“Non luogo a procedere” di Claudio Magris

       

di Angelo Australi

Dopo l’apertura, fatta ad ottobre 2019 con la presentazione del romanzo di Claudio Piersanti La forza di gravità, questo ciclo d’incontri che insieme all’almanacco di racconti compongono il progetto La casa degli Strani – ideato dalle associazioni figlinesi il Giardino e Circolo Letterario Semmelweis e realizzato con il contributo dell’Amministrazione comunale di Figline e Incisa Valdarno -si è concluso con un altro importante romanzo scritto nella nostra contemporaneità: Non luogo a procedere di Claudio Magris. Ne abbiamo parlato al Centro Sociale il Giardino venerdì 23 ottobre 2020

Il libro di Claudio Piersanti è stato pubblicato da Feltrinelli nel 2018, Non luogo a procedere da Garzanti, nel mese di ottobre del 2015. Abbiamo scelto di partire e di chiudere il ciclo di conferenze con la “rilettura” di questi due romanzi perché li ritenevamo entrambi degni di stare tra i migliori scritti in Italia negli ultimi anni e tra i pochi in grado di ricordarci che la letteratura ha un suo punto di vista dal quale osservare la realtà, una specificità oggi spesso dimenticata in nome di un approccio consolatorio alla vita dove, nel condizionamento delle leggi del mercato, la coerenza dell’autore diventa un optional. Naturalmente non vogliamo generalizzare, anche se questo dice molto su quali siano stati gli intenti della nostra iniziativa, su cosa ci sia dietro e dentro a quella “casa degli Strani”. I libri e gli autori degni di vivere in questo spazio sono molti di più dei sette di cui abbiamo parlato (oltre a Piersanti e Magris ci siamo occupati de “L’Orlando innamorato” nella versione in prosa di Gianni Celati, “I fannulloni della valle fertile” di Albert Cossery, “Il viaggiatore incantato” di Nikolaj Leskov, il “TristramShandy” di Laurence Sterne, “La ragazza di nome Giulio” di Milena Milani) , ma questo è un inizio che come lettori, passata questa pandemia, ci auguriamo abbia un seguito, se non altro per dare spazio a una discussione più ricca e articolata su ciò che si pubblica e si legge in questi anni di deprimente semplificazione della realtà, del presente.

Non luogo a procedere si sviluppa attorno alla storia di Luisa, incaricata di allestire un “Museo della guerra” con quei materiali scampati all’incendio di un capannone, per portare così a compimento il sogno inseguito dall’uomo che maniacalmente sacrifica l’esistenza alla sua costruzione.

Di quest’uomo non verrà mai svelato il nome, che sia stato ispirato dall’intellettuale triestino Diego De Henriquez lo scopriamo grazie alla nota finale di Claudio Magris. Diego De Henriquez ha inseguito ossessivamente per tutta la sua esistenza il bisogno di realizzare un museo sulla guerra per arrivare a un’idea concreta della pace. Lo scopo di questo museo è quello di testimoniare la necessità della pace attraverso tutto ciò che gli è di più lontano e di contrapposto, esponendovi tutte le armi ed i materiali necessari alla guerra, un po’ come dire che per superare un problema così terrificante è necessario riuscire a conoscerlo fino in fondo, avere il coraggio, la perseveranza, la forza di volontà per andare oltre il punto dove la soluzione si prospetta prima del muro di nebbia che ci fa tanto tremare di paura, oltre il quale ci sono gli orrori e le atrocità di cui è stato capace l’uomo durante i due conflitti mondiali del XX secolo.

Per la cronaca quel museo a Trieste oggi esiste, è stato inaugurato nel 2014. Si tratta del Museo Henriquez della guerra per la pace, costruito sulla sua debordante collezione costituita da una marea di oggetti inventariati. Migliaia e migliaia,… e migliaia di armi provenienti dalla prima e seconda guerra mondiale, e poi tant’altro.

