Storia e cronaca dei fatti di Palestina

di Giorgio Mannacio

1.
Tempo  fa ebbi l’occasione di esprimere su Poliscritture le mie opinioni sull’eterno conflitto che brucia la terra di Palestina. Mi  considerai “filopalestinese “ secondo una formula molto generica ma- penso – sufficientemente significativa. I luttuosi e tragici fatti di queste ultime settimane mi rafforzano in quell’opinione e mi spingono verso alcune ulteriori considerazioni di tipo generale ma dotate  di una valenza specifica.

2.
La rapidità con cui le vicende del mondo attuale  nascono e si sviluppano  mi ha portato a guadare con un’unica lente Cronaca e Storia. Ho osservato come si continui a parlare di Giudizio della Storia e non di Giudizio della  Cronaca laddove i due termini Storia e Cronaca sempre di più tendono a confondersi. Proseguendo nel mio percorso (che sono pronto a discutere ma che qui richiamo soltanto), ho creduto di rilevare come nell’uso di giudizio della storia e nell’inesistenza di una espressione ‘giudizio della cronaca’ sia implicita un’attribuzione di valore alla prima.
E’ corretto tutto ciò e quanto pesa tale atteggiamento dell’osservazione della vicende dell’oggi?

3.
Inizio citando W. Benjamin che un giorno formulò – se non sbaglio – questo  pensiero che ricordo a memoria: Ogni giorno è il giorno del giudizio. Era implicito il richiamo al Giudizio universale che chiude la Storia umana ma esplicita la condanna di chi crede che i fatti giornalieri non meritino un giudizio e una discussione su di essi.
Cosa trasforma la Cronaca e il relativo giudizio su di essa in un giudizio della Storia? E’ – a mio giudizio – l’attribuzione a un fatto di un plusvalore costituito dalla rilevanza del fatto stesso.
E’ dunque un giudizio lato sensu politico e morale (se i due termini a mio giudizio vanno tenuti insieme).
Il  giudizio della Storia e sulla Storia – che è sempre un giudizio di quello storico e non di tutti gli storici – non dovrebbe finire se non con il Giudizio e allora – per quanto riguarda i fatti umani – si  tronca la catena degli eventi ad una certa data più o meno arbitraria  e si dice: cosa discutiamo a fare, la fine è questa e non può essere che questa. La semplificazione  – che mette  da parte errori, stragi e ingiustizie – a volte è accettabile e a volte no.  L’alternativa è giudicare ora per ora. Il primo atteggiamento può precludere ogni tentativo di ricercare soluzioni possibilmente migliori  e costituisce un valido alibi per la conservazione dello status quo.
Sembra che un politico cinese abbia risposto – alla domanda: Cosa ne pensa della Rivoluzione Francese – “ E’ toppo presto per dirlo “. Bell’escamotage per sottrarsi ad ogni giudizio.

4.
La Cronaca che ci presenta la sera come la fine della Storia non ci consente alcun infingimento tratto da ciò che avviene DOPO.  Come è andata la giornata? Esercizio duro ma che ci offre in contropartita la chiarezza dei fatti nell’istante in cui si manifestano e che possiamo valutare nella loro giovinezza ed immediatezza. Si deve dire: parliamo di questi fatti.

