“Utopia” di Peter Cowlam

L’enorme ricchezza di Zora Murrillo è un mistero per gli abitanti di Hoe, la cittadina inglese in cui la ragazza, inopinatamente, arriva. Ma non è il solo mistero nella vita della giovane donna, la cui personalità magnetica ed enigmatica non può non stuzzicare la curiosità degli abitanti della cittadina di provincia, in particolare, del cronista locale Andrew Mawdrie. Dopo l’acquisto e la ristrutturazione dell’hotel Pleiades, da lei trasformato in cabaret, la curiosità intorno a Zora cresce anche in seguito alla comparsa di un uomo misterioso. Il suo nome è Em (anche M o Emoticon) e sembra essere legato a Zora da lunga amicizia. Em, agli occhi del mondo, è il redattore di cronaca mondana del Bluffington, ma dietro questa maschera si cela altro. Em  sembra conoscere la parte della vita di Zora anteriore all’arrivo in Inghilterra. Non solo: si scopre, nel corso della narrazione, che Em ha giocato un ruolo centrale non solo per consentire a Zora di raggiungere l’Inghilterra e Hoe, ma anche nella fuga del padre di lei, il dott. Raphael Murrillo – esperto di intelligenza artificiale e creatore, insieme alla figlia, di automi quasi  perfetti – da Utopia, loro terra natale: un luogo dove corruzione, burocrazia, colpi di Stato, dittatura militare sono una costante.   La trama, fitta di intrighi e colpi di scena, si snoda in 36 brevi e icastici capitoli.  Il mistero sulla vita e la reale natura di Zora sembra, però, destinato a non sciogliersi, neppure alla fine del romanzo. (La traduzione e la cura dei due capitoli di Utopia sono di Angela D’Ambra)

In memoria di Holly Cowlam, innocente in questi eventi, ma che ben conosceva la Street of the Musicians.

CAP. 1

Di Zora Murrillo nessuno sapeva molto, come pure dell’origine dei suoi fantastiliardi (certo un’esagerazione), al momento del suo inatteso arrivo a Hoe. La prima (o quasi) cosa che fece, fu investire cifre insondabili nel Pleiades, una maestosa, decrepita rovina al centro della nostra città. Venticinque stanze, fané per incuria, dove nessuno, a parte viaggiatori – scalcinati e scalognati– s’era mai fermato a lungo, se non per sbaglio. Il bar sottostante, ancora attivo, era aperto dal tardo pomeriggio fino a ora di cena, con una clientela di lavoratori edili, meccanici, un calzolaio, uno scrittore freelance di insegne, due lavavetri in concorrenza, e un pittore-decoratore dalla chioma forforuta.

        Il bar fu la prima cosa che Zora smantellò. E reclutò proprio i lavoratori edili per svolgere il lavoro; costoro portarono alla facciata acciarpata dell’hotel una flotta di cassoni gialli. A colmarli giornalmente c’erano legname a buon mercato, d’una vecchia tinta rossastra un tempo in voga, l’intonaco marcio staccato da pareti e soffitti, e la moquette di fattura rustica, i cui rossi, neri e ori erano stinti da decenni di birre versate. Zora non dovette sfrattare gli abusivi del piano di sopra. Sgombrarono spontaneamente, al sopraggiungere di strepito e subbuglio, quando, ciò per loro era stato ‘casa’, fu ridotto a carcassa. Lo stato di sventramento fu definitivo e al suo nadir allorché il vecchio impianto elettrico e i tubi di piombo vennero impilati, col resto dei detriti, in quei cassoni.