Dietro la nascita di questo museo c’è una storia lunga, purtroppo tipicamente italiana. Nel 1969 l’amministrazione triestina decide di sostenere la realizzazione di un museo civico, mettendo a disposizione del promotore alcuni capannoni dove esporre tutto il suo patrimonio di armi e documenti. Diego De Henriquez morì in circostante misteriose il 2 maggio del 1974, sorpreso nella bara in cui dormiva da un incendio sviluppatosi durante la notte nel capannone dov’erano stoccati gli oggetti del suo museo ancora da realizzare. Circostanze così misteriose portarono ad un’inchiesta e ad un processo conclusosi con un nulla di fatto, con un non luogo a procedere, appunto. Secondo alcune testimonianze, tra i reperti del suo museo c’erano delle trascrizioni murali eseguite dai prigionieri della Risiera di San Sabba, l ’unico forno crematorio italiano, dove furono crudelmente uccisi migliaia di ebrei e di partigiani. Queste scritte sui muri riportavano anche i nomi di alcuni collaborazionisti triestini, personaggi che in seguito avevano mantenuto un ruolo di spicco nella città, che certo non volevano fare affiorare il loro coinvolgimento in quelle stragi, in quegli orrori. Testimonianze trascritte in un taccuino da Diego De Henriquez nell’immediato dopoguerra, prima che una mano di calce le facesse sparire dai muri della Risiera.

Il filo conduttore di Non luogo a procedere è proprio in queste scritte murali fatte sparire due volte, la prima sotto un manto di calce, la seconda, definitiva, nel rogo che avvolse i capannoni e uccise l’uomo e la memoria di chi le aveva documentate.

I libri di Claudio Magris, che si tratti di saggistica o, come in questo caso di romanzi, portano sempre l’immaginazione del lettore verso quel crinale di confine dove la realtà e la finzione si confondono nel bisogno di ricercare una verità oggettiva. Se l’oblio sulle atrocità di un secolo è la soluzione più semplice per dimenticare e confondere le tracce delle assurdità umane, la letteratura è importante quando riesce a trovare questa voglia di toccare il suo punto di contraddizione estremo senza paura, e di uscirne percorrendo a ritroso la stessa strada, se non altro per cercare di non ripetere gli stessi errori. Ma questo dovrebbe essere anche il significato ultimo di ogni esperienza umana, perché ormai lo sappiamo, dopo le due guerre mondiali, nel Novecento di orribili e assurde stragi l’uomo ne ha compiute molte di più. E continua a compierle, … ancora oggi.

Di questa mancanza di memoria tipica del nostro paese, di questa insensibilità ad andare al fondo dei nostri orrori ed errori, ne hanno parlato, attraverso la lettura del romanzo di Claudio Magris, Teresa Paladin e Giuseppe Baldassarre.

TERESA PALADIN

Non luogo a procedere di Claudio Magris è un romanzo complesso, estremamente articolato, dove il filo della storia interseca una molteplicità di eventi, di cui il collante principale e primigenio è un collezionista, geniale e lungimirante, che nella storia non ha nome e che da subito sappiamo ha trovato la morte in un incendio: il suo sogno era realizzare un museo della guerra come invito alla pace.

La protagonista vivente del romanzo è invece Luisa che, mentre legge i diari e i quaderni del collezionista, riflette su come organizzare l’esposizione del museo ed è lei che via via ci descrive i pensieri, le azioni, gli interessi del protagonista primario.

Nel romanzo in ogni caso più temi e personaggi coesistono simultaneamente. Non luogo a procedere non è la storia infatti soltanto di un collezionista o della dottoressa Luisa Brooks, questo è un romanzo corale che trascina il lettore in epoche storiche diverse e presenta una molteplicità di personaggi, alcuni davvero esistiti e in qualche modo collegati tra loro, storicamente o idealmente.  Così abbiamo molte storie e blocchi narrativi, al punto che alcuni capitoli sono un micro-romanzo all’interno del romanzo cosicché il narratore adotta una focalizzazione multipla, scelta che rende più suggestiva e polifonica le vicende narrate.

