Poema dell’anno eterno

Diario fisico e metafisico

di Luciano Aguzzi

Luciano Aguzzi ha cominciato a pubblicare sulla sua pagina FB un “Poema dell’anno eterno”  che  prevede un componimento al giorno per i 365 giorni dell’anno. Qui presento  i primi sedici componimenti del mese di gennaio con una premessa dello stesso autore. Per vedere il ricco e bel corredo di immagini che accompagnano i testi rimando alla pagina FB di Aguzzi (qui) [E. A.]


Premessa dell’autore

Gli anni non sono mai veramente nuovi perché al poco di nuovo mescolano il tanto di vecchio che si portano dietro. Secondo un’antica concezione sul tempo come serie di cicli tutto periodicamente ritorna, sia pure un po’ sfasato rispetto all’asse precedente, per cui i cicli disegnerebbero nello spazio una spirale di tipo particolare, perché nasce da un punto e tende dopo innumerevoli cicli a ritornarvi, chiudendo così la serie. La durata nel tempo, sia della vita sia dell’intero universo, ha sempre un inizio e una fine. Ma l’inizio non sorge dal nulla e la fine non entra nel nulla. Collegata a questa v’è anche l’antica credenza che ogni giorno dell’anno comporti nello stesso tempo sia la propria individualità irripetibile nei suoi dettagli occasionali, sia il richiamo, in forma di simbolo, di tutti i giorni analoghi di tutti gli anni passati e futuri. Allora, se teniamo conto più dei valori permanenti che di quelli occasionali, possiamo costruire un calendario eterno, un “anno eterno” che in sé riepiloga tutti gli anni possibili.

L’idea dello Zodiaco è fra le più antiche idee costruttive della conoscenza dell’astronomia e dei suoi rapporti con l’esistenza dell’universo e degli umani, quindi con le umane filosofie, religioni, letterature ecc. ecc. Lo Zodiaco è un sistema di simboli i cui richiami originari, risalenti a oltre seimila anni fa, si sono in gran parte perduti e di cui solo pochi e slegati frammenti riemergono nell’astrologia profana, in quella usata come pratica divinatoria. Persi i significati originali, l’astrologia è diventata in grande misura semplicemente opera truffaldina di ciarlatani. Ma all’origine vi era il rapporto, intuito ma mai dimostrato, fra universo, divinità, umanità: fra i temi che legano il macrocosmo al microcosmo, secondo diverse correnti filosofiche e religiose.

Io non so, io mi sperdo a pensare e studiare queste cose la cui grandezza e i cui misteri sono più grandi dell’intelligenza e della durata della vita umana. Ma ho voluto costruire un mio ciclo ideale, un mio ideale (ovviamente, ideale per me, non necessariamente per altri) “anno eterno”, dedicando ad ogni giorno dell’anno una poesia, realistica o onirica, fisica o metafisica. Comincio qui, come rubrica quotidiana (o quasi, a secondo del tempo e delle energie di cui disporrò), a pubblicare i giorni del mio “anno eterno”. Gennaio è il primo mese, il mese delle nascite, degli inizi, delle formazioni.

Il tema di gennaio è, espresso in versi:

Multiforme si cela l’essere
nel nascere e rinascere in sé
sempre identico e diverso.
E sorride a se stesso e a chi l’afferra.

Non nascondo di utilizzare alcune suggestioni della riflessione sull’Essere che da Parmenide arriva a Emanuele Severino e oltre; e della ricerca dell’«inaudita verità» che non si fonda sull’opinione ma sul principio di non contraddizione. Ma il divenire, nella sua multiforme apparenza, è contraddittorio. La verità sta oltre, ma non sappiamo dove l’Oltre si celi.