5.
Israele e Palestina sono fatti dell’Apocalisse quotidiana non solo nel senso filosofico fin qui adottato ma in quello reale della guerra, dei morti, delle condizioni di vita dei duellanti. Insomma del contesto reale che ci è presente.
L’attribuzione alla cronaca di un plusvalore ci impone la fondazione di alcuni valori. Se il Cristianesimo – per quel residuo che consentiva a Croce di dire “perché non  possiamo non dirci ‘cristiani’”- resiste ancora, noi del genere umano siamo tutti fratelli allo stesso modo (principio  di eguaglianza) ed egualmente liberi (principio di libertà). Tolti  di mezzo i riferimenti mitologici e  religiosi, Palestina  non è che “uno spazio geografico“ occupato da popolazioni con culture  (in senso lato) fortemente diverse.
Incontrovertibile è anche la profonda diversità strutturale delle due parti (Israele – Palestinesi).
Questa è “l’origine “  dei fatti di cui ci occupiamo oggi. Rispetto ad essa suona – come profetica e insieme programmatica – la frase di Golda Meir che a proposito dell’attribuzione di una parte del terreno di Palestina ai Palestinesi  suona pressappoco così:  “ …non sappiamo neppure a chi attribuirli“.
Nel corso degli anni e in virtù di diversi e non omogenei  fattori si è costituito in Palestina un Stato unitario, organizzato e ben strutturato che ha nome Israele.
Non è avvenuto così per gli altri abitanti del territorio, nonostante nel passato più o meno recente si sia cercato di dare  a costoro qualche  opportunità di organizzarsi in qualche modo come Stato.
La risposta a questa lacuna politica dei Palestinesi e degli Arabi in genere (connessa con svariati interessi stranieri alla conservazione di tale  lacuna) sta nella cinica “ frase “ di G. Meir. Se non si sa a chi offrire la terra, la occupiamo noi. In modo più o meno diretto è quello che ha fatto Israele.
Ma se si risale alle origini, non esistono né Terra promessa né Popolo eletto e allora che senso ha parlare di provocazioni palestinesi? L’operazione di occupazione è una ferita permanente. Non dico che non possono esservi reazioni violente, ma a “quale livello“? Nell’attuale momento si è vista se non altro “l’inutilità del puro terrorismo“ che qualunque Stato minimamente  organizzato è in grado di respingere. Non parliamo di occupazione di terre in funzione difensiva! Se esiste nel territorio de quo uno Stato capace di annientare l’avversario, questo è Israele. Del resto la sua capacità di annientamento si ricava – per presunzione – dalla “quantita” di morti e distruzioni determinate dalla reazione di Israele: 3 morti israeliani, 300 e passa palestinesi. Edifici palestinesi rasi al suolo, e in Israele quasi nulla.  Altri dati non trascurabili sono: gli ostacoli posti da Israele alle   cerimonie palestinesi nella Spianata delle Moschee, lo sloggio di palestinesi di case abitate da loro. Molti servizi essenziali per una vita civile sono in mano di Israele che può – in ogni momento – condizionare ulteriormente la vita del Palestinesi. Non entro in dettagli non controllabili.

6.
Chi pensa  in modo eguale o simile a quello qui esposto, viene “ricattato“ col richiamo allo Sterminio  degli Ebrei. Chi sarebbe “favorevole alla causa palestinese“, approverebbe più o meno apertamente tale sterminio. E’ una delle peggiori manifestazioni della propaganda politica.
Chi sostiene argomenti a favore dei Palestinesi non vuole la distruzione degli Ebrei ma molto semplicemente critica la politica dello Stato di Israele nei confronti dei Palestinesi. Del resto tale politica viene spesso criticata da deputati dello stesso Stato di Israele.
Lo sterminio   degli Ebrei ha una propria specificità. Hitler non fece alcuna guerra al popolo o allo Stato ebraico (che non esisteva ancora).  Fece compiere dai suoi accoliti omicidi individuali di enorme numero, individuando in ciascuno dei milioni di omicidi una qualità negativa (la razza) assunta a giustificazione dell’omicidio.
Non c’è alcuna ragione per opporsi e ostacolare la formazione di uno Stato palestinese posto che sul territorio di nome Palestina insiste una popolazione di struttura  e cultura diverse da quelle che sono proprio dello Stato di Israele.
La pretesa di tale Stato – implicita negli atti politici di esso – di ostacolare tale processo, non può trovare giustificazione negli elementi mitologici della Terra promessa e del Popolo eletto.
Altri elementi – molto concreti e individuabili – si oppongono ad un progetto che sembra del tutto possibile ed auspicabile. Su questi deve riflettere lo “storico della Cronaca“ con lo stesso rigore del critico della  Storia rispetto al quale ho il vantaggio di avere fonti di prima mano.
Ma si sa: “ gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce“ (Giovanni III, 19).

