Il dolceforte dei sogni

di Lucia Bruni

Le stanze del collegio sono grandi e fredde, cara mamma. Da quando ci hai lasciati così all’improvviso, la nostra esistenza ha preso una piega triste e penosa.

Ricordo i tuoi ultimi giorni; lo sguardo spento e assente, il respiro affannoso,  la testa abbandonata sul guanciale e quei tuoi ricciolini castani, così belli quando erano mossi  dal vento, bagnati di sudore per la febbre che non ti lasciava mai. Il babbo non diceva nulla; aspettava, perché sapeva che per te non c’era più nulla da fare. L’infezione si stava portando via la tua giovane vita.

Quando te ne sei andata la nostra famiglia si è lacerata, il babbo non sapeva come accudirci, come riparare alle nostre necessità, specie per Mario il più piccino che non aveva ancora un anno. Si sentiva perso, incapace di sostenere un così grave fardello, oppure lo rifiutava perché questo avrebbe significato per lui dover sacrificare il suo vivere da uomo giovane e forte, e non lo voleva, insomma non riusciva ad accettare di esser solo nel letto, aveva bisogno di una donna. Così si è preso la Manola e noi ci ha mandati nel mondo.

La Graziella dalla nonna, Mario dalla zia e io, di otto anni, in collegio.

Da quel momento non ho avuto che brevi e saltuarie notizie dei miei fratelli, non so come vivessero i loro giorni ma per me è iniziato un cammino di grigi, dolorosi silenzi fatti di lacrime trattenute e di disperato bisogno di amore.

Ma pur lento e talvolta pesante e amaro il tempo passa; quel bambino che ero cresceva dentro e fuori, quasi a dispetto di tutto. Avevo imparato che se si è pazienti, si può trovare un po’ d’affetto fra gli amici che condividono la tua sorte e in fondo questo ti è di conforto. Avevo imparato a difendermi dall’arroganza dei più presuntuosi o da quella di qualche maestro e di alcune educatrici. 

Un giorno il collegio mi ha chiuso i battenti alle spalle perché avevo raggiunto i sedici anni e quello non era più posto per me, il babbo aveva la sua nuova famiglia in cui mi sentivo estraneo e di troppo, insomma non accettato, sebbene dal nuovo matrimonio non fossero nati figli, così la mia piccola storia è andata a intrecciarsi con la grande storia.

Era il 1944, momenti difficili per la nostra Italia: la guerra e la Resistenza al regime e alla violenza dei nazifascisti si andava facendo sempre più massiccia. Ho scelto di viverci in mezzo sperando di trovare prima o poi la mia strada migliore. Eccomi partigiano a credere e lottare per una libertà che fino a quel momento non avevo assaporato, senza sapere esattamente cosa avrebbe significato per me abbracciare quella causa, ma bisognoso di affermare in qualche modo il mio pensiero, la persona che negli anni si era andata formando dentro di me senza nessuna guida.

La guerra ha sepolto sotto cumuli di macerie tanti destini prendendosi vite innocenti e lasciando a noi rimasti la miseria della nostra sorte. Tutto doveva ricominciare sotto gli auspici di nuove e migliori primavere, ma per me tutto doveva essere ancora ridisegnato: la militanza nelle file partigiane non era buona garanzia nelle mie ricerche di un lavoro duraturo.

 Il monte è scuro ormai, anche se il riverbero del sole appena sceso dietro alle pendici, continua a spandere  nel cielo una luce che va man mano impallidendo.

Renzo è  tornato ora da un giro di ispezione nel campo, si è soffermato nella veranda della casa e guarda quella sua terra fertile che si snoda a perdita d’occhio fra file di olivi, radure brulle, biolche lavorate, confini boscosi.  Non lo aveva fatto mai finora di sedersi lì, neppure per gustare qualche piccola pausa di pace in quel luogo che, a prezzo di enormi fatiche e sacrifici, era riuscito a comprare.  Ma stasera è diverso, il nipotino nato da poco, sembra aver risvegliato in lui qualcosa di lontano e sopito, celato dietro ostinati silenzi su un passato che ancora lo faceva soffrire.

Gioia e inquietudine: una battaglia dell’anima che gli fa avvertire urgente il desiderio di ritrovare cose e sentimenti del suo vissuto.

I fogli che tiene in mano raccontano il cammino difficile e ingrato del suo incedere nella vita. Quella lettera non l’ha mai data a nessuno perché nessuno c’era che avrebbe potuto leggerla. Era stropicciata, un po’ strappata nei bordi perché tutte le volte che gli era capitata fra le mani, nella tentazione di buttarla via, quasi per cancellare tanti momenti tristi, l’aveva accartocciata, poi, chissà perché, gli era mancato il coraggio, come se, gettandola, il legame con la mamma e quel bambino che era stato si rompesse,  così  l’aveva spiegata di nuovo e riposta nel cassetto di fondo dell’armadio, dove teneva la roba da caccia e dove solo lui metteva le mani.

Ma il destino mi stava riservando molte sorprese, cara mamma. L’indole bonaria che avevo preso da te mi aiutava nel rapporto con gli altri e mi invitava a guardare la vita con gli occhi della tenacia e della perseveranza senza perdermi d’animo. Nel mio vagabondare saltando da un lavoro all’altro, ho conosciuto una ragazza che da subito ha messo le giuste radici per l’amore di cui avevo disperato bisogno.

Intanto la zia Pierina, con quella straordinaria energia che la sosteneva nel non fermarsi mai davanti a nulla, e l’intraprendenza che la rendeva donna fiera e indipendente a capo di una grande lavanderia, mi offrì l’occasione di riscattare il mio stato.