POEMA DELL’ANNO ETERNO

I PRIMI SEDICI GIORNI DI GENNAIO

PRIMO GENNAIO

Fratto come un’acqua senza pozzo,
luce di sole nella notte piena,
buio di notte in pieno mezzogiorno.
Giro, ci giro attorno,
percorro il ghirigoro.
Ecco, intravvedo il labirinto d’oro
con gli strani animali di contorno.
E in questo mitologico sogno
perdersi è meglio che trovarsi,
disfarsi più saggio che farsi,
e pazienza se il farsi e il disfarsi è un eterno bisogno.
Un correre parallelo lungo il muro di cinta
dove la vita nostra è racchiusa e dipinta,
mentre di altri mondi, di altri universi
e di mille altre dimensioni trovate e perse,
non riusciamo a percorrere un solo millimetro
perché l’eterno pensiero senza tempo corre
e senza spazio arriva dove chissà chi chissà come,
dove chissà quando deve arrivare.
Ma arrivi pure se deve arrivare
e qui o altrove arrivi. L’attendo al varco,
io, l’attendo. E la speranza vana,
l’inutile toccasana dell’allegria della fiera
diventerà nel mio arco
corda tesa che lega, corda che stringe
l’alba e la sera, che la speranza costringe
e manifesta, non più vana o funesta,
non più inutile attesa. Oltre l’ansa
lenta d’ogni tempo, oltre ogni costanza
e misura dell’eterna distanza,
oltre ogni luce e oltre ogni buio,
permane la mia osservanza. E ciò che il tempo
consuma risorge e risorgendo è pronto
per un eterno consumo che non distrugge.
Qui ed ora. Questo è l’augurio.
Che tutta in te l’osservanza, la forza e il coraggio
di non perdere ciò che si perde, sempre sia.
Non perdere ciò che perdere è bello
e bello è poi ritrovare e così via per sempre.




DUE GENNAIO

Sorge l’alba di ogni alba. Prima
di ogni buio e di ogni luce. Prima
di ogni mia alba e di ogni tua. Nel prima
del prima si perde quell’alba.

*

L’alba di chi ogni alba ha misurato
e del conflitto misura e del silenzio.

*

Stupefatto silenzio. Prima che l’infinito
silenzio udisse la sua musica. Ma poi
fu guerra e morte e il nulla stesso
vomitò dal suo ventre il suo
essere nulla, il suo
essere tutto.

*

Amore – disse nel suo travaglio
quel silenzio perduto. Odio –
rispose l’eco del tempo in formazione.




TRE GENNAIO

Dai fitti nodi volle sciogliersi il gigante.
Trama di corde e nodi è l’albume dell’essere.
Catene di misteri che avvolgono catene
e queste altre catene e altre ancora
fin dove arriva l’occhio onnipossente.

*

Al microscopico vivente appare
anche il ventre di un piccolo animale
un universo infinito. E lì si muove
e lì si sente libero e davvero lo è
finché nel sogno e nel delirio
non valica l’assegnato confine.




QUATTRO GENNAIO

Nulla è il volo di cellule
nulla è il volo di anime
nulla è il tutto che effimero
il pensiero racchiude
e perde nell’istante che crea.

*

Tutto si cela nella maschera:
l’attore senza volto e quella,
fuori scena, giace spenta,
come il tutto diviso
dall’ombra del suo nulla.

*

Pur palpita invisibile
nel cuore e inafferrabile
l’ombra. Ciò che l’essere vuole
e ciò che è.




CINQUE GENNAIO

Né luce né buio
né essere o nulla né logos
possibile all'uomo, né mistero
intrigante che si possa interrogare:
vane le domande
e silenzio le risposte.

*

Nulla e tutto in quell'essere
che sé non crea né conosce.
Oh paradosso impensabile, estraneo
al tempo che scorre, all'eternità
anche estraneo e sconosciuto.
Chi o che cosa e come e dove
e quando e per quanto farà
sorgere il tempo? E già siamo
a questo effimero presente,
e già tutto è avvenuto, tutto
è stato vinto e perso mille
e mille e più volte mille.
Ma noi non c'eravamo
né possiamo capire.




SEI GENNAIO

Ogni increato sé crea nel suo svolgersi.
Oh nascite e morti per noi infinite,
cosa mai saranno nell'effimero nulla
di chi è e non è e nel tuo essere
senza essere, nel tuo
essendo non essere?

*

Trascorriamo i giorni veloci
quasi dei onnipossenti,
ma i pensieri cadono come foglie morte
e con esse le stagioni
gli anni i secoli i passati
e futuri tempi innumerabili.

*

Cadono e quel che era più non è.
E noi a noi stessi non siamo e agli dei
e gli dei a noi più non sono.
Cadono gli onnipossenti pensieri
nel nulla apparente e finisce
la loro potenza. Meschina forza
che non sa districarsi da volubili
bolle di sapone e con esse
subito svanisce.
Chi mai
potrà raccogliere il pensiero pensato?
L'essere che è già stato, il non essere
emerso e rapido naufragato
nel lampeggiare del tempo?