13 pensieri su “Storia e cronaca dei fatti di Palestina

  1. Ti richiami alla Storia in modo poco chiaro.
    1- la terra promessa non è una balla e il popolo eletto di Israele ha avuto e ha una storia che impronta vecchio e nuovo testamento;
    2- gli ebrei sono stati costretti da repressioni continuative e terribili ad una diaspora verso l’Europa occidentale e orientale che non cancella la validità di definizione di terra di Israele quella parte di territorio che hanno dovuto abbandonare;
    3- i filistei cioè i palestinesi venivano dalle terre d’Egitto;
    4- l’area geografica chiamata Palestina tra tante vicissitudini e diventata infine parte dell’impero ottomano e dopo la prima guerra mondiale, protettorato brittannico;
    4- gli inglesi provarono a creare un “focolare domestico” per la comunità ebraica e per quella palestinese. Gli ebrei, cui veniva concesso un territorio poco più grande dell’attuale Telaviv e un corridoio di sbocco al mare controllato dagli inglesi, accettarono. I palestinesi che controllavano tutto il resto rifiutarono;
    6- gli ebrei si batterono contro Hitler costituendo una Brigata aggregata all’VII^ armata britannica e solo nella campagna di liberazione dell’Italia persero 1800 uomini (il doppio dei caduti partigiani in battaglia). I palestinesi appoggiarono Hitler e costituirono il primo battaglione SS non germanico grazie all’impegno del Gran Mufti di Gerusalemme degno zio di Yasser Arafat;
    7- gli attuali territori di Israele sono frutto di conquiste militari in guerre dichiarate dagli arabi. Secondo le convenzioni di guerra internazionali se dichiari guerra e la perdi puoi sempre chiedere la restituzione di territori occupati, ma con trattative diplomatiche non terrorismo (strage di Monaco docet);
    8- i Paesi Arabi hanno tenuto viva l’idea di distruggere Israele perché ci guadagnano in termini di aiuti economici e militari che arrivano da molti Paesi in particolare dagli Stati Canaglia;
    9- è un fatto che gli unici desiderosi di aiutare i palestinesi e in grado di farlo, sono gli ebrei. I palestinesi che vivono nei territori di Israele sono quelli che stanno meglio in termini di libertà e reddito procapite;
    10- noto di passaggio che non hai citato Hamas ed Hesbollah che pure tengono in scacco intere popolazioni costringendole ad accettare le rampe di missili tra le abitazioni e costringendo l’arruolamento “volontario” migliaia di giovani.

    1. @ Sansalone

      Solo per chiarirti un equivoco: l’autore dell’articolo è Giorgio Mannacio (non Ennio Abate). Gli passerò i tuoi rilievi.

    2. 1.”la terra promessa non è una balla”
      Cioè dovremmo far rientrare nei calcoli e nelle riflessioni la promessa che il Dio d’Israele fece a suo tempo al suo popolo, cioè quello che quello stesso popolo ha scritto che il suo Dio gli aveva promesso?

      2. “gli ebrei sono stati costretti da repressioni continuative e terribili ad una diaspora verso l’Europa occidentale e orientale che non cancella la validità di definizione di terra di Israele quella parte di territorio che hanno dovuto abbandonare”.
      Se lo dice lei che non cancella la validità. E comunque questo vale anche per gli arabi di Spagna. Che facciamo, gliela diamo indietro?

      3.”i filistei cioè i palestinesi venivano dalle terre d’Egitto”.
      Questa è tutta da ridere. E gli ebrei da dove venivano? Mi pare da Ur in Caldea.

      4. ” gli inglesi provarono a creare un “focolare domestico” per la comunità ebraica e per quella palestinese.”
      Con quale autorità? Era roba loro? Davano via del loro? Mi pare di no. Magari obbedivano a determinate influenti influenze – sicuramente non palestinesi.

      7. “Secondo le convenzioni di guerra internazionali se dichiari guerra e la perdi puoi sempre chiedere la restituzione di territori occupati, ma con trattative diplomatiche non terrorismo”
      A suo tempo gli ebrei dichiararono guerra all’Impero Romano e persero. Dunque…

      Tutto il resto sarebbe da controllare.
      Che un sacco di gente sfrutti la situazione per scopi che nulla hanno a che fare con la causa palestinese è sicuramente vero. Ma è altrettanto vero che l’esistenza dello Stato di Israele è fondata su nient’altro che un sopruso, e sui soprusi continua a prosperare.

