Il sarto di Ulm – rivisitato

di Elena Grammann

                        Der Schneider von Ulm hat's Fliega probiert
                        No hot'n der Deifel en d' Donau nei g'führt
                                     
                        (Il sarto di Ulm ha provato a volare
                         Belzebù nel Danubio lo ha fatto cascare)
                                                  (rima popolare)
  1. I fatti (1811)

Nella città di Ulm in Baden-Württemberg, Albrecht Ludwig Berblinger (1770-1829), un sarto di umili origini con la passione della meccanica, ideò, costruì e perfezionò un “attrezzo per il volo planato”, cioè in termini moderni un deltaplano, che doveva permettere a un uomo di volare. L’intento, gli studi e il lavoro erano generalmente derisi; si beccò pure, dalla corporazione, un’ammenda per attività estranea al mestiere. Ma non si fermò. L’apparecchio funzionava: Berblinger compì, di nascosto, brevi voli lanciandosi dai pendii coltivati a vigneto del Michelsberg, nei dintorni di Ulm. Studi successivi dimostrarono che questi luoghi erano particolarmente favorevoli al volo planato. La visita nel maggio 1811 del sovrano Federico I del Baden-Württemberg, dei principi e dell’erede al trono di Baviera offriva l’occasione per il volo inaugurale. Il lancio doveva avvenire dalla torre del duomo (all’epoca circa 100 m di altezza), ma il Consiglio della città, scettico sulle possibilità di riuscita, non autorizzò. Fu proposto invece a Berblinger di lanciarsi da un bastione sul Danubio, sul quale l’inventore, per poter sorvolare il fiume, montò ancora un’impalcatura, portandone l’altezza complessiva a circa venti metri. È assai probabile che non si sia reso conto della situazione del tutto sfavorevole del luogo relativamente alle correnti d’aria. Il volo, previsto per il 4 giugno, fu anticipato al 30 maggio perché il 31 il monarca sarebbe ripartito. Ma il 30 Berblinger rimandò perché il vento non era buono. Il giorno seguente il re era partito, i principi rimanevano e si stavano spazientendo. Le condizioni atmosferiche erano immutate, la folla reclamava lo spettacolo. Berblinger temporeggiò ancora fino alle quattro del pomeriggio, poi, non si sa se di sua iniziativa o letteralmente spintonato da un gendarme, si lanciò. L’acqua relativamente fredda del Danubio produceva correnti d’aria discendenti, Berblinger non trovò il “vento portante”, non riuscì a manovrare e cadde miseramente nel fiume da cui lo recuperarono alcuni pescatori. Ma il suo spirito era spezzato e la reputazione, anche come sarto, compromessa. Divenne oggetto di aperto scherno, finì in povertà e morì all’ospizio, a cinquantotto anni, di consunzione.

  • Bertolt Brecht (1934)
Il sarto di Ulm*
 
(Ulm 1592)
 
"Vescovo, so volare",
il sarto disse al vescovo.
"Guarda come si fa!"
E salì, con arnesi
che parevano ali,
sopra la grande, grande cattedrale.
       Il vescovo andò innanzi.
       "Non sono che bugie,
       non è un uccello, l'uomo:
       mai l'uomo volerà",
       disse del sarto il vescovo.
 
"Il sarto è morto", disse
al vescovo la gente.
"Era proprio pazzia.
Le ali si son rotte
e lui sta là, schiantato
sui duri, duri selci del sagrato".
         "Che le campane suonino.
         Erano solo bugie.
         Non è un uccello, l'uomo:
         mai l'uomo volerà",
         disse alla gente il vescovo.