SETTE GENNAIO

Nel sasso, in sé nulla ancora,
si sviluppò il futuro. E già
erano sorti, da sempre,
i fantasmi dell'oggi. Tutto
in possenti idee si frantumava
che volevano essere. E sono.
Pulviscolo dell'incoato Dio
smarrito negli spazi impossibili
dell'esistenza, del divenire
del nulla, della solitaria
e arrogante libertà, del no
feroce della creatura ribelle
al suo essere niente, o tutto,
nell'arbitrio effimero dell'io.

*

Schiacciato dall'estrema solitudine
quel Dio moltiplicò se stesso, invano!
La divina eruzione riproduce
sui frammenti di specchio
quell'unica immagine di sasso
primigenio, quel paradosso dell'io
in sé chiuso per sempre,
quell'apparente divenire
che si sperde subito nel nulla.




OTTO GENNAIO

Non è di nulla fatto il nulla. Esiste
dove il nulla si è perso nelle ombre,
dove il nulla nell'essere persiste,
dove gli eterni sono linee sgombre.

*

E da quel nulla sorsero infiniti
atomi e sassi, stelle ed animali,
i mille prati verdi che, fioriti,
ci sfidano così, belli e amorali.

*

Sublime e senza storia è questa storia.
Il tempo crea e distrugge e solo piange
la nostra umana egoica vanagloria.

*

C'è all'orizzonte estremo un buco nero
che afferra il nulla e l'essere e li frange
e li risputa in sogni ed in pensiero.




NOVE GENNAIO

Nasce dal nulla e dalla mente assente,
nasce esplosivo e inerte; correndo
se stesso crea e il tempo
e dello spazio l'involucro finito
e infinito che li contiene.

*

Ha mille nomi e non si chiama
né chiamato risponde. Stanno
quei mille nomi nel mistero
e nell'Io di chi invoca
scrutando sé e il nulla
nella propria luce
che riverbera attorno.

*

Fragile essere sperduto
nell'universo, io non so della vita
né della morte i perché,
né i perché dell'essere che è
e del non essere che non è.

*

Ma gli avi hanno invocato te, Mistero,
e a te hanno dato i mille nomi in templi
d'aria e di luce, di acqua e di terra,
di colonne e statue,
e ogni nome sei Tu.
Ma Tu, chi sei?

*

Fuoco che sprigiona scintille
da legna incombusta.




DIECI GENNAIO

I.

Qual nome che ignorato
giace per tutti ignoto
nei secoli e non è;
così giaceva immoto
il Logos creatore
chiuso nel suo fulgore
che era, che è e sarà.

II.

Senza nome se stesso
chiamare non sapeva,
nella sua immensità
fermo stava e taceva.
Poi si scosse nell'alto
pensiero e con un salto
creò ogni realtà.

III.

Nacquero tempo e spazio,
galassie astri e stelle,
pianeti mari e monti
e tutte cose belle.
Di acque e vegetali,
di fiori ed animali
il mondo popolò.

IV.

Dalla luce dei secoli
l'intelligenza emerse,
cervello piedi e mani
in strumenti converse.
L'uomo si fece strada
nella bella contrada
e tutto comandò.

V.

Pur senza Dio conoscere
nel vento lo trovava,
nel cuore delle vittime
e dovunque spaziava.
Così gli diede un nome
e lo trattò siccome
un Ente protettor.

VI.

Ogni città al suo Ente
in pietra od in metallo
le statue modellò
e sopra un piedistallo
le mise e la preghiera
in numerosa schiera
rivolse al creator.

VII.

Ma ogni città, rivali,
diedero nomi e aspetti
diversi al proprio dio
da cui eran protetti.
Visi di cani e tori
ebbero adoratori,
e serpenti ed uccelli.

VIII.

Ma su tutti fu il Sole,
con la luce e il calore,
a richiamare all'uomo
l'idea del creatore.
E un dio sommo fu il sole
capace di parole
per unire i fratelli.

IX.

Ogni giorno sorgeva,
attraversava il cielo
e nel buio scendeva.
La Luna, col suo velo
pallido, per altro dio
fu preso e il scintillio
magia e rito invocò.

X.

Creò l'uomo i superni
dei e li mise in cielo,
creò gli inferi ancora
e a tutti col suo zelo
diede nomi ed altari,
sacerdoti e scolari;
templi e poteri alzò.

XI.

Con dio sulle bandiere
l'uomo è forte e pietoso
o feroce guerriero
al mondo doloroso.
Non c'è misfatto o merito
presente oppur preterito
che a un dio si risparmiò.