  2. Potrei ricordare all’amico Giorgio che il nome stesso di Palestina è pieno di furore e vendetta, ma non lo farò perché mi interessa di più la sincronia da lui stabilità tra Cronaca e Storia, e mi interessa perché è sbagliata.
    Non un litigio tra ragazzi, non un rissa né un omicidio potremmo noi giudicare senza conoscere cosa è accaduto prima e anzi: ritagliare uno spazio e un tempo adatti alla volontà è proprio della propaganda che mostra, in abbondanza talvolta oscena, quel che è accaduto proprio or ora, a buon pentimento e indignazione.
    La frase di Benjamin – che è quasi esatta – indica il contrario di quel che pare intendere Mannacio, non una autonomia della cronaca bensì un invito a leggere ogni evento “sub specie aeternitatis”, come se in ogni momento dal quella azione o da quella coscienza potesse dipendere l’arrivo del Messia. Il suo Angelo, del resto, osserva le rovine del passato mentre è trascinato dalla storia, non è un giornalista.
    Temo che la rabbia e il dolore offuschino la mente – e per prima la mia – ma semplificare la conta e far le somme noi al posto degli altri non è un buon esercizio spirituale, e neanche materiale.
    L’odio per gli ebrei è antico, anche l’odio per gli arabi è antico. Sarebbe meglio “uscire di pianto in ragione” (sempre a Fortini ritorno) che non levare lamentazioni dove non solo la mano destra ma anche la sinistra devono non ricordare nulla per poter prendere una posizione. E la posizione, mi permetto di ricordare, siamo sempre noi.

    1. il dio di israele come tutti gli altri dei e’ una fandonia…
      (vista la Terra da Saturno e’ solo un puntino ..)
      popolo eletto e’ pura dscriminazione razziale e si puo’ leggere la seconda guerra mondiale come lotta tra due popoli “eletti”, i piu’ razzisti!

  3. @ Partesana e Sansalone

    Ringrazio l’amico Ezio e Sansalone – che non conosco – per l’attenzione prestata alle mie osservazioni. Alcune mie affermazioni si fondano su citazioni richiamate approssimativamente perché sono impossibilitato ad accedere alla mia bibliotechina o ad altre Ma spero che tale approssimazione non abbia rilievo sostanziale sulla chiarezza del. mio pensiero ( non ovviamente sulla sua validità )
    1.
    Cos’è la Storia? Dico, semplificando: la trascrizione di eventi cioè fatti segnati dall’avvenuto.
    Ho cercato dialetticamente di tracciare una distinzione tra Storia e Cronaca insistendo sul fatto che la struttura del tempo di oggi “ tende “ ad avvicinare la due espressioni. L’amico Ezio mi fa torto attribuendomi in qualche l’opinione che si possa parlare di Storia di fronte ad una lite di ragazzi. La mia assimilazione – come risulta chiaramente – nasce dal rilievo di una certa struttura che assume un dato “ fatto di cronaca “rilievo consistente nel plusvalore che tale fatto “ di cronaca “ assume DATE LE CIRCOSTANZE . Parlo della guerra Israele e Palestina e non come dei Ragazzi di via Paaal.
    Non è la durata di un fatto che attribuisce al fatto stesso un certo carattere. La blitz-krieg è cronaca rispetto alla quale si può essere indifferenti?

    2.
    A Sansalone dico, senza polemica alcuna: Terra promessa da chi? Popolo eletto da chi? Esterno il dubbio sulla struttura della sacre scritture e mi pongo a livello critico su di esse.
    Si può certamente partire da altro punto di vista. Ma il problema delle origini non può essere eluso. Se ciò è corretto l’intera vicenda di cui mi sono occupato forse sbrigativamente – sfrondata dalla “ mitologia “ – riacquista la forma tragica della condition humaine: guerra tra popoli, ricerca di una pace tra popoli che si tollerano e via dicendo. Non I ragazzi di via Paal sopra ricordati.
    E’ evidente che ognuno ha le proprie idee sulla natura delle Origini.

    3.
    Mi congratulo con la mia memoria per aver ricordato “quasi perfettamente“ il detto di W.B.
    Ma l’amico Ezio legge male – o forse mi sono spiegato in modo insufficiente – la mia citazione/spiegazione. Andiamo per punti. Il Giudizio universale è la fine della Storia. Se la Storia finisce ogni giorno, dov’è la differenza tra Storia (in tesi millenaria) e la Cronaca di fatto giornaliera?
    Se a un fatto viene attribuita IN FORZA DELLE CIRCOSTANZE una rilevanza di tipo politico/culturale, giova dire: aspettiamo domani per giudicare e farci un’idea sul valore dell’evento?
    Qui ed ora si tratta non dei ragazzi di Molnar ma del destino di popoli (eguali). Se il Giudizio avviene giorno per giorno esprimiamo un giudizio giorno per giorno. L’aforisma di W.B contiene due linee di responsabilità: quella di stabilire se un certo evento è dotato di un plusvalore (che meriti attenzione) e quella di esprimere rispetto ad esso un giudizio di merito.