*Leggenda dei tempi della guerra dei contadini[1]

In questa celebre ballata Brecht prende il sarto di Ulm – non quello della storia bensì quello passato nel modo di dire “fare come il sarto di Ulm”: annunciare un’impresa grandiosa e fallire; lo prende e lo sposta indietro di due secoli, agli inizi dell’età moderna, e in nota specifica che si tratta di una leggenda sorta al tempo delle guerre dei contadini. In questa “leggenda” gli antagonisti del sarto non sono lo scetticismo o la derisione, la fregola di sensazione dei potenti e della folla, il destino cinico e baro; il solo antagonista è il vescovo[2]; il volo avviene dal tetto della chiesa e il sarto si sfracella sul sagrato. A sarto sfracellato, il vescovo fa suonare le campane perché grazie a Dio la tesi dell’immutabilità della natura delle cose (“non è un uccello, l’uomo: / mai l’uomo volerà”) è stata dimostrata. Ma il lettore sa che l’uomo alla fine è riuscito a volare, dunque che la natura delle cose non è immutabile, che i medioevi vescovili non sono inamovibili, e che le guerre dei contadini, se sono state perse una volta, non è detto che lo saranno sempre.

  • Jan Wagner (2007)
il sarto di ulm
per Rolf Huß
 
il re se n’era andato da un pezzo, i principi,
a quel che sentivo, annoiati nelle carrozze: i mormorii
erano diventati un tumulto, un accalcarsi
verso la città, verso le osterie. cani che pisciavano
contro i muri, gusci di noci sul selciato,
e qua e là, e precedendola, filava alla deriva sulla folla
 
il copricapo di una dama, rosso-
boa. il fiume, la barca: si sarebbe detto
che gli uomini non avevano lì altro che reti
e nasse, o che dalla baviera
si passava il fiume per affondare qualcosa,
come si fa un sacco con dei gattini.
(traduzione mia)
 
            der schneider von ulm
für Rolf Huß
 
der könig war längst fort, die prinzen
gelangweilt in den kutschen, hörte ich: das flüstern
war ein tumult geworden, ein gedränge
zur stadt, zur schenke hin. an mauern brunzen-
de hunde, walnußschalen auf dem pflaster,
und hier und dort und ihr voraus trieb auf der menge
 
die haube einer dame, bojen-
rot. der fluß, das boot: man hätte denken
können, daß die männer nichts als netze
und reusen bargen oder man aus bayern
herüberfuhr, um etwas zu versenken
wie einen sack mit jungen katzen.

Jan Wagner[3] ristabilisce almeno in apparenza il contesto storico e cronachistico: il re è partito il giorno prima, i principi sono ancora lì, annoiati dall’attesa e dal lamentevole epilogo. Tuttavia la presenza di un “io” che racconta e descrive (“a quel che sentivo”) e può essere soltanto l’io del poeta, sposta tutto nel presente e crea una prima ambiguità. C’è poi un dettaglio: i copricapi rossi delle dame alla deriva sulla folla, che strizza l’occhio al Cinquecento di Brecht. La parola ‘Haube’, che ho tradotto con ‘copricapo’, indica la cuffia del costume femminile – che può essere anche un aggeggio complicato, come suggerisce il galleggiare sulla folla e l’apparire prima della proprietaria; qualcosa che appartiene a secoli più lontani e rimanda, nella Germania meridionale meno toccata dalla Riforma, a un certo splendore rinascimentale[4]. Rosso è inoltre il colore cardinalizio, altro ammiccamento a Brecht, ma è anche il colore delle boe, ed ecco che la Haube che galleggia sulla superficie turbolenta della folla introduce alla seconda sestina, alla strofa sul fiume. Dove si allude al sarto ripescato, ma dove l’unico marcatore temporale è il preterito dei verbi e nulla, a dire la verità, stabilisce che il fatto sia accaduto nel Cinquecento, nel 1811, o ieri l’altro.

Nella poesia di Wagner tutto è già avvenuto: il lancio, la caduta, il ripescaggio. Il personaggio eponimo non lo vediamo neppure (sappiamo che è stato tirato in barca, ma a guardare sembrerebbe che sulla barca, oltre ai pescatori, ci siano soltanto reti e nasse). Cosa vediamo di preciso?

