Mandel’štam e Pietroburgo

Anna Ostroumova-Lebedeva, “Pietroburgo. Canale Krjukov”. 1910

 

di Antonio Sagredo

   Angelo Maria Ripellino iniziò il corso monografico (1974-75)  su Osip Mandel’štam con la poesia Leningrad (1930), affidando a questi versi un simbolo universale: non solo il destino personale del Poeta e della Poesia stessa, ma la testimonianza di un’epoca sordida, un’epoca di lupi, di sciacalli, di menzogne, di delazioni, di tradimenti… tutto ciò che di terribile dentro vi ribolliva, che le generazioni future avrebbero ereditato fino ai nostri giorni… per ritrasmetterle.

   Termina, lo slavista, questo corso con altri versi dedicati alla metropoli Pietroburgo, e precisamente alla poesia intitolata “Ammiragliato” (1913), quasi a completare  un ciclo (ma rovesciando cronologicamente le date), e simbolicamente a far comprendere agli studenti come l’esistenza di questo poeta sia stata del tutto dipendente da questa città – e non  dalla “sonnolente e buddistica Mosca – che pure ebbe tanta importanza per Mandel’štam, ma non cantata con la stessa passione e disperazione riservate alla città di Pietro.  Mentre i versi su Pietroburgo sembrano quasi provenienti dalla profondità degli inferi della città, dagli scantinati gelati abitati dal poeta e sono una preghiera disperatissima e invocativa, nei versi de L’Ammiragliato è descritta una città in preda ad una accidia lagunare, statica, acqua che corrode le architetture dei palazzi, le ancore e le catene delle navi immobili, come  il potere burocratico-politico che la opprime e corrode le coscienze dei suoi abitanti.

Leningrad

 Sono tornato nella mia città, nota sino alle lacrime,
sino alle nervature, sino alle glandole gonfie dell’infanzia.

Tu sei tornato qui – dunque inghiotti al più presto
l’olio di pesce dei fanali del fiume di Leningrado!

Riconosci al più presto il giorno di dicembre,
dove il sinistro catrame è mescolato al giallo d’uovo.

Pietroburgo, io non voglio ancora morire:
tu hai i numeri dei miei telefoni.

Pietroburgo! Io posseggo ancora gli indirizzi,
dove  troverò la voce dei morti.

Io vivo su una scala nera, e sulla tempia
mi batte un campanello strappato con la carne.

E tutta la notte io aspetto ospiti cari,
squassando i ceppi delle catenelle della porta.

dicembre 1930. Leningrado
(trad. di A. M. Ripellino)

  1. M. Ripellino cita questa poesia dall’edizione americana Osip Mandel’štam – Collected Works in Three volumes, ed. Inter Language- Literary Associates, 1967, vol. I, p. 158. La successione cronologica di questi tre volumi è: 1967, 1969, 1971. Nel 1981 il 4° volume. Ma nel 1956 fu pubblicato un primo volume delle poesie di Mandel’štam; mentre il secondo in  Sobranie sočinenij v dvuch tomach, vol. II, New York 1966. In questi versi su Pietroburgo (Leningrad), più che in quelli profetici e melodicamente lirici di Blok, si esprime la preghiera invocativa e realistica di Mandel’štam, tesa e protesa all’ascolto: qui è il senso dell’udito, più che gli altri quattro sensi, ad essere preminente; e così vivido e realistico è questo senso che ti appare come un enorme orecchio, più grande della stessa metropoli, ma  che si tormenta in un spazio così ristretto, umidamente malsano da non poter udire quelle risposte che il poeta attende, invano!
    Il telefono gioca un ruolo di primissimo piano fra i poeti russi. Anche per Mandel’štam, come per Majakovskij, è qualcosa di terribile, tanto che questi  nel  poema Bene  dice: “Il telefono è impazzito/ mi rintrona nell’orecchio/ come una mazzata:/ l’enfiagione della fame/ ha chiuso quegli occhi scuri”. (In Majakovskij- Opere, a cura di I. Ambrogio, Editori Riuniti, 1972, p. 411).
    L’Achmatova, quasi ripetendo Mandel’štam, così parla di Leningrado a Lidija  Čukovskaja: ” Leningrado, in generale, è una città straordinariamente adatta alla catastrofe. Questo fiume freddo  su cui ci sono sempre nuvole pesanti, questi tramonti minacciosi, questa spaventosa luce teatrale… L’acqua nera coi riflessi di luce gialla…Tutto è terribile: non riesco ad immaginarmi che aspetto avrebbero catastrofi e sventure a Mosca: là tutto questo non c’è”. (In Lidija Čukovskaja, Incontri con Anna Achmatova 1938-41, Adelphi  1990, p. 73). (vedi anche nota 276, pp.131-132) ////// Quanto al colore giallo: vera ossessione dei poeti simbolisti, acmeisti, e futuristi (la gialla blusa di Majakovskij!)! La fine del secolo XIX e l’inizio del XX sono dominati dal giallo.
    Viktor Šklovskij  apre il suo saggio dedicato a Ejzenštejn, rivivendo le atmosfere e i colori di Pietroburgo: “Il cielo non ha alcun alone rossastro, brillano sempre le stelle. I lampioni a gas mandano una luce lilla. Nelle vie del centro ronzano i carboni ravvicinati dei lampioni ad arco: intorno ad essi la luce è azzurro-giallognola….i lampioni a petrolio somigliano a collane dalle perle molto diradate…. Di mattino ….la luce dei lampioni a petrolio assomiglia alle macchie sbavate di piscio equino in mezzo alla neve….La vita è lenta… Di questa lentezza rende ancora testimonianza Blok all’inizio del nostro secolo….Nelle scuole si mostravano nebulosi quadretti, che venivano proiettati su uno schermo a Pietroburgo, Mosca, Riga, da gialle lanterne magiche, scintillanti per le viti di rame e il legno laccato.” (In Viktor Šklovskij, Sua Maestà Eisenstein. Biografia di un protagonista, De Donato, 1974; stupenda traduzione di  Pietro Zveteremich. Mentre una edizione indegna è quella  del 1998 a cura di Liborio Termine, Il leone di Riga, ed. testo&immagine, che offre una traduzione raffazzonata, imprecisa e, ripeto, parecchio incompleta (non sono tradotti  interi capitoli!), e addirittura vengono saltati decine e decine di interi passaggi. Come  esempio, proprio all’inizio del testo: “Chaplin non ha compiuto ancora 11 anni! Edison ha già brevettato il cinematografo. La parola non è ancora matura” (a p. 9. nella traduzione del 1974), è un passaggio assente nel testo edito del 1998, p. 41. Al lettore viene sottratta quella puntualità storica che per Šklovskij è essenziale, e quindi edizione da stracciare! (vedi n. 260, p.121). ////// “scala nera”… in effetti è propriamente la “scala di servizio”.

  (da mia nota n. 1, p.3 – Corso di A.M. Ripellino su O. Mandel’štam del 1974-75)

13 pensieri su “Mandel’štam e Pietroburgo

  1. Criptico. Per una come me che niente sa, è un tessuto di rimandi tra convenuti settari o quasi. Un po’ di divulgazione, no?