    4.
    Non è possibile rassegnarsi alla conclusione: la Storia ha già deciso (o per uno o per l’altro).
    La ricerca di criteri di convivenza (scontate e soppesate le ragioni o i torti delle parti) è una tappa del nostro cammino.
    Giorgio Mannacio

  4. -si sono autoeletti popolo di dio… autorazzisti per antonomasia
    -nella loro storia anche loro hanno realizzato i loro piccoli stermini
    (forse soltanto gli eschimesi ne sono immuni)
    -ma sono razzisti anche fra di loro: i più ricchi contro i più poveri
    (che furono la stragrande maggioranza a essere uccisi)
    non si finisce mai..

    questa terra che da Saturno nemmeno si vede!!!!

  5. Da tenere in mente quando si fanno discussioni politiche come queste….

    SEGNALAZIONE DA FB

    Andrea Zhok

    TARDE BRICIOLE DI CONSAPEVOLEZZA

    In giovane età s’ha bisogno di certezze, saldi segnavia che ci permettano di orientarci. Perciò passiamo tutti attraverso una fase “faziosa”, in cui assumiamo che quelli del gruppo ideale X, i “nostri” abbiano sempre caratteristiche positive, argomenti validi, ottime ragioni, sensibilità adeguate, senso della realtà, mentre gli “altri”, appartenenti al gruppo ideale Y, presentano incorreggibili tratti negativi, barbarici, irragionevoli, insensibili, fondamentalmente abietti.
    Abbastanza presto, con l’età adulta, alcuni fanno spazio ad un qualche grado di tolleranza, ammettendo che non tutto il male è negli “altri”, non tutto il bene è nei “nostri”.
    Questo livello critico è di solito il livello più avanzato cui pervengono i più spiritualmente accorti, e il suo raggiungimento ci fa ritenere di aver ottenuto in qualche modo una sorta di saggezza, di maturità, di equilibrio.
    E poi, e poi, alcuni, carchi d’anni e di delusioni onusti, pervengono ad un’ulteriore, amara, Illuminazione.
    Lì, davanti agli occhi sta la verità, quella verità che non si avrebbe mai voluto vedere, quella verità che, forse, a saperla troppo presto ci avrebbe storpiato moralmente, e che tuttavia ora ci guarda in faccia.
    E la verità è che i buoni e i cattivi, i ragionevoli e gli irragionevoli, i sensibili e gli insensibili, i cretini e gli intelligenti, i colti e gli ignoranti, i coraggiosi e i codardi, i magnanimi e i meschini sono distribuiti in maniera ASSOLUTAMENTE EQUANIME rispetto ad ogni credenza, ad ogni ideologia, ad ogni bandiera.
    Tra quelli che perorano ideologie eroiche è zeppo di vigliacchi, tra quelli che proclamano l’amore per il prossimo è pieno di cinici, tra gli alfieri del pacifismo è pieno di soverchiatori prepotenti, tra i cavalieri dell’ideale ci sono secchiate di meschini, tra i veneratori della ragione ci sono legioni di dogmatici, tra i fedeli timorati di Dio brulica la hybris individualistica, ecc.
    E peraltro di buono c’è che anche le qualità sono distribuite in maniera inaspettatamente equanime.
    (Con una singola eccezione: quei liberali che rivendicano orgogliosamente di perseguire il proprio interesse e basta, perché è giusto così – fiat avaritia, pereat mundus – sono esattamente e solamente le nullità morali che sembrano essere.)
    Molti sono disposti a fare un tratto di percorso in questa direzione, ammettendo che sì, forse dobbiamo aggiustare le nostre aspettative, forse dobbiamo ammettere che le spazio delle virtù e dei vizi è più variegato di quanto ci aspettavamo; ma dubito che molti siano disposti ad accettare il bruto fatto sociale che le credenze manifeste, le idee proclamate, la bandiere brandite non hanno nessuna, assolutamente nessuna capacità predittiva delle qualità umane di chi le impalma.
    Tutti noi continuiamo ad essere propensi ad aprire credito ad alcune bandiere e ad avere deplorevoli aspettative verso altre. Si tratta probabilmente di una reazione primitiva, di un remoto istinto del gregge, che, in un mondo dove non ci sono praticamente più appartenenze su base materiale (fisica, territoriale, biologica, ecc.) ha bisogno di aggrapparsi all’idea che comunque tra “noi” e “loro” ci debba essere una differenza in qualche modo fondamentale.
    Invece no.
    Le differenze, qualitativamente enormi, abissali, antropologicamente incolmabili, ci sono naturalmente, ma ci sono tra alcuni di “noi” e alcuni di “loro”, tra alcuni di “noi” e altri tra “noi”, tra alcuni ed altri dei “loro”.
    Per chi – come i filosofi – fa del traffico delle idee il proprio commercio d’elezione, questa è un’intuizione amarissima, una delusione profonda.
    Eppure è qualcosa che abbiamo tutti verificato mille volte, vergognandoci di apparenti “alleati nelle idee”, la cui sola esistenza suonava come una confutazione in vivo di quelle stesse idee.
    Ma il punto delle idee non può essere il loro possesso finale, non lo è mai stato, quasi fossero monete da ritirare dalla circolazione e mettere sotto il materasso una volta per tutte.
    Il punto del commercio delle idee è sempre stato solo il loro uso, la loro pratica, il loro esercizio: esse sono come la proverbiale scala di Wittgenstein, che una volta saliti dove l’aria è più tersa e la vista più ampia può tranquillamente essere lasciata cadere.