Nella prima strofa vediamo la delusione della folla: ai bisbigli dell’attesa e della tensione è subentrata la sguaiatezza, un volersi rifare per lo spettacolo mancato, per l’emozione troppo velocemente spenta in un tonfo nell’acqua. La folla abbandona l’argine del Danubio e in un movimento contrario a quello del mattino si precipita verso il centro e le osterie; ha fretta di risarcirsi per la lunga giornata finita in nulla, per la figuraccia della città di fronte ai principi; più tardi si potrà cominciare a ridere e deridere, per il momento si ha voglia di non pensarci più. Come una marea che si ritira, la folla lascia dietro di sé detriti: gusci di noci, lungo i muri la traccia degli immancabili compagni degli eventi umani. Sulla marea ballonzolano i copricapi-boe e così siamo sull’acqua, al fiume.

La seconda strofa, come già la prima, non mostra nulla dell’evento; circoscrive un centro tragico che rimane vuoto, affidato all’immaginazione. Il sarto salvato dai pescatori è letteralmente annichilito[5], non distinguibile dal mucchio amorfo delle reti e degli attrezzi da pesca sulla barca. Cosa ci fa la barca sul fiume? con quel cencio a bordo che si muove un po’, come dei gattini gettati in un sacco, da annegare?

Si dice che la poesia di Wagner sia una poesia delle cose (e degli animali, più raramente di esseri umani) che le svela, sorprendenti, da angolature inattese. Il lettore percorre sentieri linguisticamente e concettualmente accidentati, lo disorienta che la cosa annunciata talvolta non si mostri, che si risolva in un intreccio di circostanze concomitanti su cui aleggia, più come un bisogno che come un mistero, un profumo lontano di anagogia. Così il nostro sarto di Ulm.

Che cos’è il sarto di Ulm per Jan Wagner? Il ritrarsi precipitoso – fatale, immeritato – del favore della folla, della storia, più banalmente dei propri simili; l’immagine riflessa e distorta del sé, che sembra vera; il fallimento come annichilimento e desiderio di autodistruzione, che risponde al desiderio ambiente di distruzione. E questo nel XVI secolo, nel 1811, e ora; mentre guardiamo sotto sera il fiume, l’acqua, nelle cui profondità cose viventi vengono annegate.

Note

[1] Ho trovato la traduzione in rete. Nonostante qualche ricerca bibliografica non sono riuscita a risalire all’autore. Personalmente credo che sia di Leiser/Fortini perché è quale la ricordo da letture giovanili. Ho anche constatato, con un certo stupore, che la poesia è scomparsa dalle recenti raccolte italiane (almeno da quelle che ho potuto consultare un po’ affrettatamente). In Germania è un classico della didattica liceale. Questo il testo originale:

Der Schneider von Ulm*
 
(Ulm 1592)
 
Bischof, ich kann fliegen
Sagte der Schneider zum Bischof.
Paß auf, wie ich’s mach!
Und er stieg mit so ‘nen Dingen
Die aussahn wie Schwingen
Auf das große, große Kirchendach.
        Der Bischof ging weiter.
        Das sind lauter so Lügen
        Der Mensch ist kein Vogel
        Es wird nie ein Mensch fliegen
        Sagte der Bischof vom Schneider.
 
Der Schneider ist verschieden
Sagten die Leute dem Bischof.
Es war eine Hatz.
Seine Flügel sind zerspellet
Und er liegt zerschellet
Auf dem harten, harten Kirchenplatz.
         Die Glocken sollen läuten
         Es waren nichts als Lügen
         Der Mensch ist kein Vogel
         Es wird nie ein Mensch fliegen
         Sagte der Bischof den Leuten.
 
*Legende aus der Zeit der Bauernkreige.
 
 

*Legende aus der Zeit der Bauernkreige.

[2] Qualcuno ha fatto osservare che è altamente improbabile che nel 1592 ci fosse un vescovo a Ulm, visto che la città era solidamente protestante. Questo conferma che non ci troviamo in una dimensione storica bensì simbolica.

