Riordinadiario 2 luglio 1979

StoColognom

DI UNA RIUNIONE (IN QUEL GIORNO DEL 1979) AL CIRCOLO "LA COMUNE" DI VIA DON GIUDICI SU "UN ANIMALE NUOVO”: IL GIOVANE OPERAIO

di Ennio Abate

Guido, vorrei che tu, Lapo…Ed io sotto la pioggia, senza ombrello, in auto, dunque, e certamente in anticipo, con liquirizia in bocca vado. E me la giro in terza questa parte della città senza novità – irrimediabile non novità – con sospetto di novità inafferrabile. Dato che molto, troppo tempo é passato, é volato via (appunto!), ma il cinismo non é sopravvenuto, mi resta la voglia candida, castigata (anche sessualmente), di capire. Pioggia, dunque. Eguale (dentro) a pensiero lucidato e vigile. In anticipo l’orologio (20,40 non 20,55): parapsicologico comando? L’orologio dell’uomo ansioso trasmette velocità alle lancette? Non può darsi un “può darsi!”, anche se alla Celes [1] vanno, si vendono proprio questi: libri sui tarocchi, le scienze occulte e piovosità nebbiose del genere. Per non tornare nevroticamente a casa, a salire-scendere-toccare il portafoglio, masturbare il baffetto, controllare la posizione degli occhiali sul naso, m’attardo. Oziando questo quarto d’ora. Che poi con questa pioggia, si sa (so bene), quanti verranno? Che poi i cartelli li ho messi solo ieri. Che poi G. neppure ha distribuito le fotocopie dell’articolo. “L’ho date solo a quelli che me l’hanno chiesto”. Bravo! E quanti chiedono oggi? Beh, forse chiedono, chiedono altro. Questo nostro ritrovarci a passare falsamente per caso (e pertanto sistematicamente) in libreria è chiedere “socialità”. Voglia di partito direbbe esagerando R. Dice E. che direbbe R. Per sfottersi amaro. E sostanzialmente questo “filo rosso”, o “tendenza”, questa presenza implicita di “bisogno di”, d’indefinito bisogno l’ho afferrata. E perciò ho proposto questo “gruppo di ricerca ­sociale”, che poi si riduce (per il momento, speriamo) a due riunioni settimanali, annunciate con 4 manifesti a pennarello affissi nei 4 punti strategici – (mio cugino Guglielmo, sì, sapeva i punti in cui nascondere le trappole per gli uccelli!) – dei percorsi quotidiani dell’”area dei compagni”: Bar Paoletto [2], Circolo La Comune [3], angolo della cancellata vicino al semaforo del centro [4], alla libreria Celes. Ma sai. Chi è sicuro di qualcosa in questi tempi? La prima riunione è comunque andata. Ma chi ti dice che la seconda? E’ vero qui chiunque ha ancora l’energia per una proposta (fosse un cineforum importato da Obraz cinestudio per vie assessorili, fosse una bella campagna elettorale o un dibattito) un pubblico con l’aria sorniona (“vengo a vedere sai, ma non contare su di me!”) lo trova. Energia di una proposta. Bah! In realtà ci siamo ri-sintonizzati. Forse. Dopotutto viviamo qui, in condizioni non troppo dissimi­li tra loro. Viviamo qui ricacciati anche nel ghetto della bassa “socializzazione”. Quindi per necessità, bisogno materiale di stare insieme, sentirsi. Il dibattito fa da esca. E più o meno schifiltosi, in mancanza di meglio, ci veniamo. Giusto così, per sentire. Per criticare alla fine (“parlano sempre i soliti”). Per alludere a fantasmi privati o ricacciati un attimo indietro all’inizio della riunione. Eravamo lì. lo, che sono arrivato alle 20,55 dopo la divagazione automobilistica. Le vie deserte. Le auto posteggiate ai lati. La gente alla TV. Poi A. e lo studente lavoratore giovane, che sono scesi dall’auto: “Non c’è ancora nessuno. Eh, co’ ‘sta pioggia! Ah, c’hai la chiave?”. I due cani nel giardino. La chiave che fa la difficile, anche lei. Lo sgabuzzino pieno di cartacce. “Era sempre un casino per chi doveva scopare”. Libri accatastati della defunta biblioteca del circolo. Romanzi Mondadori. Qualche testo di Scabia sul teatro. Opuscoli del PCI e di AO del ‘72-‘73. Un’antologia scolastica per le superiori. Qualche rivista: Sottosopra, Il corpo. Il ciclostile ora è in pensione. Striscioni di bandiere rosse conservati in un angolo. Una bici tenuta bene. Poi è arrivato A.M. a cercare solidarietà per il terribile incidente capitatogli stamattina. Auto distrutta. Camion. Alla curva. Sbandato io. “L’importante è che hai salvato la pelle”. Poi la C. con l’aria timidotta. Come un cuscino che fa venire la voglia di ficcarci dentro spilli d’ironia e di sarcasmo. E, infatti, D. Lam. e P. questo fanno:- Ma non è tua figlia? Non avevi una figlia? E’ questa? E l’Antonella vestita di bianco, sul classico mi pare, che si butta a fumare, se non mi sbaglio. Lo scrocco di sigarette è “normale”. Mi butti una sigaretta. Attento. E Antonio T. E Antonio V. E siccome si è in pochi, e siccome non si può più sbottare irati (“Ma cazzo, ‘sti compagni…”), si mette su una conversazione. A un livello sostenuto, eh! Non permettere pause di silenzio: s’nfiltrerebbe l’angoscia del perché di