    1. Forse mi sfugge qualcosa.
      Qui qualcuno ha parlato delle qualità morali individuali di ebrei e palestinesi? O delle qualità morali collettive dei due gruppi? O dei sostenitori dei due gruppi? Mi sembra che abbiamo parlato di fatti. Anche l’accusa di razzismo di Giulia è fondata nei fatti. Qualcuno ha mai riflettuto sul fatto che si può diventare cristiani e mussulmani semplicemente convertendosi, buddhisti cambiando forma mentis, ma non si può diventare ebrei? Per diventare ebrei sono necessarie tre generazioni di filiazione in linea materna (perché solo mater semper certa, e lì bisogna essere certi). Se questo non è razzismo, qualcuno mi dica cos’è. Come disse mi pare il rabbino capo Toaff, l’ebraismo non è una religione. Gli ebrei sono un popolo, che ha una religione. Sottile differenza a cui nessuno sembra badare.
      Può darsi che io ricada nei casi indicati da Zhok, ma l’insistere maniacale sulle identità collettive non mi piace per niente.

      Dall’intervento di Ezio non ho capito se dobbiamo ricordare (conoscere cosa è accaduto prima) o dimenticare (la mano destra e la sinistra non devono ricordare nulla).

      Tempo fa sostenevo l’idea che i palestinesi (gli arabi) avrebbero dovuto accettare come fatto compiuto, benché illegittimo, l’esistenza di Israele, “perché tanto di lì ormai non lo togli”. Qualcuno mi fece notare che questo equivaleva a accettare un sopruso per quieto vivere. La lista dei soprusi da accettare per quieto vivere si può naturalmente allungare.

  6. “Può darsi che io ricada nei casi indicati da Zhok, ma l’insistere maniacale sulle identità collettive non mi piace per niente.” (Elena)

    Non mi pare che Zhok le accentui. In altra pagina FB, una commentatrice vi ha visto un inno al relativismo assoluto. E per contro ho precisato:

    No, Zhok non è un sostenitore del relativismo assoluto. Oppure di una tolleranza generica a favore del quieto vivere o dell’assoluzione facile (“scurdammece ro passate…). Chiede – a me pare- di imparare a lottare contro l’avversario politico (o il nemico in casi più estremi) senza essere manichei. Sapendo, cioè, che non tutta la ragione ( o addirittura Dio: “Gott mitt uns=Dio è con noi” dei nazisti) è dalla propria parte, ma che un pezzo sta nel campo avversario. E imparando a tenere sotto controllo la “reazione primitiva, di un remoto istinto del gregge […]che ha bisogno di aggrapparsi all’idea che comunque tra “noi” e “loro” ci debba essere una differenza in qualche modo fondamentale.”
    Un suo antenato potrebbe essere Franco Fortini che, puntando sulla ragione invece che sulla fede(fanatica) scriveva: “un tacito imperativo afferma che non sta bene avere ragione. O (più correttamente), che Ragione e Torto, Verità e Errore non esistono, la pretesa di farli esistere essendo l’Errore principe, il generatore di fanatismi d’ogni specie. Il pluralismo, il libero mercato delle opinioni, la democrazia, hanno diffuso –
    sotto nome di lotta alle ideologie – questo ipocrita rispetto per le opinioni altrui” ( Insistenze, pag. 100).
    Quindi nessun scetticismo assoluto, nessun nichilismo, la Ragione c’è è va cercata. Ma che sia Ragione e il surrogato miserabile che un singolo o un partito crede già di possedere.