        I lavori fecero scalpore nei giornali locali, fornendo titoli di testa per tre settimane di fila. Qualcuno scoprì che Zora aveva acquistato anche il Faun Hotel di Yo, a venti miglia di distanza, assai diverso dal Pleiades. Quello era in buone condizioni, restaurato, benché calcificato in amenità rurali inglesi superate da cinquant’anni. Le cameriere indossavano grembiuli, e c’era uno chef locale, la cui formazione era a livello di scuola pubblica minore. Il foyer aveva bassi sofà in pelle e tappeti a pelo lungo. Era scuro per via dei pannelli in quercia, e sui tavoli, a ornamento, c’erano riviste di campagna. Un orologio a pendolo con flemma vi scandiva il tempo e, appesi alle pareti, c’erano una testa di cervo e ritratti tronfi. Il parcheggio era ampio, adiacente a un torrente con ponte ornamentale. Gli avventori guidavano Land Rover, indossavano abiti in tweed, e venivano per le cene di pesce e lo sformato di patate nei menu del pranzo. Zora non intendeva cambiare il carattere del Faun; per il Pleiades, invece, aveva piani diversi, come vedremo.

CAP. 2

Il Valley Tribune è situato in un recondito, fatiscente edificio in vetro e legno, cinque minuti a piedi dal Pleiades, a Tinclian Mews, luogo celebre per i negozi di formaggi. Andrew Mawdrie, il guardaroba uno sfoggio di foulard e giacche da yacht, ne era il cronista anziano. In un cupo pomeriggio – il cielo greve di neve – fu convocato e, con passo risoluto, si diresse all’hotel; puntò svelto al vialetto ciottoloso sul retro, e a un parcheggio incuneato nel macadam, ingombro di fusti di petrolio vuoti. Zora, tutta impellicciata, una sciarpa annodata sotto il mento, lo incontrò là, Mawdrie vigile e pronto, taccuino alla mano. Lo condusse nello sfacelo del garage, dove lui sperava in uno scoop, o almeno in un pezzo da notizia. Entrambi si guardarono intorno. Le pareti erano umide, e l’atmosfera da caverna, stile grotte di Lascaux dei tempi nostri, sciatte nei graffiti. Era lieta che lui fosse venuto, ora che Mawdrie le aveva fornito le proprie credenziali, spiegandole che non lui non era solo un giornalista. S’era fatto una reputazione come storico locale, e aveva un’ampia conoscenza della Hoe Valley e delle personalità di spicco del posto, passate e presenti.  Aveva scritto articoli, tenuto conferenze, persino curato libri. Zora lo guardò e rimase imperscrutabile. Lo informò che aveva dei piani, ma non entrò in dettagli. Mawdrie, stuzzicato, incalzò, ma non gli riuscì di scoprire la natura di quei piani. Alla fine, lei affondò tutte e due le mani nella pelliccia e si strinse nelle spalle, sfidandolo a tener viva la conversazione.

        Bene, se la metteva così.  In origine, lui disse, il garage era una stalla, con un fienile in alto. Quella parte fu demolita quando il Pleiades venne trasformato in abitazione privata, il cui proprietario era un uomo con un solo cognome, ma 168° nella linea degli eredi al trono. La stalla si metamorfizzò in garage negli anni in cui circolavano solo quattro auto nell’intera Hoe; ospitava una Alvis 12/40 senza cappotta, a due posti, esterno blu metallico, ben curata da un ragazzo che ne lucidava cromatura e carrozzeria a specchio. Ci furono guerre, crolli in borsa, in generale difetti nella civiltà. Poi, giunse il flagello moderno della concorrenza industriale, in un nuovo mondo dove tutti possedevano un’auto. Ma a quell’epoca, quel lontano erede aveva liquidato tutto ed era partito per l’unico posto a prova di rovesci nello sfacelo della fortuna familiare, dove sua nuora gestiva un chiosco per la vendita del miele. Il Pleiades tornò all’iter precedente, ma in veste di hotel, non di auto-grill; fu in quel periodo che il garage si riempì di legname. L’impresa non ingranava; era popolare solo tra commessi viaggiatori che vendevano mangime e macchine agricole – uomini scialbi, dall’aspetto frusto che combattevano una guerra persa in partenza contro le catastrofi delle recessioni inglesi, una dietro l’altra. L’area del garage la prese in affitto un meccanico, tipo solitario, che s’eclissò quando l’hotel sprofondò in più gravi tracolli e agli habitué si sostituirono occupanti abusivi che erano esperti di scartoffie burocratiche e conoscevano i propri diritti. Da allora, disse Mawdrie, il posto ha ospitato raduni, è stato covo di cocainomani, scenario di tortura per risolvere guerre di territorio nell’entroterra, la catena che penzolava là era un residuo estremo del supplizio della corda. Zora rabbrividì. “Tutto molto interessante”, disse. Ma quello che lei voleva sapere era se potesse consigliarle un onesto imprenditore edile.