Cominciai a lavorare per lei, a occuparmi di vestiti, cappotti, maglie, pantaloni, giacche e di tutto quello che gli esseri umani sporcano e deve essere lavato.

Quante cose ho imparato dalla zia. Soprattutto a lavorare e non scoraggiarsi. 

Intanto mi ero sposato trovando nel calore della famiglia (si abitava in una piccola casa assieme alla mamma di lei che era vedova) quello che avevo sempre desiderato, e poco dopo era nata una bella bambina. Il nome non te lo dico perché sono troppo geloso e metterlo sulla pagina potrebbe portar male.

 Ecco un’altra paginetta,  sempre un po’ stropicciata che Renzo ha di nuovo tirato fuori dall’armadio e sta rileggendo di nascosto, mentre tutti in famiglia sono indaffarati dietro al nipotino e ad altre cose. E’ il suo piccolo segreto quello delle lettere scritte alla mamma, un modo per ripercorrere certe tappe importanti della propria vita, e nessuno deve sapere della sua esistenza. Le troveranno quando lui non ci sarà più, ma allora non avrà  importanza. Chissà cosa penseranno di lui e di quel suo segreto? Spera che sorrideranno  di tenerezza pensando a quell’uomo maturo, severo, temprato dalle difficoltà del quotidiano, che, ammorbidita la propria scorza, aveva sentito il bisogno di confidare a un quaderno le angosce di bambino, le riflessioni e le insicurezze di adolescente, quelle di uomo.

Sì, perché tutti ce l’hanno le insicurezze, ma pochi hanno il coraggio di ammetterlo.

 A volte, mamma cara, mi sentivo sfinito ed ero preoccupato, avevo paura di ammalarmi perché lavoravo anche tredici, quattordici ore al giorno dalla zia per garantire alla mia famiglia una vita decorosa. Avevo sempre dentro le tue parole: dignità, rispetto e niente debiti. Così ho fatto. Poi capitò un’occasione e la zia mi spinse ad acchiapparla al volo. Un piccolo locale si era liberato nella periferia fiorentina, vicino a Castello, così la zia, che aveva lavoro in abbondanza, insisté perché lo prendessi  in affitto, per cominciare a camminare con le mie gambe e lavorare in proprio. Mi cedette alcune attrezzature che non usava più ma che erano sempre a norma e mi mise subito in contatto con dei buoni clienti. Il mestiere lo avevo imparato, potevo contare sul suo appoggio, ma ero terrorizzato lo stesso: come sarebbe andata? In fondo non avevo che le mie mani, e tanta buona volontà, ma di altre cose non sapevo proprio nulla.

Ho pensato a te, alla tua forza di combattere e non arrendersi mai.

E ho accettato di mettermi in gioco. 

 Renzo sorride rileggendo le ultime parole. Quante volte dal quel giorno ha dovuto rimettersi in gioco, saltare ostacoli, prendere decisioni affrettate con l’animo sospeso per paura di sbagliare. Ma ha sempre tirato dritto. Ancora sorride pensando all’inizio di quel “salto azzardato” di mettersi in proprio, alle ansie, ai disagi non solo per lui ma per la famiglia. Le ore disponibili non erano mai sufficienti e la fine della giornata arrivava sempre troppo in fretta. Poi il ritorno a casa a ora tarda.  In tre su un “eroico motorino” (lui, moglie e figlia) che doveva “mangiare” parecchi chilometri prima di arrivare a destinazione, perché abitavano ancora fuori città, vicino a Pratolino, una strada tutta in salita, come la sua vita. Infine anche quella strada si è un po’ appianata.

Come per un gioco della sorte  (ma Renzo pensa che sia stata la mamma da lassù ad aggiustare la partita ) a un tratto si libera un appartamento al primo piano proprio sopra la lavanderia. La proprietà è la stessa e glielo affitta volentieri. Da quel momento non più estenuanti viaggi su due ruote a tutte le ore e sotto le intemperie, e maggior agio nel programmare il lavoro.

Sono gli anni Sessanta, anni fertili in Italia, per tutte le attività e per chi ha voglia di fare. Non ci sono domeniche né feste comandate. Le consegne vanno rispettate e sono tante, sempre in crescita.

Come avresti potuto immaginare il mio futuro, cara mamma? Quando te ne sei andata sapevo a mala pena leggere e scrivere. Avevo un carattere dolce e tenero, come il tuo, anche se dentro la tempra era solida; ma ero ancora un pulcino. Voglio raccontarti una delle tappe del mio incedere che lì per lì mi ha fatto vacillare. Con il lavoro avevo messo da parte una bella cifra ed ero riuscito a comprare, a Cercina, nella campagna di Sesto Fiorentino, una grande casa colonica mezzo diroccata con annesso podere olivato di parecchi ettari. Finalmente una casa tutta mia: il grande sogno si stava avverando.

Era tutta da risistemare ma il posto si presentava meraviglioso e sapevo che il campo avrebbe dato i suoi frutti. Ormai potevo contare su un  buon guadagno  e avrei provveduto pian piano a rifarla  come nuova. Così iniziò anche questa avventura. Ma ecco che si presenta un’altra opportunità. Chi mi aveva venduto la casa era un anziano marchese senza moglie né figli, viveva con una segretaria, anziana come lui, che gli faceva anche da governante. Niente affetti, solo qualche parente alla lontana che aspettava la sua morte per l’eredità. Il suo enorme patrimonio comprendeva tutto il territorio attorno alla casa e al podere che avevo comprato, quindi altre case e altri poderi per un valore di molti milioni. Era persona gioviale, serena e, siccome abitava nella zona, c’era stato modo di incontrarsi molte volte e di conversare, durante il lungo periodo dei lavori di restauro della mia casa. I rapporti fra noi erano molto cordiali, così un giorno venne a trovarmi e mi fece una proposta molto particolare che oltre a meravigliarmi  mi lasciò senza fiato.