  2. Nemmeno io so niente, e non sono mai stata a Pietroburgo. Però qui un po’ l’ho vista, non è poco.

  3. gentili Signore,
    ma avete letto la mia presentazione a queste cose slave?
    ————— Non c’è nulla di settario e non c’è nulla di criptico… il fatto è che quando si entra nelle maglie più intime delle culture, chi non si intende si sente escluso.
    Le poesie di Mandel’stam sono note a un vasto pubblico grazie al lavoro degli specialisti (qui gli slavisti)… tutti sono capaci di leggere i versi del poeta che non sono incomprensibili, ma vai poi più a fondo… nello spiegare ogni verso e cosa si nasconde dietro ognuno di essi, vale per Pasternak, Majakovskij e gli altri poeti russi (e non vorrei nemmeno consigliare la lettura dei versi di Chlebnikov, studiati splendidamente dal Ripellino – e pubblicati da Einaudi)… care Signore la stessa cosa
    per tutti gli altri poeti_ pensate forse che Baudelaire sia più facile di Mandel’stam?-
    Vai più a fondo e scopri mondi, continenti… dai versi dei poeti conoscerete come hanno pulsato tutte le epoche…
    Ma anche Londra è misteriosa, e Parigi, e Praga (avete letto il magistrale PRAGA MAGICA di Ripellino? : difficoltà a non finire!!!)
    ————————–
    Io un tempo pensavo
    i libri si fanno così:
    arriva il poeta,
    lievemente disserra le labbra
    e d’improvviso si mette a cantare il sempliciotto ispirato.
    Prego!
    Ma risulta che prima
    che cominci a cantarsi,
    camminano a lungo incalliti dal vagabondare,
    e dolcemente sguazza nella melma del cuore
    la stupida tinca dell’immaginazione.
    Mentre sbolliscono, strimpellando rime,
    una brodaglia di amori e di usignoli,
    la via si contorce priva di lingua:
    non ha con che discorrere e gridare.

    ——————————-
    Ma quando io scrivo delle donne intorno a Mandel’stam vi faccio vedere una epoca…
    ma leggerete gli altri articoli, spero.
    Cara Cristiana, nessun convenuto settarismo… quando si dice di poeti e della loro epoca si scrive così…quando si va dentro una epoca seriamente il risultato è quanto e come ho scritto…
    i miei versi che Voi due avete letto se chiarite bene da un critico chiariscon anche la nostra epoca…
    adieu, antonio

    non è semplice Dante perché

    la via si contorce priva di lingua:
    non ha con che discorrere e gridare.

    8invece di via anche: vita)

    1. Caro Antonio, quel 158 e’ surreale. Non la poesia. E dove è l’Ammiragliato? Si tratta forse, il post stesso, di una perla senza le prime 157 e le n successive? Solo di una breve contestualizzazione del testo del post sentivo la mancanza.
      È grave?

  4. … quel 158 è il numero di una nota e di per se è insignificante, non ci si deve aggrappare a queste cose. Le note che io scrissi su Mandel’stam sono 333, e tutto per chiarire e estendere la conoscenza di un poeta sia agli addetti che ai non addetti ai lavori. Sono passati quasi 50 anni! E la conoscenza del mondo slavo è quasi zero!
    Il fatto è un altro che come quasi 50 anni fa, anche le persone acculturate trovano difficoltà a comprendere altre letterature, nello specifico quella russa. Quando leggerete della extrterritorialità di Mandel’stam – fatto che lo accomuna grandemente a Dante, sarà una sorpresa per tutti. La Grammann scrive che ha visto un po’ di Pietroburgo, credo che non l’abbia mai vista (e non è la sola)… si sa dove è questa metropoli ma non si sa nulla della sua storia…eppure fu fondata come finestra dell’Occidente, essi i russi sono entrati in Occidente ma pochissimi stranieri nelle cultura russa ( a parte gli studiosi di cose slave) eppure l’Occidente non puo’ fare a meno di Dostoevskij e di tanti altri come del geniaccio di Puskin (che come Dante – che amava moltissimo) ha creato una lingua – cosa che nemmeno Goethe fu capace di creare, perché usò la lingua di Lutero!
    Ma su Pietroburgo avrete modo di sapere di più nei miei prossimi articoli. Eppure i versi su Pietroburgo (Leningrad) di Mandel’stam che segnano il mio primo articolo dovevano essere per i lettori un faro: rileggeteli quei versi, pian pianino e capirete la metropoli!
    Ma leggete qualcosa di Ettore Lo Gatto sui poeti e scrittori russi, la loro storia!
    E leggete A. M. Ripellino (troverete già qualche piccola difficoltà)!
    E di Pasternak cosa avete letto? Oppure avete visto quel melenso film su Zivago?
    Avete dunque letto i versi di Pasternak?! Anche in traduzione italiana quasi perfetta non è facile comprendere: il Montale che scrisse la prefazione allo Zivago non capiva nulla!!! Come poteva comprendere una grande poeta, lui che scriveva versi noiosi e mortali!? Aveva ragione Carmelo Bene a non considerarlo poeta, se non piccolo!
    Perché non ascoltate l’attore nei diversi ” quattro modi di morire”, andate a digitare.
    posso scrivere tanto ma sono stanco di ripeterlo.
    E non è da tutti, lo aveva capito già Tommaso Landolfi, in primis come scrittore.