L’AUTORE

 Peter Cowlam è un editore freelance e un autore di narrativa, teatro, poesia. Il suo primo romanzo, Electric Letters Z, è stato pubblicato nel 1998. Accolto con entusiasmo dalla recensione di Robert McCrum su The Observer, il romanzo è una satira gentile della vita letteraria londinese di metà anni ’90. Durante il suo  breve incarico in veste di consulente redazionale, Peter Cowlam ha curato due numeri di The Finger, una rivista di politica, letteratura e cultura. Fra le sue imprese narrative ricordiamo il romanzo Marisa, un’inebriante mistura del ricordo del primo amore. La sua ultima opera teatrale, Who’s Afraid of the BookerPrize? è stata pubblicata da New Theatre Publications. Le poesie di Cowlam sono state pubblicate s u molte riviste online e cartacee, e alcune sono disponibili in formato MP3 online.

Libri di Peter Cowlam

 Narrativa (a stampa)

Across the Rebel Network

Marisa

New King Palmers  (vincitore del Quagga Prize for Literary Fiction 2018)

Who’s  Afraid of the Booker Prize? (vincitore del Quagga Prize for Literary Fiction 2018)

Narrativa (ebook)

Call Bridgland Jolley

Marisa

Meakin

Prince Sigmund

The Patient’s Diary

 

Poesia

Laurel (cartaceo)

Manifesto (cartaceo e ebook)

Opus Thirty Three Bagatelles (cartaceo e ebook)

Teatro

Brexit is Served

Hooley

Off Shore

  The Two Gentlewomen of Dover

  Who’s Afraid of the Booker Prize?

 

Nota del curatore

Il romanzo breve Utopia è in corso di traduzione e la traduzione è in cerca di editore.

Per questioni di copyright, si pubblica qui la sola traduzione italiana (in prima stesura) dei capitoli 1 e 2, senza il testo inglese a fronte.

Utopia di Peter Cowlam

Centre House Press

ISBN 9781902086255

2 pensieri su ““Utopia” di Peter Cowlam

  1. Nonostante le tragiche circostanze in cui è stato scritto, questo libro ha la capacità di combinare personaggi vari e differenti. Corruzione ed intrighi politici. Insomma si respira un ritmo frenetico. Dunque un grazie ad Angela D’Ambra per il buon lavoro di traduzione e per fare conoscere Peter Cowlam.
    Conosco lo scrittore per le sue poesie e per avere letto ” A forgotten poet ” ( Un poeta dimenticato). La storia delle vicende di Harold Humber, uomo di lettere diffidente e riluttante, dai suoi primi anni di vita nelle Midlands inglesi, attraverso la sua carriera come economista, appassionato di jazz ed esperto in architettura industriale. Mentre ancora studia per la sua laurea, è infatuato da Hugh Monmouth. Questo userà per i suoi legami familiari con la casa editrice londinese Saber and saber il suo amico Humber e consegnarlo in lettura come il più importante poeta inglese.

    1. Grazie Paolo, per questo bel commento. La traduzione è ora finita, in cerca di editore italiano. L’autore mi proponeva (in extremis) di farla uscire in Inghilterra, ma davvero preferirei che qualcuno in Italia ci scommettesse. Si tratta del primo romanzo breve di una serie. Sono certa che a BBC ne trarrebbe alcune stagioni notevoli … La prosa si presta molto, data la concisione, a un passaggio al copione/sceneggiatura (con le inevitabili modifiche del caso)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *