Per un’operaia morta sul lavoro

 
                                                                               
di Ennio Abate   
                                                                                                                    a Luana D’Orazio di anni 22
Ingombri d’ansie
i tuoi giovanili ardori.
Mai pensavi all’Eterno.
Alla gente ti eri offerta
e sei morta.

Ti ricoprirà il silenzio
tenero corpo.
E già stasera altre infelici,
altre spose che stanno per essere colpite,
e fidanzate;
o madri anziane più pallide
nel rosso d’un tramonto.

Il dolore le consuma, ma dormono.

Povera progenie proletaria,
stabile nella sventura,
solitaria in mezzo alla solitudine d’altri oppressi
che gli oppressori schiacciano nella loro ascesa!

Oh, che prodezza usarti!
Oh, che sragione offenderti!
E vita e sangue toglierti
e gloriarsi
di non avere pietà, mai.

E sei morta.
E sei morta sola.
Terribile faccia esanime
ignara, sorpresa, agguantata.

In nessuna placida notte
riposeranno con gli antenati
le ceneri della tua giovinezza.

Nessun viaggio più
di lievi desideri
nelle piogge o nei venti
tra le nuvole squarciate.

Nessun giorno sereno.
Nessun augurio.

(6 maggio 2021)

 

 

APPENDICE

Da Poliscritture FB (5 maggio 2021)

Un modo onesto questo di Angelo d’Orsi (qui) per parlare della giovane LUANA D’ORAZIO morta sul lavoro, ma riusciremo più a contrastare questa strage continua, invisibile, inarrestabile?

Perché in certi lavori bisogna ancora rischiare la pelle? Cosa ci manca per protestare CONTRO LA MORTE DI UN’OPERAIA SUL POSTO DI LAVORO? Almeno una poesia per questa donna qualcuno/a la scriverà?

11 pensieri su “Per un’operaia morta sul lavoro

  1. Ottima poesia. Ci sono troppi morti sul lavoro. È una tragedia immane. Tutto ciò mi lascia interdetto e senza parole.

  2. “Ingombri d’ansie
    i tuoi giovanili ardori.
    Mai pensavi all’Eterno.
    Alla gente ti eri offerta
    e sei morta.”

    Molto bello (e lacerante) l’inaspettato intersecarsi di una contingenza e quotidianità ansiose e – non fosse che per l’età – speranzose, ingenuamente generose, con una dimensione di fissità alla quale, giustamente, non si pensava, e che appare, giustamente, atroce.
    D’accordo con tutto (“Povera progenie proletaria, / stabile nella sventura …”). Ma perché “In nessuna placida notte / riposeranno con gli antenati / le ceneri della tua giovinezza”?
    Proprio perché questa donna non è “dalla rea progenie / degli oppressor discesa” c’è una possibilità di riposo per le sue ceneri. Che beninteso non rende la sua fine meno inaccettabile e tragica.

    1. “Ma perché “In nessuna placida notte / riposeranno con gli antenati / le ceneri della tua giovinezza”? Proprio perché questa donna non è “dalla rea progenie / degli oppressor discesa” c’è una possibilità di riposo per le sue ceneri.” (Grammann)

      Ho voluto eliminare ogni accenno speranzoso. Se l’oppressione in vita persiste non c’è neppure la consolazione di una “placida notte” per gli oppressi.

      P.s.
      Ben colto il richiamo all’Ermengarda di Manzoni. Ho pensato ad una figura femminile vittima. E mi è venuta in mente quella. Tante altre ce ne sarebbero ( in Brecht, in Lee Masters…). Ho provato la via del *rifacimento* di un testo (in questo caso notissimo, da scuola superiore) con le variazioni che ho ritenuto necessarie.

  3. …a volte per delle cause giuste pensiamo che alcune, o anche molte vittime, hanno potuto avere una loro tragica ragione.. penso alla Resistenza contro i tedeschi, alle lotte contra razzismi e discriminazioni di ogni tipo, ma queste morti orrende sul lavoro, morti annunciate perchè da troppi anni si parla di garantire la protezione vera degli operai nei luoghi d lavoro e non si fa, ci parlano di fatti criminali, ma anche che tutto il sistema è sbagliato …Cosi’ succede che una giovane donna nel fiore degli anni viene sacrificata… in nome di cosa poi? acque inquinate, terre appestate di rifiuti tossici, smog, fuochi dolosi, deserto…cosi’ sembra non avere piu’ valore l’essere umano, sacrificato nella grande pira del capitalismo, come materiale di scarto oppure ormai scontato effetto collaterale…Grazie Ennio, una poesia dolente, che non è poca cosa…

  4. P.S. Ho fatto un raffronto più serrato col “modello”. Costruzione sapiente e puntuale su base di analogia-antifrasi.
    Attualizzazione o rifiuto?