tante assenze e delle scomuniche di questi anni. E perciò parte lo spettegolezzo politico. La questione degli appalti. I tre socialisti che hanno fatto il manifesto. Incazzatura di Bonalumi [5]. M. che è arrivato con le toppe e adesso ha la villa. La G. è una stronza che non capisce un cazzo. C. è in rotta con il PCI. Da tempo. Da destra o da sinistra? Boh. Spaccatura nella Giunta. Ma che giunta e giunta! E’ giunta una pesante lastra ideologica che copre questo formicolio: “Ecco il prodotto del compromesso storico”. Beh, però, l’abbiamo fatta questa riunione. Con scetticismo. Senza pretese. “Tanto ormai siamo già qui”. Se volete che io faccia il mormorio iniziale, cosi per scaldarvi il cervello e non il cuore e costruire questo (essenziale?) “spazio collettivo” per intrecciare la “comunicazione”, bene, lo faccio io. Espongo e problematizzo. Sono più interessato ai problemi e l’esposizione sarà stringata. Dunque, siamo al passaggio (duraturo o provvisorio?) dall’operaio massa all’operaio sociale? O è il solito (o quasi) conflitto generazionale? Che prospettive? Ho detto. E mi metto in ascolto (in agguato). A. ritira fuori la questione della droga in fabbrica. A.M. ricorda che negli anni ‘60 entrare in fabbrica, nella grande azienda, era sentito come un segno di promozione sociale. Poi ci si impegola sulla questione se: “è l’elevamento dei livello culturale che produce questo rifiuto del lavoro?”. E così, di soppiatto, M. e A.V. s’infilano nella nebulosa del “rifiuto del lavoro”, del “diritto all’ozio”. “Insomma, i giovani operai rifiutano di imparare il lavoro. Non ci tengono al mestiere. Si iscrivono al sindacato, ma solo per avere protezione. E non partecipano alle assemblee. Da noi un seminario sulla busta paga della Cisl è fallito. “Tanto non cambia nulla” dicono. Travoltismo [6]. Droga. Nessuno rifiuta lo spino. Anche in fabbrica. E questa questione sul Manifesto non viene affrontata. Io ci vivo in mezzo a loro, ma non riesco a capirli. Ti rifiutano. Anche me, Gigi, Gianni, che non siamo gli operai standard. Ci vorrebbe un questionario che li toccasse veramente”. “Anch’io penso che il Manifesto abbia trascurato alcune cose. Nelle piccole fabbriche gli operai vogliono contare, non occuparsi solo di fabbrica. Il travoltismo è un modo come un altro per uscire dagli schemi. C’è un tipo da noi che tutte le domeniche va in discoteca vestito d’arancione. Tutte le domeniche. Eppure sapeva tutto della busta paga e la spiegava agli altri. La droga: è vero che gira bene anche nelle grandi fabbriche. Ma allora i vecchi che bevono?”. Antonio, tu! una cosa devi dirmi con chiarezza. Tu sei per il rifiuto del lavoro o no? Perché non si capisce. Perché con la storia della fotografia del fenomeno e col trucchetto che la storia no – (hai comandato la risata quando Marotta ha cominciato: 10, 15 anni fa…negli anni 60″!) -, che il futuro no, che non si deve ipotizzare, tu mi metti nel fondo di questa vallata ad aspettare che la valanga ci precipiti addosso. Ed io, noi ad osservarla. E tu, Maner, devi dirmi – (anche se ti apparirò un classico noioso) – che realizzazione individuale è quella di milioni di giovani che fanno tutti individualmente la stessa cosa. E ancora, Antonio, non menarla che tu passi giornate intere steso sul letto con la radio accesa a fumare e far andare la macchina desiderante. E che, se ti offrono un posto di perito, tu lo rifiuti, dicendo:” Cento volte meglio questa emarginazione – (sostenuta dall’economia familiare, che ti permette anche d’iscriverti all’università eh!) – che la Falk”. Se è sepolto il socialismo, teorizzatemi almeno il saccheggio della ricchezza esistente. Questo, sì, che sarebbe “rifiuto del lavoro”. E, giacché troppo gli uomini hanno prodotto, non resta che appropriarsene. Senza stare a preoccuparsi di fare del lavoro qualcosa di “liberato”. Se il comunismo è già qui davanti ai nostri occhi, basta prenderlo e goderne, nevvero?

Note

[1] Libreria Celes all’inizio in Via Cavallotti. E’ stata per decenni l’unica libreria a Cologno Monzese.

[2] In Corso Roma all’incrocio con Via Negrinelli.

[3] In Via don Giudici sorto negli anni ‘70 sull’area dell’ex cinema all’aperto.

[4] Prima che venisse costruita l’attuale isola pedonale, all’incrocio di via Piave e Corso Roma, dove ora c’è una “rotonda”, c’era il semaforo. Le auto erano costrette a fermarsi e spesso i militanti dei partiti cercavano di vendere i loro giornali agli automobilisti di passaggio.

[5] Carlo Bonalumi, sindaco socialista di Cologno Monzese in quegli anni.

[6] Fenomeno d’imitazione di John Joseph Travolta (Englewood, 18 febbraio 1954), attore e cantante statunitense che aveva ottenuto la fama internazionale con i film “La febbre del sabato sera”,.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *