono già – per dirla in modo estremo – potenzialmente superflui o potenziali disoccupati» (pag. 15-16). Un processo questo quanto mai in atto attraverso la robotizzazione, l’Intelligenza Artificiale e la cosiddetta rivoluzione digitale.

Se si volesse andare oltre quest’abbozzo e si volesse infine capire un po’ meglio le radici economico-sociali del populismo e del radicalismo di destra italiano (Lega, Fratelli d’Italia e neofascisti vari), occorrerebbe prestare attenzione alla crescita continua delle diseguaglianze economiche e territoriali che caratterizzano da tempo il nostro Paese e che con l’epidemia sono destinate ad accentuarsi. (Per un primo approccio, cfr.  capitolo primo, pag. 9-57 di Pier Giorgio Ardeni, «Le radici del populismo. Disuguaglianze e consenso elettorale in Italia», Laterza, 2020)

4.-Il nazionalismo «patico»

All’epoca di questa conferenza, fra USA ed URSS era in atto la “guerra fredda” e il mondo era diviso in due grandi blocchi di potere. Frutto dei Trattati di Roma del 25 marzo 1957, è già funzionante la Comunità economica europea e le singole nazioni aderenti, integrate nei grandi blocchi, sono già caratterizzate da una libertà di movimento abbastanza limitata. Ciò nonostante, il nazionalismo continua a sopravvivere in questi gruppi radicali. È un “nuovo nazionalismo” che assume un “carattere agonistico” proprio mentre i singoli Stati e le singole nazioni giocano un ruolo oggettivamente subordinato. «Accade spesso – scrive Adorno – che alcune convinzioni o ideologie assumano un aspetto demoniaco e autenticamente distruttivo proprio quando non risultano più sostanziali in base alla situazione oggettiva. I processi alle streghe non sono avvenuti nei tempi in cui era in auge il tomismo, ma durante la Controriforma, e qualcosa di analogo potrebbe accadere con il nazionalismo “patico”, se così si può chiamare. Già ai tempi di Hitler c’è stato un momento simile, nel quale esso ci è stato rifilato senza che ci si credesse davvero.» (pag.17)

È un nazionalismo fondato sulla paura degli sviluppi sociali con sostenitori distribuiti, sostiene il filosofo, trasversalmente nell’intera popolazione: gruppi piccolo-borghesi, commercianti, contadini, residenti più nella provincia che nella città (come ad esempio i viticoltori del Palatinato in Germania), ecc.

In questi gruppi ci sono naturalmente anche i quadri del vecchio partito nazista e chi, magari, alla fine della Seconda guerra mondiale, nel momento del crollo, aveva quindici anni e che vorrebbe vedere la “Germania risorgere”. Questo perché «nel 1945 non c’è stato un panico reale, un vero e proprio dissolvimento dell’identificazione del regime e con la disciplina, come invece è accaduto in Italia, ma si è rimasti coerenti fino all’ultimo. In Germania l’identificazione con il sistema non è mai scomparsa in modo davvero radicale.» (pag. 20)

Gli spunti di attualizzazione che qui Adorno fornisce sono notevoli: a) innanzitutto il concetto di nazionalismo “patico”; ossia un nazionalismo emotivo, che si origina dalla paura e che non ha base oggettiva; il che non lo rende meno pericoloso: le cosiddette streghe venivano effettivamente bruciate; b) poi la distribuzione trasversale di una tale ideologia nella popolazione (si pensi al continuo appello al popolo dei sovranisti) e infine c) il confronto fra le due diverse modalità di crollo del regime nazista tedesco e di quello fascista italiano. In Italia ci fu, come è noto, la nostra resa agli Anglo-americani con l’Armistizio di Cassibile e il proclama di Badoglio dell’8 settembre del 1943. Secondo interpreti come Ernesto Galli della Loggia, vi fu “la morte della Patria”. Di quella fascista, sicuramente.

4.- I movimenti fascisti: piaghe della democrazia liberale

Dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo dell’URSS, il capitalismo occidentale dominante s’è fatto Impero; i suoi ceti dirigenti hanno cantato vittoria e sventolato in ogni angolo del mondo la bandiera della democrazia liberale. Una democrazia che gli USA e i suoi alleati hanno cercato di esportare, in nome della lotta al terrorismo internazionale e a suon di bombe, in varie zone del pianeta, trasformando, ad esempio, il Medio Oriente in “Caoslandia” (il copyright è di “Limes”). La democrazia liberale ha mostrato il proprio volto belligerante non soltanto in politica estera. A partire da Reagan e Thatcher, ha condotto al proprio interno una tenace e sistematica lotta di classe contro i lavoratori e le loro organizzazioni con l’obiettivo di smantellarne le conquiste sociali, scomporne la forza, dividerle e indebolirle. Un dato per tutti: rispetto agli anni Ottanta in Italia, come in altri Paesi, la frazione di reddito nazionale attribuito al reddito da lavoro si è ridotto dal 70 al 55 per cento. Ben 15 punti percentuali in meno. Tra l’altro, in questa voce di “reddito da lavoro” sono compresi i super redditi di top manager e simili che sono notevolmente aumentati. Se si escludessero, si capirebbe ancora di più come ampie fasce di lavoratori abbiano visto in questi decenni salari e stipendi ristagnare o addirittura diminuire. Sta diventando, infatti, sempre più numerosa la fascia dei lavoratori “poveri”. Per non parlare dei precari, degli schiavi della gig economy (rider, trasportatori, edili), dei disoccupati, dei giovani costretti ad emigrare, ecc. Minori salari e stipendi non sono stati compensati da un’offerta maggiore di servizi educativi, culturali, sociali, sanitari. Quanto la sanità pubblica sia stata disastrata l’abbiamo toccato con mano durante quest’epidemia…Domanda: perché un cittadino dovrebbe essere attratto da questa democrazia liberale? Perché ha il diritto di voto, la libertà di pensiero, di movimento (se non vi sono emergenze sanitarie in corso), di stampa, ecc.?…

Scrive Adorno: «Fino a oggi, da nessuna parte la democrazia si è concretizzata in modo effettivo e completo dal punto di vista del contenuto economico-sociale, ma è rimasta sul piano formale. E, in questo senso, i movimenti fascisti potrebbero essere indicati come le piaghe, le cicatrici di una democrazia che non è ancora pienamente all’altezza del proprio compito.»