Non si fidava né dei parenti né degli amici, mi disse, ma di me sì. Mi considerava onesto e “fededegno”, adoperò questa parola, forse un po’ antiquata ma che rendeva l’idea. Ed era certo che non l’avrei mai ingannato. Pensa mamma, proprio a me venne a offrire la tutela del suo intero patrimonio. Avrei dovuto occuparmi di tutte le sue proprietà e amministrarle nel modo corretto secondo la legge. Alla sua scomparsa avrei ereditato tutto io. Una bomba forse avrebbe fatto meno fragore scoppiando nel mio petto. Cosa mi stava apparecchiando la sorte? Una grande fortuna oppure un enorme “tranello”?

 Renzo rilegge le ultime frasi di quest’altra paginetta e si fa serio ripensando a quella proposta così inaspettata, particolare e interessante.

Accettare? E come sarebbe cambiata la sua vita da quel momento in poi? Di certo avrebbe dovuto vendere la lavanderia oppure cercare un socio. La figlia era ancora molto giovane e la moglie non ce l’avrebbe fatta a tirare avanti da sola. L’impegno di seguire in modo corretto, secondo il suo carattere scrupoloso,  l’amministrazione dell’enorme patrimonio del marchese, non gli avrebbe certo consentito di stare in bottega quelle dieci ore come ora faceva e che erano necessarie a seguire il lavoro. Giorno dopo giorno, notte dopo notte, dentro di lui si facevano strada ora questa ora quella decisione. Consultò anche un avvocato per chiarire cosa lo aspettava se avesse accettato “quell’investitura”.

Infine la prudenza ebbe la meglio e, pur con grande rammarico, disse di no. Significava rinunciare a una fortunata occasione? Forse. Oppure era uno scampato pericolo? Chissà?

Ancora riflette su tutto questo e di nuovo si interroga e decide che quella di rinunciare è stata la cosa giusta. Come avrebbe potuto, lui, senza nessuna esperienza di beghe amministrative, di affari complessi, affrontare i tanti problemi di cui certamente sarebbe stato costellato il suo cammino in quella strada? E poi, ammesso che tutto fosse andato nel migliore dei modi, chi garantiva che la sua salute avrebbe retto a quell’impatto o che un domani i legittimi eredi si sarebbero fatti da parte senza opporre resistenza?

No, mille volte no: lui era un uomo semplice, un lavoratore, non aveva studiato, non si sentiva adatto a infilarsi in faccende lontane dal suo mondo e dalle sue capacità.

Gli torna il sorriso perché sa di aver preso la decisione più saggia. Mai pensare di poter tradire la propria indole, i propri limiti cedendo alla lusinga di possedere competenze che non si hanno e doversi affidare alla testa altrui.

Oggi la sua bottega è un’attività più che consolidata, possiede una bella casa, un piccolo podere, una famiglia serena e unita. Cosa sarebbe stato di lui e dei suoi cari se tutto si fosse dissolto sotto il crollo di un castello in aria?

Bravo Renzo, che ha saputo misurare tutto con il metro giusto.

E così, cara mamma, dissi di no. E ora, a distanza di anni, sono convinto più che mai di aver agito con criterio. Sono anche sicuro che questo lo devo molto a te, che mi hai insegnato a dare alle cose il loro reale valore. Il babbo è sempre stato più distratto riguardo alla guida dei figli. Dopo che te sei volata in cielo si è sentito in diritto di percorrere la propria strada quasi dimenticando che c’era stato un altro tempo nella sua vita e c’eravamo anche noi.

Da allora è rimasto altre tre volte vedovo, e fino a tarda età ha continuato a cercare di riempire il suo letto con la compagnia di una donna, poi, pace all’anima sua, se n’è andato senza lasciare niente a nessuno di noi perché niente aveva da lasciare. Ma io non mi sono dimenticato di lui, e finché è stato in vita, in  rispetto alla tua memoria, gli ho teso la mano offrendogli di quando in quando l’accoglienza della mia famiglia.

Ho quasi timore a dire che sono felice, non ho l’abitudine di crogiolarmi nell’agio di certe affermazioni; quello che ho costruito l’ho avuto a costo di faticoso lavoro e vorrei che la mia vita avvenire fosse ancora generosa di forze per continuare su questa strada, quando verrà poi il mio momento, chiedo solo che sia veloce, il meno molesto e doloroso per la mia famiglia, e per me, lieve, silenzioso, leggero come il battito d’ali di una farfalla che lascia il petalo di un fiore.

Gennaio 2021

A Rossana

nel ricordo di suo babbo che ha lasciato alla famiglia una preziosa eredità di luogo e di affetti.

55 pensieri su “Il dolceforte dei sogni

  1. Ben La comprendo, Lucia…
    mia Madre è volata via qualche giorno fa: testimone di un secolo di tragedie, e anche di gioie bisogna dirlo… non tutto è tristizia per nostra fortuna…
    e sottoscrivo quanto di Te, sopra, ho letto.
    Grazie,
    Antonio Sagredo

    1. Grazie caro Antonio per condividere la memoria dei nostri cari.
      Siamo parte anche di quella e dobbiamo conservarla con amore.
      Ancora grazie.
      Lucia

  2. Due uomini, Renzo e il padre, quattro volte vedovo e mai sazio di consumare. Renzo invece contenuto nell’impegno delle sue forze, mai applicate oltre il limite delle potenzialità effettive. Due Italie quasi, la concretezza terragna e morale, la avventatezza egoistica e leggera, né bene né male, consumismo come divisa quotidiana e nell’arco vitale.
    Contrariamente al carico emotivo con cui Sagredo ha individuato una esperienza reale nel testo, io sottolineo la acutezza sociologica e politica di contrapporre due etiche, come due personaggi tipici che ognuno di noi riconosce in tutti quelli che ha incontrato nella vita, e hanno costruito il Paese che abbiamo davanti e in cui viviamo.

