“Il prossimo compleanno” di Lorenzo Mercatanti 

 

Lorenzo Mercatanti  Il prossimo compleanno  Pequod 2010

di Angelo Australi

Di Lorenzo Mercatanti mi ero già interessato in questa rubrica scrivendo una breve nota sul suo racconto Una giornata in anticamera, uscito nel 2019 per la collana di narrativa del Circolo letterario Semmelweis, e in precedenza, sulla rivista fiorentina Pianeta Poesia, recensendo il romanzo pubblicato da Italic peQuod nel 2014, che già dal titolo anticipava la dimensione ironica dei contenuti: Il babbo avrebbe voluto dire ti amo, ma lo zio ne faceva anche a meno. Di recente, per la precisione ad agosto di quest’anno, sempre per la casa editrice anconetana, è uscita la racconta di racconti Il prossimo compleanno, che consiglio vivamente di leggere.

Nella ventina di racconti che compongono la raccolta, alcuni brevissimi, Lorenzo Mercatanti dimostra di avere un modo di scrivere molto personale, costruito sul paradosso della sospensione di un linguaggio colloquiale libero, sciolto, nato dal basso, che si sostiene per immagini reali spinte verso il punto più estremo di banalizzazione dei contenuti, là dove riesce a farlo sembrare qualcosa di fantastico. Che si tratti di portieri di calcio, rappresentanti di commercio, di bambini, di cani o di scrittori costretti a fare i conti con il terrore del blocco creativo, tutti i personaggi attraversano attimi di deturpante attesa, vivono in un presente ingessato, che si muove per forza d’inerzia, ma allo stesso tempo capace di riprodursi mentalmente in una disarmante velocità deduttiva che, come per prodigio, arriva a colmare ogni vuoto in una sintesi che diventa poesia.

Nel paradosso di questa contrapposizione si concretizza la frenesia di un pensiero paranoico scandito da un ritmo maledettamente abitudinario, fatto di vincoli, impegni di lavoro, sensi di colpa, di obblighi imposti dalle amicizie e/o dai legami familiari, mentre all’orizzonte, grazie a dei flash dove si rafforza un ricordo, tuttavia intuisci che ogni gesto si traduce in un’autentica forma di reazione anticonvenzionale. La sintesi poetica a cui accennavo è però conflittuale: i pensieri, le immagini frammentarie, compongono una storia divertente, ironica, ricca di fluidità narrativa, che smonta l’irrazionale complessità di un tempo contemporaneo dove pensare a costruirsi la propria “storia” sembra diventato qualcosa di anacronistico. Alla fine ogni racconto/situazione trova, nell’esagerare la mediocrità del quotidiano vivere, tutti gli elementi in grado di smascherare ogni aspetto consolatorio di questa realtà, di fatto reinventandola per noi lettori, come accenna Sergio Nelli nella sua nota introduttiva: “vivendo in una specie di metamorfosi picaresca”.

Il bisogno autentico di un narratore sta nel riuscire a mettere a fuoco quello strato della realtà che non vive in superficie, che non è visibile ad occhio nudo, di farci comprendere il momento preciso in cui il tempo è costretto a condensarsi nell’irrazionale vortice del presente. E quello di Lorenzo Mercatanti, a parer mio in modo originale, è un vortice che sa restituire il senso della vita nella semplice raccomandazione di non prendersi mai troppo sul serio. Ma forse è più di una raccomandazione, forse si tratta di una regola, di un principio sacrosanto che ogni scrittore di talento non può non seguire.

Angelo Australi

Ringrazio Lorenzo Mercatanti e l’editore Italic peQuod, per il consenso a pubblicare questo racconto contenuto nella raccolta “Il prossimo compleanno”.

IN TRENO

Il controllore passa di corsa chiedendo se c’è qualcuno che è medico, fuori del finestrino è tutto buio, il controllore ripassa e richiede, qualche no a mezza voce, dei colpi di tosse, l’uomo seduto davanti a me ha un accenno di tic, i miei colpi di tosse.

Ho lasciato il mio recapito alla bottega per via del cane. L’ho fatto stamani, prima di partire per il lavoro. Il cane morde la rete fino a che non si smaglia e poi si strappa. (La rete ha l’anima in ferro). Esce dal buco e corre verso il suono della cagna in calore.

Il suono è lo stesso.

Quando ancora facevo le medie c’era questo ragazzo ritardato e i più prepotenti tra noi, tutti noi in qualche modo, lo torturavamo.

Un giorno a scuola fu preso e rinchiuso in un ripostiglio. Il suono del ripostiglio era lo stesso suono.