Ne prendano atto i nostri solerti intellettuali liberali. I nostri padri costituenti antifascisti avevano compreso benissimo questo insegnamento. Perciò elaborarono quella Legge delle leggi che è la nostra Costituzione. Ma i liberali, si sa, non amano molti articoli di quella preziosa carta fondamentale. Ad esempio, l’art. 41: «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recar danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.»

Silvio Berlusconi, che posa ormai da “padre della patria” e che, ad ogni occasione, non smette di ribadire il suo credo liberale, la definì, nell’aprile 2003 in un Convegno della Confindustria, “d’ispirazione sovietica” e attaccò proprio questo articolo. A dimostrazione di quanto il suo pensiero in proposito sia radicato, in un discorso tenuto il 9 giugno 2010 all’Assemblea di Confartigianato si tornò a scagliare contro la Costituzione “molto datata” e l’articolo 41. Diciamo che non ha perso occasione.

I liberali non solo non amano molti articoli della nostra Costituzione. Sono anche abbastanza tiepidi nei confronti dei fascisti. Non più tardi di un anno fa proprio il liberale Berlusconi si vantò di averli legittimati: «Lega e fascisti li ho fatti entrare io al governo, li ho legittimati io.»

Disse proprio così, “fascisti”. Evidentemente Berlusconi non è avvezzo agli infiniti distinguo di storici da terza pagina, giornalisti, opinionisti, blogger, attivisti dei social, politici direttamente o indirettamente interessati che non vedono più fascisti in giro e che non temono nessun “ritorno del fascismo”.  Perché, secondo costoro, si poteva esserlo solo durante il ventennio. Ora è tutta altra cosa e se si domandasse, a brutto muso, alla leader dei Fratelli d’Italia se è fascista o no, la risposta da attendersi è simile a quella data dalla signora vicesindaco di Cologno: no, lei è “democratica” e preferisce il fascismo al comunismo. Forse anche i liberali, che sostengono di essere contro i due “totalitarismi” del Novecento, gratta-gratta preferiscono i fascisti ai comunisti.

Scrive Adorno: «Ora, la legge impedisce a questa ideologia di esprimersi completamente. Si può dire che tutte le affermazioni ideologiche del radicalismo di destra sono connotate da un conflitto permanente tra ciò che non è lecito dire e ciò che farebbe ribollire l’uditorio […]. Ma questo conflitto non è soltanto esteriore, l’obbligo di adattarsi alle regole democratiche implica anche una certa trasformazione nei comportamenti, e in tutto ciò c’è qualcosa di stentato – non saprei come altro definirlo – che segna questi movimenti quando si ripresentano. Ciò che è apertamente antidemocratico sparisce. Viceversa, ci si richiama sempre alla vera democrazia e si accusano gli altri di essere antidemocratici. E nell’accettazione delle regole democratiche c’è una certa contraddittorietà.» (pag. 39-40)

Così per veleggiare nelle coscienze dei votanti italiani verso il 16%, Giorgia Meloni, ben consigliata dagli esperti di comunicazione, annacqua il suo fascismo, lo nasconde, rivendica la centralità del Parlamento e si smarca da chi propone di scendere in piazza contro la “dittatura sanitaria” imposta dal Governo. Insomma, è una “democratica”. Ma c’è da crederle?…

Una cosa è certa: se necessario, la democrazia liberale e i suoi ceti dirigenti non hanno alcun problema a legittimare e costituzionalizzare i movimenti fascisti. Saranno piaghe, saranno cicatrici; ma se servono a smantellare una Costituzione “d’ispirazione sovietica”, meglio queste piaghe che una democrazia non formale, compiuta e ispirata alla piena realizzazione dei principi di libertà, fraternità ed eguaglianza. Una democrazia così, ovviamente, il capitalismo del XXI secolo, come quello dei secoli precedenti, non la regala. Meglio i “poteri assoluti” a Salvini.

5.- La propaganda: sostanza della politica dei movimenti radicali di destra.

Spesso restiamo sconcertati per l’ignoranza, la rozzezza delle idee, la volgarità dei rappresentanti dei movimenti fascisti. Adorno ci mette in guardia:

«Non bisogna sottovalutare questi movimenti per via del loro basso livello spirituale o per l’assenza di una teoria vera e propria. Credo che sarebbe politicamente miope considerarli destinati all’insuccesso per questo motivo. Ciò che caratterizza questi movimenti è, viceversa, una straordinaria perfezione dei mezzi, innanzitutto quelli propagandistici in senso lato, combinati con una certa cecità, addirittura un’astrusità degli scopi che vengono perseguiti. Dovendo sintetizzare all’estremo, credo che proprio questa costellazione di mezzi razionali e scopi irrazionali corrisponda, in un certo senso, a quella tendenza complessiva della civiltà che deriva da questo genere di perfezione della tecnica e del mezzo, mentre di fatto scompaiono gli scopi della società nel suo complesso. Se i mezzi sostituiscono sempre più i fini, sembra possibile dire che in questi movimenti radicali di destra la propaganda costituisce la sostanza della politica.» (pag. 26-27).