XII.

L'uomo si fece dio
e dietro a dio si ascose,
con dio prese il potere
sopra tutte le cose.
Ma il Dio vero ad amare
c'induce e ad insegnare
pace umiltà e amor.

XIII.

Così è dilacerato
il cuore degli umani,
e guerra e pace sempre
si mostrano le mani.
Si alternano sui visi
la paura e i sorrisi,
la gioia ed il dolor.

Nota: una qualche imitazione metrica di un "Inno sacro" di Manzoni è qui presente e voluta.




UNDICI GENNAIO

Che sia immanente o trascendente,
persona o inconosciuto ente,
sostanza estesa o punto spirituale,
chi ci ha creati è stato intelligente.

*

Supremo, sommo informatico,
è partito da un logos matematico,
e con pochi principi ha dato avvio
ai mondi che le scienze
non finiranno mai di analizzare.
Pochi elementi chimici e leggi della fisica,
chimica e biologia,
ma possibilità infinite di comporre
e alimentare
con ripetizioni e innovazioni
la spinta creatrice sempre nuova.

*

Materia, antimateria, chiare e oscure,
energia e luce e mente
ed il pensiero
e lo spirito che sfugge ad ogni esame.

*

Fra il nulla e il tutto sorge a governare
il caos e a regole ridurlo
Necessità che stringe ed obbliga,
il capriccioso Caso, la Libertà creatrice.
E Tempo e Spazio mai hanno assistito
ad altro che a cose in movimento,
fossero le galassie immense
o i microscopici esseri
o i neutrini sfuggenti.
Ed ogni moto ha la sua legge,
ha la sua causa necessaria o casuale,
o libera. Che sia vera o apparente
sorge la libertà dalla mente,
dalla volontaria possibilità
di scegliere, dall'intelligenza
della propria natura.

*

Ma forse altri elementi, altri principi,
altre leggi ci sfuggono
e restano sconosciute. E Dio fa i miracoli?
E Dio è la somma delle cause ignote
che danno sostanza alle note?
Forse è la legge
od è il fuori-legge che la crea?
È l'algoritmo assoluto
o colui che lo scrive
conservandosi libero di cambiarlo?

*

Forse è fuori di noi,
forse è in noi. Forse
è questo spirito indomabile
che ci spinge oltre ogni frontiera,
oltre ogni orizzonte.




DODICI GENNAIO

Guardi le stelle e pensi
che si ripete e si rinnova,
uguale sempre e diversa
la forza creatrice. Astri
e corpi di ogni specie
e qui, sul nostro verde pianeta,
acque e terre, ghiacci e deserti,
pianure e montagne e dovunque
la vita rapace e capace
di adattarsi a ogni condizione.

*

Si succedono le generazioni
e le moltiplicazioni. Batteri e virus
spontaneamente o per qualche
a noi ignota forza esogena
sorsero quasi quattro miliardi di anni fa.
E ora siamo a metà cammino
prima che il Sole si faccia stella gigante
e bruci ogni vita possibile
su questo nostro piedistallo.

*

Si succedono le generazioni
e la vita arricchisce le sue forme.
Escono i pesci dalle acque,
i grandi rettili, i mammiferi, le scimmie,
ominidi ed homo sapiens.
E a turno hanno avuto
i loro anni di dominio, prima
che la mutevole sorte di tutte le cose
decretasse il ricambio.

*

Ed ora l'uomo, padrone di tutto
ma non di se stesso, trema.
Cambia il clima e per noi si prepara
un lungo futuro di ansie.
La natura ribelle fa valere
le sue antiche leggi, il codice
scritto nelle vene e nei polsi
della Terra, degli astri, dell'Universo.

*

Ma se eternamente Odio e Amore
squassano le prime radici,
prevarrà forse l'Odio che distrugge
sull'Amore che unisce?

*

Non so per gli altri mondi,
per altre realtà. Ma qui fra noi
potenti umani e fragili
l'Odio prevale e divide
anche i fratelli.
E s'attende da sempre,
inutilmente, il compiersi
di vecchie profezie, di serpenti schiacciati,
di paradisi ripresi e conservati.

*

Intanto, dopo il dominio dell'uomo,
dopo la Grande Catastrofe,
temuta e fantasticata
i creatori di storie immaginano
il predominio di altre specie
su questa Terra sofferente.
Le oscure blatte fra noi
con più di quattromila specie
sono pronte a resistere
e a sopravvivere ad ogni eco-disastro;
o i ratti, capaci di nutrirsi anche di veleno,
intelligenti mammiferi sociali
in sessanta specie diffusi.