Un bellissimo e interessante inserimento in questo senso è la storia di un chamacoco a Praga. Si narra qui di un Indio portato in Europa all’inizio del Novecento dal famoso etnologo, antropologo e botanico ceco Alberto Vojtech Fric, realmente esistito: la narrazione qui presenta lati umoristici ma è insieme profondamente calibrata. Fric giunge a Praga con Cerwuis Piosad Mendoza, un selvaggio paraguaiano che partecipa alle conferenze del professore esibendo la sua ascia.  In questa capitolo il primo concetto che Magris fa passare è che l’umanità possiede comportamenti e espressioni comuni seppur in contesti sociali diversissimi. La presunta distanza antropologica tra etnie è dunque inesistente. Lo vediamo quando Cerwuis si reca una sera al caffè Savoy, dove incontra gli attori del teatro jiddish. Al caffè Savoy domina una sensazione di festa, dove “tutti fanno parte di tutti, per amarsi, mangiarsi, far la lotta, giocare, e nessuno è straniero da nessuna parte. Quelli là, con i cappotti lunghi, saltano, ballano intonano cantilene monotone come quelle dei chamacoco, poi ridono”. Per Cervicek, come lo chiamano i praghesi, anche in quel bar lì c’è la foresta. Tutto il racconto sembra   ambientato in una foresta: tutti ballano, qualcuno grida, si danza come dei selvaggi, si beve birra, c’è una specie di caccia a un tizio, ma non è giusto tutti contro uno: Cerwuis si lancia dunque nella mischia per difenderlo e quando cadono a terra tutti ridono felici e contenti. Chi è estraneo a chi? Al caffè Savoy Cervicek si sente tra i chamacoco. Nessuno scontro tra culture è qui presente. Ma la guerra non è assente.

Nel frattempo infatti in Sudamerica boliviani e paraguaiani combattono tra loro: non ci sono più chamacoco, non ci sono più tumanà e le altre tribù, tutti sono contro tutti. Queste pagine sono un grido contro la guerra, è uno sterminio raccontato con le parole degli indigeni, con le loro immagini primordiali, prescientifiche, primitive, si parla della grande madre che stermina il mondo. Sul fiume di sangue una grande domanda che si impone: ma uccidere e morire per che cosa?

Divisa in più capitoli, esattamente come per il protagonista, è la storia di Luisa Brooks che percorre tutto il romanzo e comincia con la madre, la piccola Sara, la cui storia emoziona particolarmente il lettore. Sara viene mandata da mamma Deborah durante il periodo bellico in terra istriana, in fuga dai combattimenti che interessavano quel lembo di confine. Quando ritorna a Trieste trova solo gli zii ad aspettarla. Nonna Deborah (secondo la focalizzazione di Luisa) era stata portata via dai rastrellamenti e stranamente, dopo che Deborah era stata catturata, la famiglia che la ospitava e gli altri ebrei nascosti nella casa furono prelevati dalla Gestapo e non se ne era saputo più nulla.

E’ una grande assente, Deborah, di cui nessuno parla tra i parenti. L’ombra del tradimento arriverà come una scoperta devastante, temuta e inconsapevolmente allontanata. Alla fine, dopo la guerra e il dolore scatenati nella sua mente, “Sara si era sentita stranamente libera dopo quella orribile scoperta. Selvaggiamente libera, in un’inappartenenza assoluta; non apparteneva a niente e a nessuno”.

Ma la Storia delle storie riguarda un luogo, la Risiera di San Sabba, il campo di detenzione con l’unico forno crematorio d’Italia, dal cui camino usciva un fumo da tutti visibile.