    1. Cara Cristiana, grazie per questa analisi acuta del mio racconto.
      Spesso chi scrive si addentra nell’animo dei personaggi con emozione e le figure che vengono fuori sono principalmente il risultato del suo sentire. Il tuo commento apre ad altri orizzonti interessanti di lettura.
      Grazie ancora.
      Lucia

      1. @ Lucia Bruni: Sono psicologicamente incerta sul senso dei tuoi ringraziamenti, non solo a me. C’è un distacco: come se il tuo testo, reso comune dai commenti, fosse in fondo un tuo gioco provocante, che raccoglie opinioni… Il testo è buono, su tre piani, il tuo effettivo -controllato- coinvolgimento; la dinamica costruttiva del testo; l’apertura alle identificazioni di chi legge. Ma l’autore/autrice resta comunque esterno… in certo senso i tuoi graditi ringraziamenti lo confermano.
        Mi pare, ma mi posso sbagliare, che ti attieni a un ruolo di narratrice esterna, non alla trama ma alla diegesi.
        Posizioni poco consone alla necessaria attuale, anche secondo me, capacità di narrare il nostro difficile presente.
        Ti chiedo però scusa se ho sbagliato nel leggere la tua funzione di autrice.

        1. .. ” Un ruolo di narratrice esterna”( Cristiana).. secondo me perché il racconto di Lucia Bruni si pone nella scia dei racconti veristi e si limita a mettere in scena fatti e alcune evidenze degli stessi.. Le risonanze in chi legge sono notevoli, anche personali come emerge dai commenti..

  3. “quattro volte vedovo e mai sazio di consumare.[…]la avventatezza egoistica e leggera”
    (Fischer)

    Boh, nel rapporto sessuale a cui qui pare si alluda, perché il “consumare” sarebbe soltanto del vedovo? E perché attribuirgli soltanto ” avventatezza egoistica e leggera”, se è la morte e non la sua volontà a strappare le sue quattro mogli alla vita? Mi fermo qui per non fare prediche…

    1. “questo avrebbe significato per lui dover sacrificare il suo vivere da uomo giovane e forte, e non lo voleva, insomma non riusciva ad accettare di esser solo nel letto, aveva bisogno di una donna. Così si è preso la Manola e noi ci ha mandati nel mondo” è quindi l’autrice stessa a identificare il consumismo del padre di Renzo. Consumo di vita, per poter attingere a energia. E cos’altro è il “consumismo” della nostra cultura se non questo scambio continuo, un equilibrio dinamico in cui passa la vita? Invece Renzo investe, “spende” le sue forze e le oggettiva, costruisce cose: casa, famiglia, futuro consistente.
      La lettura “sessista” non mi corrisponde. Invece trovo ficcante, geniale, la raffigurazione in figlio e padre di due modelli sociologici, etici in fondo. E in fondo anche politici.

  4. Dimenticavo… la “avventatezza” riguarda anche una certa superficialità psicologica. Non apprezzo le vedove che si immolano sulla pira del marito morto, ma nemmeno un investimento affettivo, teoricamente intenso come è un matrimonio, che si replica disinvoltamente quattro volte. Se non è “consumismo” quello, cos’è?

    1. Piccola replica e poi sto zitto in attesa di altri commenti:

      1. “questo avrebbe significato per lui dover sacrificare il suo vivere da uomo giovane e forte, e non lo voleva, insomma non riusciva ad accettare di esser solo nel letto, aveva bisogno di una donna. Così si è preso la Manola e noi ci ha mandati nel mondo” è quindi l’autrice stessa a identificare il consumismo del padre di Renzo. Consumo di vita, per poter attingere a energia.”.

      Non capisco perché usare il termine “consumismo” se è un equivalente di “scambio continuo” o di “equilibrio dinamico in cui passa la vita” . E perché usarlo solo per i matrimoni del padre di Renzo. A me pare che il personaggio viva la sua vita secondo la morale della sua generazione (diversa da quella del figlio e per certi aspetti imparagonabile perché il contesto è mutato) . Certo la vita la consuma anche. Ma questo vale per tutti. L’autrice sottolinea il tratto egoistico del comportamento del padre: “Così si è preso la Manola e noi ci ha mandati nel mondo”, ma non mi pare che usi termini come ‘consumo’ o ‘consumismo’. Tu – mi pare – usi questo termine per sottolineare “una certa superficialità psicologica” del personaggio che replicherebbe “disinvoltamente quattro volte” il matrimonio. Cosa condannabile?

  5. Mi auguro altri commenti anche io. Sul *consumismo*, una nota: nel testo c’è opposizione tra l’investimento (delle proprie forze, di tempo, di affetti) e il consumo del padre (che abbandona i figli per il proprio bisogno di una moglie; che non resta legato dagli investimenti affettivi, un po’ come fanno i divi di Hollywood; che “poi, pace all’anima sua, se n’è andato senza lasciare niente a nessuno di noi perché niente aveva da lasciare. Ma io non mi sono dimenticato di lui, e finché è stato in vita, in rispetto alla tua memoria, gli ho teso la mano offrendogli di quando in quando l’accoglienza della mia famiglia”.
    Niente aveva da lasciare, dice il figlio, che invece lascia terreno, casa e buoni ricordi.
    “In rispetto alla tua memoria” dice anche il figlio: radici sono madre e terra, consumo istante per istante è la vita del padre. Che poi si tratti di padre e madre è quasi accidentale: si potrebbero scambiare i comportamenti tra i due sessi, agli effetti della narrazione. Sono propriamente due diffusi stili di vita, e individuano anche comportamenti sociologicamente, e perchè no? anche storicamente, determinati: costruire e consumare.