*

Forse tutto ritornerà agli inizi,
ai cianobatteri che i fossili
ci mostrano primi viventi,
alle alghe, ai muschi.
Poi il pianeta brucerà
nel vortice dell'intero sistema
solare. E su altri pianeti nascerà
e continuerà la vita finché
l'Universo, questo Universo,
colmerà l'orribile vuoto.




TREDICI GENNAIO

Uscito da foreste e da savane
Homo Sapiens a lungo ha camminato
con i piedi le mani ed il cervello;
sino ad oggi non si è mai riposato.
Da un continente all'altro ha conquistato
ogni metro di terra e d'acque e mari
e tutto attorno a sé ha trasformato
a immagine sua propria e somiglianza.

*

Cose utili e belle e cose vane
ha creato per sé, e anche feroci
per dare morte ingegnosi attrezzi.
Nulla ha arrestato il suo cammino,
ma tutto ha forgiato il suo destino.
La guerra contro spazio e contro tempo,
contro le piante e contro gli animali,
contro i simili a sé altri Homo Sapiens
di pari o di minor capacità.

*

E ora regna su mille e mille estinte
specie, su fossili e su ossa e cimiteri.
E diviso fra Stati e fra città
in lotta perenne e sanguinosa.
Ma non si ferma mai quella frontiera,
simbolo d'audacia e anche bandiera
del mito dell'Ulisse truffaldino
che dopo aver distrutto Troia altrove
volse la cupidigia della mente,
e per «seguir virtute e canoscenza»
fece dovunque morti e stragi e danni.

*

Ma ahimè, forse da sempre, son divise,
per gli ulissidi di ogni terra e mare,
la virtù dolce e avara e la sapienza
che nascere dovrebbe dalla scienza.
Son purtroppo guerrieri, non coloni
in pacifica cerca d'altre terre
disabitate, quelli che, sfidando
pericoli e disagi in terre altrui
vanno a usurpare, a conquistare beni
ad altri tolti. E fin dai tempi antichi:
quando Homo Sapiens incontrò Neandertal,
fu per questo la fine. Tribù e popoli
di millennio in millennio da sovrani
nativi in bestie da fiera trasformati
vennero decimati e l'assassino
subentrò nel possesso di acque e terre.

*

E oggi ancora continua ad avanzare
quell'atroce frontiera che separa
la natura che dicono selvaggia
dall'ingorda distruttiva avanzata
della pretesa civiltà. Dovunque
il cemento soffoca il respiro
dei prati e dei torrenti, ricoperti,
intubati. Qui nella mia Milano,
anche qui è la frontiera. E in Amazzonia
dove si uccide la foresta e i cento
e cento popoli nativi che là
vivono: Yanomami, Kanoè, Akuntsu,
Madipian, Negarote, Amikoana,
Kaingang, Guaranì e altre altre tribù
ridotte all'estinzione. Triste storia
ripetuta da sempre; pur gli oscuri
itali antichi in Calabria e Sicilia
conobbero, sconfitti, la scomparsa,
sepolti da una Magna Grecia altera
che di lor fece ossa e fece servi.
Non migliore destino ebbero i popoli
aborigeni australi ed amerindi,
dai colti Maya ai bellicosi Apache.

*

La civiltà arrivò e distrusse, fuoco
dall'ambizione e dal sogno nutrito
di cose grandi e belle, e cupidigia
d'oro e potere. Eppure, fra il pianto
e i lutti s'ersero a forza le scienze
e l'arti ad abbellire il mondo umano,
a farlo grande e dar lieto conforto
all'uomo, quando, sereno e in pace
vive preso d'amore e di bellezza.


QUATTORDICI GENNAIO

Muoiono i regni, le città, i sovrani,
e l'umile gente che ogni giorno
s'affatica e nulla sa degli arcani
degli dei, dei semidei e di chi intorno
sta agli altari e palazzi. In lunghe vesti
d'oro e monili paludate e adorne,
s'erge l'uomo potente sovra questi
schiavi, contadini e pastori, artisti
che alzano piramidi. E tu, scriba
nei tuoi papiri e nelle lunghe liste
dei faraoni tramandi dei potenti
e nomi e rango e imprese, le battaglie
vinte, le città conquistate e arse,
i nemici uccisi, i palazzi, templi
e mura eretti. Scorrono incisi
i caratteri antichi in geroglifici,
in ieratico, in demotico, o altrove
in cuneiforme accadico, fenicio,
ebraico, sanscrito o cinese o arabo,
greco o latino. Comune a tutti era
quest'uso quando nelle antiche città
le residenze reali e i templi solo
e le mura eran di pietra e marmo
e di mattoni. Capanne di legno
e paglia, di fango e malta il resto.

