Altraparola

Segnalo  questa rivista che mano mano si va imponendo all’attenzione di chi vuole pensare fuori da schemi consumati questa nostra epoca definita – a me pare saggiamente  – più che “in transizione”  “in sospeso”.  [E. A.]

Da “Chi siamo”:

Il nostro pare uno di quei momenti della storia che Benjamin definiva col termine di “dialettica in stato di sospensione” o “in sospeso” o “sospesa”. Le forze in conflitto sono tese l’una contro l’altra in modo tale da non riuscire a prevalere o affermarsi in modo da determinare un nuovo evento, un’altra forma di vita o una decisione. “In sospeso” significa qui dunque tutto il contrario che “in quiete”, come tendevano a pensare i pensatori della fine del secolo passato che si illudevano su una fine postmoderna della storia, dei grandi conflitti e delle grandi narrazioni. Le quali sono riprese a ritmo violento (dal fondamentalismo al neofascismo) e non sono purtroppo rassicuranti.

La nostra condizione può ricordare quella di Egli, il protagonista di una parabola di Kafka, più volte commentata dalla Arendt: “Egli ha due avversari: il primo lo incalza alle spalle, dall’origine, il secondo gli taglia la strada davanti. Egli combatte con entrambi”. Egli è sospeso nel conflitto tra un non essere più e un non essere ancora, che gli restano entrambi indecifrabili: con uno sforzo immane tenta nonostante tutto di ricostituire il legame redentivo tra passato e futuro, memoria e speranza, senza più disporre del patrimonio di una tradizione e di un linguaggio condivisi, che gli permettano di adempiere con garanzia di successo al suo compito. Ci troviamo dunque su una linea di lotta (Kampflinie) senza che nessuna delle ideologie e delle categorie di pensiero del secolo passato sia in grado di darci esaurienti descrizioni di quali siano e come siano composte le grandi forze in conflitto entro di noi e fuori di noi. Siamo anche su una linea nodale (come la chiamava Hegel), quando lo sgretolamento sordo e profondo nelle fondamenta dell’ordine simbolico dominante non è emerso ancora a visibilità e pure già produce crepe in tutte le pieghe dell’edificio.

Questo non vuol dire che ricordare il pensiero il quale – nel Novecento – si è sforzato di indicare un altro mondo possibile rispetto a quello in cui ora viviamo sia inutile; ma ciò che ci interessa va estratto con cura, con un’operazione critica, da insiemi e apparati concettuali, che non possono più essere assunti nella loro interezza. Ciò vale anche per le tradizioni di teoria critica a cui siamo più legati: la Scuola di Francoforte, W. Benjamin, G. Debord e il situazionismo, H. Arendt, M. Foucault e altri che ci hanno accompagnato nel lungo lavoro dedicato ai volumi del “Comunismo eretico”. L’orizzonte di senso della nostra ricerca è quello di un “socialismo” libertario, che pone al centro –come ebbe a definirlo Marx nei Grundrisse – la nozione di “individuo sociale”.

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