  6. … all’età di soli otto anni, Renzo perde la mamma molto amata e da li’, per lui e per i suoi fratelli, ha inizio un’odissea senza fine…Per combinazione anche mia madre perse la sua alla stessa tenera età, per l’influenza della Spagnola, e non le fu facile crescere in un’osteria sola con il padre e una vecchia nonna, i fratelli tutti maggiori se ne andarono quasi subito per la loro strada…
    Renzo, trasferito in collegio, pati’ il lutto e lo sradicamento nello stesso tempo, ma evidetemente nel “dolceforte” dei suoi sogni era riuscito a trovare il coraggio e la perseveranza per costruirsi un cammino…Permaneva in lui un vuoto d’amore, ma si attiva in tutti i modi per non venirne travolto, facendo le scelte giuste per il proprio futuro, ma anche per quello del suo paese, come partigiano nella Resistenza…Le scelte di Renzo, semplici e caparbie, sembrano essere sempre giuste, ma perchè, lui ne è convinto, ancorate al legame affettivo mai interrotto con la mamma a cui segretamente scrive lettere , facendone la sua guida interiore…Non si dimentica di informarla delle difficoltà incontrate e di ringraziarla per i successi della sua vita. Quelle lettere sono la piu’ preziosa eredità che Renzo lascia alla figlia e al nipotino, un filo rosso di continuità tra generazioni mai interrotto, nonostante le vicende iniziali avverse…Questa continuità oggi spesso si spezza, lasciando scoperto anche il futuro dei nostri giovani. Ringrazio molto Lucia Bruni per il racconto di una storia vera

    1. Cara Annamaria,
      grazie a te di questo bel commento al mio racconto. Scrivere è condividere emozioni che riaffiorano da vite vissute e la memoria è importante per far sì che non si perdano quelle eredità di affetti, oggi ancora più preziose.
      Lucia

  7. Racconto composito, dove alla finzione del genere epistolare si associa quello narrativo (con una certa liaison stilistica); privo tuttavia di dialoghi, con la sola testimonianza del protagonista (indagato dall’autrice). Così facendo i fatti vengono narrati e interpretati secondo l’ottica della stessa, che dovrebbe invece lasciarne la valutazione al lettore sulla base di riscontri obiettivi (ma ciò comporterebbe una diversa impostazione strutturale).
    Il racconto procede con scorrevolezza e risulta coinvolgente, inanellando una serie di valori positivi (cari all’autrice), edificanti. Non ultimo la pietas verso l’anziano padre che riceve più di quanto ha saputo dare (non criticabile, a mio parere, per i reiterati matrimoni, quanto per essersi troppo presto liberato dei figli, come tende a sottolineare anche l’autrice), contraddicendo al presuntuoso motto dannunziano “Io ho quel che ho donato”.
    Così come l’auspicata leggerezza del trapasso “come il battito d’ali di una farfalla” di chi ha vissuto con coscienza e si sente una piccola parte del tutto.
    Tema del racconto è il rapporto con la madre, fonte di vita e di saggezza.

    1. Caro Franco,
      più che un commento il tuo è una disamina attenta e interessante oltre che del tessuto narrativo, delle tematiche che ho affrontato nella stesura.
      Grazie. Chi, come me, ha sentito l’esigenza della scrittura fin da bambina, è alla costante ricerca di stimoli che diano linfa alla penna e ha un’altrettanto costante bisogno di riscontri.
      Un saluto. Lucia

  8. Sono sostanzialmente d’accordo con Cristiana: del padre di Renzo si direbbe da noi, guardando semplicemente i numeri, “l’a frustèe trei (o quater) moiéri”, ha consumato tre (o quattro) mogli – consumato nel senso di logorato, come si logora un capo di abbigliamento che poi si butta. Usura veloce, sostituzione, così funziona la società dei consumi. E’ chiaro che è un punto di vista esterno, di superficie, malizioso perfino; non sprovvisto però di una sua immediata evidenza.
    Vorrei però introdurre a proposito di Renzo e del padre due categorie leggermente diverse: il padre è un dissipatore (di figli, di mogli, di soldi – infatti quando muore non lascia niente perché non ha niente), Renzo un accumulatore – ovviamente solo di soldi: una sola figlia (se ho capito bene), perché i figli costano e distraggono dal lavoro e dall’accumulazione; una sola moglie – non voglio dire che alla base ci sia una riflessione economica, ma oggettivamente una moglie costa meno di due.
    A prima vista il dissipatore appare riprovevole e l’accumulatore lodevole e sicuramente la ricchezza delle nazioni si fa grazie agli accumulatori e non ai dissipatori; ma siamo sicuri che questi concentrati di virtù siano davvero così positivi? (naturalmente non parlo qui della persona concreta a cui si riferisce il testo, ma di un certo tipo umano che vi appare rappresentato.) Cioè – siamo sicuri che l’oculatezza sia qualcosa di più di una virtù borghese? Certamente necessaria – ma basta questo a farne una virtù?
    C’è una frase nel testo che mi ha colpito: “Ma io non mi sono dimenticato di lui, e finché è stato in vita, in rispetto alla tua memoria, gli ho teso la mano offrendogli di quando in quando l’accoglienza della mia famiglia.”
    In quel “di quando in quando” c’è tutto un mondo.