*

Chi ha deciso l'iniqua divisione
di ricchezza e potere che ancor oggi,
in mille forme perdura? La forza
creatrice nascere ci fa diversi
l'uno dall'altro e questa differenza
determina in natura uno spareggio
di età e di sesso, di salute e forze,
di abilità e intelligenza, coraggio
e paure. E d'altre qualità ancora
che uniscono o dividono i fratelli:
fanno d'uno la guida e suoi compagni
gli altri. All'alba dei tempi erano queste
belle diversità complementari
che arricchivano il gruppo e la famiglia,
quando, senza nessun privilegiato,
nella natura si viveva immersi,
in reciproco aiuto e sol le belve
erano nemiche e le tempeste.

*

Crebbe però la civiltà e le guide
divennero sovrani o sacerdoti
sommi o generali, capi di Stato,
di templi e gente armata per mestiere.
Sorsero differenze e gerarchie
sociali, patrimoni e parentele,
ricchi e potenti eredi con o senza
talento. Sconosciute alla natura,
le nuove divisioni s'imposero
in molteplici gradi, ranghi e ceti,
schiavi, caste, classi e organi vitali
che, come nel corpo umano, utili
sono tutti, ma alcuni essenziali,
trascurabili gli altri e fungibili,
meri corpi senz'anima, anonima
massa di lavoro e servizio, nomi
nati e morti senza lasciare traccia
che non sia il sangue e le ossa oscure,
dissolte dalla terra e dall'acqua,
e il numero crescente nei secoli,
fredda e incerta demografia storica.

*

Cambia nel tempo il talento che vince,
segno di civiltà e progresso e forse
di corruzione intrinseca. La bruta
forza comandò a lungo, a vi si unì
più tardi l'abilità nel condurre
le armate in battaglia. L'eredità
legittima e il presunto volere
di Dio ressero per secoli i regni,
forza e armi riducendo al servizio.
L'abilità politica, il merito
e l'astuzia vennero dopo ed ora
si contendono il campo. Però spesso
falso o finto è il merito, scambiato
con furbizia e menzogna, con la forza
di convincere masse di seguaci
con promesse impossibili. Governa
oggi il più furbo e quasi mai il più bravo,
chi più è costante nella paranoia
di chi insegue il potere e la ricchezza
o il successo per sé, fosse anche agli altri
di danno. Cinico e concentrato,
determinato a grandi e distruttive
imprese, ogni tempo ha il suo Adolf Hitler,
Alessandro si chiami o Giulio Cesare,
Napoleone o Stalin. O qualche grigio
primo ministro passeggero pago
della gloriuzza di una citazione
nei futuri libri di testo. Certo,
non come gli Hitler letali, pur sempre
però di danno e intralcio a chi vorrebbe
guida e consiglio da più oneste menti,
competenti e capaci per davvero,
in sintonia coi cittadini tutti.

*

Sempre i potenti tennero l'astuzia
a prezioso alleato ed al servizio
del proprio governo. Ma, emancipata,
di se stessa l'astuzia oggi è padrona,
e del governo è anima e facciata,
nutrita di menzogne e d'espedienti.




QUINDICI GENNAIO

Gilgameš vide le radici della terra
e conobbe ogni cosa. Dio fatto re
e uomo; uomo fatto re e Dio
lottò fra gli dei e gli uomini
e viaggiò verso la Montagna della Vita
per riconquistare la sua immortalità.

*

Per proteggerlo ed elevarlo al cielo
o avversarlo lasciandolo alla morte o farne
un dio infero agirono An padrone del Cielo
e Enlil Signore degli dei della Terra, Enki
Signore delle acque e dell'Abisso e Inanna
dea dell'amore e della guerra
e cento altri dei minori
entrano nell'epopea che Sumeri,
Accadi, Hurriti, Elamiti, Babilonesi
hanno cantato per trenta secoli
in versioni diverse.

*

Primo poema della storia
congiunge i lunghi tempi prima del Diluvio
con quelli più brevi successivi,
la vita degli dei immortali
con la vita degli uomini
a cui è destino la morte.

