Sassi

di Marcella Corsi

           Sara raccolse da terra un sasso, un bel ciottolo grande più della sua mano e abbastanza liscio da poter essere piacevolmente esplorato con le labbra. Camminava da poco sulle sole gambe ed il passo aveva un andamento ondulato e irregolare, ma gli occhi erano pronti e senza paura.

La madre la osservava dirigersi a grandi passi verso il gruppo di bambini appena un poco più grandi di lei, aggrovigliati in un abbraccio di giochi a terra con un grande cane rosso. Valutò velocemente se il ciottolo potesse costituire un pericolo. Decise per il no. Si avvicinò comunque alla piccola, che la guardò solo per un attimo stringendo gli occhi in un sorriso, le prese il sasso dalle mani e glielo rese dopo averlo pulito con il lembo della gonna. Quella gonna-pantaloni scura con i fiori viola e lilla e verdi foglie allungate era quanto di meglio avesse trovato per scendere in giardino, lunga a sufficienza per parare erbe urticanti, ampia abbastanza per fare da asciugamano.

Quando Sara arrivò vicino al gruppo, suo cugino Paolo, l’unico più piccolo di lei, osservava interessato la coda mozza del cane che velocemente vibrava nell’eccitazione del gioco Che attraente cucuzzolo tentennante era quel mozzicone peloso al centro del sedere proteso verso l’alto! Testa e zampe anteriori erano invece premute sull’erba, ad annusare con qualche timidezza il panino che una mano grande quanto la sua zampa gli allungava. La testa che muoveva la mano aveva capelli rossi corti quanto il corto pelo del cane ed era pronta a dividere la merenda con lui. Più in là gli occhi grigi di un bambino appena un poco più grande osservavano la scena tra le punte dell’erba. Il suo corpo aderiva alla terra, fresca nonostante la stagione ancora estiva, in un abbandono stupito non del tutto sereno. Era la frequentazione meno assidua del luogo e dei suoi abitanti che faceva la differenza. Non del tutto convinto che una puntura d’insetto o un movimento maldestro del cane non gli avrebbero causato qualche fastidio, era però disposto a rischiare pur di godere lo spettacolo di quell’immenso animale, dei cugini e del giardino osservati da un’angolazione  inconsueta.

           Un piccolo sasso tirato con forza sorprese il cane sul muso mentre si accingeva ad addentare con delicatezza il panino. Nonostante la stazza e qualche antenato molosso, era di indole assai bonaria. E generoso: il panino l’avrebbe addentato più per non sdegnare l’offerta della bambina che per appetito. Condividere del cibo: un modo in più per comunicare con lei.

Si girarono entrambi verso la mano che aveva lanciato il sasso. Da dietro una cinepresa un occhio li fissava nel piccolo visore. La voce disse: ‹‹ Margherita, la merenda non è per Dick ››.

Dopo una breve pausa la stessa voce ricominciò a parlare dietro la macchina da ripresa, attirando i bambini in piccole provocazioni finalizzate allo spettacolo. Desiderava materiale vivo per il suo filmato. Se non poteva più avere la loro inconsapevole tranquillità, disturbata dal contrattempo del panino, avrebbe avuto almeno la vivace reazione alle piccole provocazioni giocose che andava proponendo a ciascuno di loro.

Cominciò col più piccolo, figlio della più giovane delle sorelle, cui lo legava una strana complicità fatta di resistenze involontarie a qualunque sollecitazione che non provenisse dal fondo di un se stesso non di rado assorto. Ma Paolo sembrava infastidito dalla telecamera, infastidito dal fatto che Dick si fosse allontanato, infastidito dall’essere stato distratto dai suoi pensieri. Dopo pochissimo lo vide sul punto di piangere. Non volle insistere.

Provò con Davide che aveva alzato la bella testa dal prato e l’osservava intimidito. Questo zio grande e bruno, che lavorava lontano, viaggiava spesso e quando tornava parlava di tante cose. In casa non sentiva mai parlare nessuno così a lungo, parlare ridendo, con passione o con rabbia. C’era qualcosa in lui che lo attirava e lo spaventava allo stesso tempo. Anche ora che gli parlava, sembrava come a scuola quando la maestra lo interrogava: che non gli veniva mai in mente cosa rispondere, mentre invece dopo con calma poteva dire tante cose.

Margherita era arrabbiata per via del panino, ancora di più per via di Dick che se ne stava adesso dignitosamente seduto sotto il susino guardandola da troppo lontano. In fondo non aveva tanta voglia di mangiare nemmeno prima. I suoi occhi scuri fissavano la cinepresa senza una parola. Voleva bene a quello zio con lei spesso affettuoso ma ora voleva Dick e lui l’aveva fatto allontanare troppo. Quel buco tondo in cui spariva l’occhio di lui mentre l’altro era tenuto chiuso come fosse cieco non le facevano apprezzare che la sua voce si rivolgesse a lei. C’era qualcosa di poco rassicurante in quella voce, come se fosse infastidita da qualcosa che la riguardava, che li riguardava tutti. Si strinse nelle spalle e ammutolì del tutto.