    1. Ho cercato di evitare il giudizio morale, tra i Buddenbrook e Liz Taylor. Ma i due poli sono ugualmente presenti. E quel “di quando in quando”… lo voglio vedere come la vera posizione terza dell’autrice, che non sceglie tra i due personaggi, li espone. Interessante posizione dell’autrice, che riesce a dividere psicologicamente e ideologicamente le sue lettrici lettori

  9. …padre e figlio sembrano sfidare la Morte, che in qualche modo li ha perseguitati: il figlio sopravvive nel ricordo della madre e difende con tenacia la sua “costruzione”, ponendosi anche dei limiti pero’, e consegnandola a chi resta dopo di lui…il padre o è un Barbablu’ oppure ama la donna con cui vive e quando Lei, per l’ennesima volta, gliela strappa, non si arrende…in fondo entrambi non cedono alla malasorte, ma hanno valori e bisogni diversi…Forte e fragile? Chissà..

    1. Morire è naturale, il figlio vive nella negazione col quaderno e con i beni al sole. Il padre la nega nell’affermare una vitalità golosa e irrefrenabile. Ma hai ragione Annamaria, vista dal basso, dalla morte, hanno di nuovo un senso, diverso, le due strategie.

  10. Un grazie corale a tutti voi (Elena ed Ennio compresi) che avete letto e commentato il mio racconto. Ho gradito in particolare i “dialoghi” che questo ha stimolato facendo emergere taluni aspetti sia stilistici che di contenuto, per me importanti.
    Sono convinta che scrivere è crescere dentro giorno per giorno, e questo è possibile anche grazie a chi, come voi, esprime in vari modi la propria condivisione.
    Un abbraccio letterario.
    Lucia

    1. Buona sera cara Lucia, il tuo racconto è un agro dolce di sentimenti autentici di vita e di vita vissuta all’insegna della propria indole originaria(come anche tu metti l’accento su questo valore aggiunto che caratterizza tutta la vita del protagonista.. del tuo genuino racconto). Certo è toccante alla luce dei nostri tempi e quando anche perdiamo un genitore (anche io ho perso il babbo 2 mesi fa)… La memoria cerca nei mosaici del percorso esistenziale per comprendersi e capire appunto se poi abbiamo tradito noi stessi e fatto la cosa giusta…?!
      Bhe.. Mi colpi la frase di James Hillman che paragono la maturità /con il percorso a ritroso della nostra esistenza per ricontattare il bambino/a che siamo stati…..
      Un carissimo saluto M. CRISTINA. F.

      1. Cara Cristina, grazie del tuo commento attento nel mettere in risalto gli aspetti che ho cercato di sottolineare pur non facendo del tutto un lavoro di fantasia ma ricostruendo il racconto dell’amica.
        Appropriata la citazione della frase di Hillman: consapevoli o no, tutti cerchiamo di costruire il nostro presente e il futuro con i sedimenti della nostra infanzia.
        Un abbraccio.
        Lucia

  11. Gent. Lucia, le poche righe che ho scritto di commento al tuo racconto sono servite anche a me per la mia attività di scrittore. Come te coltivo questo ‘vizio assurdo’ fin da bambino; a 7/8 anni scrissi una favola per la mia maestra che mi accusò di averla copiata. Fu la prima volta in vita mia che provai un senso di disperazione. Questo fatto si ripeté all’esame di maturità, dove affrontai il tema della poesia del ‘900, che interpretai come poesia del dolore citando a memoria tanti versi, e la profe mi disse che il tema l’avevo copiato. Fu una stilettata al cuore che mi lasciò senza la forza di replicare. Pubblicai il primo libro di narrativa nell’80, a 32 anni, a Bologna con Ponte Nuovo e da allora più nessuno mi ha detto che ho copiato!
    Ho apprezzato il tuo racconto per la chiarezza e per i contenuti. Essendo dalla parte del racconto classico, tradizionale, ho rilevato che non c’è dialogo. Ma da un solo racconto non posso sapere come ti regoli. In ogni caso, a queste forme sintetiche credo sia preferibile quella dove alla narrazione si alternano i dialoghi: forse è più difficile, ma ti consente di definire meglio i protagonisti, specie nella loro interiorità. Maestro in questo è stato Dostoevskij, che per me rappresenta l’incarnazione dello scrittore.
    Ti auguro buon lavoro, auspicando di leggere altri tuoi racconti. Cordialmente.

    1. Caro Franco sono contenta di questo “incontro letterario”. Capisco le tue frustrazioni da bambino e da più grandicello. Sono più o meno le stesse che ho incontrato io nelle mie esperienze di scrittura. All’università stendevo piccole tesine anche per gli esami che non le richiedevano facendo sorridere i docenti. Uno di quelli è stato Garin.
      Quanto ai dialoghi, hai ragione. Ho scritto molti racconti (e diversi romanzi) più articolati di questo dove i dialoghi fanno da padroni ma qui mi sembrava che avrebbero appesantito la narrazione.
      Leggere volentieri qualcosa di tuo. Se vuoi invialo pure alla mia mail.
      Un caro saluto e grazie della condivisione.
      Lucia

  12. Racconto molto bello, pratoliniano. Privo di moralismo, asciutto, ben costruito dal punto di vista narrativo.

  13. Come sempre, la scrittura limpida e sapiente di Lucia Bruni si legge con piacere e, al tempo stesso, fa riflettere sul senso della vita e sul valore della memoria. Insieme ai suoi personaggi si ripercorrono le fasi della nostra vita e quelle della comunità. Il tutto sullo sfondo di luoghi cari e conosciuti. BravaLucia!