[3] Nato a Amburgo nel 1971. Nel 2017 gli è stato assegnato il massimo premio letterario tedesco, il Büchnerpreis.

[4] Per questo ho preferito nella traduzione ‘dame’ all’anche possibile ‘signore’.

[5] Nel 1819 sarà peraltro dichiarato “civiliter mortuus”, cioè sostanzialmente incapace di intendere e volere, e come tale avrà diritto al pubblico sostegno per i poveri.

16 pensieri su “Il sarto di Ulm – rivisitato

  1. A.L. Berblinger ideò, costruì e perfezionò un deltaplano, ma non aveva conoscenze adeguate di fisica delle correnti atmosferiche. Passione per la sola meccanica. Poi forse la pressione sociale gli fece smarrire la prudenza. Singolari i travisamenti delle due poesie, quello politico di Brecht che non si pone nessuna domanda sulle ragioni concrete della caduta, ma solo contrappone la cattedrale per “il folle volo” e il prete. E quello depressivo di Wagner, si svuota la riva verso la città (ma le vie sembrano occupate solo da cani e gusci di noci), vuoto lo spazio della poesia circa il volo effettivo, vuota la barca dal sarto, e quel po’ di vita dei gattini dentro un sacco, appena nati e quindi (ma in realtà si intende subito diventati) ciechi.

    1. Perché “travisamenti”? A me sembrano due tentativi di restituire valore a un’esistenza che a un certo punto ha preso una piega tragica; un’esistenza anonima che è uscita dall’anonimato solo in seguito a un fallimento (in sé nemmeno tragico, semplicemente ridicolo – tragicamente ridicolo) enfatizzato dal pubblico scherno. Brecht tratta il tema molto liberamente e fa del fallimento (con schianto tragico) il preludio a una reale/possibile riuscita e l’occasione per sbugiardare le previsioni del “senso comune”. Wagner è sicuramente più depressivo, come dici, ma sottolinea la solitudine del “fallito” rispetto alla folla (che ovviamente non può fallire perché non ci prova neanche, non le passa nemmeno per l’anticamera del cervello). Una solitudine che va fino all’annichilimento – ma non è questa una situazione molto reale? Proprio nell’opposizione singolo-folla.

  2. Già, hai sicuramente ragione. Ma come si fa a vivere in avanti, nell’imprevisto… e senza ideologia? Mi piacerebbe saperlo, ma pare che non è scritto non è sicuro che potrebbe esistere. Invece…

    1. Mi pare evidente che Berblinger sia finito isolato, al suo tempo, da Brecht, da Wagner. Identifico forse un filo che si fa strada -il deltaplano- attraverso i contemporanei e i cantori successivi.
      Trovo i cantori successivi altrettanto collegati ai loro legami storici.
      Probabilmente sono una inguaribile progressista, con i suoi morti.
      Forse però anche tu intendi che si muore comunque… ma senza… chessò , maggiore comprensione.

      1. Sì, i cantori successivi sono (inevitabilmente?) collegati ai loro legami storici, e sì, credo che tu sia un’inguaribile progressista. (A passi tardi e lenti lo sono anch’io).
        Al povero Berblinger la comprensione dei posteri non gli fa nulla, ahimè. La comprensione serve ai vivi. Cioè la comprensione (travisata) del Berblinger serve a noi.