           Sara allontanò dalle labbra il ciottolo che conosceva ormai bene, avendone esplorato la superficie, il sapore, avendone annotato i colori, le parti ruvide, quelle levigate. Anche lei avvertiva un fastidio nelle parole del padre ma era un disagio che conosceva, non ne era spaventata. Era disposta a stare al gioco, se gioco era. Qualunque cosa fosse, era disposta.

Lo guardava con i piccoli occhi neri tanto simili a quelli di lui, incuriosita e pronta. Ebbe una della sue domande-provocazione. Partì per lo spettacolo che il padre desiderava inventando un racconto. La mimica dei gesti, l’espressione vivissima degli occhi, il movimento ridente delle labbra accompagnavano le parole della sua lingua personale di bimba ancora molto piccola.

La madre la guardava da lontano. Bellissima le sembrava quella piccolissima figlia, intensa e dolce, così capace di dire con tutta se stessa. Notò che nel corso della performance anche il ciottolo aveva avuto modo di tornare al suo posto tra l’erba. Senza volerlo, dal fondo del ventre le sorrise.

Pensò che quanto aveva scritto poco prima seduta accanto al tronco del mandorlo lui avrebbe dovuto leggerlo. Avrebbe dovuto sapere che quella era proprio la figlia che gli augurava, che augurava a se stessa. Doveva sapere che pensava che sarebbero stati capaci di volerle bene, che non c’era motivo che fosse così insoddisfatto, infastidito dal loro non corrispondere appieno al suo desiderio. Per lui e per se stessa aveva scritto.

Trasse di tasca il foglio sul quale i versi ritagliavano, con un paio di lacune, un rettangolo zebrato in bianco e blu. E rilesse, con qualche ritegno, immaginando che fosse lui a leggere:

                  Essere il padre di una donna bellissima
                  non una bimba nemmeno l’adolescente
                  sottile che piega di giunco la vita
                  una donna fatta all’amore al generare
                  l’idea il mondo costruzioni e vite intese
                  a camminare sole
                  essere il padre di una donna bellissima
                  che tanto bella si sente da consentirsi di
                  amare, ecco una buona riuscita di padre
                  e madre.

Sì, bisognava avere fiducia.                                                            

Il cane le si accostava, con Paolo che si teneva a stento in piedi aggrappato alla sua coda. Senza volerlo il piccolo gli provocò un guaito di dolore. La cinepresa si girò. Inquadrò anche la sua tenerezza senza sorriso, il breve orgoglio, la gioia. Ne fu attratta.

Ma  lei  vide  la  piccola  smarrirsi,  perdere  parola  e  gesto,  cercare quell’ occhio per  il  quale  aveva  inventato una diversa immagine di sé. Fino a ritrovarlo puntato sulla madre. La vide allora sorridere di nuovo, avvicinarsi.  La strinse a sé baciandola con trasporto.

La cinepresa si volse di nuovo verso il prato.  

2 pensieri su “Sassi

  1. Un piano del racconto è tutto visivo, dettagli e primissimi piani per i personaggi coinvolti, un plot, un intreccio poco separabile, il quadro d’insieme.
    Poi il racconto si fa 2° parte. La visione è l’occhio che cerca, è il Vedere del padre-zio, che viene invece guardato dai bambini e riportato al loro interno, come si sentono nei suoi confronti.
    Passaggio alla 3° parte del racconto, la dettatura interna della madre che collega i particolari, che segue con l’occhio attento, alla ruminazione interiore dei rapporti che legano quel plot arruffato di bimbi cane coppia adulta. Prolungamento al futuro, visione. La casualità improvvisata e disordinata del presente nel futuro ben disposto, per auspici promettenti e intenzioni incrollabili di favorirli. Che è il legame interno extra scena tra i due dei ex machina che reggono il quadro.
    Lettura gustata con molto piacere.

  2. …una narrazione molto delicata nel rendere viva una semplice trama che va coniugando, intrecciandoli, momenti di giocosità e momenti di amarezza… La scenetta descritta è quella di un gruppo di bambini molto piccoli che si intrattengono gioiosamente con un cane grande e mansueto..L’occhio intruso della cinepresa li riprende e una voce fuori campo interviene con richiami e sollecitazioni, quella di un padre-zio insoddisfatto che vorrebbe dirigere il quadretto mosso da paternalismo e perfezionismo fuori luogo… mentre l’altro occhio, quello materno e narrante, entra ad osservare il gioco infantile con spirito contemplativo e un grande trasporto affettivo per la figlia Sara che già vede futura “donna bellissima”… un sentimento forte che vorrebbe trasmettere al padre distratto davanti alla figlioletta desiderosa di compiacerlo, procurandole una prima delusione…Un intreccio di gesti, sguardi, movimenti tra presenti, piccoli e grandi, registrati attentamente ed emotivamente…La scrittura di Marcella Corsi mi ha richiamato in qualche modo quella di Virginia Woof in “Gita al faro”, dove la protagonista è una madre altrettanto sensibile

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