A guerra finita Sara con le cugine frequenta le belle ville di Trieste dove si balla e così scoprirà che quelle belle terrazze illuminate erano l’altra faccia della Risiera (qui lei scopre ciò che gli altri triestini già sapevano), il salotto buono del mattatoio: lei sputerà quando saprà che la villa di Lerch era quella di un sadico e ottuso boia ora ben accetto da persone perbene. Il colonnello Lerch era proprio l’addetto al mattatoio della Risiera, capo di stato maggiore che eliminava i detenuti con la camera a gas. Se Lerch è benvoluto e amichevolmente frequentato, colpisce il lettore che la commissione di epurazione invece convochi il protagonista quale interprete delle truppe fasciste. A questo punto veniamo a sapere che il nostro collezionista già in gioventù non amava il fascismo; aveva indossato la camicia nera per mimetizzarsi, pronto alla guerriglia che farà senza armi. Ottimo interprete, durante gli scontri tra tedeschi, jugoslavi, partigiani, fascisti schiva le pallottole e porta ordini e proposte e controproposte, aggiunge o toglie passaggi che possono inasprire gli animi: lui smussa le ostilità per costruire la pace. Quando tratta il 30 aprile e il 1 maggio con i tedeschi salva i triestini rastrellati.

Troviamo nel testo anche la storia del suo trisavolo e della trisavola di Luisa, secondo un modello a specchio.

Joseph Brooks, sergente americano del reparto afroamericano diventato 88° divisione, narra alla figlia Luisa la storia di una damigella, Luisa de Navarrete, nome di illustri giureconsulti di Spagna della piccola nobiltà.  Lei, di origine nera e rapita come schiava, in Spagna può studiare e diventa libera grazie al matrimonio con un nobile spagnolo. Arrivata a Puerto Rico affronterà il tribunale dell’Inquisizione per verificare che non sia una strega, in quanto era stata di nuovo rapita per quattro anni e aveva dovuto vivere con i selvaggi. La sua intelligenza travestita da debolezza la salverà. Un esempio splendido: “una schiava ovvero esclusa dall’umanità ma capace di riconquistarla, una donna nera che sposa un nobile spagnolo grazie alla sua intelligenza, cultura e personalità.

Piace al protagonista il suo trisavolo, Carlo Filippo de Alcantara per la sua vita avventurosa; commerciante della Compagnia imperiale asiatica e furfante insieme. Dai traffici nelle indie infine era rientrato a Trieste con monete d’oro, diamanti e Perla, una splendida ragazza nera, la cui armonia era tale che sembrava danzare sempre. Carlo Filippo amava la vita e, andando contro corrente, faceva scelte autonome.

Perché Magris in un romanzo contro la guerra inserisce questi capitoli?

Mentre la storia generale perde senso, è avvolta dal terrore e dallo sterminio, le vite dei singoli mantengono pezzi di dignità e Magris le racconta con dovizia di particolari, come a dire che la storia sono anche loro, ovvero siamo anche noi.

Il senso delle radici, degli incontri, degli amori, l’intelligenza e la capacità di adattamento dei nostri avi, la loro onestà morale o furbizia sono come luci che garantiscono il cammino.

Perché la storia che ci precede talvolta può essere infinitamente migliore di quella che temporaneamente viviamo.

Non si tratta di un atto consolatorio in Magris né puramente letterario: è un radicarsi in ciò che non può essere espropriato, anche se la dignità non è più riconosciuta socialmente o troppo subdolamente viene riconquistata.

E’ una prospettiva ermeneutica che allarga l’orizzonte e permette di dire che, nonostante il possibile riemergere di ingiustizie e regimi oppressivi, c’è sempre la possibilità della resistenza, del non perdersi nel cammino grazie alla forza della memoria, del ricordare chi si è e chi si è stati.

Non solo. Se nella Storia accade di tutto, il problema della Storia per Magris è cercare la verità. È impossibile o molto difficile trovare la verità, questo concetto torna più volte nel testo, ma per Magris è giusto cercarla, nonostante il caos, la falsificazione, le difficoltà, gli oscuramenti. Basti pensare che due volte Luisa si metterà in viaggio, a Siviglia per cercare negli archivi locali di Luisa de Navarrete, e in Polonia, alla ricerca della vera storia di Otto Schimek.

