Ancora sugli anni ’70

Discussioni a spizzichi e bocconi
Riprendo un articolo comparso sulla pagina Facebook di Lanfranco Caminiti (qui) e una selezione dei  commenti, tra i quali due miei. [E. A.]

Lanfranco Caminiti

2 maggio alle ore 11,10
è il giorno dopo l’assassinio di carlo casalegno, vicedirettore de “la stampa” a torino, per mano delle brigate rosse. “la repubblica” manda giampaolo pansa, che scriverà, il 18 novembre 1977, un pezzo dal titolo “ai cancelli di mirafiori”: «Le mie domande saranno quasi sempre le stesse. Ha letto dell’attentato al vicedirettore de “La Stampa”? Farà lo sciopero di un’ora proclamato dai sindacati? Che cosa pensa di quel che è accaduto? Non chiedo nomi. Qualcuno mi guarda con sospetto: “Tu, chi sei?” Ma il taccuino non frena le risposte. Ed ecco, per quello che valgono, i miei appunti. “Lo sciopero? Perché non abbiamo fatto anche lo sciopero contro l’aumento di stipendio dei deputati?” […] “Casalegno? I suoi articoli li ho letti, molte volte non ero d’accordo, ma io lo sciopero lo farò, deve servire perché episodi di questo tipo non si ripetano”. “Rossi o neri, io lo sciopero non lo faccio. Ammazzano i borghesi e dobbiamo scioperare, mentre se ammazzano i compagni no! No, non lo faccio: scrivi che sono un crumiro”. “È giusto che lo sciopero si faccia. Ma quando succede qualcosa a un operaio, quella gente lì, dei giornali, non fa neanche un minuto di sciopero”. Uno mi chiede: “Ehi, giornalista, se mi ammazzano me, tu lo fai lo sciopero?” […l “Scrivi: uno, cento, mille Casalegno. A me mi vanno bene!”»
questo era lo stato delle cose. la crudezza operaia non si stemperava di fronte l’omicidio a freddo di un “borghese” – qualcuno, certo si opponeva; qualcuno plaudiva; i più erano indifferenti. lo stesso atteggiamento, ancora più amplificato e dall’eclatanza dell’evento e dalla sua durata, accadde durante il caso moro. dire che le cose non siano andate così, costruire una “retorica” dell’unità nazionale, popolare contro il terrorismo è anti-storico e fragile. la realtà è che a parte i “tifosi” delle brigate rosse, relativamente pochi, e a parte lo schieramento istituzionale (dei partiti, dei sindacati, dei mass-media, di tutte le “forme” costituzionali) molto più largo e potente, la maggior parte degli italiani era – se non politicamente proprio identificato con lo slogan – “né con lo stato né con le br”. se ne fottevano, insomma.
io credo stesse e stia in questo atteggiamento un carattere costitutivo di questo popolo, privatissimo per lo più, ovvero attento ai propri czzi, e disposto a qualunque compromesso e a qualunque illegalità per perseguire i propri personalissimi czzi, e diffidente se non ostile delle élite e dello stato. credo che questo atteggiamento possa spiegare il lungo ventennio fascista come i lunghi secoli di dominazioni straniere – interrotti solo per caso dal congiungersi di eventi, per lo più “esteri”, non sempre fortunati peraltro (la rivoluzione napoletana del 1799 anch’essa un congiungersi di eventi “esteri” non fu fortunata, a esempio).
se c’è stato un “miracolo” in questo paese, non è quello del boom economico degli anni cinquanta e sessanta, ma della “partecipazione pubblica” che dalla fine del fascismo fino a tutti gli anni settanta attraversò questo paese. una cosa, questa della partecipazione alla vita collettiva che potrei definire contro-natura per gli italiani. di certo, non era stato un movimento di popolo il risorgimento, e di certo non fu un movimento di popolo la resistenza.
invece, i movimenti degli anni settanta furono una “cosa di popolo”. io non credo che il terrorismo sia stata la causa determinante della fine di quella cosa di popolo, che finì di suo, in parte perché aveva ottenuto profonde trasformazioni e in parte perché non si riusciva proprio a intravedere un passaggio, una evoluzione. il numero esorbitante dei partecipanti alla lotta armata, in migliaia, in decine di migliaia, è comunque una scheggia di quella cosa di popolo che si contava in milioni. la scelta delle armi fu una scelta militante – come la traiettoria di un percorso che sembrava contenere una sua coerenza, e forse “teoricamente” l’aveva pure, ma che restò “privatissima”.
dirò, per spiegarmi (spero). se domattina – dio non voglia – un bazooka colpisse l’auto blindata del signor draghi e dopodomani si andasse a intervistare le persone nelle piazze dei quartieri popolari, a microfoni e videocamere spente, e solo con un taccuino, la reazione della “gente” sarebbe identica a quella davanti ai cancelli di mirafiori del novembre 1977. e qualcuno direbbe: «draghi? uno, cento, mille, a me mi vanno bene!»
da questo punto di vista, il “fenomeno politico” del terrorismo non ha cambiato nulla di questo paese. non ne ha cambiato proprio per niente l’antropologia. o quella che i più dotti definiscono “la costituzione materiale”. e da questo punto di vista, esso è stato solo una breve parentesi, breve ma zeppa di lutti e dolori da tutte le parti. e non l’ha cambiato non perché sia stato sconfitto – anche perché, francamente, non riusciamo a immaginare quale altra soluzione ci sarebbe potuta essere – ma perché non era e non divenne “cosa di popolo”.
da questo punto di vista esibire i cadaveri di quella sconfitta – come è stato per gli arrestati di parigi – ha un che di macabro. come dovesse restituire agli attuali esercenti del potere una “ragione fondativa”. o anche una “ragione di popolo”. io non vorrei deluderli – ma il popolo se ne fotte.
e confesso di dire questo con estremo dolore.