    1. Attualizzazione e rifiuto. Indispensabili (per me, ovvio) sia sul piano dei significanti che dei significati/valori. Non posso più accogliere ad esempio: “lievi pensier virginei/ solo pingea.”; ” il trepido occidente:/ al pio colono augurio/ di più sereno dì”. Ho mantenuto alcuni termini fin troppo letterari (“Povera progenie proletaria”) abbassandone l’aristocraticità. Qualcuno su FB ci ha visto “un registro da Socialismo Utopico”. Non ne vedo proprio. Ho insistito sulla assoluta negatività di questa morte ( “nessuna placida notte… Nessun viaggio….Nessun giorno sereno./ Nessun augurio.”). Sempre lo stesso mi ha obbiettato: “si usa un linguaggio che non ha nulla a che vedere con la poesia contemporanea, senza un valido motivo.”. Gli ho risposto: “Il motivo potrebbe stare qui: “ma morire così (com’è morta Luana D’Orazio) ancora oggi fa saltare le distinzioni tra ieri e oggi”.

  5. Oggi è morta una cara zia, Lisa, sopravvissuta ai miei genitori, l’ultima che mi restava. Ma era una morte attesa, perché vecchia e malata, nessuno pensa che sia stata privata della vita.
    Al contrario di Luana, che ne aveva il diritto, perché giovane, carica di vitalità e di bellezza, vittima sacrificale e innocente del lavoro. Sconforto e sgomento accompagnano questa morte, e tanta protesta; nel dolore del lutto scopriamo una nuda verità, che la vita non ci appartiene, giovani o vecchi; soprattutto quando non ci prendiamo la responsabilità di tutelarla, al di sopra di ogni altro interesse.

  6. Mirko non era giovane (aveva 46 anni), non era particolarmente bello anche se il suo volto precocemente rugoso aveva un suo fascino. Mirko era un mio caro amico che dal Friuli era emigrato a Milano, preso d’amore per Dina la cui bellezza florida, tipica di alcune donne del Sud, lo aveva ammaliato. Avevano trovato alloggio in una casa di ringhiera, non si erano sposati, troppe le spese per fare un matrimonio di un certo rispetto: lei faceva la donna delle pulizie in una azienda commerciale, lui, trovandosi disoccupato a causa del fallimento della ditta presso cui lavorava da anni, si era adattato a fare qualsivoglia lavoro. L’ultimo, fu quello di muratore in un cantiere edile. Dopo la sua morte, avvenuta nel Maggio del 2011, Dina tornò in Sicilia dove morì di crepacuore un anno dopo.
    Volli ricordarlo così.
    p.s. L’ultimo verso “Che sfigato!!” fa velatamente riferimento alle voci (false) che erano state fatte circolare in ambito padronale a giustificare la sua caduta dall’impalcatura: era depresso e, forse, beveva.

    Stillicidio in cronaca
    (da “Per ordine di verso”)

    L’una e venti post meridiem
    L’acqua bolle in pentola
    Ma non si cala la pasta
    Lui non è ancora tornato
    Doveva essere già qui
    In lontananza urla una sirena.

    “Toccherà ad altri”:
    è il solito pensiero che affligge
    questo mondo di incertezza
    ma ancor peggio di
    indifendibilità, la miseria di un sentire
    comune, lupus da uomo a uomo,
    poche risorse e allora azzanna azzanna.

    Ecco il campanello
    Si mette il sale finalmente
    I fantasmi di morte fuggono spaventati
    Dalla forza del pensiero onnipotente
    “Non a me, Domine”.
    Fruscio di voci ai pianerottoli
    Normali conversazioni in case di ringhiera
    Trilli di campanello e TV che si spengono
    Per andare a vedere.

    Uomini salgono le scale, ridacchiano, forse,
    C’è la partita al pomeriggio e bisogna
    Stabilire turni, così sembra di capire.
    Sotto il caldo anomalo di Maggio
    le divise alla porta sanno di acre e di inutilità
    “si faccia forza, signora… venga con noi
    non si preoccupi non è successo niente”,
    la menzogna sa conoscere le strade
    sensibili al suo passaggio, la volontà di credere
    by-passa le evidenze, le incongruenze, le mattanze.

    L’acqua continua a bollire, è il suo lavoro sul fornello acceso,
    Lentamente la pentola si sfa abbandonata a se stessa
    Estende il suo disfarsi alla tela cerata del tavolino.
    Le ingiustizie si danno appuntamento in quella casa
    Che brucia, in quell’appartamento non ancora pagato
    Per il mutuo salato. Così lui è caduto, al nero, sul selciato.

    Che sfigato!!

    24.07.2011

  7. Soffoca il dolore e stritola: ti spiaccica contro la muraglia del niente. Poi, ignoto, non si sa da dove ma affiora un suono, quella realtà strana che non sapresti dire dove abita o da quale caverna sortisce: può essere lento, ripetitivo, assurdamente continuo. D’improvviso, ancora una volta il suono sa erompere anche violento, contro il cielo e conto la terra.
    Dopo- ma dopo quanto tempo?- viene, forse solo una sillaba, e infine torna a nascere la parola che incontra il dolore dei secoli e capace di assopire le ore. Mentre i cerchi si avvitano alla pianta e per giri ignoti proteggono anche il flaccido sussurro della conchiglia, si sgretola i vulcano e fresca di nuova bellezza mortifera dai novità alla vita. Senza perché.
    Grazie della condivisione.

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