I genitori del ragazzo erano benestanti e quando il ragazzo crebbe lo mandarono in Inghilterra in una scuola speciale e da lì scriveva delle lettere alla famiglia. Mio padre, che conosceva i genitori del ragazzo, mi raccontava di quelle lunghe lettere, che non si capiva quasi niente di cosa volessero dire. La madre del ragazzo leggeva quelle lettere, e le parole le restavano chiuse nel cranio come in un ripostiglio buio. Mio padre aveva poggiato l’orecchio sulla nuca della donna e aveva sentito il suono del ripostiglio. Era invecchiato.

La donna piangeva e diceva che in quella scuola suo figlio avrebbe preso anche la patente di guida.

Il cane scappa verso l’amore, che ha quel suono chiuso buio pazzo, incomprensibile.

Fuori degli uffici dell’Enasarco, lì fuori erano tutti rappresentanti che dovevano andare in pensione, avevo accompagnato mio padre che nella sala d’attesa non faceva che parlare con tutti, qualcuno usciva da un ufficio e mio padre lo conosceva sicché lo salutava, fino a pochi minuti prima aveva brontolato che non si sbrigava a uscire, che ci metteva troppo. Mio padre ha un aspetto giovanile, veste elegante, tutti gli danno diversi anni di meno. È la logorrea che gli dà gli anni giusti, suoi propri. Salutato chi se ne andava ricominciava con gli altri, con l’ultima barzelletta ascoltata da qualche cliente, da un rappresentante della concorrenza.

Non ci si fa con tuo padre,” mi diceva qualcuno, “non ce la fai con tuo padre, è troppo ss-ff-ulggente,” non capivo se diceva fuggente, sfuggente, fulgente. “Ti vedo poco aggressivo”, ce l’aveva con me, voleva farmi riscuotere l’Enasarco pure a me, “non lo fare questo mestiere, poi entri in depressione e tuo padre è generoso e ti tiene con sé lo stesso, e non compicci niente. Non ci pensi a queste cose, ci pensi eh!”

Poi usciva qualcuno, e questo entrava e mi lasciava lì, con qualcun altro, “è un brutto periodo per cominciare, ma te sei uno calmo, bravo.”

Tranne i vestiti lì volevano tutti invecchiare, mio padre mi indicava agli altri e diceva che abitavo in montagna, mi guardavano e sorridevano. Sembrava che i vestiti fossero sul punto di sfilarsi dai loro corpi, per poi andare dai clienti senza di loro. Loro, nudi come vermi, avrebbero riscosso l’Enasarco.

Quello che mi aveva detto bravo, che sono calmo, venni a sapere che viveva col fratello, e il fratello era malato e spesso spaccava tutto quello che aveva in casa, “c’ha questi momenti,” m’avevano spiegato. Ci sono momenti che il mondo pare popolato da pazzi, altri momenti pieno di bambini, altri di canini, cuccioli.

È che il cane, anche se al guinzaglio, ti porta sempre dove ci sono altri cani, i passeggini dei bambini dove ci sono altri bambini.

Un breve accenno biografico

Lorenzo Mercatanti è nato a Prato nel 1971. Agente di commercio, suoi racconti sono apparsi su: Pietraserena, Maltese narrazioni, Ellin Selae, Fernandel, FaM, Scorpione Letterario, QuasiRete, Colla, Inutile, Il Primo Amore. Un racconto è presente nell’antologia “Posa ‘sto libro e baciamo” (Zandegù, 2007), e uno sull’almanacco “La casa degli Strani”, (ASKA Edizioni, 2019). Nel 2014, con Italic Pequod, ha pubblicato “ Il babbo avrebbe voluto dire ti amo ma lo zio ne faceva anche a meno”. Nel 2019 pubblica il racconto “Una giornata in anticamera” (Circolo letterario Semmelweis).

3 pensieri su ““Il prossimo compleanno” di Lorenzo Mercatanti 

  1. …il racconto “Il treno” di Lorenzo Mercatanti lascia un po’ sgomenti per quel riportarci in luoghi chiusi: lo scomparto di un treno, lo spazio recintato di un cane in amore, lo sgabuzzino ululante, l’anticamera affollata di un ente pensionistico, il parlare nel vuoto …dove rumoreggia qualcosa di molto piu’ vasto, quello di una umanità, animalità disorientata, sofferente…come portare una piccola conchiglia all’orecchio e sentire il ribollire cupo del mare tempestoso…surreale ed evocativo. Grazie

  2. Narrazione, quella di Lorenzo Mercatanti, che definirei ungarettiana: perché in essa conta anche il silenzio, lo spazio bianco, il non detto, l’allusione, il mare, per tornare all’immagine della conchiglia di Annamaria Locatelli, che sta in fondo ai vicoli del porto e che fino all’ultimo si può solo intravedere e immaginare.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *