Punti di fuga di Donato Salzarulo

NUOVA RUBRICA DI POLISCRITTURE 3
Scritture critiche di vario genere

1.- Il punto di fuga è un’astrazione. Ma è un’astrazione necessaria se vuoi mettere i tuoi sguardi in prospettiva, se vuoi cogliere il vicino e il lontano, il presente da fronteggiare e il passato che ti sta addosso (e non c’è più) o il futuro che desideri (e non c’è ancora).

Sei dentro un paesaggio sociale, dentro una foresta di strade e di palazzi, al centro o ai margini di una piazza, di una stazione di metropolitana o di ferrovie; sei in macchina, stai percorrendo una strada già percorsa, t’allontani da montagne o torni a salirle, attraversi pianure o colline, corri verso il mare;  ogni volta il parabrezza e il finestrino laterale ti fanno da cornice, ogni volta scatti una foto, anche solo mentale; ogni volta incontri facce, che diventano volti; ogni volta parli, torni a parlare; poi leggi, pensi, scrivi…

Insegui te stesso che insegue sé stesso che lascia temporaneamente una traccia, un appunto, quattro versi («Mi sono sentito separato da te / dal momento in cui ti ho amato. / Ero con te, ma tu dialogavi / con un altro me…»), un foglio scritto, un indirizzo (di via o di pensiero da seguire…), un “essere con”, un singolare plurale tra altri ed altre; forse un’illusione, un “come se”, un’astrazione, un punto di fuga…

Amo i discorsi messi a fuoco, con una tesi centrale, una scaletta, un elenco di argomenti pro e contro, una manifestazione di punti di vista, una spiegazione di assunzioni, una disposizione dialogante, quasi socratica o platonica, quasi pedagogica…A volte, però, mi tocca corteggiare frammenti, perdermi in schegge, in tessere di un mosaico resistente, forse virtuale, con collegamenti impliciti.

Come una ciliegia tira l’altra, il punto di fuga si tira dietro una serie di parole o di sintagmi: punto di vista, prospettiva (da perspicere: guardare attraverso), potere del centro, finestra, cornice, orizzonte, forma simbolica…

Il punto di fuga è detto pure fuoco. È fiamma della mente. Uno dei quattro elementi. Indispensabile. Perciò può farsi anche bersaglio. Come nelle espressioni “fare fuoco”, fare centro, tirare. Individuando verso quale punto (o punti) dell’orizzonte indirizzare il proprio sguardo.

La prospettiva: una scoperta rinascimentale diventata gesto quotidiano con conseguente “egemonia del rettangolo” in verticale o orizzontale. Rappresentazione non priva di risvolti ideologici

2.- In questa rubrica vorrei affrontare i problemi del rapporto tra “parola” e “immagine”. Vorrei ragionare sul “pensiero visivo”, sul funzionamento delle immagini, sulla storia dello sguardo e sulle sue ragioni. Vorrei interrogarmi sull’invenzione del paesaggio o della natura selvaggia, sul rapporto tra psiche o mente e paesaggio, sul rapporto tra pittura e poesia o tra fotografia e letteratura. E sulla relazione fra tutto ciò e la cultura di massa o la civiltà incivile in cui ci tocca vivere. So che ogni sguardo è atto percettivo carico di teoria.

«Il termine idea entra stabilmente nella tradizione filosofica occidentale con Platone (427-347 a.C.), pur non essendo affatto un conio platonico. Infatti nella terminologia greca precedente, l’idea e l’affine eidos, entrambi derivazioni del verbo idein (vedere), stavano a indicare la figura o la forma esteriore delle cose, quella cioè che si offre alla vista.» (Paola Rumore, «Idea», Il Mulino, 2017, pag. 13).

Teorizzare è un modo di guardare. Una buona teoria alimenta buone pratiche. Si spera anche efficacemente critiche e alternative al “mercato delle immagini” (e parole) in cui sguazziamo. Si sa pure cosa sia diventato oggi il “mercato dell’arte” e dell’industria culturale (editoriale, televisiva, cinematografica, ecc.). C’è chi, provocatoriamente, ha definito la nostra epoca come quella del compimento di una “estetizzazione del mondo”. Così accanto e/o insieme al “capitalismo della sorveglianza” fiorisce il “capitalismo artistico”.

Ecco, vorrei affrontare temi simili. Vorrei. Ovviamente non è un lavoro che si può fare da soli. “Punti di fuga” è l’indicazione di un fuoco o di più fuochi. L’alimentazione dovrebbe essere necessariamente collettiva, singolare-plurale.

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