    1. fratello (posso? -chi ama la grande letteratur russa è mio fratello -io, ignorantissimo e indegno, pure innamorato follemente di questo dono divino che è la letteratura russa -amore iniziato credo a 14 anni leggendo Sebastopoli e altri racconti, Sansoni, e poi mai più cessato, attraverso altre letture, compresi i sommi Cechov, Mandelstam e Sklovskij).

      Ma mi ha folgorato un’altra cosa che hai scritto, il cenno a Montale. E’ per me da anni dolorosa spina il sapere di persone che stimo, per bene, che intendono la poesia, e che apprezzano Montale, la cui piccolezza a me appare invece manifesta, clamorosa addirittura.
      Mi fa quindi piacere trovare stretta consonanza con queste tue parole:

      “Montale che scrisse la prefazione allo Zivago non capiva nulla!!! Come poteva comprendere una grande poeta, lui che scriveva versi noiosi e mortali!? Aveva ragione Carmelo Bene a non considerarlo poeta, se non piccolo!”

      con stima

  5. Sono certa che farai un lavoro prezioso, io non so proprio nulla di quello di cui parli, quindi ti rigrazio da subito.

  6. e perché io so, come di tante altre letterature?
    Oppure, non so… ma è proprio questo che mi spinge…
    se qualcuno scrive di letteratura nepalese, io sono entusiasta, non rispondo come
    Voi due…
    e perché Anna Maria Di Pietro mi capiva a volo?
    Perché mi diceva di cose slave su cui era informatissima?
    Non sono offeso, ma avrei preferito leggere da donne che stimo altro linguaggio critico,
    e invece…

    mah!

    1. Caro Sagredo,
      io non sono mai stata a Pietroburgo. Quello che volevo dire è che attraverso il tuo articolo sono riuscita a vederla almeno un po’, e che questo secondo me non è poco. Voleva essere un complimento, non una critica…

    2. Suppongo invece che tu non sappia qualcosa che io ho sulla punta delle dita: e allora? Vorrò seguirti e aprire l’interesse per qualcosa che ignoro. Ma l’ideale di onniscenza lo lascio agli dei, se sono quadra non sono tonda, credo che valga per tutti.

  7. ma io non sono onnisciente, mi considero un incosciente e un deficiente (nel senso di folle, come nei tempi antichi)…
    ma poteri saperlo, una sorta di prurito….
    ma seguitemi e bando alle nostre scemenze e le fragili e facili incomprensioni,

    poi questo mi stanca più dello scrivere sui poeti

  8. Gentile Gualtiero,

    e allora dovrebbe leggere la prefazione di A. M. Ripellino alle poesie di Velemir Chlebnikov, edite da Einaudi. Non è facile per nulla, ma Le darà la giusta misura del giudizio.
    Questo poeta fu il padre di tutti i poeti russi del XX° secolo, ma deve leggerlo per avere una idea della sua importanza nella poesia mondiale.
    Qui la parola sommo ci sta pure bene, ma non bisogna cedere all’entusiasmo, che
    gradisco pienamente.

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