L’osservazione sulla capacità di questi movimenti di un utilizzo perfetto dei mezzi di propaganda non è nuova. La leggiamo sui libri di storia. Questa “straordinaria perfezione dei mezzi” continua a dispiegarsi anche oggi, grazie ai vari esperti che organizzano una presenza sistematica dei leader fascisti o fascistizzanti sui vari canali di comunicazione sociale, combinando opportunamente quelli più recenti (twitter, facebook) con quelli più tradizionali (televisione, radio, giornali, incontri, comizi, ecc.). Più interessante appare l’osservazione di Adorno sulla “cecità” o, addirittura, “astrusità degli scopi”. Non avendo, infatti, teorie o ideologie alternative al mondo capitalistico, si qualificano per essere sostanzialmente dei gruppi di potere a caccia di ulteriore potere. Infatti, più avanti e precisando meglio il suo pensiero, il filosofo scrive: «Questa propaganda serve non tanto alla diffusione di un’ideologia che, come ho detto è troppo debole, ma a sottoporre le masse a una tensione. La propaganda è perciò prevalentemente una tecnica psicologica di massa.» (pag. 43-44)

In queste parole mi sembra di rivedere Salvini, Ministro degli Interni, impegnato nella sua quotidiana azione di propaganda contro gli immigrati. Il suo scopo era difendere i confini della Patria dalle stesse navi della Guardia costiera italiana!… Si trattava chiaramente di una “tecnica psicologica di massa”, di una tensione perpetrata per stimolare nelle coscienze il cosiddetto “effetto bandwagon”, secondo cui conviene salire sul carro dei vincenti. Infatti, Salvini saliva ogni giorno nei sondaggi…

Ma l’elemento ancora più interessante dell’osservazione di Adorno mi sembra il nesso che lui rileva tra questa specifica propaganda fatta di “mezzi razionali e scopi irrazionali” e la “tendenza complessiva della civiltà che deriva da questo genere di perfezione della tecnica e del mezzo, mentre di fatto scompaiono gli scopi della società nel suo complesso.” In breve, la barbarie nazifascista non è una “parentesi” o una “malattia”, come vorrebbero gli interpreti liberali (a partire da Croce) del fascismo; è, invece, l’ombra mostruosa, l’altra faccia che accompagna continuamente la civiltà capitalistica.

6. -Propaganda e “personalità autoritaria”

Parlando di propaganda, Adorno accenna agli studi condotti in USA negli anni Quaranta da lui e dai suoi collaboratori sulla “personalità autoritaria”. La tesi è che esistono tratti della personalità che ci rendono particolarmente vulnerabili alle idee antidemocratiche e totalitarie: il servilismo, la rigidità, il conformismo, il convenzionalismo, il pensare stereotipato, la superstizione, l’etnocentrismo, ecc.

La propaganda dei movimenti radicali di destra tende a confermare e ad esaltare quei tratti della personalità legati all’autorità, parlando spesso all’inconscio delle persone. Ma non per renderle coscienti, per utilizzarne la carica. Nella post-fazione Volker Weiss riporta una citazione del sociologo Stefan Breuer che mi sembra illuminante:

«Dal momento che gli individui trasformano il soggetto collettivo della nazione o il Führer nel proprio ideale e li dotano di qualità fantastiche, essi realizzano una parte di un Grande Sé arcaico, che non può prendere corpo nell’esistenza di ciascun singolo individuo; contemporaneamente, grazie a una proiezione delle proprie aggressioni legate all’Ideale-Io, essi si liberano, con la conseguenza inevitabile di popolare il mondo di oggetti pericolosi di cui è necessario vendicarsi, in contrapposizione ai quali il soggetto deve di nuovo opporre resistenza: il risvolto delle gratificazioni che crea il “narcisismo socializzato” è la mania di persecuzione» (pag. 76)

Gli oggetti pericolosi di cui è necessario vendicarsi possono essere, di volta in volta, gli immigrati che ci “tolgono il lavoro”, i rom che “rubano negli appartamenti”, gli islamici che “sono tutti terroristi”, gli ebrei che “controllano la finanza”, gli intellettuali di sinistra “che farebbero bene a portarsi gli immigrati a casa loro”, i buonisti che “hanno rotto il cazzo con la loro umanità” , le femministe “che son tutte lesbiche”, ecc.

C’è poco da scherzare con chi, gruppo di potere, usa la propaganda come tecnica di potere, ricorrendo a tutti i trucchi possibili: dal discorso ridotto a slogan all’appello alla finta concretezza, dalla bugia grossolana al sadismo mascherato, dalla continua ostentazione di simboli (il crocifisso, ad esempio) al “metodo del salame” per cui di una questione complessa prima si taglia un pezzo, poi un altro e poi un altro ancora e alla fine la si nega del tutto (gli esempi sarebbero molti: dal negazionismo dello sterminio degli ebrei, al fascismo che fu meno dittatoriale e feroce del nazismo; ecc.). Questi movimenti hanno un’unica prospettiva: esercitare il potere e utilizzano il potenziale che deriva dalle contraddizioni oggettive delle situazioni economico-sociali non per risolverle, ma per acuirle e indirizzarle verso la loro “presa del governo”. Se diventasse presidente del Consiglio, Salvini non avrebbe remore a chiedere alla sua maggioranza i “poteri assoluti”. Esattamente come ha fatto Orbán.

«Non può sussistere alcun dubbio che i cosiddetti sistemi di massa di stampo fascista abbiano una profonda relazione strutturale con i sistemi della follia. Qui gioca un ruolo rilevante quel tipo antropologico, che nella Personalità autoritaria ho chiamato di “tipo manipolativo” […]. Si tratta di esseri umani freddi, privi di relazioni e che hanno una prospettiva strettamente tecnologica, ma, in un certo senso, proprio perciò folli, il cui prototipo è stato Himmler. Ed è questa singolare commistione tra un sistema della follia e la perfezione tecnologica che sembra emergere e che, di nuovo, gioca un ruolo assolutamente decisivo in questi movimenti» (pag.30)

Ho letto e riletto questo brano. Per Adorno è una certezza. Per noi sia almeno un ammonimento.