  3. “Ma come si fa a vivere in avanti, nell’imprevisto… e senza ideologia?”
    Ci si sturla, ma anche i bernoccoli hanno il loro pregio (più che altro letterario…)

    1. Che ti dico? Una grassa risata alla Aristofane alla Rabelais: ma non chiamarla ideologia, questo no!

  4. …questo saggio di Elena ci trasferisce, dritti dritti, sulle rive del Danubio dalla corrente impetuosa, vuoi anche quelle del tempo, attraverso cui si ricollaca piu’ volte la vicenda o leggenda del sarto di Ulm…Due poeti la riprendono , da prospettive diverse, penso…B. Brecht nella sua poesia contrappone le aspirazioni di un sarto ingegnoso, inventore di un prototipo del deltaplano allo scetticismo del vescovo, il quale non crede, ma soprattutto non vuol credere, che l’uomo possa volare…Cosi’ quando Berblinger stramazzerà al suolo, lanciandosi dalla cattedrale, il vesvovo farà suonare le campane: pensa di aver dimostrato la sua teoria per cui l’uomo che sta in basso non puo’ aspirare a salire in alto, come i contadini dell’epoca con le loro guerre, l’ordine costituito non va messo in discussione…B.B. lapidario nel farci riflettere…
    J. Wagner riprende l’impresa del sarto, collocandola in un’epoca ambigua, fuori dal tempo…In quest’altra poesia non è il potere a contrastare il pover’uomo, ma una sorta di destino avverso che la folla stessa raccoglie, accompagnando il “temerario” , come in un ridanciano e colorito corteo funebre, verso il suo pubblico fallimento…l’ultimo atto è tragico, ben illustrato attraverso l’immagine del fagottino di gattini portato al fiume per essere annegati. Qui mi sembra che il ruolo del sarto sia di capro espiatorio di un’umanità vuota e sordida. Grazie Elena, non conoscevo..

    1. Grazie a te, Annamaria, per la lettura attenta e per aver così bene colto quello che ho cercato di comunicare attraverso l’avventura umana e la sopravvivenza letteraria del povero sarto…

  5. Considero questo testo di Elena Grammann – scaturito da ricerche documentarie, con la presenza inoltre di una sua personale traduzione – un contributo letterario di alta qualità. La storia del sarto di Ulm è una sorta di favola senza lieto fine, simile per tale aspetto alla versione scritta più antica della favola di “Cappuccetto Rosso”, in cui la nonna e la nipotina vengono infine divorate dal lupo (la salvezza, con l’uccisione del lupo, è un’aggiunta successiva). Il sarto di Ulm è vittima del conformismo, della violenza della folla e dei rappresentanti di piccoli e grandi poteri sociali. Questa storia mi ha ricordato pure il racconto favolistico di Dino Buzzati intitolato “Il Babau” (esiste anche una bella illustrazione a tema dipinta dallo scrittore stesso). Il Babau, una strana e grande creatura svolazzante nei cieli notturni, sarà colpito dalla violenza del moralismo dominante. Così Buzzati conclude la narrazione del suo “Il Babau”: “Galoppa, fuggi, galoppa, superstite fantasia. Avido di sterminarti, il mondo civile ti incalza alle calcagna, mai più ti darà pace.”
    Ringrazio Elena per questo suo testo così bello.

    1. Grazie, Subhaga, dell’apprezzamento e dei collegamenti. Se precipita, sparato a morte in seguito a democratica decisione, una creatura aerea e fantastica come il Babau, figuriamoci un povero sarto che volava con ali di esotica canna di bambù e leggerissima stoffa! La materia più vicina alla fantasia, eppure materia…

    1. Sì, credo nello spirito di Brecht. Ho incontrato l’opera di Magri facendo qualche ricerca sul sarto di Ulm, ma non l’ho citata perché non la conosco. La ringrazio di averla ricordata.

  6. c’è forse anche una sfumatura in più: se andiamo sul Massiccio centrale della Francia vediamo i suoi vulcani spenti popolati da giovani che lanciano i loro deltaplani in lunghi voli solitari che su quegli altopiani desolati e caldi escono dalla dimensione a noi solita del mondo; e così i loro simili nelle forre ventose delle Prealpi, tribù perse in un loro rito privato. Gli eredi del sarto che han rinunciato a sfidare il potere e coinvolgere il popolo..direbbe un apologo
    ‘Keine gegenstände aus dem Fenster werfen’..

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