 

Michele Anselmo

A me pare che il “popolo” degli anni 70 e quello di oggi siano antitetici. Intanto per livello d’istruzione, poi per contaminazione culturale e, soprattutto, per obiettivo: quello degli anni ’70 odiava i padroni, quello di oggi li venera e cerca di emularli.
Unica cosa, sul resto mi trovo abbastanza d’accordo. Il popolo di oggi non se ne dispiace, né è indifferente nella sua stragrande maggioranza. Perché, come qualcuno ha affermato qualche giorno fa, “l’ex terrorista”, al pari dell’immigrato, del negro, dell’ebreo, del diverso, è il nuovo nemico (necessario) per sopravvivere e scaricare tutte le paure, le rabbie, le frustrazioni. Una contemporanea catarsi (negativa) collettiva. E i seminatori d’odio lo sanno bene
la degenerazione – se così possiamo dire – di un sentimento di empatia e partecipazione (empatia, lo uso in senso forte) di quegli anni, di quei “gloriosi” anni, dà adito a questi fenomeni di “cattiveria” e crudeltà. che si è, per così dire, orizzontalizzata. ma se – nel mio sfortunato esempio del bazooka – si “verticalizzasse” nuovamente, io credo che le risposte sarebbero proprio quelle, le stesse. quello che manca oggi, tristemente, è proprio il senso della partecipazione pubblica
Mi piace, tranne che per un appunto: “I movimenti degli anni 70 furono una cosa di popolo”, tesi che I tuoi stessi argomenti contraddicono. Un’egemonia culturale e politica la ebbero, ma a sinistra e in un paese saldamente nella mani di stato e borghesia, per niente liberal o progressista. Non fu il terrorismo a far naufragare il compromesso storico, e non posso nemmeno dire che fu un sintomo… Ma di certo il conflitto non si prestava a mediazioni che lo azzerassero. Questo è forse il pericolo attuale: Fedez recita sacrosante verità al concertino del primo maggio e la Ferragni lancia una salopette per neonati che è già un affare a sei zeri…
forse intendo l’espressione “movimenti” in un senso ampio, come “dinamiche”, non proprio ai movimenti organizzati o ai movimenti rivoluzionari. penso agli operai che buttano giù la statua di marzotto davanti la fabbrica – un gesto, questo davvero sì, di “cancel culture”. o al referendum sull’aborto – in cui le due grandi tradizioni politiche (cattolica e comunista) erano timide o ostili, eppure passò. le convergenze parallele avevano funzionato fin dalla svolta di salerno – in verità. il conflitto “privato” aveva assunto forme che la società non poteva più seguire, o non riusciva più a seguire, o non voleva seguie. le grandi riforme – statuto del lavoro, sanità, carcere, basaglia eccetera – sono quasi tutte del 1978. fa impressione pensarlo. come se ci fossero due piani di slittamento. ma oltre la basaglia – cosa mai sarebbe potuto esserci?
Sono del 1964 e vivo in provincia al Nord. Ma mi ricordo benissimo che gli ultimi studenti politicizzati quando sono entrata al liceo erano in quinta (quindi era il 1978), le assemblee d’istituto per un anno parlarono ancora di politica e poi ci fu il deserto. Mi sono sempre chiesta perché poi è sparito tutto, nel senso che è ricominciata la faccenda di perseguire “i propri personalissimi cazzi”. Sono OT, lo so
per niente – credo che abbia vissuto contemporaneamente il tuo affacciarsi alla “società” (o il diventare adulti e consapevoli) e l’affievolirsi di uno “spirito pubblico”. gli anni sono proprio quelli
…..a parte il termine “terrorismo”