7.- Conclusione

Riassumendo, gli studenti che il 6 aprile 1967 ascoltarono la conferenza di Adorno, al termine, probabilmente, impararono quanto segue:

  1. I movimenti radicali di destra, vecchi o nuovi che siano, non sono “congiunturali”, ma “strutturali”; nel senso che sono legati a tendenze delle formazioni sociali capitalistiche: concentrazione dei capitali, declassamento potenziale e impoverimento di alcuni ceti o gruppi sociali, disoccupazione tecnologica, ecc. Questo vuol dire che la lotta politica contro questi movimenti dovrà essere continua e sistematica. Senza fine, per così dire.
  2. Essi sventolano la bandiera di un nazionalismo “patico”, fondato sulla paura, non più giustificato dalle situazioni oggettive di scambio e integrazioni delle catene produttive, ma non per questo meno pericoloso. Occorre distinguere “interessi nazionali” dagli interessi delle classi dominate e dei gruppi sociali oppressi e schiavizzati.
  3. I movimenti radicali di destra rappresentano le cicatrici della democrazia liberale. Nascono e si sviluppano sulla sua crisi sociale, sulla sua manifesta incapacità di essere all’altezza delle sue promesse di libertà, uguaglianza e fraternità.
  4. Essi non hanno robuste mappe teoriche e ideologiche. Non per questo vanno sottovalutati. Per questi gruppi la politica è sostanzialmente propaganda, tecnica psicologica di potere per sottoporre le masse a tensione e acuire le inevitabili contraddizioni sociali.
  5. Cecità, astruseria, irrazionalità caratterizzano gli scopi della loro politica; ma questo non può tranquillizzare i loro oppositori. Secondo alcuni, la politica dovrebbe essere discussione pubblica razionale per valutare i pro e i contro delle diverse scelte da deliberare per il “bene comune” della polis. Non sempre è così. I fascisti dimostrano che la politica è anche il “parlare alla pancia”, all’inconscio dei cittadini-spettatori, ai tratti autoritari delle loro personalità. Gli oppositori “razionali” fanno fatica ad esporre le loro ragioni. Ma non c’è altra strada, se non quella dell’urto della ragione.
  6. La propaganda dei movimenti radicali di destra è caratterizzata infine dal sistematico ricorso ad una serie di trucchi che vanno dalla bugia grossolana al negazionismo, all’invenzione di “fatti alternativi”.

Oltre a quello, che forse impararono gli studenti, per quanto mi riguarda avverto l’urgenza di una battaglia sociale e culturale contro gli odierni movimenti radicali di destra. Stare zitti non serve. Neanche sottovalutare. Siccome hanno legami strutturali, occorre appellarsi agli interessi reali. Smascherare gli stratagemmi che loro utilizzano è utile e giusto. Ma il disoccupato, il lavoratore precario, il piccolo artigiano, chi ha una partita Iva, il commerciante che teme l’impoverimento, non verranno convinti da discorsi moralistici o retoriche dichiarazioni di antifascismo. Servono iniziative programmatiche, organizzazioni, partiti capaci di promuovere il conflitto sociale e la lotta per la difesa delle classi dominate e dei gruppi sociali declinanti.

Purtroppo oggi in Italia si fatica ad elaborare e realizzare iniziative simili. Non bisogna, comunque, disperare. Possono aprirsi varchi impensati come dimostrano le battaglie sociali e culturali di questi giorni contro il razzismo e il colonialismo.

Il libretto di Adorno va in questa direzione. Pur consapevole dei mutamenti storici, ci aiuta a comprendere l’invarianza di alcune caratteristiche e di alcuni dispositivi tipici del radicalismo di destra e del fascismo. Non è poco.

18 giugno 2020

13 pensieri su “Theodor W. Adorno: «Aspetti del nuovo radicalismo di destra»

  1. T.W. Adorno è stato uno dei filosofi ebrei che hanno dato un contributo significativo alla storia culturale del XX sec. Il suo pensiero, com’è nella tradizione ebraica, è legato a un certo realismo, per necessità. Voglio dire che le considerazioni sulle radici culturali della Destra nascono dall’esperienza diretta del Nazifascismo, che Adorno e gli ebrei hanno pagato sulla propria pelle.
    Donato Salzarulo vorrebbe ricondurre al presente queste considerazioni Adorniane, alla situazione politica attuale dell’Italia, per sostenere che Salvini (Leghista) e la Meloni (Destra), anche se non lo dichiarano, alla luce delle riflessioni di Adorno restano comunque dei fascisti. Intanto mi viene da pensare che se Destra uguale a fascismo, allora anche Sinistra uguale a comunismo. Ma veniamo all’Italia. Attualmente governa una forza di Sinistra (PD), che gode di una parte minoritaria del consenso elettorale; il suo alleato politico, i Cinque Stelle, ancora meno. Questo partito, che non ha più una identità politica (e si è consegnato nelle mani di un trasformista, messo lì a suo tempo da Salvini, con un abito buono per tutte le stagioni, avvocato di se stesso), viene oramai considerato come un difensore dei privilegi delle classi più abbienti e della classe dei pensionati (a Roma ha raccolto consensi ai Parioli e a Milano nel centro storico); non solo, appare ‘strutturalmente’ legato al potere bancario ed economico (vedi l’affarismo di Renzi e della Boschi); rincorre improbabili utopie che poi fa pagare alla povera gente, vuole imporre un ‘politicamente corretto’ che fa a pugni con la realtà. Da ultimo, e non da meno, conta sull’appoggio della Magistratura di Sinistra per sbarazzarsi degli avversari politici. Fatte queste considerazioni ( alle quali ce ne sarebbero da aggiungere tante altre sullo specifico della sua azione politica), non risulta difficile capire il perché dell’interesse popolare verso i politici della Destra. Troppo comodo scaricare le responsabilità sulla propaganda! C’è da considerare, inoltre, che non esiste solo una Destra’liberale’, ma anche una Destra ‘sociale’, quella che in questo momento rappresenta la Meloni, che risale ancora alle radici socialiste di Mussolini. La Destra, anche nella sua visione sociale della politica, si appoggia a dei solidi valori culturali, ai quali la Sinistra è libera di non credere, ma che sono condivisi da tanta gente. Perciò, invece di riempirsi la bocca dell’appellativo di ‘fascista’ in riferimento all’avversario politico (atteggiamento stigmatizzato anche da Ennio Abate in uno dei suoi tanti interventi sul “vento leggero che soffia su Villa Casati”), sarebbe più utile attivarsi per fare qualcosa di meglio, o di più consono a quello che si aspetta la gente dalla politica. La mia è un’opposizione solo moderata, da vecchio repubblicano; ma credo che se Adorno fosse al corrente di questa situazione al posto dei ‘minima moralia’ scriverebbe i ‘maxima moralia’.