Il soldato Otto Schimek è un austriaco fucilato dalla Wehrmacht perché non ha sparato sulla popolazione civile polacca. Ma i nazisti, timorosi del suo esempio di coraggio, dissero di averlo fucilato per diserzione. Sull’atto di eroismo aleggia lo spettro del suo fucile non ritrovato.  Luisa scopre però che nelle lettere che Otto aveva scritte a casa diceva che non sparava mai al nemico, ma dove capitava, a caso perché puntava il vuoto.

Schimek perché è stato inserito?  Al di là della veridicità della storia (il suo fucile comunque viene in seguito ritrovato) rappresenta un uomo, non solo un eroe, un uomo che non vuole colpire a morte altri esseri umani per un ordine ricevuto dall’alto. Un buon uomo tedesco che sa dire NO. La grandezza del suo rifiuto è un simbolo universale. Per questo Magris minuziosamente, quasi con una tecnica investigativa, ne ripercorre le tracce attraverso Luisa. La Storia qui non è più storia di forze politiche e militari, ma di uomini.  Schimek non voleva uccidere e, benché assunto come eroe dall’anticomunismo e dall’antinazismo, questo poco importa, resta lì ad indicare che l’uomo in qualunque circostanza ha una coscienza e può usarla, rimanendo libero di decidere se dire sì o no all’ordine venuto dall’alto. Non per virtù eroica, ma semplicemente seguendo la propria coscienza che gli impedisce di togliere la vita ad un altro essere umano

Torniamo a Trieste, torniamo a Luisa che in questo romanzo corale rappresenta un personaggio fondamentale perché discende sia dal mondo ebraico che da quello dei neri d’America. E qui la linea innovativa di Magris presenta gli ebrei associati ai neri nella storia dell’ingiustizia. Il fetore della risiera, il fetore delle navi negriere, il sangue versato nei campi di cotone e il sangue dell’alleanza, la storia della schiavitù e la terra promessa vengono nel racconto continuamente accostati.

Schiavitù d’Egitto e cattività in Babilonia, pogrom e linciaggi d’Alabama …tratta e shoah. Di più, i neri vengono presentati addirittura come “tribù perduta di Israele”, i figli di Canaan, fratello di Sem. Abbiamo qui un lungo susseguirsi di scene di dolore, un canto epico di violenze che generano sofferenze nell’ambito privato e sociale. Immagini solo apparentemente slegate, ma in realtà unite dal filo dell’immaginazione compositiva perché emblemi dell’umanità ingiustamente perseguitata e sofferente.

Ma se “gli ebrei sono i neri del mondo e i negri in America sono gli ebrei in Egitto”, in ogni luogo di sangue e di dolore per Magris c’è ancora la capacità di cantare canzoni in terra straniera.

Intanto a Trieste il nostro collezionista vive “la chiamata del destino”. A San Sabba vede la donna della giovinezza sognata per tutta una vita; lui si siede e sembra che si siano lasciati pochi minuti prima. L’amplesso amoroso con lei “carne sfatta e gloriosa”, “corrotta e sfregiata dal tempo”, ma “inalterabile incanto” secondo l’immagine che appare ancora alla sua mente, fa risorgere la sua carne: lui esce dalla sua stanza e punta dritto alla Risiera….

Ora non fa più il collezionista, osserva e cerca la verità, scrive nomi di vittime e carnefici affidati a quei muri: è all’opera contro l’oblio!

Dopo il 30 aprile ’45 vige un ordine sotterraneo ma condiviso: dimenticare tutto, dimenticare i nomi. E’ l’urgenza che dopo la II guerra mondiale per le atrocità viste o subite si afferma ovunque.

Il nostro protagonista lotta contro l’occultamento, il “cancellare l’assenza” dei morti, di quelli che sono passati per il camino e si fa finta che non siano mai esistiti, cancellando con loro il nome dei vivi colpevoli.

Alla Risiera, macelleria di massa di Oberhauser, 17 celle di tortura, camera a gas e forno crematorio: i tedeschi fanno sparire tutto, il camino, il garage, il crematorio, i documenti…, Joseph Gaspar Oberhauser, poi birraio a Monaco, fa saltare tutto in aria tra le 2 e le 3 del mattino del 30 aprile. Il muro della Risiera è stato prontamente imbiancato.