lo so, e ho usato nei giorni scorsi anche “anni di piombo” che lo è altrettanto. è una esemplificazione “restrittiva” diciamo così, e ovviamente ingiusta. ma non è che le altre siano più “obiettive” (lotta armata, conflitto armato, scontro armato eccetera eccetera). d’altra parte, che ci sia stato uso del terrorismo, a me sembra incontrovertibile, anche se non c’erano “stragi indiscriminate” (come fece la destra e pezzi di stato)§

Difficile darti torto. Tocchi un tema che ha a che fare con la debolezza del processo di nazionalizzazione delle masse, con i limiti del Risorgimento, il tutto accentuatosi, paradossalmente, quando diventano egemoni due culture politiche estranee al processo di unificazione. De luna parla di “glaciazione degli anni 80”, intendendo proprio che lì riaffiorano tutto l’egoismo sociale, la noncuranza dell’interesse pubblico, l’amoralità, la cura del particulare, il fottersene come dici, già ampiamente dominanti negli anni miracolati e sopiti per l’appunto durante quella calda stagione di mezzo. Poi la società recupera tutto il tempo perduto con gli interessi (forse il discorso avrebbe bisogno di maggior articolazione, dell’individuazione di altre culture e altri soggetti che esulano da questa generalizzazione).

grazie – non sapevo della definizione di de luna. certo, qui non c’è modo di articolare. ma io ti aggiungo, anche in considerazione di un tuo passaggio: quello che si sente mancare di più in questo paese è una “cultura cattolica” in politica. la cultura cattolica – che io credo radicata profondamente nelle fibre di questo paese – si è confinata a due estremi: il monito morale e l’attività solidale. nel mezzo non c’è nulla, manca cioè la politica. e la politica cattolica è stata per decenni “la via” per “pubblicizzare” le vite private e i sentimenti privati degli italiani. potremo sempre pensare – lo pensiamo da centinaia di anni, più o meno da machiavelli – che la cultura cattolica sia la nostra rovina. ma, appunto – non si riesce a eradicarla. e credo che sia antistorico pensarlo, e credo sia anche un male: il sentimento religioso di un popolo è una sua risorsa preziosa. ovviamente, ti parlo da laico convinto, convintissimo. non è compito nostro – ognuno al suo mestiere. ma io continuo a credere che i grandi movimenti sociali di questo paese siano sempre stati attraversati da un potente “messaggio”, da una annunciazione.
“anche perché, francamente, non riusciamo a immaginare quale altra soluzione ci sarebbe potuta essere”. (Caminiti)
Quali erano i progetti politici a cui si lavorava nella sinistra “larga” (chiamiamola così) in quegli anni Settanta?
Secondo me: a) il compromesso storico; b. la costruzione di un partito “rivoluzionario” (o comunque “nuovo”, cioè “destalinizzato” rispetto a PCI-PSI); c. l’autonomia (sociale); d. la ”rivoluzione brigatista”, cioè una specie di “Cuba in Europa” anti-Nato spalleggiata dai “duri” dell’Urss.
Sì, « il “fenomeno politico” del terrorismo non ha cambiato nulla di questo paese. non ne ha cambiato proprio per niente l’antropologia. o quella che i più dotti definiscono “la costituzione materiale”», ma, facendo saltare tutti gli altri progetti politici possibili, ha mandato all’aria proprio quella – “miracolosa” quanto vuoi, ma straordinaria e reale – « “partecipazione pubblica” che dalla fine del fascismo fino a tutti gli anni settanta attraversò questo paese». E ti pare niente?
« Non era stato un movimento di popolo il risorgimento, e di certo non fu un movimento di popolo la resistenza»?
E però, anche se il “popolo” se n’era “fottuto”, il primo aveva prodotto comunque un’Italia unificata e la seconda una repubblica. Non risultati di poco conto, comunque. C’è una sottovalutazione della politica nella tua visione, secondo me. Ciao
direi il contrario – ma come sempre lo addebito alle mie limitate capacità espositive. i “gloriosi trent’anni” sono tali proprio perché la politica (la partecipazione alla cosa pubblica) irruppe nelle vite personali. per milioni di italiani – di più colori e appartenenza – la politica era proprio la primazia, la stella polare, il comandamento a cui conformavano il proprio agire, le “regole” della famiglia, i propri amici, le proprie feste, il proprio tempo libero e cose così. insomma, tutto. è alla fine degli anni settanta che tutto questo svanisce, implode letteralmente. implode nel privato, nella privatissima cura dei propri affari. addebitare tutto questo al terrorismo – a me sembra anti-storico. c’è proprio un “limite”, un confine che non si riesce a superare: il ’78 è l’anno delle grandi riforme, va ricordato: dello statuto dei lavoratori, della legge-basaglia, del carcere, della sanità. e c’erano già stati divorzio e aborto. e dopo? questa modificazione profonda della vita sociale, diciamo meglio: della vita “civile” non ha corrispondenza nella vita “politica”, nella “forma” dello stato (che l’unico cambiamento, importante ma tardivo, è quello delle regioni). il terrorismo, forse, fa da “collante” di questa società politica e, nello stesso tempo, è la conclamazione dell’estraneità della partecipazione – mi verrebbe da dire: del “sequestro” della politica. non trovando “forma”, la vita politica si separa, proprio come se ne separa la vita civile. è questo che ho provato a dire. i “sogni” della sinistra rivoluzionaria (fosse la conquista di spazi di potere e decisione dal basso, fossero l’attacco al cuore dello stato), o quelli della sinistra “revisionista”, fossero il compromesso storico – non avevano nessuno d’essi una forma “plausibile”. per questo, sono convinto che non sia stato il terrorismo a provocarne la debolezza. i discorsi – non casuali, profondi, meditati – di berlinguer sulla fine della spinta propulsiva, sull’ombrello nato e sul non-governo persino con il 51 percento, erano pure serissimi. ma segnati dal “distacco” non da un approdo. non perché non fossero veri o perché il pci non fosse stato sempre democratico e istituzionale. ma perché il pci aveva svolto questo ruolo da “opposizione” e non aveva la più pallida idea di cosa potesse significare “governare lo stato”, agire per governare lo stato. e si impantanò nella polemica con i socialisti. quando lo fece, con occhetto, eravamo già nelle macerie.