    1. Cara Laura,
      grazie per questo commento appassionato.
      Scrivere, lo sai, è esprimere emozioni e tante diverse realtà. Son contenta che tu le abbia condivise.
      Un caro saluto. Lucia

  14. Gent. Lucia, puoi leggere i seguenti racconti: “Lui ha un’anima”, “La provvidenza” e “La confessione” che ho pubblicato da poco proprio su Poliscritture. Cordialmente.

  15. Toccante e commovente. Grazie Lucia di averci regalato questo racconto, con quelle “pennellate” emotive nelle quali sei maestra. Bravissima come sempre.

    1. Grazie a te Elisabetta,
      mi fa piacere che il mio racconto abbia toccato corde sensibili.
      Un abbraccio.
      Lucia

  16. Una storia dolce ed amara piena di vita e di verità. Che bella L’ idea di scrivere una lettera alla mamma, che poi è a se stesso. Un racconto che si snoda per lui lungo periodo, accattivante

    1. Cara Patrizia,
      nella tua sensibilità di scrittrice hai saputo cogliere il lato suggestivo dell’espediente narrativo. Per me comunque è vera anche l’emozione che ho provato nel raccontare questo vissuto.
      Grazie, grazie con un caro saluto.
      Lucia

  17. Cara Lucia
    Vedo che ti sei affezionata di questa forma che prevede l’alternare fra lettere intime e narrazione esterna. Ma la cosa strana, in questo nuovo testo, è che le lettere sembrano esser state scritte non nel passato ma più o meno contemporeanamente al momento il cui Renzo ci è descritto quasi in fine di vita. Non so se mi faccio capire… Parlo qui di prospettiva temporale : le lettere, anche se sono descritte come se fossero vecchie, raccontano delle vicende non molto lontane del Renzo narrato in terza persona.
    Ma insomma, questo tu personaggio è toccante e applaudo davanti alla sua integrita.

    Mi sarebbe piaciuto saperne di più sulle ragioni del suo impegno fra i Partigiani, perché il percorso suo avrebbe potuto fare sì di condurlo nel giro delle forze fasciste.

    All’inizio e alla fine, quando si tratta del babbo di Renzo, non ho potuto fare a meno di pensare al mio di babbo che ha visto sua moglie (mia madre) morire a 43 anni lasciandoli 9 figli di età fra 8 mesi e 17 anni. Eppure ce l’ha fatta, siamo rimasti uniti. È stato vedovo per due anni e mezzo, poi ha sposato una donna che ha accettato l’impegno diventare madre di 9 figli.

    Buona domenica!
    Dominique

    1. Una bella pagina di scrittura, con uno stile semplice, comunicativo, ma curato, preciso, ‘bruniano’, direi.
      Momenti di vita del quotidiano che fanno riflettere e arricchiscono.

      1. Grazie, grazie Giuseppe di questa tua attenta lettura e del lusinghiero commento. Addirittura uno “stile” tutto mio!
        Un abbraccio. Lucia

    2. Caro Dominique, grazie infinite per seguire le mie “avventure di penna”.
      Capisco cosa vuoi dire quando ti chiedi se le lettere appartengono al passato o sono frutto di una riflessione del protagonista nel suo presente di vita. Il Renzo narrato in terza persona è quello che gli altri vedono, il Renzo delle lettere è lui stesso che attraverso le varie fasi del suo trascorso sente il bisogno di aprire un dialogo immaginario con la mamma. Raccontando e raccontandosi tenta di superare i disagi di una solitudine, poi risolta con la propria famiglia.

      Riguardo al suo impegno, diciamo, politico, non faceva parte degli aspetti da approfondire perché a me, come alla figlia che mi ha raccontato, interessava più che altro mettere l’accento sul padre come persona, il quale nonostante le traversie incontrate, ha saputo lavorare con onestà e lasciare un affettuoso ricordo di sé.

      Encomiabile la figura di tuo babbo che con tenacia e con amore e di certo con molta sofferenza dentro e infinite difficoltà, è riuscito a dare una impronta tenace alla propria famiglia tanto da mantenerla unita.

      Grazie ancora Dominique. Con un abbraccio.
      Lucia

  18. Cara Lucia, mi sono commossa, da madre di figli ormai grandi, a leggere il sentire di questo figlio. tante volte mi sono trovata a pensare che cosa riuscirò a lasciare ai miei figli…..
    questo è un periodo così ‘denso’ per tutti che forse è impossibile non pensare anche al dopo. spero di poter lasciare anche io un’eredità da calcolarsi senza la calcolatrice.
    grazie per questo racconto.
    speriamo di poter tornare a vedersi magari in qualche giro per la nostra Firenze. Anche la nostra ‘guerra’ prima o poi finirà. a presto! manola biggeri

  19. Cara Manola, mi fa molto piacere la tua condivisione perché vuol dire che sono riuscita a mettere sulla carta le emozioni che ho provato quando la figlia mi ha raccontato del padre e della sua vita così intensa.
    Grazie infinite per il tuo commento.
    Un grande abbraccio sperando davvero di incontrarci presto. Lucia

  20. Cara Lucia,
    come è precipuo del tuo veristico narrare, grazie ad un linguaggio ricco di vibrazioni esistenziali hai creato, con fluente spirito analitico, la vicenda biografica ed emozionale di un protagonista, artefice del proprio destino, che con slanci etici dai risvolti costruttivi, testimone dello spaccato sociale ed economico del ‘900, sa darsi una prospettiva redenta per la sua coscienza ferita.

    Riabilitante ed esemplare si offre ai lettori la sua vicenda psicologica che con pragmatiche scelte fortifica il suo futuro, nella parabola di emozioni vissute, nella poetica degli affetti più veri che lo legano al ricordo della madre.