Magris non sta processando la storia.  Sta registrando ciò che è accaduto, di cui emblema significativo nella storia di Trieste è la festa del   che 20 aprile 1945, compleanno del fuhrer, al castello di Miramare.

Lì il tanfo della storia si era riunito. I nazisti, i loro amici e gregari fascisti, gli industriali che pagavano fascisti e nazisti senza trascurare i partigiani. Impressionante la veridicità dei nomi.

Nella bella villa di Lerch si rivedono tutti finita la guerra: i vecchi podestà e i loro vice ora sono presidenti e vicepresidenti: cambiano i ruoli ma il potere è sempre nelle stesse mani!

“E’ questo l’inferno; l’amnistia generale, l’assoluzione prima del processo, il non luogo a procedere” dice Ruzzier, segretario di un funzionario, quando consegna al protagonista la lista degli invitati alla festa del compleanno di Hitler: pagine e pagine con nomi, cognomi, spie, delatori, ospiti di passaggio, visite di cortesia.

Materiale che verrà consegnato nel ’47 a un vice-ispettore e a un ufficiale inglese. Ma di tutto ciò nulla, così come per alcuni quaderni del protagonista, è rimasto.

Poi le contraddizioni della storia. La medaglia a partigiano a Ercole Miani di Giustizia e Libertà torturato dal commissario Collotti, medagliato pure lui post mortem. Magris con precisione chirurgica presenta fatti e nomi e una certa tristezza aleggia su queste pagine.

E qui tornano a mente le feste cui partecipava Sara, il salotto buono di villa Lerch. Sara, ovvero Magris, pensa che è ingiusto considerare uguali il carnefice e la vittima, chi tortura e chi viene massacrato.

Un libro scomodo, intrigante, difficile, complesso, lirico in certe sue parti, scritto per ricordare quel momento della Storia sulla linea del dolore di uomini e donne vittime di ingiustizie e violenze umilianti.

Concludo con questo passaggio del testo:

“dopo ognuno ci saranno altri che nessun sterminio sterminerà. Messo sul treno che lo porta ad Auschwitz Aaron Lieukant manda un biglietto ai figli, Ertha e Simon: d’estate, quando siete sudati, non bevete bevande ghiacciate”.

Quel biglietto vince la guerra, lo sterminio. Ha riaffermato che la vita non si può fermare. Come scrive Magris “Basterebbe quel biglietto per fare il museo”.

 

 

GIUSEPPE BALDASSARRE

Libro magmatico, terribile, coinvolgente. Riflessione sulla storia, quella dell’homo homini lupus, l’uomo perennemente in guerra con il suo simile. Caino e Abele: situazione mai superata, mai risolta, mai scomparsa, ricorrente a ogni nuova generazione, nelle diverse civiltà.

E da qui scaturisce la tenace ossessiva raccolta di strumenti bellici da parte dello straordinario Diego de Henriquez, oggetti infine esposti in un museo a Trieste, a testimonianza e soprattutto a monito dei visitatori, per una profonda riflessione e una piena consapevolezza. Personaggio bizzarro, certo, e anche ormai un po’ leggendario, che davvero pare volesse che sulla sua tomba ci fosse l’invito allo sconosciuto passante a consegnargli la spada, ‘affinché questa spada non potesse colpire mai più’.

Uno spiraglio di fiducia, piccolissimo, ma forse necessario, in quella sequela ininterrotta di strumenti di morte, dalla pietra ai più moderni mezzi di distruzione.

Claudio Magris dichiara che il libro è nato a partire dall’operato di questo strano Diego de Henriquez. Il procedimento dello scrittore è quasi quello di uno spettatore che annota oggettivamente, via via che scorrono le sale del tragico museo. E attraverso queste descrizioni la storia si dipana, nei suoi tempi e nelle sue latitudini, indicibile e pure da non ignorare e perciò da dire.