«è alla fine degli anni settanta che tutto questo svanisce, implode letteralmente. implode nel privato, nella privatissima cura dei propri affari. addebitare tutto questo al terrorismo – a me sembra anti-storico. c’è proprio un “limite”, un confine che non si riesce a superare». (Caminiti)

Ragioniamo. Non ho detto che « sia stato il terrorismo a provocarne la debolezza» dei vari progetti politici della “sinistra larga”. Possiamo anche dire che tutti erano deboli o che « non avevano nessuno d’essi una forma “plausibile”». E che l’implosione (nel privato etc.) non può essere addebitata interamente al “terrorismo”. D’accordo. Ma, se dobbiamo considerare il ruolo e le responsabilità di tutti gli attori in campo, vogliamo chiederci che ruolo ebbe il “terrorismo” in quella implosione? Era di sicuro uno dei fattori che agivano nel quadro della politica di quegli anni. E da attore politico fino a quel momento tutto sommato secondario o soltanto “fastidioso” o “estremo”, con la cattura, l’imprigionamento e poi l’uccisione di Moro, in un momento così delicato e di incertezza sulle scelte da compiere, riuscì o no, come minimo, a paralizzare tutti gli altri progetti (inconcludenti o limitati quanto vuoi, ma gli unici con un seguito sociale e quindi con effetti pratici nella vita sociale e politica)?
Come l’attentato di Gavrilo Princip nel 1914 non fu la causa della Prima guerra mondiale ma, senza di esso, il corso degli eventi sarebbe potuto essere un altro, anche all’evento della cattura e uccisione di Moro da parte delle BR (lasciamo perdere i retroscena) può essere applicato, credo, lo stesso ragionamento.

1 pensiero su “Ancora sugli anni ’70

  1. Il carattere degli italiani: segnaposto per ‘non ci ho capito nulla ma parlo lo stesso’;
    mi era piaciuto di più uno scritto precedente sul New York Times che cominciava “la storia si ripete sempre due volte, la prima come tragedia, la seconda come farsa”

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