  2. Caro Casati, la ringrazio per il suo commento. In conclusione (o quasi) del mio articolo, scrivo: «Per quanto mi riguarda avverto l’urgenza di una battaglia sociale e culturale contro gli odierni movimenti radicali di destra. Stare zitti non serve. Neanche sottovalutare. Siccome hanno legami strutturali, occorre appellarsi agli interessi reali. Smascherare gli stratagemmi che loro utilizzano è utile e giusto. Ma il disoccupato, il lavoratore precario, il piccolo artigiano, chi ha una partita Iva, il commerciante che teme l’impoverimento, non verranno convinti da discorsi moralistici o retoriche dichiarazioni di antifascismo. Servono iniziative programmatiche, organizzazioni, partiti capaci di promuovere il conflitto sociale e la lotta per la difesa delle classi dominate e dei gruppi sociali declinanti.»
    Quindi, per me l’attuale PD non conduce, come si dovrebbe, una battaglia sociale, culturale e politica contro gli odierni movimenti radicali di destra, diventati pericolosamente egemoni nella nostra società. Non mi sento perciò destinatario delle sue osservazioni. Io non ho votato nessuno dei partiti attualmente al governo.
    Quanto al «riempirsi la bocca dell’appellativo di ‘fascista’ in riferimento all’avversario politico», le riporto questo scambio televisivo di Salvini con Corrado Formigli a “Piazzapulita”
    « “Non credo che lei abbia niente a che fare con i fascisti, anzi penso che lei sia antifascista, giusto?” dice Formigli.
    Salvini come paralizzato non risponde.
    Formigli insiste: “È antifascista lei?”
    E Salvini: “Io sono antirazzista”
    Formigli incalza: “No, mi dica se è antifascista”.
    E lui: “Io sono antirazzista, e fascisti e comunisti…”
    Il conduttore non cede: “No, no…non faccia il furbo con me. Lei è antifascista, oppure no?”
    “Il fascismo e il comunismo li studio sui libri di storia.”
    “Questa non è una risposta. Lei mi deve rispondere se è antifascista. Lei lo sa che Bossi diceva di essere antifascista.”
    “Io sono contro tutte le persone che non rispettano il prossimo.” Poi aggiunge: “I ragazzi di Casa Pound sono venuti a manifestare a Milano e non hanno lasciato un mozzicone di sigaretta…Per quanto mi riguarda, discutere nell’ottobre del 2014 di fascismo e comunismo significa guardare al passato. […] Ragionare di destra o di sinistra, di fascismo e comunismo mi sembra antistorico.”
    Non è invece antistorico cogliere l’occasione dell’anniversario della nascita di Mussolini per fare, proprio dalla Romagna, terra natale del Duce, un bel tweet che ne ripete una delle massime più amate: “tanti nemici, tanto onore”.
    Non è antistorico chiedere l’abolizione delle leggi che puniscono revanscismo fascista, razzismo, xenofobia e antisemitismo, che Salvini definisce “leggi liberticide”. Né è antistorico fare l’occhiolino a chi si autodefinisce “fascista del terzo millennio”»
    Questo scambio e queste considerazioni si possono leggere a pag. 162-163 dell’interessante libro di Claudio Gatti «I demoni di Salvini. I postnazisti e la Lega» (Chiarelettere, 2019).
    Nell’introduzione scrive: «Salvini è a mio giudizio molto più preoccupante di un fascista. È un cinico opportunista che ha assecondato un’operazione d’infiltrazione culturale e politica da parte di un manipolo di persone classificabili come “postnazisti”. E, a seguito di tale operazione, è diventato agente d’influenza di una potenza straniera, la Russia di Putin» (pag. 3).
    Quanto alla Meloni, lei stesso scrive che rappresenta la «Destra ‘sociale’, quella che risale ancora alle radici socialiste di Mussolini». Quindi, se si sente erede di Mussolini e la si chiama fascista, non dovrebbe suonare come un insulto.
    Il problema, però, è quello delle leggi che Salvini definisce “liberticide”. Ci sono, sono ancora in vigore e si rischia talora di essere condannati, come è accaduto a Roberto Jonghi Lavarini, esponente dell’estrema destra milanese. Si è beccato due anni per apologia di fascismo perché aveva dichiarato a “Le iene” su Italia 1:
    «Se vogliamo dirla tutta, l’unico errore vero di Mussolini è che è stato troppo buono con i suoi oppositori politici», e in fondo «un goccino di olio di ricino è digestivo, aiuta anche al dimagrimento, è tutta salute ti fa ragionare», insomma «al limite un goccio d’olio non si nega a nessuno.» Se poi una figlia sposa un ragazzo ebreo, «lei con chi fa sposare sua figlia, con uno analfabeta, morto di fame con l’Aids, drogato, ebreo e comunista? No, e allora perché deve affibbiarlo solo a me?» (Corriere della Sera del 25.6.2020, Cronaca di Milano, pag. 7).
    Del resto, di che meravigliarsi? Qualche anno fa, il liberale che posa da “padre della Patria” dichiarò che «Mussolini non ha mai ammazzato nessuno» e che «il Duce mandava la gente in vacanza al confino.»
    Ha ragione Adorno: «Ora, la legge impedisce a questa ideologia di esprimersi completamente. Si può dire che tutte le affermazioni ideologiche del radicalismo di destra sono connotate da un conflitto permanente tra ciò che non è lecito dire e ciò che farebbe ribollire l’uditorio […]. Ma questo conflitto non è soltanto esteriore, l’obbligo di adattarsi alle regole democratiche implica anche una certa trasformazione nei comportamenti, e in tutto ciò c’è qualcosa di stentato – non saprei come altro definirlo – che segna questi movimenti quando si ripresentano. Ciò che è apertamente antidemocratico sparisce. Viceversa, ci si richiama sempre alla vera democrazia e si accusano gli altri di essere antidemocratici. E nell’accettazione delle regole democratiche c’è una certa contraddittorietà.» (pag. 39-40)
    Quando questa destra radicale andrà al governo – speriamo di no – e abolirà le “leggi liberticide”, l’apologia del fascismo non sarà più un reato e questa contraddittorietà dei comportamenti sarà eliminata. Allora il 25 aprile non sarà più ricordato, la Costituzione “d’ispirazione sovietica” sarà relegata in archivio e il liberismo da flat-tax del “prima gli italiani” continuerà a premiare i ricchi capitalisti…
    In questi giorni sto leggendo un libro di Francesco Filippi. Si intitola: «Ma perché siamo ancora fascisti. Un conto rimasto aperto.» Ecco, qual è il problema, con buona pace di alcune correnti storiografiche: il fascismo è un conto rimasto ancora aperto.