  7. …”questa terra che da Saturno nemmeno si vede” (Giulia). Una visione molto molto staccata che rende la misura delle sproporzioni spesso presenti nei giudizi umani. Siamo formichine, eh!…Chi crede, tra gli ebrei, al mito del popolo eletto si appella ad una storia che ingigantisce il significato delle vicende di un popolo, sminuendo il valore della vicenda umana nel suo complesso…Un mito che rafforza l’identità di un popolo guerriero e trascura quella di un popolo di pace…Mentre esiste, e come, anche questa tradizione, basti pensare a persone come Moni Ovadia che hanno continuamente proposto e valorizzato una tradizione artistica e culturale legata a un popolo di pace e giusto, lontano sia dall’immagine del popolo eletto, percio’ aggressivo e guerriero, sia da quello della vittima designata o capro espiatorio …Un percorso di consapevolezza che si dovrebbe sviluppare attraverso un dialogo interno al popolo di Israele e tra le parti in conflitto. Indispensabili anche il sostegno e la fermezza da parte di istituzioni e leggi esterne, cosa che non avviene. Cio’ sembra dimostrare che quando un sopruso ingigantisce annebbia la ragione, generando connivenza e paura…

  8. @ Grammann

    Le sue osservazioni con epilogo sconfortato sono interessanti e la ringrazio. Mi danno modo per chiarire il mio pensiero, o meglio le mie opinioni.
    Se si parte dall’opinione (dovuta a mie scelte culturali) che non esiste una Terra promessa e neppure un Popolo eletto ne risulta che ogni territorio di questo mondo è terra di migrazioni di diversi popoli e oggetto di conquiste più o meno sanguinose. Si verificherebbe in un certo senso quella che Marx chiama – con riferimento all’accumulazione capitalista – “una espropriazione originaria“. E i popoli protagonisti di tale vicenda diventerebbero ora aggressori ed ora vittime.
    Questa è in ultima analisi “la lezione della Storia“, questo incubo – cito il grande Joyce – dal quale l’autore di Ulixes vorrebbe risvegliarsi.
    Per quel briciolo di eredità illuministica che ci è rimasto tra le mani si deve rifiutare in linea di principio tale sequenza ed accettare l’idea che il corso degli eventi cui ho accennato abbia un diverso e più umano percorso e adoperarsi con quanto a ciascuno è possibile di farsi voce della relativa possibilità. La costruzione o meglio la ricostruzione di valori in base ai quali esprimere un giudizio e operare con coerenza è necessario. Cosa c’è “al di fuori“ di questo perimetro?
    E’ evidente che tale operazione comporta l’analisi concreta delle ragioni profonde (palesi, nascoste, deformate etc.) del corso degli eventi. Un lavoro di responsabilità culturale e politica.
    Penso – un po’ per celia e un po’ per non morire – quanto sia stato umano il pantheon greco.
    Ogni popolo poteva pensare che un dio dei tanti esistenti potesse muoversi a compatire le sue disavventure ed assisterlo con successo nel duro cammino della vita. Il monoteismo ci presenta un solo padrone.
    Cordiali saluti da Giorgio Mannacio.

  9. Si viaggia con le due bisacce di Esopo. L’esistenza di Israele non dipende da Israele quanto dalla funzione che gli assegnano gli USA dentro la folla di stati islamici divisi tra le loro correnti religiose, cioè politico/statuali. Poi i singoli, interni agli stati del luogo, vedono subito la bisaccia con i vizi degli altri, così possono caricare di ulteriori vizi la propria bisaccia dietro le spalle. Mi diceva una giovane amica ebrea milanese che, dopo il crollo dell’URSS e satelliti, molti ebrei di quelle parti sono emigrati in Israele, con una loro cultura che non era quella occidentale, moderna, sulla quale Israele si era fondata.
    Israele stesso poi, da un po’ fa alleanze statuali con alcuni stati arabi. Sta diventando tutto realpolitik e la religione rigorosa sarà relegata nel privato? In questo caso tutto rientrerà nei soliti giochi, triangolazioni, alleanze, compensazioni, cessioni… dove la cronaca in realta pavimenta il terreno su cui si svolgerà la storia futura.

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