Su “La disciplina dell’attenzione”di Roberto Bugliani (2)

di Franco Romanò

La prima suggestione che mi ha colto, leggendo il romanzo di Bugliani, è stata di associarlo a “Sotto il vulcano” di Malcom Lowry, analogia che si è rarefatta durante il prosieguo, ma non del tutto. Diverso il linguaggio, diverso il modo di trattare il rapporto fra narrazione e

divagazione e tuttavia nel perdersi dentro quei mondi latino americani, così apparentemente uguali e invece ciascuno con le sue caratteristiche, a volte indecifrabili, qualcosa di quel romanzo degli anni ’30, alla fine rimane sullo sfondo. Forse anche perché mi è capitato di leggerlo, su suggerimento di Ennio Abate, proprio nel momento più duro della clausura a seguito di Covid 19, in un clima che ricordava in qualche modo quello del tempo in cui il romanzo di Lowry è ambientato: l’Europa alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, un esule che si perde in quel continente dove nascondersi e mimetizzarsi è così facile; anche oggi. Il parallelo regge e allora, prima di mettere in evidenza anche alcuni aspetti stilistici assai felici del romanzo, apro un parentesi che è anche personale. Oltre che essere io stesso un grande viaggiatore che l’America Latina un po’ la conosce, ho vissuto questa lettura del romanzo di Bugliani, da esule – in un certo senso – perché, partito da Milano per andare a presentare libri a Roma e poi per una visita rapida a Reggio Calabria, ho finito per rimanerci bloccato per tre mesi mezzo e quasi per un gioco bizzarro del destino le ultimissime pagine del romanzo le ho lette appena rientrato a Milano, il che ha aumentato il senso di spaesamento. Infatti, l’humus sociale di una città come Reggio Calabria (che già conoscevo), favorisce la lettura del romanzo di Bugliani, perché la città ti fa capire quanto poco conosciamo l’Italia, ma anche quanto poco conosciamo i legami profondi con l’America Latina: a Reggio l’indipendenza argentina del 1810 viene ricordata in cerimonie ufficiali perché sono tanti gli emigrati calabresi in quella terra e persino nelle cose più banali come il tifo calcistico, quando vinse l’Argentina i mondiali di calcio le bandiere bianco celesti si sono viste anche lì. Alla fine di questo mio duplice viaggio dentro il romanzo e la pandemia mi sono chiesto, una volta tornato a Milano, quando mai potrò rivedere la mia amata latino America e poi mi sono domandato se l’opera di Bugliani non chiuda forse il cerchio che si era aperto con l’altra del 1938. Nel mezzo c’è stato di tutto nei rapporti fra l’Europa, l’Italia e quel continente: la fuga dei gerarchi nazisti, una nuova stagione di emigrazione italiana, la musica, il Che e la rivoluzione cubana, “Cent’anni di solitudine” e il Cile di Allende, i viaggi iniziatici della generazione sessantottina, la mitologia esotica del Puerto Escondido, lo zapatismo; ma specialmente il fascino di perdersi in quei mondi da parte di gringos ed europei e la distanza irriducibile che ci separa dagli indios, misteriosi e indecifrabili sempre. E adesso? Tutto diventa imprevedibile. Le compagnie aeree, nel tentativo un po’ criminale di recuperare e scongiurare i possibili fallimenti, riempiono gli aerei a differenza dei treni: ma quanti, a parte coloro che devono rientrare perché bloccati dalla pandemia, li prenderanno? A parte manager giramondo, che contageranno mezzo mondo come hanno già fatto, è probabile che il traffico aereo vada incontro a una grande debacle e tutto sommato non sarebbe affatto un male: vuoi vedere che si torna ad andarci in nave in America Latina?
Nel romanzo di Bugliani molte delle suggestioni e delle realtà di quella parte di mondo ci sono e il romanzo è governato da una strategia di montaggio molto efficace. Mi riconosco nella definizione usata da Franco Casati nella sua recensione: un romanzo saggio e quindi appartenente a una grande tradizione europea, anche se qui e là affiora anche il magico (impossibile da evitare quando si va da quelle parti), in alcuni episodi, ma senza mai cadere nel folcloristico. L’ambientazione scelta da Bugliani è l’Ecuador, ma ci sono momenti in cui si potrebbe anche essere altrove e in definitiva questo conta poco. Mi sembra importante un altro aspetto del romanzo: la presenza di personaggi che il lettore ricorda. Una narrazione importante è fatta anche di questo: Xiomena, Edison il consejero, il gringo, ma anche i personaggi minori come per esempio il ladro aggressore di una notte. E poi i luoghi e i bar, anche se mi sarei aspettato qualche mercato in più. Nella storia d’amore fra il gringo e Xiomena, rapidamente consumata, emerge tutta la distanza irriducibile fra la complessità di quel mondo e il nostro modo di guardarlo. Proprio sul guardare e il descrivere concludo perché mi è parso di leggere nell’incontro con Holger, il fotografo, una sorta di meta narrazione che forse avrebbe potuto persino espandersi di più; un dialogo fra il narrare e il fotografare, che è un altro dei grandi temi che hanno percorso tutto il ‘900.

1 pensiero su “Su “La disciplina dell’attenzione”di Roberto Bugliani (2)

  1. @ Franco Romanò,
    grazie per questa tanto più inaspettata quanto più gradita recensione, che mi ha dato elementi e motivi su cui riflettere.
    ” L’ambientazione scelta da Bugliani è l’Ecuador, ma ci sono momenti in cui si potrebbe anche essere altrove”. Verissimo. E’ la tragione per cui nel romanzo non ho mai nominato il paese in cui si svolge la narrazione.
    “anche se mi sarei aspettato qualche mercato in più”. Ora che mi ci fai pensare, verissimo anche questo.
    ” La prima suggestione che mi ha colto, leggendo il romanzo di Bugliani, è stata di associarlo a “Sotto il vulcano” di Malcom Lowry”. Qui ci andrebbe un “grazie” grande come una casa, ossia un GRAZIE. Sì, “Sotto il vulcano” è tra i romanzi che amo.
    ” mi sono chiesto, una volta tornato a Milano, quando mai potrò rivedere la mia amata latino America”. E’ anche la mia domanda, che l’ombra di The Raven (Poe) nel mio caso insidia.

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