  3. APPUNTO 2

    DA POLISCRITTURE SU FB 12 gennaio 2019

    Ennio Abate SEGNALAZIONE

    *Sullo stesso tema una ricerca di Enzo Traverso. Non so quanto affine a quella di Vercelli, non avendo letto il libro di cui al link ho trovato un estratto. [E.A.]

    Stralcio:
    Il fascismo è tornato. In realtà, non ha mai smesso di interessare gli storici e di nutrirne le controversie, ma ultimamente nei dibattiti pubblici riecheggia con insistenza. A volte risorge spontaneamente, come una sorta di passpartout semantico, quando non sappiamo che nome dare a nuove realtà inattese e soprattutto inquietanti. Con questo termine definiamo l’ascesa delle destre radicali un po’ ovunque nell’Unione europea, nella Russia di Putin e nelle fazioni che si affrontano in Ucraina, nel “califfato” che Daech cerca di costituire in Iraq e in Siria e infine negli attacchi terroristici di inizio 2015 in Francia, in Tunisia e in Kenya. In Francia, in particolare, tutti denunciano o rievocano il “fascismo” in modo disarmonico e confuso, da Marie Le Pen a Manuel Valls, fino a Alain Badiou e altri intellettuali di sinistra.

    Siamo sicuri che l’uso indiscriminato di tale concetto ci aiuti a capire davvero fenomeni cosi differenti gli uni dagli altri? Molto più che ad analizzarli, il ricorso alla nozione di fascismo serve a condannarli secondo una tendenza tipica della nostra epoca e a trasformare la morale in categoria cognitiva. Ebbene il ritorno del “fascismo” rende urgente e necessario distinguere le realtà circoscritte in tale concetto.

    ( da http://fondazionefeltrinelli.it/le-metamorfosi-delle…/)

    Comunque mi pare che anche Traverso sottolinei le ” le differenze che separano questi nuovi movimenti dai loro antenati degli anni Trenta”. e giudica “più pertinente” anche se non esauriente il termine *postfascismo*, che indica sia “questa novità dal fascismo storico” sia “una continuità”. L’incertezza dei concetti che usiamo non deve per spingerci a disfarci di ogni concetto, ma ad usare con cautela quelli che sembrano più accostarsi alla “cosa”:

    “Oggi, con l’ascesa delle destre radicali, questa tensione si fa più acuta e rende quindi più urgente la necessità di un approccio comparativo. Da un lato, gli analisti esitano a parlare di “fascismo” – salvo qualche eccezione come l’Alba dorata in Grecia (che si può definire “neonazista”) o come il Jobbik in Ungheria – e sono d’accordo nel riconoscere le differenze che separano questi nuovi movimenti dai loro antenati degli anni Trenta; dall’altro, qualsiasi sia il tentativo di definire questo nuovo fenomeno, il confronto con il periodo tra le due guerre è inevitabile. Il concetto di “fascismo” risulta a volte insoddisfacente, inappropriato, spesso inevitabile per comprendere questa nuova realtà. Quello di “post-fascismo”, termine che distingue questa novità dal fascismo storico e che suggerisce una continuità così come una trasformazione, mi sembra più pertinente; non risponde certo a tutte le questioni aperte, ma corrisponde a questa fase transitoria :

    L’estratto del libro di Traverso è troppo breve per dire di più. Bisognerà leggere il libro.
    Ennio Abate AGGIUNTA

    Mi accorgo che il saggio di Enzo Traverso può essere liberamente scaricato in PDF a questo link:

    https://fondazionefeltrinelli.it/app/uploads/2019/01/Le-metamorfosi-delle-destre-radicali-nel-XXI-secolo_Enzo__Traverso__.pdf?fbclid=IwAR1GNifYLm6QtPddPIHC-ucrFFkqqkqSmtmDjPH-hC0ZZKZ8Y204KPYOYhg

  4. Gentili Donato Salzarulo ed Ennio Abate, io concepisco un regime democratico come un terreno sul quale si alternano forze di governo e di opposizione. Per voi, teorici della sinistra, in Italia e altrove le attuali forze di opposizione sono sempre fasciste o neo-fasciste. Tenetevi pure questa vostra convinzione, se vi diverte tanto correre dietro al fantasma di Mussolini. Il ritratto che vi ho delineato del PD, condiviso da milioni di italiani, poco vi turba. Resta il dato di fatto che il paese in questo momento si trova in una situazione di estrema sofferenza, che richiederebbe il concorso di tutte le forze politiche, ciò nonostante la sinistra al governo respinge preventivamente qualsiasi proposta dell’opposizione. Dove sta la dittatura?