*

Dopo il diluvio che distrusse gli umani
salvo uno, Ziusudra o "Vita dei giorni prolungati",
rinacque la regalità e Gilgameš fu il quinto re di Uruk
e bastò il suo splendore divino
per sbaragliare i nemici. All'apparire
della sua luce fuggirono
quelli che assediavano la città.

*

Ma Gilgameš fatto uomo è inquieto
e desidera la vita immortale degli dei.
Questo è il suo viaggio, questo
il suo vero destino, non regnare su Uruk
per ergersi vincitore e giustiziere
fra i sudditi, ma vincere Morte
che non ti guarda in faccia ma ti prende,
ti spoglia di ogni attributo
e di te fa l'ombra che nel buio
degli inferi cammina condannata
a non ritrovare mai la via
per tornare alla luce.

*

Grande e vittoriosa fu l'epopea
di Gilgameš, dio fra gli dei,
immortale protagonista del viaggio
che i lettori da cinquemila anni
seguono nelle antiche scritture.

*

Ma tra esse una ci avverte
che l'eroe, uomo e re, uomo rimase,
diviso dal dio. Immortale il dio,
mortale l'uomo e a consolarlo
l'antico scrittore gli disse
e a noi lo ripete da sempre:
«Gilgameš dove cerchi di andare?
Non troverai la vita che tu cerchi.
Quando gli dèi crearono l'umanità,
gli assegnarono il destino della morte,
tenendo per loro la vita.
Dunque, Gilgameš, vivi giorno per giorno
nutri il tuo stomaco e datti alla gioia,
fai festa, giorno e notte canta e danza.
Tieni puliti i tuoi vestiti,
lavati con acqua piedi e testa,
rallegrati del bambino che tiene stretta la tua mano
e possa tua moglie godere al tuo petto:
questo è il retaggio proprio dell'umanità».

Nota: L'ultimo brano fra virgolette è l'imitazione, adattata a mio modo, della traduzione di un passo dell'epopea originale di Gilgameš e precisamente della traduzione di Giovanni Pettinato nel libro «La Saga di Gilgameš».




SEDICI GENNAIO

Quando il dio Enki giaceva con la moglie Ninsikila
nella splendente Dilmun, questo era un posto
puro, luminoso, dove il leone non uccideva,
il lupo non sbranava l'agnello, il cane
non comandava alle capre e il porco non mangiava l'orzo.
Gli anziani carichi d'anni non erano vecchi
e nessuno era ammalato. Non arrivava la mezzanotte
perché il sole che illuminava Dilmun non tramontava.

*

Gli dei maggiori comandarono agli Igigi, dei servitori,
di creare la terra e l'agricoltura. Questi scavarono il Tigri
e l'Eufrate, costruirono attrezzi per arare e coltivare
e la terra fiorì di ogni pianta e animale. Ma gli Igigi,
stanchi del duro lavoro, si ribellarono. Gli dei maggiori
allora crearono gli uomini perché li sostituissero
nel lavorare la terra e nel servire gli dei.
Li crearono col sangue e la carne di un dio sacrificando
il dio Wê. La vita, l'intelligenza e lo spirito del dio
animò gli uomini. Per duecentoquarantamila anni
prosperarono l'agricoltura e le città regali e la regalità,
scesa dal cielo, passò da re a re, da città a città,
prima a Eridu, poi a Bad-Timira, a Larak, a Sippur,
e infine, prima del diluvio universale, a Šuruppak.

*

Gli uomini facevano baccano e An e Enlil dei supremi
non potevano dormire, così per punirli inviarono loro
siccità, epidemia, più volte. Ma non riuscirono
a farli tacere. Altri dei proteggevano le creature
dalla testa nera e le mani callose. Gli uomini si moltiplicavano.
An e Enlil decisero di sterminarli e inviarono il diluvio.