Anche se alla fine di tutto ci si aspetta un assurdo ‘Non luogo a procedere’, la memoria deve rimanere. La memoria della storia dei milioni di singoli individui coinvolti, passivamente, la maggior parte, o attivamente, ed è anche peggio, nelle vicende della Storia.

Un solo esempio del procedere dell’autore. Nella sala n. 26 (p.274) è esposta un’arma chiamata Macahuitl. La didascalia è: ‘Mazza di legno pare risalente agli Zapotechi (III secolo d.C.) e poi in uso presso gli Aztechi e tutti i popoli della Mesoamerica. Lunghezza 1 metro, impugnatura a sezione rettangolare larga 10 centimetri e spessa 5, i lati più corti muniti di affilatissime lame di ossidiana. Impugnato come sciabola, ma usato anche di punta. Una testimonianza dell’epoca dei Conquistadores parla di un guerriero azteco che decapita un cavallo con un colpo solo di macuahuitl’.

Una scrittura, quella di Magris, fluente, coinvolgente e sconvolgente. Una lettura che rimane anche dopo averla completata, nel tempo. Come monito. E riflessione costante.

 

4 pensieri su ““Non luogo a procedere” di Claudio Magris

  1. …si conclude cosi’ il ciclo di letture proposte da Angelo Australi e dal gruppo “La Casa degli Strani” di Figline Vladarno con un romanzo di Claudio Magris: “Non luogo a procedere”…Ringrazio scrittori e/o commentatori…Mi sembra notevole anche quest’ultimo consiglio di lettura, che ci apre lo sguardo su pagine durissime della nostra storia nazionale, sulle guerre del secolo scorso, sugli stermini e sulle torture. Noi italiani, “brava gente”, tanto per emulare i nazisti, operammo nello stesso modo criminale nella Risiera di San Sabba, in qualche modo lasciata nell’ombra dei “peccati minori”. Ma, cosi’ Claudio Magris ci ricorda, esiste sempre qualcuno, un uomo senza nome, che raccoglie il testimone e con tutte le sue forze e perseveranza, nella solitudine, porta avanti a Trieste un progetto contro l’oblio per la realizzazione di un “Museo della guerra per la pace”, raccogliendo ogni genere di reperto in fatto di armi e strumenti, ma anche muri ricoperti di calce della famigerata Risiera, e poi disvelati, dove compaiono nomi compromettenti di criminali aguzzini, riciclati nel dopoguerra in onorati cittadini…Ma l’uomo coraggioso e solitario finisce i suoi giorni in circostanze misteriose, un incendio nel capannone dove vive e lavora, incendio di cui non si arrivo’ a definire il-i colpevole-i…Fortunatamente una donna altrettanto coraggiosa, Luisa, ne prosegue l’opera. Chi si assume l’onere di tanta impresa, osteggiata e boicottata sino al delitto e al silenzio (“Non luogo a procedere”) in qualche modo discende da chi, schiavi africani portati in America ed Ebrei perseguitati, ha vissuto sulla sua pelle da generazioni il riflesso di tanto orrore…Tuttavia pagine di speranza , grazie

    1. E’ così, cara Annamaria, hai centrato in pieno il filo rosso del romanzo, quello di Magris è un libro importante su tanti livelli, qui il passato è presente, e la letteratura costituisce quel punto di vista oggettivo che imprime alla memoria uno scatto di orgoglio, reale e poetico insieme.
      angelo australi

    1. Ringrazio Annamaria Locatelli per quanto ha evidenziato, cogliendo il cuore delle tematiche di questo libro di Magris
      Trovo anche io centrale, in questo momento della storia che attraversiamo, ritrovare la certezza che ciascuno di noi, come le sue piccole e quotidiane scelte, partecipa alla storia di tutti ed è potenzialmente capace di modificare in qualche modo gli eventi. Che l’uomo comune possa diventare testimone di libertà, di pace, di condivisione con gli sfruttati e i dimenticati è nel segno di quella speranza che Annamaria ha giustamente sottolineato.

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