    1. Cara Silvia,
      ti ringrazio molto di questa attenta disamina sul mio racconto.
      Le tue parole sanno entrare nello specifico con acutezza e sensibilità.
      Un bel regalo alla mia “penna”.
      Grazie ancora con un abbraccio.
      Lucia

  21. Un racconto ben strutturato e equilibrato. Direi anche originale per il tema trattato: una atipica (purtroppo) figura di figlio, di uomo che ha saputo mantenere per tutta la vita intatti i riferimenti ai suoi valori. Un racconto apparentemente “tranquillo”, in realtà, una coraggiosa affermazione di etica, quasi rivoluzionaria al giorno d’oggi, in cui si individuano i valori ben diversamente. Cara Lucia, hai costruito – concordo con Giuseppe, con il tuo bello stile “bruniano”- un personaggio profondamente vero, con le sue incertezze, i suoi dubbi, alle prese con i giochi del destino, ma anche commovente nella sua felicità finale, che lascia nel lettore una promessa di speranza. Dunque un bel dono, grazie.

    1. Cara Annalisa,
      grazie per questa tua approfondita analisi sulla tematica del mio racconto che mette in evidenza i lati più nobili del testo lasciando al lettore il compito di riflettere sul personaggio e le sue scelte coraggiose.
      Quando si scrive spesso ci sfugge ciò che sta fra rigo e rigo ma appena questo ci viene rivelato la condivisione acquista più valore.
      Con un caro saluto. Lucia

  22. Firenze 24 Marzo 2021
    Un commento spontaneo su “Il dolceforte dei sogni”
    Questa storia vera, filtrata dalla delicatezza della penna di Lucia , mi ha molto coinvolto riportandomi alla mente l’infanzia di mia madre che perse la sua all’età di quattro anni, ma che ritrovò nella seconda moglie del padre tutto l’affetto che le era improvvisamente mancato. Ho sempre pensato che così dovessero andare le cose per tutti invece un altro protagonista entra nel gioco della vita del protagonista : il grande vuoto affettivo che accompagna la crescita del piccolo Renzo. Un vuoto alimentato dall’egoismo di un padre che ha cercato sempre una donna per sé e mai una mamma per i propri figli. La cosa che ritengo meno consueta, al di là della storia carica di sentimento, è stata il piglio della narrazione . Eravamo abituati ad una scrittura fresca , vivace, ricca di dialoghi in vernacolo di Lucia ed invece questa volta ci ha sorpreso con una narrazione scritta a quattro mani. Si intrecciano in modo dinamico la voce narrante e precisa dell’autrice, tipica di una cronaca, e quindi priva di giudizi e commenti, all’esternazione diretta di Renzo che affida a degli appunti, idealmente indirizzati alla madre scomparsa prematuramente, il racconto intimo della sua vita. “Quella lettera non l’ha mai data a nessuno perché nessuno c’era che avrebbe potuto leggerla”. Nella descrizione dell’indecisione di Renzo nel tenere o gettare quella lettera, nella quale poteva vedere sia il naturale legame col la madre sia la tristezza del suo passato da dimenticare, Lucia dimostra tutta la sua affinità sentimentale col protagonista.
    Sandra Ajello

    1. Grazie carissima Sandra per questo commento ricco di riflessioni sul mio racconto e di suggestivi ricordi della tua famiglia. E grazie per i lusinghieri accenni al mio eclettico stile di scrittura. Ho impiegato molto tempo prima di scegliere il modo di narrare questo Renzo cercando di non trascurare niente delle eredità che aveva lasciato. Ma infine mi sono mossa dando spazio alle emozioni sollecitate da lui dentro di me e lasciando che fosse lui stesso a raccontare la sua storia. Forse è stata la scelta più appropriata.
      Un grande abbraccio.
      Lucia

  23. Un bellissimo racconto, dove viene rievocata pienamente l’atmosfera della vita che si viveva molti anni fa. Con i dolori ma anche le piccole gioie che davano grandi felicità. Pochi scrittori, riescono a trovare le parole giuste per creare atmosfere e dare anche quel tocco di leggerezza ad una storia triste. Bella l’idea della lettera iniziale che spezza il racconto, e dal passato ci proietta nel presente. La morte di una madre, quando i ragazzi sono in tenera età, crea sempre dei grandi traumi, e specialmente negli anni in cui si svolge il racconto, non c’erano supporti psicologici per i membri di una famiglia. Ma quel padre non aveva uno spessore psicologico per amare e far crescere dei figli. E questo, spesso dipendeva anche dal contesto ideologico e culturale in cui vivevano le persone. Ma i comportamenti umani, anche se il mondo progredisce in tecnologia, benessere e cultura, saranno sempre gli stessi, perchè è insito nella natura umana l’odio e l’amore, la presenza e l’indifferenza, la violenza e la bontà ! Il protagonista estremamente legato alla realtà, ci conduce in un percorso esistenziale fatto di sentimenti contrastanti: forti e drammatici .Ma il finale positivo lascia nel lettore la speranza di una vita migliore.

    1. Grazie Giancarlo del commento così accurato che apprezza i dettagli di una vita minima fatta di piccoli gesti ma densi di significato. Hai ragione, l’uomo, per fortuna non cambia nelle sue necessità di condivisioni. Il mio racconto cerca di far riflettere anche su questo.
      A presto.
      Lucia

  24. Veramente molto bella questa storia ,mi ha confermato una sensazione che sento da un po di tempo e cioè che la mancanza della mamma è sempre forte ,anche se diventa grandi ,anzi ,io la sento forse molto di più adesso di quando è andata in cielo.
    Comunque il tuo racconto mi ha emozionato ed è quello che mi piace provare quando leggo .
    Grazie.

    1. Grazie Bruno, condividere emozioni è il fine della scrittura e quando avviene ci dà grande gioia.
      Un caro saluto.
      Lucia

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