    1. @ Casati

      Caro Franco,
      suggerirei di evitare la contrapposizione io/”voi,teorici della sinistra” e soprattutto le semplificazioni tipo “le attuali forze di opposizione sono sempre fasciste o neo-fasciste”. Non a caso ho richiamato le analisi di due storici – Vercelli e Traverso – tra l’altro non in tutto tra loro collimanti, che non dicono questo. Poliscritture è luogo di ricerca e di discussione; e sia io che Salzarulo ci stiamo impegnando nella discussione. Non è giustificato da parte tua troncarla in un modo che a me pare sprezzante: “Tenetevi pure questa vostra convinzione, se vi diverte tanto correre dietro al fantasma di Mussolini”. Tanto più che nessuno qui sta difendendo il PD o sta negando il disastro e la sofferenza in cui CI troviamo. Elementi per approfondire le tesi REALMENTE contrastanti ce ne sono sia nei commenti di Salzarulo sia nei miei due Appunti che finora ho aggiunto. E, dunque, la discussione potrebbe continuare. Lascio a te la decisione di farlo o meno.

  5. Caro Ennio, credo di non essere sprezzante con nessuno, semmai un poco ironico, stufo di questo refrain che destra, o esponenti della destra, uguale fascismo e sinistra democrazia. Reagisco solo a delle provocazioni delle quali non vi rendete nemmeno più conto da tanto che le date per scontate, mascherate dai teorici della sinistra, e solo della sinistra. Succederà un giorno che ne citiate uno di destra, teorico politico o filosofo che sia? Mi piacerebbe che arricchiste il mio bagaglio culturale anche da questo lato… Auspico soltanto, come tanti italiani, che si vada presto a nuove elezioni e che cessi il connubio fra politica e magistratura col quale la sinistra sta impedendo all’Italia di essere uno stato di diritto (fate caso a un idiota che indossa una stupida mascherina e tacete su di uno come Palamara…). Checché tu ne dica l’articolo di Salzarulo non lasciava dubbi sulla sua tendenziosa finalità. Se io fossi un politico di destra non accetterei che mi si mettesse contro il pensiero di un grande filosofo e musicista che è stato vittima del nazismo. Nel Veneto abbiamo un Presidente che si chiama Luca Zaia, della Lega, al quale nessuno si sogna di dare del fascista, anche se magari non ne condivide le idee. Siccome questa diatriba, che tu chiami confronto, mi risulta avvilente, voglio finirla qui, col proposito, d’ora in avanti, di rispondere solo a vostre sollecitazioni culturali di carattere letterario o artistico, non riconoscendomi nelle posizioni politiche, palesi, di ‘Poliscritture’. Tolgo il disturbo ‘sommessamente’, come direbbe la Meloni, così potete tirare un sospiro di sollievo…

    1. ” non riconoscendomi nelle posizioni politiche, palesi, di ‘Poliscritture’” ( Franco Casati)

      E questo mi pare un’altra forzatura da parte tua. Uno, perché non tiene conto della storia di Poliscritture, prima redazione (vedi https://www.poliscritture.it/chi-siamo/) e ora solo ” a cura di E. A.). Due, perché le voci di collaboratori-ici e/o commentatori-ici sono state e sono varie e dissonanti, come puoi ben vedere anche da un esame frettoloso di articoli e commento.
      Per me il confronto (non diatriba) potrebbe continuare. Ma ovvio, bisogna che le parti, che si trovano contrapposte, abbiano la voglia di di continuare.

  6. Caro Casati, non sono riuscito a risponderle prima e me ne scuso. A me pare, comunque, che su alcuni principi o su alcune regole siamo d’accordo. Ad esempio, lei scrive: «io concepisco un regime democratico come un terreno sul quale si alternano forze di governo e di opposizione». Anch’io la penso così. Perché avvenga questo, è necessario che le forze politiche di governo e di opposizione, condividano il patto fondamentale che regge la nostra società, cioè la Costituzione italiana; una Costituzione, come lei saprà, dichiaratamente antifascista (XII Disposizione transitoria e finale). Lei è d’accordo su questo?…Domanda: perché un Ministro degli interni (Salvini) che, al momento di ricevere l’incarico, giura sulla Costituzione, rifiuta di dichiararsi apertamente antifascista?… Non solo: perché copre e strizza l’occhio a chi apertamente si definisce “fascisti del terzo millennio”? Me lo spieghi lei. Questo è un fatto, non un pregiudizio mio. Sono curioso di conoscere la sua risposta.
    Anche definire la Lega di Salvini e Fratelli d’Italia delle forze di destra radicali ed estremiste non è un pregiudizio mio. È ciò che, ad esempio, fa lo stesso Berlusconi. A fine settembre del 2019, dal palco del teatro Manzoni, a un convegno di Forza Italia sulle pensioni, ha dichiarato:
    «Lega e fascisti li abbiamo fatti entrare noi al governo, li abbiamo legittimati noi, li abbiamo costituzionalizzati noi…Siamo ancora nel centrodestra, di cui siamo il cuore, il cervello e la spina dorsale…Siamo obbligati a stare nel centro destra, se loro non avessero noi in coalizione non sarebbero centro destra, sarebbero una destra estremista, non avrebbero la capacità di vincere e sicuramente sarebbero incapaci di governare.»
    “Fascisti”, “destra estremista”, non sono quindi termini che uso io, perché pregiudizievolmente di sinistra. Sono termini che usa un loro alleato. Dice di più. Dice che questa destra è incapace di governare. Perché?… Semplice: perché non è una destra europea. Soffre di nazionalismo “patico” per raccogliere voti. Vorrebbe che si stampassero ancora le lire e non si rende conto che senza la BCE e l’Europa in questa situazione saremmo alla bancarotta. Sostiene di avercela con la finanza e con i grandi capitalisti e poi propone la flat tax che avvantaggerebbe proprio questi signori…
    Insomma, caro Casati, lei sostiene che vedo le cose in maniera pregiudizievole. Ma non è che anche lei ha dei pregiudizi, un partito preso contro la sinistra e non vuole vedere i fatti come sono?… Grazie, comunque, per i suoi interventi.