*

Le spiagge si coprirono di corpi morti e legni secchi
sbattuti dalle onde, le acque si alzarono, gli uccelli
cadevano stanchi. Molti dei piangevano impotenti
e avrebbero voluto salvare gli uomini, ma Enlil
lo vietava. Enki, dio della terra e dell'acqua, non obbedisce.
Chiama a sé il re di Šuruppak e gli dice di costruire
l'arca e salvarsi. Ziusudra lo fece e quando il diluvio
ebbe termine l'arca si posò sulla cima di un monte.
Enlil accorre furioso, ma altri dei giungono a calmarlo.
Il divino congresso decise di salvare gli uomini. Questi
rinacquero e si moltiplicarono, rifiorì l'agricoltura,
risorsero le città. La regalità passò a Uruk, regno
di popoli e città, centro di mille commerci. A centinaia
gli onagri formavano lunghe carovane, ogni animale
carico di novanta chili di merci, sulle rotte per paesi
lontani, per l'India. Tessuti, legno pregiato, stagno e rame,
ambra, percorrevano le strade, e argento e oro e raffinati
gioielli. I contadini nei campi, gli artigiani nelle botteghe,
gli scriba e gli amministratori nei palazzi del re
o dei governatori, i generali e i soldati nei loro quartieri,
i sacerdoti nei templi, gli schiavi al servizio dei padroni.
Ognuno aveva il suo posto e il suo ruolo nel Grande Paese,
purché obbedisse agli dei e al re, che li rappresentava,
e con i sacerdoti mediava tra cielo e terra,
tra vita immortale e mortale; con la preghiera
guidava le anime dei morti al rito funebre
di purificazione e di salvezza, e condannava gli impuri.

*

Fu così che l'enorme fatica degli dei, quando erano
come uomini e si piegavano alla corvée e al canestro
del lavoro, passò agli uomini. E col lavoro passò
loro un soffio divino, un desiderio d'immortalità,
un'anima che conserva l'intelligenza e lo spirito
del dio Wê, sacrificato dagli altri dei. Passò anche
la regalità, i riti e le preghiere, ma non fu risparmiata
agli umani la guerra che da sempre divide gli stessi dei
nei cui cuori immortali s'annida l'odio, la gelosia, l'invidia.

Nota: liberissima reinterpretazioni di miti accadici, sumerici e babilonesi e dei più antichi testi in cui compare la creazione dell'uomo e il diluvio universale. Testi che precedono in antichità il biblico libro della «Genesi».


3 pensieri su “Poema dell’anno eterno

  1. I testi sono piuttosto ardui, sia nei riferimenti mitologico-storici che in quelli concettuali. Ma la messa in gioco in essi di temi capitali per l’essere umano merita la loro lettura. Anche il progetto, con la sua scansione quotidiana, è impegnativo. Complimenti, dunque.

  2. Dapprima le parole corrono di più sulla linea del significante, come eco di una sonda calata nel mistero; nel prosieguo si fa strada quella del significato, con la rivisitazione di antichi e lontani miti. Sullo sfondo il cammino esplorativo della scienza, che afferma e, al contempo, nega.
    Lo spirito di Lucrezio alimenta queste poetiche riflessioni, così come quello della meditazione religiosa del Manzoni, e quello critico del Parini. E’ l’attualizzazione di un percorso umanistico che vede l’uomo al centro dell’universo nella sua grandezza e piccolezza, nella sua sofferta contraddizione, di possedere virtualmente il tutto e realmente il nulla. E’ un interrogarsi che alimenta la poesia e il pensiero, ma per sciogliere questi nodi occorre la forza e il coraggio dell’abbandono.
    Fa bene Luciano Aguzzi ad affidarsi a questo diario poetico giornaliero (che auspico supererà lo spazio dell’anno), può essere un cammino di ritorno verso l’origine del Logos.
    Seguendo la stessa ispirazione della parola Ungaretti arrivò a scrivere un verso icona della poesia ‘M’illumino d’immenso’ ( molto vicino a quanto scrisse il D’Annunzio in una pagina di prosa ‘M’illumino di immenso amore’).

  3. …anche a me il poema di Luciano Aguzzi sembra prospettarsi un’opera di grande respiro scritta, non a caso, durante il diluvio della pandemia. Forse per infondere coraggio e consapevolezza sul lungo cammino finora compiuto, tra mille traversie, a noi fragili esseri umani, ospiti di un pianeta in bilico. Un’opera che si prospetta raggiungere uno spettro ampio di osservazioni sull’universo, sugli esseri viventi, tra cui l’ umano, arteficie mirabile, ma spesso distruttore della natura e ingiusto verso i propri simili e le altre specie viventi…Noi, sembra dirci l’autore, arriviamo per ultimi dopo un lungo cammino che già sembra declinante, ma ci offre anche esempi di coraggio e di rinascita. Un percorso sapienziale e salvifico?… In tal senso, mi sembrerebbe un progetto di scrittura da considerare un omaggio al viaggio dantesco della Divina Commedia attraverso inferi e redenzione…

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