  7. Gent. Donato Salzarulo, premetto che per quanto ho letto finora di suo nutro verso di lei molta e sincera stima. Ho già avuto modo di manifestarglielo e non ho cambiato idea, e quando dico una cosa la penso, mi chiamo Franco di nome e lo sono anche di fatto. E in più, se ciò non bastasse, me lo impone il mio credo: il tuo sì sia sì e il tuo no sia no. Mi rammarico di averla presa come capro espiatorio per il mio sfogo contro una certa sinistra, che non è assolutamente quella che ho conosciuto io, ma non se ne abbia a male più di tanto perché tutti siamo un po’ tendenziosi e abbiamo dei pregiudizi. Mi permetta un retro pensiero, tanto per chiarirci. Mio nonno, Mario Casati, di Bergamo, classe 1892, garibaldino delle Argonne, socialista, fu perseguitato dal regime fascista e rinchiuso per un certo periodo nel famigerato carcere degli Scalzi di Verona. Salvò la pelle e l’onore, senza diventare uno di quei tanti volta gabbana che nel dopoguerra da fascisti diventarono comunisti. Mio padre, Aldo Casati, iscritto al PSIUP, amico del Sen. Albarello, fu delegato sindacale della CGIL (prese tre croci al valore militare per azioni partigiane). Nel dopoguerra né lui né mio nonno parteciparono mai a sfilate partigiane, pensando che quella storia fosse finita, contenti che fosse finita. Guardavano al futuro. Mia madre, nata e cresciuta in Francia, di cultura illuminista e grande lettrice di Victor Hugo, mi trasmise valori repubblicani.
    Sono cresciuto a Verona sotto la pesante cappa democristiana, dagli anni 50′ in avanti, che mi ha alienato dalla politica col suo spettacolo di potere legato a quello della Chiesa. Ma non condividevo del tutto nemmeno le idee di mio padre. Perciò per sentirmi equidistante dalla sinistra e dalla destra e per essere in sintonia con un partito laico progressista ho sempre votato per il Partito Repubblicano, finché ha avuto un suo spazio politico, e poi mi sono sentito orfano. Tuttora sono disorientato, non condivido il credo leghista perché ho una visione nazionale della politica, di Salvini apprezzo solo poche idee (sul perché non voglia dichiararsi apertamente anti-fascista lo deve chiedere a lui, anche a me desta sospetto ma è evidente che non si può imporre a uno di rilasciare questa dichiarazione); sul Pd mi pare di avere già scritto abbastanza.
    Faccia la cortesia, gentile Salzarulo, di non tirarmi in campo Berlusconi; le sue TV le considero come uno dei principali ostacoli alla cultura e della sua visione politica apprezzo soltanto che sia anticomunista anche se considero, obiettivamente, che sia stato la principale vittima di quella magistratura di sinistra che oggi, a mio parere e non solo mio, è uno dei nodi politici che va assolutamente districato, ammesso che sia ancora possibile.
    Di sicuro sono convinto che si debba essere europeisti, auspicando che anche la bella signora faccia la sua parte e non tradisca lo spirito di Ventotene. Mi dispiace dirlo, ma mi sembra che uno dei politici più coerenti sulla scena italiana sia attualmente la Meloni, sicuramente politicamente più avveduta e affidabile di Salvini e di tanti esponenti della sinistra, forse ad eccezione di Calenda e di To[t]ti (spero che per questo apprezzamento lei non mi dia del fascista).
    Non sono un appassionato della politica, già di mio, e questo gusto mi è stato tolto fin da giovane; non è per sottrarmi al dialogo, mi sembra di essere stato abbastanza esplicito, ma preferirei per il futuro affrontare altri argomenti.
    Le rinnovo i sensi della mia amicizia e stima. Con l’occasione mando un saluto anche ad Ennio Abate, che da quando lo conosco ho sempre l’idea che sia un’anima in pena (sic).

  8. Ho scritto Totti, ma intendevo Giovanni Toti; alle 0,46 cominciavo ad essere preso dal sonno. Non sono un appassionato di calcio, e ancora meno della Roma.

  9. Caro Casati, con la sua storia di famiglia ha tutti gli elementi per orientarsi. Forse il nonno, il babbo, la mamma, se lei li ricorda così accoratamente, le inviano ancora messaggi. Probabilmente direbbero, ciò che Fortini scrisse al termine di un’indimenticabile poesia di «Composita solvantur»: “Proteggete le nostre verità”. Io non ho da menar vanto della storia del comunismo realizzato, ma senza la spinta per un altro mondo, senza la credenza che un altro mondo sia possibile, rimane soltanto la barbarie del presente.

    Ma voi che altro di più non volete
    se non sparire
    e disfarvi, fermatevi.
    Di bene un attimo ci fu.
    Una volta per sempre ci mosse.
    Non per l’onore degli antichi dèi,
    né per il nostro ma difendeteci.
    Tutto ormai è un urlo solo.
    Anche questo silenzio e il sonno prossimo.

    Volokolàmskaja Chaussée, novembre 1941.
    «Non possiamo più, – ci disse, – ritirarci.
    Abbiamo Mosca alle spalle». Si chiamava
    Klockov.

    Rivolgo col bastone le foglie dei viali.
    Quei due ragazzi mesti scalciano una bottiglia.
    Proteggete le nostre verità.

    Questa è la poesia di Fortini che le dicevo. Gliela regalo. Con immutata amicizia e stima anche da parte mia.

  10. Gent. Donato Salzarulo, la ringrazio per il suo messaggio: in questo momento sento che mi restano solo lacrime.

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